La visione esoterica

 

 

Tanto è arduo

avventurarsi nell’intricato labirinto

del mistero

stringendosi il fioco lumino del senno,

che pochi,

discesi nell’abisso,

ne riemergono con ciò che cercavano.

 

Prefazione

 

Questa sarà una prefazione particolarmente lunga e dettagliata perché devo innanzitutto spiegare cosa intendo con “esoterismo” e quindi spiegare lo scopo e i destinatari di questo scritto.

Devo dire innanzi tutto che il termine esoterismo nella persona comune risveglia un’atmosfera nebulosa che comprende una serie di immagini a partire dalla strega cattiva delle favole a quella di satanisti più o meno medioevaleggianti passando per il ciarlatano del terzo piano o quello della tv che si fanno pagare lautamente per togliere il malocchio o dare i numeri del lotto.

Quello che intendo io non ha niente a che fare con tutto questo, dunque dimenticatevi pure di questa eterogenea galassia che purtroppo nell’accezione comune viene relegata nell’ambito dell’esoterismo quando non vi ha nulla a che spartire.

Il fatto è che nessuno può capire qualcosa dell’esoterismo fino a che non arriva a capire che si tratta di un corpus di costruzioni teoriche e di pratiche che mira ad avere un’esperienza diretta dell’Assoluto, di poter essere “faccia a faccia con Dio”, vivere la propria identità con la realtà ultima.

Senza la conoscenza di questa meta che si prefigge, l’esoterismo apparirà semplicemente come un guazzabuglio di nozioni male assortite.

In secondo luogo questo non è un saggio per invitare i lettori allo studio dell’esoterismo, perché si tratta di un apprendimento del tutto personale e riservato solo ad alcune persone.

Questo non significa che si tratti di una conoscenza riservata a pochi “eletti”, perché non si tratta di conoscenza tout court, ma piuttosto di un’esperienza che per sua stessa natura non è accessibile a tutti, come non tutti hanno l’allenamento necessario per poter fare gli astronauti.

I destinatari di questo mio scritto non sono i “curiosi”, ma i sinceri cercatori della Verità, la verità come esperienza, e che, spero, troveranno in questo scritto una guida sicura per non perdersi nel labirinto del mistero.

Il fatto che non mi rivolgo ai curiosi o agli studiosi dell’esoterismo (psicologi, antropologi ecc.) non significa che questi non possano leggere questo scritto, ma che non ne ricaveranno nulla se a loro volta non abbandoneranno i loro atteggiamenti per farsi anche loro, almeno in parte, cercatori di Verità.

Questo perché i curiosi cercano solo fatti curiosi e quindi coglieranno solo le stranezze e le bizzarrie senza entrare nel profondo della questione, mentre gli studiosi leggeranno tutto a seconda delle loro teorie, spesso razionaliste[1], senza cogliere minimamente il significato, l’esperienza dell’esoterismo.

A questo proposito, gli unici studi “seri” che la persona comune può procurarsi sull’esoterismo possono essere divisi in due categorie, quelli che risultano per buona parte incomprensibili se non si possiede già, a priori, una visione esoterica e quelli che invece risultano essere dei cataloghi di pratiche e di credenze appartenenti o derivate dall’esoterismo elencate in base ad uno schema di interpretazione razionalista, opere queste ultime che a rigore di esoterico non hanno nulla.

Al primo gruppo appartengono gli scritti di Renè Guenon, di Elemire Zolla, di Mircea Eliade, di Fulcanelli e di Canseliet.

Al secondo gruppo quelle di Cecilia Gatto Trocchi, di Ernesto de Martino, di Grillot de Givry e la breve escursione di Umberto Eco ne Il pendolo di Focault.

Ora, concentreremo la nostra attenzione su questo secondo gruppo di opere perché, da una parte sono le uniche ad essere direttamente accessibili per chi non possiede una visione esoterica, dall’altra sono quelle che creano l’immagine che la gente con una cultura medio-alta ha dell’esoterismo.

In tutti questi autori c’è l’evidente (e programmatica) confusione tra esoterismo e quell’insieme di sette, conventicole ed associazioni di ciarlatani che popolano città e campagne di tutto il mondo.

Soprattutto per quanto riguarda la Gatto Trocchi e Umberto Eco, l’identificazione tra esoterismo e pratiche ispirate all’occultismo è completa.

Vengo quindi a dare una prima definizione di esoterismo: Si indica (o si dovrebbe indicare) con il nome di esoterismo una precisa visione del mondo.

Un’esperienza di percezione della Realtà.

Questo tipo di esperienza può essere denominata Assoluto o Verità.

