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Parte seconda: Significato e significante, il linguaggio nell'Esoterismo
Il concetto di verità nell’esoterismo
Nel campo del pensiero comune ci si basa su dei concetti base come il criterio di verità/falsità i quali risultano tanto comuni da passare inosservati e rimanere refrattari ad una qualsiasi forma di analisi. Queste basi del pensiero sono costituite sostanzialmente dai principi base della logica, come il principio di identità e non contraddizione e quello del terzo escluso più una serie di antinomie ereditate dall’impostazione di pensiero della tradizione filosofica, come quella di realtà/apparenza. Sulla base di questi presupposti il pensiero discorsivo crea una serie di paradigmi (intesi in senso kuhniano) i quali proprio in base ad essi vengono giudicati migliori o peggiori, quindi devono la loro stessa esistenza da questo macro-paradigma costituito dai principi-base del pensare. Dunque i paradigmi vengono ordinati tra loro e determinati nella loro struttura proprio da questi principi base. Risulta importante chiarire questo perché la visione esoterica, basandosi su principi diversi ordina e giudica i paradigmi in maniera diversa. Mi pare che per spiegare in maniera chiara e completa cosa significhi questo bisogna partire dall’antinomia fondamentale che da luogo a tutte le altre nel pensiero comune, ovvero quella di verità/falsità. Il concetto esoterico di verità è molto diverso da quello comune, il che è evidente ad esempio in autori come Chuang-tzu [1] o nei neoplatonici. Per distinguere le due interpretazioni senza possibilità di confusione userò il termine verità per indicare la nozione comune che si basa da una parte su una concezione orizzontale ed univoca dell’esperienza e dall’altra da una corrispondenza tra rappresentazione mentale e realtà esterna. Di contro col termine Verità indico un concetto di esperienza verticale a molti livelli dove non si può parlare di una corrispondenza tra oggetto e rappresentazione del soggetto, ma piuttosto si parla di gradi di partecipazione all’Essere. Forse sembrerà ad alcuni che cercando di fare chiarezza tra queste due realtà io confonda ancora di più le cose indicando con il termine Verità sia il macro-paradigma che sta alla basa della visione esoterica sia l’esperienza che ne costituisce la meta. Ma, di fatto, questo ha una ragione ben precisa, che è data dal bisogno di indicare la meta del cammino come immanente, o meglio in qualche modo identica al cammino stesso, la realtà e la Realtà non sono che due aspetti di un’unica entità. Così la Verità come esperienza e meta si colloca alla sommità della piramide costituita da questi livelli dell’Essere e tuttavia anche in ogni livello, analogamente all’Uno dei neoplatonici il quale era il culmine dell’Essere e tuttavia, per emanazione, risultava essere in qualche modo presente in tutta la manifestazione. Ora, se il presupposto del pensiero comune è che la contraddizione sia un sintomo di falsità, nella visione esoterica la contraddizione è semplicemente un riferirsi ad un altro aspetto della realtà considerata. Questo ci fa notare come il pensiero comune si basi sul presupposto che tutte le esperienze ed i giudizi si trovino sullo stesso piano e per questo possono essere confrontati in modo diretto. Di contro nella visione esoterica le esperienze si trovano su piani diversi, o meglio affrontano una stessa realtà, ma da diversi punti di vista. Dunque la contraddizione non può esistere in quanto, quando due esperienze o giudizi si trovano ad essere contraddittori significa che si riferiscono ad un diverso livello di esperienze, o se si preferisce, da un altro punto di vista. Ecco la mia difesa. Tutti i nostri pensieri hanno questa natura di libero giuoco dei concetti; e la giustificazione di questo giuoco consiste nel maggiore o minore aiuto che esso può dare per raggiungere una visione generale dell’esperienza dei sensi. Il concetto di “verità” non si può ancora applicare a questo meccanismo: secondo me questo concetto può essere preso in considerazione solo quando esiste già un accordo generale (una convenzione) che riguarda gli elementi e le regole del giuoco.” Il che equivale a dire che la verità nasce all’interno dei paradigmi ed è possibile solo una volta fissate delle regole e quindi non ha senso parlare