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L'Ariete, nel suo aspetto grafico tramandatoci dalla tradizione, ci si presenta come un glifo ricco di innumerevoli significati. Notiamo, innanzitutto, una schematizzazione del capo dell'animale ariete, con le due corna curve che ci richiamano alla mente due mezze lune o, per meglio dire, una luna che è stata spezzata in due. In esse possiamo vedere una "forza di origine superiore"; infatti il corno va sempre visto come una forza espansiva divina che esce dal cranio. Ricordiamo, a tale proposito, che appunto con due "corna di luce" era rappresentato Mosè il quale, mentre, più o meno trasfigurato, scendeva dal monte Sinai dopo aver ricevuto le Tavole della Legge da Dio, trattò alquanto male il suo popolo che nel frattempo stava adorando il vitello d'oro (paragonabile al segno del Toro); in questo, peraltro, si può vedere una sanzione del passaggio dall'Era del Toro a quella del l'Ariete (movimento all'indietro del segno zodiacale dovuto alla precessione degli equinozi) Addirittura qualcuno vede, nella forza luminosa di queste corna, la raffigurazione di una Kundalini risvegliata, che esce in due canali dagli occipiti, invece che in un canale unico dalla sommità della testa. Questa forza, rappresentata in genere, dal corno diritto, al di là della dinamicità e dell'irruenza comunque tipica del segno, assume anche una sfumatura di riflessione, quando guardiamo la curvatura delle corna dell'Ariete, intendendola, cioè, come una forza che si ripiega su se stessa e che, in tal modo, si osserva e, quindi, riflette. Non abbiamo, perciò, soltanto un'istintiva brutalità come caratteristica principale del segno, ma anche riflessione e tenacia.
Ricordiamo che l'ariete, nell'epoca medioevale, era uno strumento militare, di aspetto tipicamente maschile, usato per abbattere i portali dei castelli; ora, se questa azione di sfondamento non riusciva al primo tentativo, se ne faceva un secondo con più uomini e, se necessario, un terzo e così via.
Anche questo concetto ci dà un'immagine dell'Ariete piuttosto ambigua; infatti, se da una parte possiamo rilevare una riflessione su quanto si è fatto una prima volta e che si decide di ripetere, dall'altra parte abbiamo la rappresentazione di un ostinato incaponirsi con le cose finché o l'ariete o la porta si deve, alla fine, rompere.
Nel simbolo grafico dell'Ariete possiamo scorgere, inoltre, una piantina o un germoglio con le sue foglioline; e questo ci richiama al periodo stagionale in cui l'Ariete si colloca che è quello dell'inizio della Primavera.
Altri due aspetti opposti ed ambivalenti sono rintracciabili, laddove si guardi il simbolo rovesciato, cioè , oppure nella sua rappresentazione usuale, vale a dire A
Nella rappresentazione abbiamo il simbolo di un fallo in erezione e quindi abbiamo che l'Ariete, segno di Fuoco, Cardinale, è un segno con impulso generatore maschile. Tracce di valenze femminili sono riscontrabili, altresì, quando si guarda il simbolo tradizionale dell'Ariete, rifacendosi a quanto intravisto da Elémire Zolla sulla base di un geroglifico egizio; ossia:
La parte superiore del simbolo dell'ariete rappresenterebbero le salpingi o tube ovariche; La parte inferiore un utero vuoto (che poi, nel successivo segno del Toro, situato al centro della Primavera; diventerà B un utero pieno).
Nella Mesopotamia, al segno dell'Ariete corrisponde un seminatore, con significato di fecondatore di vita.
Nella tradizione Indù, il segno zodiacale dell'Ariete è chiamato, in lingua sanscrita, Mesham, mentre il nome dell'animale ariete è Uranah. Ora, questa parola Uranah, considerata in senso filologico, contiene un radicale (UR) che ritroviamo in lingua latina nel verbo "urere", che significa bruciare; ed ecco, quindi, un valido accostamento al Fuoco, della cui sfera l'Ariete è il primo segno.