Assoluto perché si tratta della percezione della Realtà in sé, spesso identificata con la percezione di Dio; Verità in quanto esperienza unica, eterna e non contraddittoria perché oltre il linguaggio, da non confondere con la verità che è una proprietà del linguaggio che ha a che fare con il possesso.

Per giungere a questa esperienza l’esoterista ha a disposizione una quantità enorme di metodi: da quelli più “occultistici” come le pratiche contenute nei testi ermetici a quelli quotidiani, come essere concentrati mentre si lava i piatti o si è indaffarati in qualsiasi occupazione comune.

I taoisti dicono che per ricevere l’illuminazione basta “attingere l’acqua dal pozzo e tagliare la legna” cosa che sta ad  indicare che l’illuminazione (altro nome per l’esperienza dell’Assoluto e della Verità) può essere raggiunta anche nella vita di tutti i giorni senza nessuna pratica “occulta”.

A questo punto, visto che ne ho parlato, devo anche definire l’occultismo: Si indica col nome di occultismo un’insieme di pratiche derivanti da una visione esoterica spuria e tendenti perlopiù ad ottenere il dominio sugli eventi della vita comune.

Ora, dopo questa parentesi necessaria ai fini della chiarezza procediamo ad una breve analisi degli studi “seri” condotti sull’esoterismo a cui chiunque ha accesso.

Di Ernesto de Martino non discuterò neppure perché egli attua un’analisi che è decisamente improntata su un razionalismo riduttivo tanto incapace di rendere atto della varietà dei fenomeni analizzati che la sua opera è del tutto pervasa di errori.

La stessa tesi centrale riguardo alla magia vista come soluzione pratica alle crisi di coscienza tipiche dell’ambiente contadino è smentita sul nascere dall’evidenza dei fatti, come nota la Gatto Trocchi, visto che le pratiche occultistiche sono molto più diffuse in città che in campagna.

La magia infatti ricerca proprio queste “crisi di coscienza” come porte verso orizzonti esistenziali che vanno oltre la coscienza abituale, sia come mezzo per fini pratici, sia per il raggiungimento di stati di coscienza superiori.

De Martino confonde l’elemento rituale e linguistico presente nelle cerimonie magiche con la ritualità e il valore del linguaggio tout court.

L’essenza del linguaggio e del rito sono proprio il solidificarsi di un preciso stato di coscienza, di un “io” e quindi sono propriamente quello che costituiscono ciò che viene comunemente indicato come identità.

Nel mondo agricolo, dove la presenza di linguaggio e ritualità è meno presente hanno luogo le cosiddette “crisi di coscienza” ovvero una dissoluzione di questa identità creata da rito e linguaggio e della realtà che gli è propria.

In questi casi serve dunque un intervento che attraverso gli strumenti di rito e linguaggio provveda a “ri-solidificare” l’identità del soggetto e a “ri-stabilizzare” la sua realtà.

Il fatto che questo intervento a volte si concretizzi nelle ritualità magiche non significa che vi si identifichi.

La magia può assolvere a questo compito per via di mezzi rituali, come possono farlo molti altri eventi sociali ritualizzati, come le feste di paese o i matrimoni, i funerali e così via.

Di fatto ad essere onesti è la magia ad usare elementi sociali quali il linguaggio e il rito che avrebbero come fine il creare un’identità sociale forte e stabile proprio per sciogliere questa identità e la realtà limitata in funzione sociale ad essa connessa.

Tuttavia l’errore di De Martino sta’ proprio nell’identificare la magia solo con la funzione impropria che essa  viene ad assumere in un determinato contesto, funzione che è molto meglio espressa da ambiti diversi, come la ritualità della vita sociale o dal linguaggio che “fissa” i ruoli delle persone e degli oggetti all’interno della realtà.

Questo suo ruolo è si innegabile, ma del tutto deviante nel momento in cui si analizzi la totalità del fenomeno “magia” facendolo corrispondere a quest’unico elemento.

Questo errore di fondo e la concezione evoluzionista-marxista inficiano tutte le sue analisi, tanto che la sua opera può essere presa in considerazione unicamente per il suo valore documentaristico.

Grillot de Givry possiede senza dubbio una visione esoterica, evidente nei suoi scritti ermetici, ma qui ci riferiamo alla sua opera Il tesoro delle scienze occulte, tentativo di enciclopedia del sapere esoterico ed occulto, dove rimaniamo ad un livello di analisi del tutto ordinario ed accessibile.

