di H. P. Blavatsky

Traduzione di Marpa

 

Capitolo IV°

 

Fino al IV secolo, le Chiese non avevano altari. Fino ad allora, l’altare era una tavola eretta al centro del Tempio per l’uso della Comunione, o pasto fraterno (la Caena, in quanto Messa, che originariamente era detta di sera). Nello stesso modo, la tavola è eretta oggi nelle ”Logge” per i banchetti massonici che di solito chiudono i lavori della Loggia; e durante i quali gli Hiram Abiff resuscitati, I “Figli della Vedova”, onorano i loro brindisi col fuoco - metodo di transustanziazione massonica. Chiameremo altari anche le loro tavole per i banchetti? E perché no? Gli altari furono copiati dall’ara maxima della Roma pagana. I latini mettevano delle pietre quadrate ed oblunghe vicino alle loro tombe, e le chiamavano ara, altare; erano consacrate agli Dei Lari ed ai Mani. I nostri altari provengono da queste pietre quadrate, un’altra forma delle pietre che limitavano i confini e conosciute come “Dei Termini” - gli Hermes ed i Mercuri, da dove Mercurius quadratus, quadriceps, quadrifronts, ecc., gli dei a quattro facce i cui simboli, fin dalla più remota antichità, erano queste pietre quadrate. La pietra su cui s’incoronavano gli antichi re dell’Irlanda, era un “altare” siffatto. Una pietra del genere è nell’abbazia di Westminster, dotata, per di più, di voce. Quindi, i nostri altari e i nostri troni discendono direttamente dalle pietre Priapiche che segnavano e delimitavano i confini dei romani - cioè, gli Dei Termini. Ma i lettori fedeli alla guida della Chiesa, non s’indigneranno nell’apprendere che i cristiani adottarono il modo pagano di adorare in un Tempio solo durante il regno di Diocleziano? Fino a quel periodo essi ebbero un orrore insormontabile per gli altari e per i Templi, e li aborrirono fino ai primi 250 anni della nostra era. Questi primi cristiani erano davvero cristiani; i cristiani moderni, sono più pagani degli antichi idolatri. I primi, erano quello che ai giorni nostri sono i Teosofi. A partire dal IV° secolo, essi divennero i Gentili elleno-giudaici, senza la filosofia dei neoplatonici. Leggete ciò che Minucio Felice diceva nel III° secolo ai romani:

Voi immaginate che noi (i cristiani) nascondiamo ciò che adoriamo perché non abbiamo né Templi né altari? Ma quale immagine di Dio potremmo noi erigere, dato che l’Uomo stesso è l’immagine di Dio? Quale Tempio potremmo erigere alla Divinità, quando l’Universo, che è opera sua, può appena contenerlo? Come metteremmo su di un trono, in un solo edificio, il potere di una siffatta Onnipotenza? Non è meglio consacrare alla Divinità un Tempio nel nostro cuore e nel nostro spirito? (18) Ma allora i Chrêstiani del genere di Minucius Felix avevano in mente il comandamento del MAESTRO INIZIATO: Non pregate nelle sinagoghe e nei templi come fanno gli ipocriti, “per essere visti dagli uomini” (Matteo,VI;5). Essi ricordavano la dichiarazione di Paolo, l’Apostolo-Iniziato, il “Maestro Costruttore”, (I Corinzi, III,10), che l’UOMO era l’unico tempio di Dio in cui lo Spirito Santo, lo spirito di Dio, dimorava (ibidem,III, 16). Essi ubbidivano ai veri precetti cristiani, mentre i cristiani moderni obbediscono solo ai canoni arbitrari delle loro rispettive Chiese, e alle regole dei loro antenati. “I teosofi sono notoriamente atei”, proclama uno scrittore della Church Chronicle. “Non se ne conosce uno che assista al servizio divino... la Chiesa è per essi odiosa”; e dando subito libero sfogo alla sua collera, riversa le sue accusa sugli infedeli pagani della S. T. L’uomo di chiesa moderno prende a sassate i teosofi come i suoi antenati, i Farisei “della Sinagoga dei Libertini”(Atti, VI-9) lapidarono Stefano, per aver egli detto ciò che dicono anche molti teosofi cristiani, cioè, che “l’Altissimo non risiede in un tempio costruito con le mani” (ibidem,VII, 48); e, proprio come fecero quei giudici iniqui (ibidem, VI, 11), “corrompono gli uomini” per farli testimoniare contro di noi. Senza dubbio, amici, voi siete davvero i diretti discendenti dei vostri predecessori, sia dei colleghi di Saul che del Papa Leone X, il cinico autore della mai troppo famosa sentenza: “Quanto ci è utile questa favola del Cristo” - “Quantum nobis prodest hac fabula Christi!”.

 

 

 

 

18. (Octavius, XXXII, 1-2. Queste parole furono indirizzate da Octavius Jannuarius a Q. Caecilius Natalis. - Nota del Compilatore Boris de Zirkoff).

 

 

 

Introduzione Capitolo I Capitolo II Capitolo III Capitolo IV Capitolo V Capitolo VI

Capitolo VII Capitolo VIII Capitolo IX Capitolo X Capitolo XI Capitolo XII