Nelle lingue più vicine a noi, abbiamo che Ariete si dice : - ARIES (in latino); - ARNEIOS (in greco) . La lettera R, in greco e, essendo liquida e vibrante, ha un certo significato di scorrimento, che ci richiama il continuo moto della fiamma.
Il maestro che governa il segno dell'Ariete è ARES, in cui ritroviamo la stessa lettera R, sopra esaminata.
Altro accostamento possibile è quello tra il termine Ares e gli antichi nobili indoeuropei Aria, dai quali discese la civiltà omonima; si è voluto, cioè, collegare certe caratteristiche tipicamente aggressive e guerriere del segno dell'Ariete, dominato da Ares, alla grande invasione di questi popoli che hanno praticamente dato origine alla civiltà Aria.
Tornando alla caratteristica elementale dell'Ariete, sappiamo che esso ha valore di Fuoco. A tal proposito notiamo : - IGNIS (Fuoco in latino); - AGNI (nella dottrina vedica è un piccolo ariete con fortissimi significati sacrificali; è il Dio del Fuoco).
Abbiamo, inoltre, che in latino agnello (o ariete) si dice "agnus"; ecco, dunque, un nuovo collegamento tra Fuoco ed Ariete.
Parlando di significati sacrificali nell'Agni vedico, possiamo anche parlare di purificazione; Fuoco, in greco, si dice pur, da cui si trae la radice per il termine purificazione. Attraverso il Fuoco, quindi ariete, quindi agnello, quindi sacrificio, abbiamo, dunque, una purificazione.
Anche nel Vecchio Testamento Biblico troviamo una espressione simbolica validissima dell'Ariete, come energia, iniziativa, sacrificio, purificazione, culminanti nell'istituzione della Pasqua ebraica, con tutti i significati e le sfumature.
Poiché sotto il segno dell'Ariete inizia nuovamente l'anno astrologico nel suo perenne ciclo e quindi, in senso lato, nasce di nuovo l'Universo, si può dire con Elémire Zolla che "tutto, con l'Ariete, ricomincia 'ab ovo' e, non a caso, per Pasqua che cade sotto il segno dell'Ariete, ci si scambiano le uova".
L'Ariete nell'ambito del Mito Greco. Si racconta che il giovane Frisso, figlio di Atamante, re di Beozia, sofferente per le persecuzioni che riceveva dalla matrigna Ino, invocò l'aiuto di sua madre Nefele, dea delle nubi. Toccata dalle suppliche del giovane sfortunato, la divina Nefele gli offrì un ariete il cui vello, anziché lana, era tutto oro e con questo, egli avrebbe potuto fuggire per sottrarsi alla minaccia.
Frisso, recando con sé Elle, la dolce sorella, salì in groppa all'ariete alato. I due si staccarono finalmente dalla terra e iniziarono lo straordinario viaggio sorvolando i mari e le terre. Ma un oscuro evento colse di sorpresa i due: nella faticosa impresa, Elle si addormentò e abbandonò la presa del vello precipitando nel mare che prese da lei il nome di Ellesponto. Niente poté fare Frisso per salvarla; proseguì nel suo solitario volo e raggiunse la Colchide, dove sacrificò a Zeus l'ariete in segno propiziatorio e ripose il vello d'oro in una grotta tempio. Vediamo, a questo punto, che alla vicenda di Frisso é strettamente legata quella di Giasone e degli Argonauti.