In particolare il carattere volutamente antropologico e divulgativo (e dunque non esoterico) di quest’ultima opera ci è testimoniato dal fatto che l’autore dedichi la maggior parte di esso a pratiche e teorie che egli considerava fenomeni culturali, come la stregoneria, mentre quando si occupa dell’alchimia, ambito nel quale era assai esperto, si fa improvvisamente laconico e breve; il che mostra come l’autore voglia trattare solo del valore antropologico di queste correnti di pensiero, tacendo del tutto il loro vero contenuto, cosa che invece ritroviamo in altri suoi lavori.

Anche le opere di quest’ultimo costituiscono quindi un utile supporto documentaristico, anche se spesso le nozioni vengono distorte perché poste sul piano di lettura letterale, ma senza dubbio non distorte come avviene nelle opere dello studioso italiano.

Procediamo ora all’analisi particolareggiata de Il pendolo di Focault per vedere quale immagine dell’esoterismo ne scaturisce.

Il romanzo esordisce come una grande apologia della menzogna come creatrice di verità, delle associazioni casuali e fortuite e di come la bugia contenga in se la verità.

Bisogna ricordare che lo stesso Eco nei suoi seminari di semiotica ha affermato: “La lettura semiotica è un complotto di chi vuol farci credere che il linguaggio serva alla comunicazione del

pensiero”.

Dunque l’autore (apparentemente) pensa che la lettura di un testo e della realtà in senso più ampio è una operazione in cui il lettore legge quello che vuole lui, o meglio legge parte di se stesso e non il messaggio.

Da qui l’importanza del mistero, della menzogna e dell’illusione.

Ma proseguendo nella lettura si nota subito una perniciosa (e ci dispiace pensarlo ma anche questa volta programmatica) confusione tra il mistero e la tradizione.

Eco mette insieme questi due elementi eterogenei come un romanziere romantico di metà ottocento (lui che fa bandiera di coltivare una logica e una capacità scientifica di analisi ferree) e non si fa scrupolo di proclamare a gran voce che il mistero non è altro che un alibi in cui vengono scaricate speranze e sogni come in una nebulosa illusione consolatoria.

Ma il mistero è questo solo in minima parte.

Il mistero è il contrario della conoscenza.

E visto che come esseri umani siamo naturalmente dotati di conoscenza, troviamo intorno a noi anche una spessa coltre di mistero e questo è inevitabile e positivo.

Infatti se la conoscenza è una pagina piena di frasi ovvero di esperienze parcellizzate e registrate nella memoria, il mistero è la stessa pagina bianca e vuota su cui si può scrivere.

Einstein nei suoi appunti ha notato come il mistero è la fonte di ogni conoscenza e ogni spinta vitale dell’uomo.

Ma ecco il capolavoro di Eco: Andando alla ricerca del mistero si scopre che il mistero non esiste, il mistero è solo un contenitore vuoto che in realtà non contiene nulla.

Tuttavia non è detto che perché egli non sia riuscito a trovare nulla dietro il mistero, di fatto non esista nulla.

Mi sembrano incredibili la presunzione e la superficialità di tutte quelle persone che, come Eco, pensano nei termini di: “se io non ho trovato nulla allora non esiste nulla”, e non sono nemmeno sfiorate dal dubbio che questo sia dovuto ad una loro mancanza.

Prescindendo dalla presunzione e dalla superficialità di questo modo di ragionare, rimane un fatto: il nulla che sta’ dietro al mistero è comunque qualcosa.

Un qualcosa che viene acquisito nel processo stesso di ricerca.

Ma non pretendo certo che le persone superficiali capiscano questioni di tale importanza.

Tuttavia è chiaro il perché le conclusioni di Eco piacciano tanto alle persone superficiali, perché sono le stesse, consolanti risposte a cui riescono ad arrivare anche loro, senza doversi confrontare con il pensiero imbarazzante che esiste qualcuno in grado di comprendere qualcosa che a loro rimane precluso, cosa che tanto più la persona è abbietta tanto più riterrà impossibile. 

Per ora non mi voglio dilungare oltre perché tornerò più tardi su questo argomento.

Ora chiariamo che la tradizione o “Tradizione” come alcuni preferiscono definirla, confondendo due concetti del tutto diversi, non è altro che un corpus di dottrine sedimentate nel tempo.

Non c’è nulla di misterioso.

L’alone di mistero nasce molto semplicemente dal razionalismo stesso che per secoli, per mano della chiesa o dell’illuminismo, ha vietato la diffusione di testi neoplatonici o di magia rinascimentale e simili, relegandoli così in un territorio-discarica i cui confini divennero col tempo indefiniti ed indefinibili; proprio come succede con le terre desolate o di confine.

