MILINDAPAÑHA
LE DOMANDE DEL RE MILINDA
LIBRO IV - Capitolo I

Mld:IV.1.28 / 34 - Devadatta

 

28. “Venerabile Nagasena, chi ammise Devadatta all’Ordine?”
“Sette giovani nobili, o re, Bhaddiya, Anuruddha, Ananda, Bhagu, Kimbala, Devadatta ed Upali il barbiere, quando il Maestro raggiunse l’Illuminazione, lasciarono la casa dei Sakya per l’ascetismo e seguirono il Beato dopo aver rinunciato al mondo. Così il Beato li ammise nell’Ordine.”
“Ma fu Devadatta che, dopo esser entrato nell’Ordine, sollevò uno scisma?”
“Sì. Nessun seguace laico può causare uno scisma, né una monaca, né uno che segue l’insegnamento preparatorio, né un novizio di entrambi i sessi. Deve essere un monaco, non disabile, nel pieno della comunione e residente nell’Ordine.”
“E quale kamma ottiene una persona che ha causato uno scisma?”
“Un kamma che agisce per un intero kalpa (lungo periodo di tempo, un evo cosmico).”
“Allora, Nagasena, il Buddha era consapevole che Devadatta, dopo esser stato ammesso nell’Ordine, avrebbe sollevato uno scisma, e per quest’azione avrebbe sofferto negli inferi per un intero kalpa?”
“Sì, il Tathagata lo sapeva.”
“Ma, Nagasena, se è così, allora l’affermazione che il Buddha era amorevole e compassionevole, che desiderava il bene degli altri, che rimuoveva il male e provvedeva al bene di tutti gli esseri, deve considerarsi errata. Se così non fosse – se il Buddha non sapeva che Devadatta, dopo esser stato ammesso nell’Ordine, avrebbe sollevato uno scisma – allora non può essere stato onnisciente. Questo duplice dilemma vi pongo. Sbrogliate questa matassa, in modo da distruggere gli argomenti posti dagli avversari. In tempi futuri sarà difficile trovare un monaco saggio come voi. Perciò dimostratemi la vostra abilità.

 

29. “Il Beato, o re, era colmo di compassione e di conoscenza. Quando il Beato nella sua compassione e saggezza valutò la storia esistenziale di Devadatta percepì che, dopo aver accumulato kamma su kamma, egli sarebbe passato in una serie infinita di kalpa di sofferenza in sofferenza, di perdizione in perdizione. Ed il Beato sapeva anche che l’infinito kamma di quell’uomo sarebbe finito, in quanto era entrato nell’Ordine, e la sofferenza causata da quel kamma precedente sarebbe anch’essa terminata. Invece se quella stolta persona non fosse entrata nell’Ordine avrebbe continuato ad accumulare kamma che sarebbe durato per un intero kalpa. Per questo motivo e per compassione lo ammise nell’Ordine.”

“Allora, Nagasena, il Buddha prima ferisce un uomo e poi getta olio sulla ferita, prima butta un uomo in un precipizio e poi lo soccorre, prima lo uccide e poi cerca di farlo vivere, prima lo fa soffrire e poi cerca di alleviare il dolore.”

“Il Tathagata, o re, ferisce le persone per il loro bene, li fa precipitare per il loro beneficio, le uccide per loro vantaggio, proprio come una madre ed un padre, o re, fanno del male ai loro figli, anche picchiandoli, solo per il loro bene. Ogni metodo è utile se migliora la virtù degli esseri e se conduce sul sentiero del bene. Se Devadatta, o re, non fosse entrato nell’Ordine, allora come laico avrebbe accumulato molto kamma che lo avrebbe condotto a stati di sofferenza, e così passando per centinaia di migliaia di kalpa da tormento a sofferenza, da uno stato di perdizione ad un altro, egli avrebbe sofferto costante dolore. Nel conoscere questo, che pieno di compassione, il Beato ammise Devadatta nell’Ordine. In base al pensiero che nel rinunciare al mondo secondo la sua dottrina la sofferenza di Devadatta sarebbe terminata, egli adoperò quei mezzi per alleviare la sua pesante sofferenza.”

 

30. “Come un uomo influente, o re, tramite il potere della sua ricchezza, o della sua reputazione, o della sua prosperità, o della sua nascita, e con l’abilità sorta dalla fiducia in lui riposta riesce ad alleggerire una pesante condanna inflitta dal re a qualche suo parente o amico; così il Beato, nell’ammettere Devadatta nell’Ordine, e per l’efficacia dell’influenza della rettitudine, della meditazione, della saggezza e dell’emancipazione della sua mente, rese più leggera la pesante sofferenza di Devadatta, che avrebbe dovuto soffrire molte centinaia di migliaia di kalpa. Come un bravo medico e chirurgo, o re, allevia una grave malattia con l’aiuto delle potenti medicine, così il Beato, nella sua conoscenza dei giusti mezzi per giungere ad uno scopo, ammise Devadatta nell’Ordine e quindi alleggerì la sua grave pena con l’aiuto della medicina del Dhamma, forte per il potere della compassione. Fu dunque, o re, il Beato colpevole di qualche sbaglio nel trasformare Devadatta da un uomo colmo di sofferenza in un uomo con minore sofferenza?”

“No davvero, venerabile. Egli non commise nessun sbaglio, neppure minimo.”
“Allora, grande re, accettate pienamente questa ragione con cui il Beato ammise Devadatta nell’Ordine.”