della verità o meno di tali regole dal momento che sono esse stesse a determinarla. Se la Realtà è una, allora qualsiasi io pensi e dica di essa ne è parte ed è quindi per forza vero, essendo unico l’oggetto a cui ci si può riferire ed inoltre essendo tale la natura particolare di questo oggetto (la Realtà) che di fatto contiene gli stessi giudizi che la riguardano. Non c’è modo di dire qualcosa di falso sulla Realtà. Bisogna poi vedere a che piano di esistenza ci si riferisce, naturalmente. Non si può parlare in questa prospettiva di un riferimento ad una realtà esterna ma solo di un livello di partecipazione all’Essere. Dove partecipazione all’Essere significa a livello teoretico la comprensione della necessità della propria limitatezza ovvero in che modo essa si realizza ed è conseguentemente necessaria. Se si vuole avere l’esempio storicamente concreto e determinato dell’affermazione di tale paradigma si veda l’articolo di Paolo Aldo Rossi: Ut pictura poësis: il "gioco" dei Tarocchi fra "ermetismo" e "teatro della memoria”. Alla luce di quanto detto sopra riguardo alle finalità e alla natura del discorso esoterico risulterà chiaro il seguente passo tratto dall’articolo nominato sopra: “… Senza tener conto dell'atmosfera magico-esoterica e simbolica che avvolse l'intera Europa fra la metà del XV e gli inizi del XVI secolo non è possibile comprendere la cultura del Rinascimento. Il pensiero ermetico fu, in quest'atmosfera, come una nebbia sottile che tutto pervade dando all'intero panorama una tonalità irripetibile. Se l'arte, le lettere, l'architettura, le scienze, la filosofia, la musica ne furono totalmente impregnate, a questa avventura non sfuggirono neppure gli eventi della vita privata e sociale. Dai carri allegorici che trionfavano nelle splendide feste di piazza, agli emblemi che decoravano oggetti e spazi quotidiani, alle immagini simboliche per uso didattico o morale fino alle figure delle "carte da gioco", tutto è imbevuto di un linguaggio che quanto più è ambiguo, polivalente, equivoco, tanto più è in grado di rappresentare la coincidenza degli opposti, l'identità del diverso e la diversità dell'identico. Questo pensiero è fatto di un caleidoscopico fluire di immagini in continuo feedback con le emozioni. Nel pensiero ermetico nessuna regola esiste più, l'incoartabile eros del Pimandro tra uomo e natura fluisce senza limiti, l'ascesi e il ritorno all'Uno-Tutto è ottenuto per eliminazione del principio logico di identità, la stessa contraddizione è accettabile in quanto può alludere e sottintendere, l'enigma, che nasce dall'inesauribile sprigionarsi di polimorfi significati dall'insieme limitato dei segni, è il punto d'arrivo di una ricerca che vuole al fine ascoltare la voce della divinità attraverso messaggi criptati, nascosti, occulti, che vuole assistere all'epifania del soprannaturale attraverso le visioni, i sogni, gli oracoli. L'unico principio metodologico ed epistemologico che guida il lavoro del naturalista, vuoi cultore di scienze occulte vuoi cultore di magia naturale, è l'analogia come libera associazione d'idee (reputata per una curiosa riedizione della dottrina scolastica dell'adaequatio non solo legge del pensiero, ma anche norma universale che regola tutti gli esseri). L'analogia non richiede un metodo i quanto essa stessa è metodo che si fonda sulla rottura di ogni schema, ribellione al pensiero disciplinato, libero ed incontrollato fluire della metafora: il gioco del significato che ripercorre se stesso e sul proprio cammino si ricrea in un caleidoscopio di strutture analoghe, univoche ed equivoche che tra di loro si richiamano, si elidono e si rafforzano. Sullo schema concettuale della Divina Analogia il XVI secolo costruisce i predicati base della sua teoria fisico-naturalistica. Questi sono le simpatie e le virtù, con ciò si può poi passare a definire con precisione le proprietà e le relazioni fra i fenomeni”. Ma ancora più importante è come in questo articolo si metta in risalto la distanza tra il modo di comunicare e il paradigma esoterico descritti sopra con il linguaggio comune visto attraverso di essi: “… Enigma nasce dall'inesauribile sprigionarsi di polimorfi significati dall'insieme limitato dei segni; Labirinto si genera allorché il logos impone di stare fermo a ciò che per sua natura è mobile e cangiante. Consegnata alle