MILINDAPAÑHA
LE DOMANDE DEL RE MILINDA
LIBRO IV - Capitolo VIII

Mld:IV.8.29/32 - Offerte ai defunti

 

(Dilemma 74)

29. “Venerabile Nagasena, questi donatori quando fanno le loro offerte, le dedicano ai loro parenti defunti augurandosi: “Possa questo dono dare benefici a questo ed a questo.” Ora i defunti ne hanno beneficio?”

“A volte sì, o re, ed a volte no.”

“Chi ne ha beneficio e chi no?”

“Coloro che sono rinati nei purgatori, o re, non ne hanno beneficio; né quelli rinati nei paradisi; né quelli rinati come animali. Di quelli rinati come Preta tre tipi non ne hanno beneficio: i Vantasika (che si nutrono di vomito), i Khuppipasino (che sono affamati ed assetati), i Nigghama-tanhika (che sono consumati dalla sete). Ma i Paradattupagivino (che vivono dei doni altrui) ne hanno beneficio, ed anche coloro che li ricordano.”

“Allora, Nagasena, le offerte fatte dai donatori vanno perdute e non recano frutti, poiché chi le fa non ne trae profitto.”

“No, o re. Non vanno né perdute né sono senza frutto. Gli stessi donatori ne traggono profitto.

“Allora convincetemi con una similitudine.”

“Immaginate, o re, che delle persone dovessero preparare del pesce fresco, della carne, delle forti bevande, del riso e rendessero visita ad una famiglia loro parente. Se i loro parenti non dovessero accettare il loro lusinghiero dono quel dono andrebbe perso e sarebbe senza frutto?”

“No, venerabile, ritornerebbe ai legittimi proprietari.”

“Bene, allo stesso modo gli stessi donatori ne traggono profitto. Oppure, o re, come se un uomo entrasse in una stanza interna senza uscita, come farebbe ad uscire?”

“Da dove è entrato.”

“Bene, allo stesso modo gli stessi donatori ne traggono profitto.”

 

30. “Lasciate stare, Nagasena. Così è ed io accetto le vostre parole. Non discuteremo il vostro argomento. Ma, venerabile Nagasena, se le offerte fatte da tali donatori recano vantaggio ad alcuni defunti, ed essi raccolgono il frutto dei doni, allora se un uomo uccide delle creature viventi, ne beve il sangue ed è di animo crudele, dopo aver commesso un assassinio o un qualsiasi atto atroce, lo dedicasse ai defunti, dicendo: “Possa il frutto di questa mia azione giungere ai defunti” – sarebbe a loro trasferito?”

“No, o re.”

“Ma qual è la ragione, qual è la causa, che una buona azione può giungere a loro e non una cattiva?”

“Non dovreste pormi tale domanda, o re. Non fatemi domande sciocche, o re, sperando in una risposta. Poi mi chiederete perché lo spazio è infinito, perché il Gange non scorre controcorrente, perché gli uomini e gli uccelli sono bipedi e gli animali quadrupedi.”

“Non vi ho fatto tale domanda per annoiarvi, Nagasena, ma solo per risolvere un dubbio. Ci sono molte persone nel mondo che sono mancine o strabiche [nel senso di maligne]. Vi ho posto tale domanda, pensando: “Perché anche gli sfortunati non dovrebbero avere una possibilità di migliorarsi?”

“Un’azione cattiva, o re, non può essere divisa con chi non l’ha commessa e non l’ha voluta. Le persone trasportano l’acqua da lunghe distanze tramite un acquedotto. Ma allo stesso modo potrebbero rimuovere una grande montagna di solida roccia?”

“Certo che no, venerabile.”

“Bene, allo stesso modo una buona azione si può dividere, ma non una cattiva. Si potrebbe accendere una lampada con l’olio, o re, ed allo stesso modo con dell’acqua?”

“Certo che no, venerabile.”