 

31. “Ascoltate un’altra ragione, o re, per cui il Beato ammise Devadatta nell’Ordine. Immaginate che degli uomini avessero preso e portato dinanzi al re un malvagio ladro, dicendo: “Costui è un malvagio ladro, maestà. Punitelo come ritenete opportuno!” E quindi il re dicesse loro: “Portate, o miei uomini, questo ladro fuori dalle mura, e nel luogo delle esecuzioni tagliategli la testa.” Ed essi, ubbidendo ai suoi ordini, portassero quell’uomo nel luogo delle esecuzioni. Ed un uomo molto vicino al re, di grande reputazione, ricchezza e proprietà, la cui parola fosse di grande influenza, lo vedesse. E mosso da compassione dicesse a quegli uomini: “Fermatevi, amici. Che beneficio sarà per voi se gli tagliate la testa? Salvatelo e tagliategli solo una mano o un piede. Io parlerò in suo favore al re.” Ed essi alla parola di quell’influente persona così agissero. Ora l’ufficiale che ha così agito verso di lui sarebbe un benefattore di quel ladro?”

“Egli avrebbe salvato la sua vita, venerabile. Ed avendo così agito, cosa non avrebbe fatto?”
“Ma non avrebbe nessun male riguardo al dolore che l’uomo soffrì quando gli fu tagliato il piede o la mano?”
“Il dolore che il ladro soffrì, venerabile, era colpa sua. Ma l’uomo che gli salvò la vita non gli ha recato nessun danno.”
“Proprio così, grande re, fu per la sua compassione che il Beato ammise Devadatta, con la conoscenza che quella sua sofferenza sarebbe stata mitigata.”

 

32. “E la sofferenza di Devadatta, o re, fu mitigata. Perciò Devadatta in punto di morte prese rifugio nel Buddha per il resto delle sue esistenze quando disse:

“In lui, che è il migliore fra i migliori,
il migliore fra i deva, la guida di deva ed uomini,
onniveggente e reca i cento segni
della bontà – in lui prendo rifugio
per tutte le vite che dovrò vivere.”

Se dividete questo kalpa, o re, in sei parti, fu alla fine della prima parte che Devadatta creò lo scisma nell’Ordine. Dopo che avrà sofferto le altre cinque negli inferi egli sarà liberato e diverrà un Pakkeka-Buddha con il nome di Atthissara.”

“Grande è il dono fatto dal Beato a Devadatta, Nagasena. Malgrado ciò che ha fatto al Tathagata egli diverrà un Pakkeka-Buddha.”
“Ma siccome Devadatta, o re, dopo aver creato uno scisma nell’Ordine, soffre pena negli inferi, il Beato ha fatto a lui del male?”
“No, venerabile. É colpa di Devadatta, e il Beato che alleviò la sua sofferenza non gli ha recato alcun danno.”
“Allora accettate pienamente, grande re, questa ragione con cui il Beato ammise Devadatta nell’Ordine.”

 

33. “Ascoltate un’altra ragione, o re, per comprendere l’azione del Beato. Immaginate che nel curare una ferita piena di pus e di sangue, con ancora dentro l’arma che l’ha causata, con un forte fetore di carne putrida, resa peggiore dal dolore che cambia costantemente in base ai sintomi, alle variazioni di temperatura e dall’unione dei tre umori – ventoso, bilioso e flemmatico – un esperto medico e chirurgo la ungesse con un rude, pungente, amaro, forte unguento per alleviare l’infiammazione. E quando l’infiammazione fosse ridotta e la ferita alleviata, immaginate che la dovesse tagliare con un bisturi e bruciarla con un caustico. E quando l’avesse cauterizzata, immaginate che dovesse prescrivere un lavaggio alcalino e l’ungesse con qualche droga per risanare la ferita e per far riacquistare le forze all’uomo ferito – ora ditemi, o re, sarebbe per crudeltà che il chirurgo avrebbe spalmato l’unguento, tagliato col bisturi, cauterizzato con il bastoncino caustico e somministrato un lavaggio salato?”

“Certo che no, venerabile. Per benevolenza e per l’intento di salvare la salute di quell’uomo che egli avrebbe fatto tutte quelle cose.”
“Sarebbe il chirurgo colpevole di qualche sbaglio per le sensazioni dolorose prodotte dai suoi sforzi per curare la ferita?”
“E perché sarebbe colpevole se ha agito con benevolo intento e per guarire quell’uomo? Anzi gli spetterebbe una celeste beatitudine.”
“Analogamente, grande re, fu per compassione che il Beato ammise Devadatta nell’Ordine per liberarlo dalla sofferenza.”

 

34. “Ascoltate un’altra ragione, o re, per comprendere l’azione del Beato. Immaginate che un uomo fosse stato ferito da una spina. Ed un altro uomo con benevolo intento e per il suo bene tagliasse intorno alla ferita con una punta affilata o con un bisturi, facendo uscire molto sangue per estrarre la spina. Ora costui avrebbe agito con crudeltà?”

“Certo che no, venerabile. Egli ha agito con benevolo intento e per il bene di quell’uomo. E se non avesse agito in tal modo l’uomo sarebbe morto o avrebbe sofferto un dolore mortale.”
“Analogamente, grande re, fu per compassione che il Tathagata ammise Devadatta per liberarlo dal suo dolore. Se non avesse fatto così Devadatta avrebbe sofferto le pene degli inferi per molte esistenze, per centinaia di migliaia di kalpa.”

“Sì, Nagasena, il Tathagata salvò Devadatta, trascinato dal flusso, sbattuto dalla corrente; egli gli indicò di nuovo il sentiero perso nella giungla; egli gli diede un valido sostegno quando stava cadendo nel precipizio; egli restituì la pace a Devadatta oppresso dalla desolazione. Ma il significato e la ragione di queste cose nessuno è capace di spiegarle, Nagasena, se non ha la vostra saggezza.”

 

[Qui finisce il dilemma su Devadatta.]

 

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