modalità della comunicazione orale la memoria sociale viaggia, infatti, attraverso i canali dell'allitterazione, della rima, del ritmo, delle tonalità, del gesto che crea l'eloquio silenzioso, finché non accade che la molteplicità dei modi si trasformi e proliferi in molteplicità di parole; allora inizia a prendere forma l'universo dell'equivocità. Enigma è l'equivoco, esso è il luogo in cui il medesimo vissuto è affidato a più segni ed ognuno di questi segni vuol essere parola per dire l'uguale e il diverso dalle altre. Labirinto è invece l'univoco; esso è il luogo in cui il polisemico e il polimorfico si cristallizzano, la comunicazione diviene monomodale; ogni sfumatura, tono, ritmo, proporzione del vivere si spegne, si impoverisce e si dissolve per lasciar luogo a un unico significato: il morto simulacro che fa da referente del segno. … Labirinto, il mirabile prodotto del mitico artigiano Dedalo, il padre di ogni téchne, sta a simbolizzare il definitivo risultato delle arti che ingenerano negli uomini lo stato di ybris e, principalmente, quella della scrittura: la tecnica che più d'ogni altra, credendo di apparentare l'uomo con la divinità, lo allontana sempre più da questa. Il segno, tracciato affinché si faccia portatore del logos, si ingarbuglia su sé medesimo e prende l'andamento di una spirale indefinitamente intrecciata. Al suo interno Dioniso (il dio che genera l'entusiasmo) assume le vesti del Minotauro e si trasforma in bestia, quasi a ribadire come la parola, divenuta univoca, possa solo esprimere l'assenza, mai la presenza del divino.… ... La scrittura ha questo grave inconveniente. - afferma Socrate nel Fedro - É cosa del tutto simile alla pittura. Sai bene che i prodotti della pittura si presentano quasi fossero vivi. Ma provati a rivolgere una qualche domanda: silenzio assoluto. Lo stesso, ogni opera scritta. L'impressione prima è che il libro parli e parlando intenda. Ma provati a domandargli qualche schiarimento di ciò che dice. Una sola cosa, unica e sempre eguale egli viene significando. E quando una volta il pensiero sia stato affidato alla scrittura, ecco, va d'ogni parte in giro; e in questo giro, giunge presso chi lo può comprendere e parimenti anche presso chi non ha con lui nessuna affinità. E ciò, perché l'opera scritta non può discernere con chi si possa e con chi non si possa parlare". "Se Enigma sorge contemporaneamente alle tecniche della comunicazione orale, fluida e immediata, Labirinto è, invece, il frutto della mediazione dell'immediato attraverso rigide regole che impongono di star fermo a ciò che per sua natura è mobile. … L'uomo, il "pastore dell'essere", allorché si trova esiliato negli aridi pascoli del linguaggio e lungo i sentieri scoscesi della parola cerca quel nutrimento che sa non esservi, tanto e troppo è povero l'alimento che quella terra produce. Egli è in grado di nominare (e quindi di possedere) le cose che stanno sotto il cielo, sopra e sotto la terra, ma non appena va oltre la referenzialità e tenta di addentrarsi oltre l'abituale significazione, tutto gli si frantuma davanti e l'apeiron si ripresenta nella drammaticità della propria inesorabile dinamica. … Nel momento in cui si tenta di precisare l'essenza del fondamento, allora ci si rende conto non solo dell'occhio che non vede e dell'udito che rimbomba di suoni illusori, ma anche che il logos non può farsi portatore di altro che del tradimento dell'essere. La curiositas cupida aeternitatis si ritrova a doversi accontentare degli spazi e dei tempi della storia, ma in questi spazi e in questi tempi, se non può conoscere e parlare con verità della Struttura Originaria, almeno può viverla. L'epifania del divino è una tipica informazione di presenza la quale esige che si percorra la strada della fondazione pur sapendo che ineffabile è il momento del contatto; o, per meglio dire, la parola può esprimerne l'assenza, ma non la presenza. La presenza del divino, l'ordine e l'armonia del cosmo, può essere rilevata, poetizzata tramite la parola che dice la meraviglia (il mito), descritta fenomenologicamente negli eventi che ne compongono l'accadere per ricorso alla parola che testimonia l'evento (l'historia) ed infine legata in catene logiche grazie alla parola che spiega (il logos); ma, proprio qui, quando si cerca di entrare nel cuore della struttura originaria, allora