Dunque non c’è nulla di misterioso nella tradizione, la confusione nasce semplicemente dall’ignoranza.

A pagina 655 troviamo una critica che pare proprio buttata lì: “Tu inventi e loro credono…”

Basta inventare una formula che sembri funzionare e qualcuno la applicherà per i suoi fini.

Verissimo, innegabile.

Ma perché applicare questo principio solo all’esoterismo quando permea religione, scienza ed insomma tutto il pensiero umano (e c’è chi ha affermato che tutta la realtà è un prodotto del pensiero)?

Poi, a pagina 657 leggo un’esaltazione della rivelazione cristiana ed Eco che si chiede “ ma come, a ‘sti esoteristi non gli bastava la Rivelazione?”

Ma mio caro Eco, non sarebbe più giusto chiedersi perché la Rivelazione non bastava e non basta e perché in alcuni casi viene rifiutata?

Non è detto che tutti abbiano voglia di gettarsi ai piedi di una “verità” rivelata da altri.

Mi trovo invece d’accordo con il discorso che Eco mette in bocca al personaggio di Agliè riguardo alle speculazioni arbitrarie e del tutto insensate che si sono costruite sulle proporzioni di alcuni edifici sacri tra cui spiccano le piramidi egiziane.

Purtroppo a fronte di discorsi sensati come questo troviamo il discorso che viene messo in bocca al personaggio di Lia la quale afferma che il ricorrere di simboli sempre uguali nel tempo e nello spazio (quei particolari simboli che gli junghiani chiamano archetipi) è dovuto solo al fatto che tutti abbiamo dieci dita, che gli uomini abbiano sette buchi mentre le donne ne hanno otto e così via.

Per rendersi conto di quanto semplicismo senza senso ritroviamo in questo discorso invito tutti a leggere il suddetto brano con attenzione.

Quanto può essere approfondita la conoscenza di uno che afferma che il sette e l’otto erano “sacri” in molte culture perché si riferiscono ai buchi del corpo, mentre l’acqua lo era perché è necessaria alla vita?

Cosa significa “sacro”?

Mi sembra che in qui si usi un termine vago per coprire l’ignoranza che si ha della questione.

Rimanendo ad un livello molto basso, come quello dell’autore, l’otto rappresenta il ritorno continuo, l’infinito di cui infatti è simbolo grafico quando viene posto orizzontalmente, mentre il sette rappresenta la durata di un ciclo, ad esempio la settimana; l’acqua, infine, ha un preciso significato di natura psicologica in relazione agli altri tre elementi.

Precisato questo risulta difficile dire che davvero la derivazione di questi archetipi sia così diretta e terra-terra come sostiene Eco.

“Semplicitas sigillum veritas” era il motto dell’alchimista Artefio, ma come sempre i razionalisti e gli illuministi scambiano la semplicità col semplicismo.

Semplicismo capace di rendere banale e senza senso la realtà e cieca la conoscenza.

All’inizio del romanzo sembra addirittura che l’autore rivaluti l’importanza delle religioni quando mette in scena una partecipazione da parte del protagonista ad un rituale dell’ubanda.

Ma questo fa parte della sua finzione scenica che sfocerà nella condanna di tutti i prodotti dell’inconscio in nome di una nostalgia tutta personale di Eco per un “sano” razionalismo che rinasce dalla naftalina dei ricordi dell’autore col volto del marxismo populista degli anni del dopoguerra, a stento temprato da una critica illuministica che vorrebbe essere ironica. 

Rimpianti e nostalgie del tempo della giovinezza si mescolano nella mente dell’autore mentre gira con un gesto nervoso la nostra frittata e dopo aver condotto il lettore nei meravigliosi meandri dell’inconscio lo estrae inorridito sentenziando che, per carità, è tutta illusione, tutto un inganno.

Tutta l’opera risulta essere una di quelle rappresentazioni medievali dell’inferno, in cui vengono accentuati tutti i particolari orribili e raccapriccianti, affinché il fedele non si faccia corrompere dal fascino delle tenebre ma se ne ritragga terrorizzato.

Un “exemplum” in cui il mondo esoterico (visto attraverso gli occhi di Eco) viene mostrato nei suoi dettagli (anche seducenti, come è seducente il male nelle sue tentazioni) solo per suscitare repulsione verso di esso.

Personalmente ritengo che questa sia una prova lampante della mia affermazione secondo cui i razionalisti  non sono altro che la naturale evoluzione degli inquisitori medioevali e svolgono nella religione scientifica lo stesso ruolo che questi ultimi coprivano nella religione cristiana.