Narrano Pindaro e Apollonio Rodio, di Pelia, re di Iolco, figlio di Poseidone, il quale pattuisce con Giasone, eroe greco, un reciproco favore: Pelia avrebbe restituito a Giasone il trono usurpatogli dal fratello a condizione che Giasone avesse riportato in Patria il Vello d'Oro dell'Ariete alato di Frisso. Pelia era tormentato dall'ombra di Frisso rimasto per sempre laggiù nella Colchide, morto. Secondo l'oracolo di Delfi, la terra di Iolco, ove peraltro abitavano i parenti di Giasone, non sarebbe mai stata fertile se l'ombra di Frisso non fosse stata riportata in patria insieme al Vello. Giasone accettò il patto; scelse un equipaggio di audaci e armata la nave 'Argo', partì verso la Colchide. Questi uomini furono gli Argonauti. Dopo molte avventure e ostacoli in navigazione, " Argo giunse entro la foce del fiume Fast, dinanzi alla terra dov'era stato sepolto Frisso. Giasone tenne consiglio di guerra; e dall'alto Olimpo, protettive, Era e Atena infusero in Giasone suggerimenti inconsci per superare gli ostacoli. Costui, scortato dagli Argonauti, tra i quali c'erano i figli di Frisso, si presentò al re Eete nella città di Eea, dove abitava anche Medea, la figlia sacerdotessa e maga di Ecate. Fra i due uomini fu trattata la cessione del Vello d'Oro. Il re pose condizioni e prove di coraggio e abilità che Giasone ritenne quasi insormontabili. Ma Medea si era accesa d'improvviso violento amore per lo straniero e promise a Giasone di aiutarlo purché le giurasse reciprocità di amore conducendola poi con sé in Grecia. Giasone superò tutte le prove grazie all'aiuto magico di Medea. Contrariato da simile riuscita dell'eroe greco, il re spergiuro rifiutò di rispettare il patto sancito. Giasone meditò di conseguenza uno scontro cruento, ma ancora una volta Medea si pose al suo fianco prestandogli i suoi sortilegi. Ancora una volta Giasone accetta il suo aiuto e non si avvede che questo lo indebolisce ancor più nella personalità e lo lega alla donna avventurosa, anche se apparentemente tutto sembra un giustificato mezzo per raggiungere il fine. Medea guida gli Argonauti sino al recinto sacro di Ares ove era appeso il Vello d'Oro, custodito da un orribile drago dalle mille spire che lanciava fuoco. Medea riuscì a dominare il drago mediante incantesimo e Giasone si impadronì del Vello sfuggendo alla reazione dei sacerdoti di Ares. La nave 'Argo' ricondusse in Grecia gli eroi e il Vello fu restituito a Iolco”. Il mito drammatico ha una conclusione nella tragica rottura del rapporto fra Giasone e Medea. É noto come questa donna e madre passionale e tremenda si vendicò di Giasone: gli uccise prima la donna amata e poi i figlioletti.
A noi interessa vedere nella prima parte del mito degli Argonauti la prosecuzione e risoluzione della storia di Frisso. É accentuato qui il tema della conquista e dell'avventura temeraria, dove l'individuo osa quello che razionalmente appare inconcepibile. L'impresa degli Argonauti costituisce la rottura dell'ordine e del condizionamento. Il coraggio, il rischio, le virtù guerriere, emergono nelle qualità di Giasone e ciò esprime una tipica valenza dell'Ariete. Ma cosa ci suggerisce la psicologia di questo mitologema? Ci sembra che oltre l'ovvio apprezzamento del coraggio e lo spirito di iniziativa dimostrato da Giasone, sia da vedere un dato significativo e specifico per comprendere la tipologia dell'Ariete, nel comportamento di Medea verso Giasone e viceversa. L'eroe, come già in Frisso, si scinde dalla sua anima. É inflazionato l'istintuale a danno dell'Io e della coscienza. Giasone riesce nelle sue imprese non per conscia capacità, bensì con l'aiuto magico di una donna. Qui, dunque, il femminile si identifica con l'Ombra: la sete di potere e di affermazione del maschile, si identifica con un ratto amazzonico dell'anima. Medea proietta il suo Animus in Giasone e costui ne è dominato, perciò diciamo che Medea costella la cecità dell'Anima dell'amato eroe. Avviene