si incomincia a dover optare fra l'autoreferenzialità della ragione o la contradditorietà dell'esperienza. … Se ci si ferma a questa prospettiva, il dono di Theuth prende la forma del più tipico dei "perfidi benefici" della divinità: un qualcosa che frena, arresta, disintegra la tracotanza degli uomini che stanno per raggiungere quel limite invalicabile che li separa dagli dèi. Impadronitisi della scrittura, gli uomini credono di poter aumentare a dismisura le loro capacità fino al punto di rendersi simili agli immortali, mentre proprio grazie a questa tecnica essi perdono per sempre quell'esile legame che li vincolava alla divinità; la verità del sapere è sostituita con la mera apparenza del conoscere.” Questa ultima citazione mette bene in chiaro il concetto di “tradimento dell’Essere” perpetrato da parte del linguaggio. È proprio il linguaggio, strumento del pensiero e della conoscenza ad ispessire la frattura tra l’uomo e l’Essere, ovvero tra l’uomo e la verità. Ma si parla del linguaggio comune, ovvero del Labirinto. Quel linguaggio in cui esiste univocità assoluta tra segno e significato, il tutto ordinato secondo le rigide regole di identità, non contraddizione e del terzo escluso. Paradossalmente il linguaggio come Enigma, ovvero come proliferazione dei significati concatenati secondo determinate dinamiche emotive, può condurre a ridurre la frattura dell’Essere. Fino a condurre al luogo in cui i significati si elidono l’un l’altro, lasciando spazio al silenzio totale, ovvero al ritorno all’Essere, alla Verità. Anche Claude Levi Strauss in Tristi tropici (pag. 452) parlando del buddismo, ma con parole che possono senza dubbio essere estese alle basi dell’esoterismo afferma: “… Questa grande religione del non-sapere non si fonda certo sulla nostra incapacità di comprendere. Essa anzi prova la nostra capacità e ci eleva fino al punto in cui scopriamo la verità sotto forma di un’esclusione reciproca dell’essere e del conoscere …”. Illuminante, perché questa “esclusione reciproca dell’essere e del conoscere” è la base di tutte le riflessioni genuinamente esoteriche. In particolare riguardo ai testi o ai discorsi che hanno a che fare con tematiche esoteriche. Per fare un esempio citeremo l’opera I grandi iniziati di Edoardo Schurè. In quest’opera, come di solito accade nelle opere che trattano di queste tematiche, sono presenti una quantità di proposizioni evidentemente in contrasto con le nostre conoscenze, ovvero false. Cito quest’opera perché è intrisa della tipica mentalità positivista-spiritualista di fine ottocento e dunque contiene tutta una serie di informazioni e modi di pensare palesemente falsi e risulta quindi indifendibile dal punto di vista della mentalità comune. Ad esempio tratta della grande guerra avvenuta tra le due protorazze, ovvero quella nera-semitica e quella bianca-indoeuropea; narra la vita di grandi personaggi come Pitagora od Orfeo inserendo tutta una serie di osservazioni fisico-psicologiche tipiche del suo tempo, che al lettore contemporaneo richiamano più il moralismo ed il gusto per l’esotico dell’epoca vittoriana che le epoche in cui questi personaggi sono vissuti; continua ad affermare il perfetto accordo tra scienze naturali ed esoterismo, parlando però delle scienze del suo tempo con concetti come l’etere, la tavola degli elementi composta da 21 elementi e così via. Ora, tutte queste inesattezze storiche e questa falsità di fondo potrebbero indurre il lettore che ragiona secondo il criterio comune di verità/falsità a scartare i contenuti di quest’opera a priori, (e questo, ovvero la falsità dei riferimenti, è l’argomento principale della smentita delle teorie esoteriche, vedi la Gatto Trocchi). Il problema è che, come abbiamo già detto, l’esoterismo è un istinto o se preferite una Tradizione e non una dottrina, e quindi non risente della falsità dei suoi presupposti, perché se ne serve semplicemente come strumenti per il suo scopo. Un po’ come se io dovessi tracciare un segmento della lunghezza di 10 centimetri su un foglio bianco infinito non avrebbe alcuna importanza di dove inizio a tracciare, l’importante è che raggiunga la mia meta ovvero tracciare il segmento della lunghezza di 10 centimetri. Quindi possiamo dire che lo Schurè è palesemente falso ma tuttavia Vero, perché la concezione che espone è fortemente esoterica ed