MILINDAPAÑHA LE DOMANDE DEL RE MILINDA LIBRO I L'antica narrazione paragrafi 22/23/24 22. Ora la moglie del brahmano, dopo dieci mesi, diede alla luce suo figlio e fu chiamato Nagasena. Raggiunta l’età di sette anni, suo padre gli disse: “Vuoi studiare l’insegnamento tradizionale dei brahmani, caro Nagasena?” “Come è chiamato, padre?” – egli disse. “I tre Veda sono l’insegnamento (Sikkha), altre conoscenze sono solo delle arti, mio caro.” “Sì, mi piacerebbe impararli, padre.” – disse il ragazzo. Allora Sonuttara il brahmano diede ad un maestro brahmano mille monete come compenso per l’insegnamento, e mise a disposizione per lui un divano in una camera interna, poi gli disse: “Brahmano, fai imparare a memoria gli inni sacri a questo ragazzo.” Così il maestro fece ripetere al ragazzo gli inni, esortandolo ad impararli a memoria. Il giovane Nagasena, dopo una solo ripetizione degli inni, aveva imparato i tre Veda a memoria, sapendoli intonare correttamente, e ne aveva compreso il significato, poteva stabilire il posto esatto di ogni verso, ed aveva capito i misteri che essi contenevano. Tutto in una volta era sorta in lui la visione profonda dei tre Veda, con una conoscenza della loro lessicografia, della loro prosodia, della loro grammatica, e delle varie leggende legate ai loro caratteri. Divenne un filologo ed un grammatico, ed un esperto della casistica e della conoscenza dei segni corporei che prefigurano la grandezza di un uomo. 23. Allora il giovane Nagasena disse a suo padre: “C’è qualcos’altro da imparare dell’insegnamento dei brahmani, o questo è tutto?” “Non c’è nient’altro, mio caro Nagasena. Questo è tutto.”- fu la risposta. Quindi il giovane Nagasena ripeté per l’ultima volta la sua lezione al maestro, poi uscì di casa, ubbidendo ad un impulso nato nel suo cuore come frutto del kamma precedente, cercò un luogo solitario, dove si abbandonò alla meditazione. Rivide tutto ciò che aveva imparato dall’inizio alla fine, e alla fine, non trovò in esso alcun valore. E, con l’anima affranta, esclamò: “Vuoti sono in fondo questi Veda, come una pula. In loro non esiste alcuna realtà, né virtù, né verità assoluta!” In quel momento il venerabile Rohana, seduto nel suo eremo a Vattaniya, sentì nella sua mente ciò che stava accadendo nel cuore di Nagasena. Così si vestì, prese mantello e scodella, e scomparve da Vattaniya per poi apparire nei pressi del villaggio brahmano di Kagangala. Il giovane Nagasena, stando vicino all’ingresso, lo vide che si avvicinava. Nel vederlo fu felice e contento, ed una dolce speranza sorse nel suo cuore, quella di poter conoscere la verità assoluta. Si recò da lui e disse: “Chi siete, signore? E perché indossate questa veste gialla ed avete la testa rasata?” “Mi chiamano asceta, ragazzo mio.” (Pabbagita: letteralmente, ‘colui che ha abbandonato’ la vita mondana) “Perché ti chiamano ‘colui che ha abbandonato’?” “Perché un asceta è colui che si è ritirato dal mondo per essere completamente puro. Per questa ragione mi chiamano asceta, ragazzo mio.” “Perché non porti i capelli come gli altri?” “Un asceta si rade capelli e barba per riconoscere i sedici ostacoli appartenenti ad una vita più alta. E quali sono questi sedici ostacoli? L’ostacolo di ornarli, ed adornarli, di mettere gli oli, di usare shampoo, l’inghirlandarli, di usare profumi ed unguenti, semi di mirobolano, tinture e nastri, pettini, di chiamare il barbiere, di sciogliere i ricci, e la possibilità di insetti parassiti. Quando i loro capelli cadono si addolorano e si tormentano; a volte si lamentano, e piangono, si picchiano il petto, o cadono precipitosamente in deliquio – intrappolati da questi ed altri ostacoli gli uomini possono dimenticare quelle parti della saggezza e dell’insegnamento che sono sottili e delicate.” “Perché, signore, non indossate abiti come gli altri?” “Bei vestiti, ragazzo mio, come usano indossare le persone mondane, sono inseparabili dalle cinque brame. Invece non è esposto a nessun pericolo chi indossa la veste gialla. É per tale ragione che il mio vestito non è come quello degli altri.” “Voi sapete, Signore, la reale conoscenza?” “Sì, io so la reale conoscenza, e qual sia il migliore inno (mantra) del mondo, anche questo io so.” “Me lo potreste insegnare, Signore?” “Certo.” “Allora insegnatemelo.” “Ora non è il momento; dobbiamo andare al villaggio per la questua.” 24. Allora il giovane Nagasena prese la scodella delle elemosine, che portava il venerabile Rohana, e lo fece entrare in casa, e con le sue mani gli offrì del cibo, grezzo e raffinato, tanto quanto ne voleva. Quando si accorse che aveva finito il suo pasto, avendo tolto la mano dalla scodella, gli disse: “Ora, Signore, mi insegni quell’inno?” “Quando ti sarai liberato dagli ostacoli, ragazzo mio, ed indossato, con il consenso dei tuoi genitori, la veste che io indosso, allora potrò insegnartelo.” |