una reciproca strumentalizzazione non calcolata. Giasone, come archetipo zodiacale dell'Ariete, esprime il virile dell'Io spinto agii investimenti affermativi fini a se stessi. Medea esprime, come si è veduto, una doppia identificazione proiettiva per affermare l'aspetto amazzonico. Infine (quando Giasone e Medea sono in patria) scoppia la "crisi" chiarificatrice dell'ambiguo tema: l'anima si ribella (la vendetta di Medea) all'Io che si irrigidisce (il tradimento di Giasone). La "unio" si sfalda in un cerchio di "sacrificio, olocausto e morte". E non é proprio qui l'aspetto tormentato e passionale dello Ariete? Consideriamo anche un accenno su questa mancata integrazione psicologica dei poli Giasone-Medea e Frisso-Elle. Questa dissoluzione, questa combustione (emblematica del segno), evidenzia una finalità : l'espansione, il movimento. É l'esperienza del 'vivere la spontaneità dell'evento'. Crediamo che la psicologia archetipica del mitologema Frisso-Giasone sia tutta riferibile alla spontaneità dell'istintuale, anche a livello comportamentale. Frisso e Giasone pagano, dopo tutto, per la propria auto conservazione in questo loro abbandonarsi a ciò che offre il caso. Ma la vittoria sulle avversità sembra sempre ottenuta con una perdita di libertà e allora nasce la paura. Nel movimento, nella combustione delle energie vitali, c'é nascosta la coazione dettata dall'istinto. Infatti Giasone ammetterà con Medea di averle giurato amore perché trovatosi in condizione eccezionale e coercitiva. C'é grande emozione liberata, c'é la soddisfazione dei bisogni, ma c'é anche il sacrificio.
Marte il Pianeta Maestro del segno dell' Ariete.
Nel simbolo grafico di Marte unotiamo : - un cerchio, con significato piuttosto ambiguo; - una freccia con la punta rivolta verso l'alto.
Il cerchio é raffigurato senza punto centrale, per cui si possono dare le seguenti interpretazioni : - Cerchio senza punto = caos, non ordine; simboleggiante la luna piena con valenze prettamente femminili; - Cerchio con il punto = cosmos, ordine; simboleggiante il sole con valenze maschili.
Il cerchio può essere l'espressione grafica ampliata di un punto. Quando si fa un punto, che non sia solo di una situazione, in genere si fa nello spazio e quindi si dà un ordine a molteplici cose che dovranno essere disposte in un certo modo intorno a quel punto, che può essere arbitrario e preso per comodità come riferimento.
Ora, poiché nel simbolo di Marte non esiste questo punto centrale, possiamo vedere il cerchio, non certo in senso assoluto, ma in linea di principio, come un caos primordiale che ci richiama al periodo della creazione, cioè della primavera, quindi alle forze 'urgenti' e brucianti che spingono alla fecondazione. Questa energia é rappresentata dalla freccia che emerge dal cerchio come fosse una vampata.
Altro accostamento molto chiaro del simbolo di Marte è quello riferito ad un fallo in erezione, per cui anche nel maestro dell'Ariete abbiamo valenze decisamente maschili.
Dal punto di vista delle corrispondenze con il mondo minerale, il simbolo di Marte é anche quello del ferro; infatti Marte é il ferro rosso, rugginoso. Questo colore rosso é da attribuire anche al segno dell'Ariete.
Marte nell'ambito del mito greco. Ricordiamo che per i greci, Marte era il grande Ares, ma sicuramente il nome é di provenienza più lontana, asiatica oppure caldea o egiziana. La Senard ricava il nome di Marte-Ares dall'etimo 'Are', che in greco significa violenza e collera. 'Ara' esprime l'idea di distruzione e vendetta. La radice sanscrita MAR forma il nome di una divinità vedica, il dio 'Marut', che dominava gli uragani e il sacro fuoco.
In origine, Ares era un dio fanciullo, un 'puer divinus', danzatore perfetto, un virile amante di femmine divine e soltanto più tardi fu educato alle virtù guerriere. In tutti i miti e nei poemi omerici troviamo in Marte una natura aggressiva, audace e impulsiva, dove l'istinto precede ogni riflessione.