esotericamente corretta. Ma questo significa che bisogna leggere lo Schurè (e sarebbe buona norma saper leggere tutto anche in questo modo) non fermandosi al falso, ma sorvolando su di esso per cogliere su che livello le sue asserzioni sono vere. Se infatti quello che afferma può essere falso da un punto di vista biecamente “materiale”, basta in molti il solo fascino dei suoi racconti per far cogliere un barlume di quelle verità che egli enuncia sul piano psicologico. Ed è proprio questa capacità di trasportare il messaggio in diversi piani di realtà a costituire il miracolo della lettura esoterica che mostra come l’opera dello Schurè sia sommamente Vera nel momento in cui sia liberata dal vincolo di aderenza ad un’esperienza diretta e dunque dal piano di realtà “materiale” per passare a quello spirituale e coglierne così l’essenza. Dunque la lettura esoterica è una lettura in diversi piani di interpretazione in cui sono l’intuizione, la sensibilità ed il senso critico del soggetto a liberare il messaggio dalla sua dimensione letterale, ovvero dalla sua interpretazione comune, per estrarne la Verità. Questo processo di trasfigurazione del messaggio da un piano di realtà ad un altro lo libera dalle sue parti grezze ed oscure costituite dai riferimenti “esterni” o “materiali” per estrarne un’esperienza pura, svincolata dal contenuto stesso, ma da esso veicolata, ovvero la Verità come esperienza luminosissima. Il medioevo che ha avuto a che fare con l’esegesi incessante ed estenuante di un testo sacro ha elaborato un sistema di interpretazione molto articolato. I livelli di significato che un passo della sacra scrittura custodiva in sé erano ben quattro: letterale, metaforico, allegorico e spirituale. Tutto il mondo era visto come “segno” di una realtà superiore ed aperto ad una quantità pressoché infinita di interpretazioni, in cui ogni livello comunicava con un altro, come testimoniano i bestiari. Un metodo come quello dei quattro livelli di interpretazione dimostra una grande maturità ermeneutica, la cui ricchezza verrà spazzata via dal punto di vista unico della scienza della natura. Qualcosa di molto interessante a questo proposto lo dice Herman Hesse, parlando di tre diversi livelli di lettura del significato [2]. Il primo è il lettore ingenuo che prende il contenuto come dato oggettivo accettato come una realtà, rimane al livello strettamente letterale. Il secondo è il lettore che coglie la necessità del significato e della forma, che sa come ogni significato sia vincolato dalla verità propria di chi lo esprime e incateni l’autore a tal punto da renderlo suo prigioniero. Ovvero mette in rapporto il significato che l’autore vorrebbe veicolare con la forma utilizzata a questo scopo. Il terzo tratta il significato come un punto di partenza, uno spunto da cui partire per creare i propri intendimenti. Gioca con tutto, e nulla è più fecondo e produttivocce giocare con tutto. Sa da un pezzo che di ogni verità è vero anche il contrario. È bambino in quanto tiene in alta considerazione il pensare per associazioni, solo che conosce anche gli altri processi del pensiero. Si può dire che questo ultimo livello sia quello propriamente esoterico. Bisogna dire, infine, che il concepire tutti i vari significati, i vari paradigmi, le varie verità, come manifestazioni particolari di un’unica Verità, significa trovare in ognuna di esse uno parte di quest’ultima, l’inizio di un sentiero per raggiungerla. Significa vedere in ognuna di queste manifestazioni la tessera di un mosaico più grande che nessuna di esse può comunque contenere nella sua interezza.
[1] Chuang-tzu É un personaggio realmente esistito, anche se l'agiografia ha aggiunto elementi alla sua biografia. Il suo vero nome era Chuang Chou. Visse nel IV secolo avanti la nostra era. Szu-ma Ch'ien (145-86 a.C.), il primo grande storico cinese, ne scrisse una breve biografia nel suo Shih Chi, riportando alcuni aneddoti, come quello del rifiuto a diventare ministro del principe Wei dello stato di Ch'u. Ma, paradossalmente, il più bell'elogio fatto dal confuciano Szu-ma Ch'ien così recita: "I suoi insegnamenti straboccavano come un'inondazione e si diffondevano liberamente; pertanto nessun sovrano o ministro poteva applicarli per un uso definito". [2] Una biblioteca della letteratura universale pagg. 110-124 (vedi bibliografia) |