“Bene, allo stesso modo una buona azione si può dividere, ma non una cattiva. Gli agricoltori prendono l’acqua da un serbatoio per portarla ai loro campi, ma per lo stesso scopo, o re, potrebbero prendere l’acqua dal mare?”
“Certo che no, venerabile.”

“Perciò, ripeto, una buona azione si può dividere, ma non una cattiva.

 

31. “Ma, venerabile Nagasena, perché è così? Convincetemi con una buona ragione. Non sono cieco né disattento. Capirò quando avrò ascoltato.”

“Il vizio, o re, è una cosa meschina, la virtù è grande ed immensa. Per la sua meschinità il vizio ostenta solo chi lo fa, ma la virtù con la sua magnificenza si diffonde all’intero mondo dei deva e degli uomini.”

“Dimostratemelo con una metafora.”

“Se una piccola goccia d’acqua dovesse cadere a terra, o re, scorrerebbe per dieci o per dodici leghe?”

“Certo che no. Avrebbe solo effetto sul quel pezzo di terra dove è caduta.”

“E perché?”

“Per la sua piccolezza.”

“Allo stesso modo, o re, è piccolo il vizio. Ed a causa della sua piccolezza agisce solo su chi lo fa, e non può dividersi. Invece se una possente nuvola di pioggia dovesse versare acqua su tutta la superficie della terra, quell’acqua scorrerebbe tutt’intorno?”

“Certamente, venerabile. Quel temporale riempirebbe i bacini del terreno, le pozzanghere, le paludi, le gole, i crepacci, le voragini, i laghi, le cisterne, i pozzi, gli stagni di loto e l’acqua si diffonderebbe per dieci o per dodici leghe.”

“E perché, o re?”

“Per la grandezza della tempesta.”

“Allo stesso modo, o re, è grande la virtù. E per la sua abbondanza può essere divisa fra deva ed uomini.”

“Venerabile Nagasena, perché il vizio è così limitato e la virtù così vasta?”

“Chi, o re, in questo mondo offre dei doni e vive in rettitudine, osserva l’Uposatha, lieto, contento, gioioso, allegro, felice, colmo di un dolce senso di fiducia e felicità nella sua mente, la sua bontà cresce e più cresce più si sviluppa. Come un profondo ruscello d’acqua chiara, o re, in cui da una parte la sorgente scorre e dall’altra l’acqua si riversa e più scorre più abbonda, così, o re, la sua bontà cresce e più cresce più si sviluppa. Se anche fra un centinaio d’anni, o re, un uomo continuasse a trasmettere agli altri il merito del bene che ha fatto, più ne dà più la sua bontà cresce, e sarebbe ancora capace di dividerla con chiunque. Questa, o re, è la ragione per cui la virtù è la più grande delle due.

 

32. Nel compiere il male, o re, un uomo diventa colmo di rimorso, e la mente di colui che prova rimorso non riesce a liberarsi del pensiero del male che ha fatto, e ci ripensa continuamente, senza pace; miserabile, ardente, senza speranza, si consuma, senza avere sollievo dalla depressione, è, per così dire, posseduto dal suo male! Proprio come, o re, una goccia d’acqua, nel cadere sul letto di un fiume asciutto con le sue grandi rive sabbiose che salgono e scendono in ondulazioni lungo il suo corso tortuoso e variabile, non guadagna volume, ma si assorbe subito dove è caduta, allo stesso modo, o re, è un uomo, quando ha fatto del male è vinto dal rimorso e non riesce a liberarsi del pensiero del male che ha fatto, e ci ripensa continuamente, senza pace; miserabile, ardente, senza speranza, si consuma, senza avere sollievo dalla depressione, è, per così dire, posseduto dal suo male! Questa è la ragione, o re, per cui il vizio è così meschino.”
“Molto bene, Nagasena! Così è ed io accetto le vostre parole.”

 

Qui finisce il dilemma sulla virtù e sul vizio