Parliamo ora di Ares come simbolo dell'erotismo: Ares-Marte quale espressione dell'impulsività sessuale e della vitalità tracotante, dionisiaca e aggressivamente provocatoria. Il mito, cantato anche da Omero, mette in luce il tipo di erotismo sessuale marziano. Si 'racconta dell'Amore di Ares per la bella Afrodite, di Eros che l'accompagna e del bel Desiderio che la segue, come scrive Esiodo nella sua Teogonia. Ares, dunque, invaghitosi di Afrodite sposa del dio artista zoppo Efesto (Vulcano nella mitologia latina : di professione fabbro intento alla sua opera di forgiatore di metalli in caverne sotterranee), tenta di sedurla e ci riesce. Lei, approfittando dell'assenza di Efesto, introduce il divino Ares nella sua casa, amandolo proprio nel talamo nuziale. Ma il Sole li aveva osservati e prontamente corse a riferire la cosa a Efesto, il quale fu preso da immediata rabbia e gran gelosia. Meditò vendetta e ritiratosi nella sua fucina fissò sul banco la grande incudine e si mise a battere e forgiare catene tanto indissolubili e infrangibili quanto sottili perché i due amanti, ignari, vi cadessero avviluppati senza potersi più muovere.
Così Efesto preparò la trappola di catene invisibili come ragnatele, tutto intorno al letto nuziale; altre catene fece pendere dalle travi e il congegno risultò perfetto. Efesto finse di partire per l'amata isola di Lemno e Ares, proprio come un cieco, non vide affatto Efesto all'opera (ed ecco qui il tratto psicologico che indica in Marte una forza cieca, istintiva, che non riconosce ostacoli) né il trucco intelligente approntato. Come vide allontanarsi Efesto, Ares accorse alla casa, bramoso dell'amore di Citerea dal bel diadema, come la chiama Omero. Afrodite accolse l'amante nel talamo: vi si erano appena distesi abbracciandosi che le ingegnose trappole di Efesto scattarono avvolgendo prigionieri gli amanti.
Il Sole, che aveva tutto veduto, suggerì a Efesto di tornare a casa per vedere l'esito del suo lavoro. Efesto tremante di rabbia si fermò sulla soglia della camera dove sgomenti e impotenti giacevano i due e irritato contro la sorte chiamò a testimoni tutti gli déi. Invocò Poseidone, Hermes, Apollo. Gli déi risero compiaciuti dell'ingegno di Efesto ma soltanto Poseidone (Dioniso) riuscì a chiedere la liberazione di Ares con le proprie garanzie che il dio audace avrebbe pagato per l'adulterio. Così Efesto rese la libertà ad Ares e Afrodite, la quale volò a Pafo accolta dalle Cariti mentre Ares balzò verso la lontana Tracia, donde, si dice, ebbe origine il suo nome.
In questo mito vediamo chiaramente una energia di Marre che si applica seguendo soltanto la spinta dell'istinto, ma questa energia aggressiva può essere superata e imbrigliata dall'energia uranica di Efesto. Marte - Ares quale astro dell'Ariete ristretto alla manifestazione irrazionale, é qui dominato dall'Urano-Acquario di Efesto che vince il rivale non già con l'aggressività bensì con l'ingegno e l'aiuto di tutte le potenze divine.
Ares era tuttavia ritenuto da Zeus anche un dio odioso perché si dilettava troppo di contese, conflitti e rivalità. Ares non andava troppo per il sottile in fatto di .... morale, tanto che non era fedele neppure alle promesse fatte alla madre :"Egli non conosceva alcuna themis, e quando gli piaceva aiutava il nemico. La sua figura gigantesca, quando egli cadde colpito da una pietra lanciatagli da Athena e rimase steso, privo sotto ogni riguardo di qualsiasi dignità, misurava settecento piedi. Quando il bronzeo Ares veniva ferito, urlava come nove o diecimila uomini insieme", così lo descrive Kerényi. (Questo urlo disumano ci fa pensare al tuono primaverile presago di pioggia ricca di valenze maschili, spermatiche e, per questo, fecondatrici.) Un nome di Ares era stato 'Ara', che significa 'maledizione'.
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