L’epilogo (a mio parere drammatico) di questo romanzo lo leggo chiaramente nella frase pronunciata da Lia: “Non bisogna suscitare più immaginario di quanto già ci sia”.

Frase che getta nel limbo dell’errore e del disprezzo non solo tutta la cultura esoterica, ma anche tutti i prodotti dell’inconscio e dell’immaginazione senza riserve.

Ecco che si riaffaccia una chiara visione illuminista-marxista in cui il mondo deve essere un meccanismo perfetto e gli uomini automi felici di vivere in un mondo in cui l’immaginazione e l’inconscio sono del tutto banditi a favore dell’“utilità” (e non si capisce poi perché dovrebbero essere felici in un mondo del genere).

In tutta sincerità mi sembra di cogliere un certo senso di drammaticità nella figura di quest’uomo costretto a rinnegare le sue intuizioni più profonde a causa della sua educazione razionalista e una nostalgia per il ricordo della sua giovinezza.

In qualche modo rimane diviso, benché ben ancorato sulla terraferma del  suo rassicurante passato costituito dal razionalismo, rimane comunque sull’orlo del precipizio e non riesce a distogliere lo sguardo dalla bellezza e la ricchezza che stanno sotto e che rappresentano le sue emozioni e le sue intuizioni più sincere, per quanto diseredate. 

Per quanto riguarda la Gatto Trocchi il suo errore, come già detto, è quello di confondere l’esoterismo con i vari gruppi occultistici o new age di cui giustamente mostra l’insensatezza e l’ignoranza.

Tuttavia bisogna dire che nell’ultimo capitolo del suo Viaggio nella magia ci mostra la figura di un esoterista serio di nome Andrè l’Eclair che non nasconde di ammirare.

Inoltre nel capitolo quinto del suo La magia parla di quello che lei chiama “l’effetto Quesalid”.
Si tratta della storia di un ragazzo kwakiutl il quale decide di entrare a conoscenza dei riti segreti degli sciamani del suo popolo per smascherarne la falsità.
Una volta scoperti i trucchi del mestiere, però, arriva la sorpresa: essi funzionano!
Il “trucco” di mordersi la lingua ed estrarre dalla bocca un batuffolo di cotone insanguinato, dopo lunghi rituali, facendo credere all’ammalato che si tratta dello spirito che lo tormentava, guarisce davvero il paziente!
Quesalid è per primo preda di questa scoperta sconvolgente eppure tanto elementare.
Questo episodio ci fa pensare ad una lettura perlomeno problematica e ragionata del macrofenomeno “magia”.

Tuttavia il lettore poco attento potrebbe cogliere nella sua vis polemica contro un generico “esoterismo” identificato con le spregevoli conventicole una condanna decisa e sprezzante per il mondo esoterico tout court.

Quindi ancora una volta una visione tristemente illuminista.

E con visione illuminista indico una visione del mondo, che, posta di fronte all’esoterismo, ha sostanzialmente 3 risposte:

1) L’esoterismo (confuso con le pratiche occultiste, come d’uso) non è altro che una tappa dell’evoluzione della conoscenza, ora per fortuna c’è la scienza che funziona davvero e risolve i problemi.

2) Sono tutte balle di ciarlatani per arricchirsi alle spalle della gente ingenua

3) Sono delle credenze che, come la religione, servono a consolare le persone, delle illusioni che in qualche modo servono da sostegno psicologico, dei placebo insomma

Purtroppo nessuna di queste risposte si avvicina nemmeno minimamente a quella che è la verità, e il lettore che coltivasse uno di questi pregiudizi è pregato di metterlo da parte e poi eventualmente raccoglierlo alla fine della lettura.

Dal fatto che raccoglierà di nuovo questa opinione o la lascerà mille miglia lontano da sé dipende il fatto di aver colto o no l’essenza dell’argomento.

Spero di non aver annoiato con questa premessa un po’ troppo lunga ma doverosa; passiamo dunque al nocciolo della questione.

 

 

[1] Qui per razionalismo intendo tutti quei sistemi di pensiero che vedono il mondo come completamente conoscibile da parte dell’uomo, in contrapposizione all’irrazionalismo.

 

 


 

 

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PrefazioneCosa è l'EsoterismoLa Questione della Tradizione La questione della Segretezza

I Metodi dell'EsoterismoIl problema della Coscienza Le linee generali della DottrinaIl concetto di Verità

Il concetto di ParadigmaLinguaggio, Concetto e SimboloL'Immagine e il SimboloEsoterismo, Storia e Società

Bibliografia