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Parte prima: definizioni, modi, strumenti ed obbiettivi
I modi di espressione ed il problema della coscienza
Conoscendo la meta perseguita dall’esoterista ovvero il raggiungimento di una determinata esperienza della Realtà, molti avranno già intuito che risulta centrale la dimensione della coscienza. Questo perché la particolare esperienza ricercata, come ogni esperienza, è il risultato di un preciso stato di coscienza. Ma trattandosi di uno stato di coscienza differente da quello comune si può parlare a buon titolo di stato alterato di coscienza. La persona comune occidentale vive nell’illusione che lo stato di coscienza possibile sia uno solo, ovvero considera la realtà del tutto stabile, sempre uguale, e tale realtà è quella della veglia in condizioni psicofisiche precise. Le percezioni avute in sogno, in stato di ebbrezza o semplicemente dopo un lungo digiuno o una grande fatica non sono considerate altre realtà, ma visioni deformate di quella realtà che è percepita in maniera “oggettiva” solo in precise condizioni in cui i sensi e l’intelletto dell’individuo sarebbero limpidi e permetterebbero dunque un perfetto rispecchiarsi della realtà esterna nel soggetto. È facile notare come questa definizione è quanto mai ristretta, ad esempio basta aver fatto un’indigestione e la realtà non è più percepita oggettivamente, e se pensiamo che il nostro stato di coscienza cambia continuamente a causa di quello che mangiamo, quello che facciamo e così via, risulta ovvio che la realtà “vera” ovvero quella percepita in uno stato ottimale è una convenzione molto generica piuttosto che un dato di fatto. Ma per quanto generico, questo concetto di realtà dell’uomo comune lascia fuori grandi campi di esperienza, ad esempio quello dei sogni, dell’ebbrezza da droghe, della visione estatica per citare i casi di più grande allontanamento da quella convenzione di “limpidezza della coscienza” che l’uomo comune identifica con la realtà. Una sensazione particolarmente piacevole o sgradevole può far apparire la realtà molto diversa da come era esperita poco prima. Ma è la stessa realtà? Le opinioni riguardo a questo sono diverse all’interno della visione esoterica, ma in generale si tende a parlare di “piani di realtà” e “livelli di partecipazione all’Essere” concezioni tipiche del platonismo, della filosofia indiana e delle cosmologie mediorientali. Tuttavia, indipendentemente alla risposta data alla domanda di sopra, rimane il fatto che la realtà cambia a seconda dello stato di coscienza in cui ci troviamo. Ed è proprio questa la chiave di tutta la visione esoterica: la coscienza. Non importano i cambiamenti esterni della realtà ma i cambiamenti interni. Cambiare dentro. Ma non attraverso una serie di nozioni discorsive o norme morali, ma attraverso degli esercizi in grado di far sperimentare all’individuo stati alterati di coscienza. Io per primo ho provato come suonasse tanto bene il “conosci te stesso” delfico e quante belle emozioni ispirasse quando passava per la bocca o nei pensieri… Per essere poi deluso dal fatto che in pratica non significhi assolutamente nulla, si tratta solo di belle parole. Parole che rimangono lettera morta se non le si trasforma in una pratica, in un esercizio, ma per fare questo non basta una sentenza ma occorre un impegno pratico e concreto dettato da precise linee d’azione. Da notare che qui viene chiarita l’affermazione fatta nella premessa, ovvero che la comprensione dei contenuti esoterici è incomprensibile per chi non abbia accesso a precise esperienze: non si tratta di esperienze esterne ma di stati di coscienza alterati. Attraverso questa esplorazione di stati alterati di coscienza l’esoterista compie delle esperienze che lo trasformano, rimodellano la sua personalità e oltre, la sua stessa essenza. Imparando a padroneggiare questi stati di coscienza l’esoterista ha accesso a diversi gradi di comprensione, fino a giungere a sperimentare il risveglio, che però non deve rimanere un’estasi plotiniana, ma questo contatto con l’Assoluto, tramite l’esercizio, deve diventare lo stato di coscienza costante dell’esoterista. La meta della realizzazione esoterica, dunque, non è altro che uno stato di coscienza alterata permanente. Ci tengo a sottolineare con la massima forza che la ricerca di uno stato di coscienza diverso da quello ordinario che può creare così tanti dubbi e perplessità all’uomo comune è richiesto anche dalla visione scientifica. Nessuno nello stato di coscienza ordinario vede gli elettroni o guardando un tramonto percepisce delle lunghezze d’onda o guardando un paesaggio vede delle linee geodetiche che misurano il terreno. La scienza presuppone uno stato di coscienza diverso da quello ordinario, tuttavia la maggior parte delle persone viene educata per anni ad occupare un tale luogo della coscienza e dunque non vi fa più caso, essendo esso divenuto una seconda natura. Tuttavia anche l’esoterismo, come forma di conoscenza, necessita di un distacco dalla percezione comune. Una via di accesso più comoda ed accessibile a tutti per gli stati alterati di coscienza sono le sostanze psicotrope di vario genere, le droghe per intenderci. Sappiamo che dall’antichità più remota le sostane psicoattive venivano utilizzate nei rituali esoterici proprio con questa funzione di propulsori per l’esperienza di stati alterati di coscienza. A tale proposito sono da segnalare i lodevoli lavori di Albert Hofmann, Tom Robbins ed Aldous Huxley. Il primo nel suo lavoro I misteri di Eleusi ci guida all’interno dei riti misterici che hanno fondato la stessa cultura occidentale e svela come al centro del rituale si trovasse l’uso del kykeon, bevanda allucinogena, vero carburante dell’aeroplano della coscienza nel suo volo per raggiungere l’Assoluto. Il secondo nel suo Il fungo magico ci parla dettagliatamente dell’uso dell’amanita muscaria presso varie popolazioni (dagli abitanti del Messico precolombiano, ai vichinghi, agli antichi Israeliti) ed esprime una teoria della derivazione delle religioni dalle esperienze psicotrope davvero accattivante. L’ultimo nel suo Le porte della percezione, paradiso ed inferno tratta nei particolari le sue esperienze personali con sostanze psicotrope ed espone un’analisi chiara ed esaustiva della relazione che esiste tra gli stati di coscienza risvegliati da tali sostanze e le esperienze del sacro. Quest’ultimo è un testo fondamentale in quanto illustra chiaramente quanto detto sopra, ovvero che l’esperienza dell’Assoluto, come le esperienze del sacro nelle sue varie accezioni non sono altro che stati alterati di coscienza. Mi sento di condividere pienamente l’opinione di Hofmann secondo cui l’uso profano delle droghe non porta ad alcuna realizzazione esoterica ma piuttosto alla distruzione dell’individuo. In tempi moderni il più famoso occultista ad utilizzare abbondantemente sostanze psicotrope in contesti rituali è stato Aleister Crowley, ma sfido chiunque a trovare nella sua persona un briciolo di realizzazione esoterica. Ad ogni modo sembra che la visione esoterica stessa sia stata associata fin da tempi immemorabili con la consumazione di tali sostanze, proprio per l’aiuto che queste apportavano nel raggiungere particolari stati di coscienza. Ci tengo a ribadirlo: l’uso di droghe non è necessario per il conseguimento della realizzazione esoterica, anzi, spesso è dannoso per il fatto di non essere accompagnato dalla ritualità che deve essere connessa all’atto. Se la droga è il carburante che fa andare più velocemente l’aereo della coscienza, è molto più facile perdersi, sbagliare direzione o, peggio, una volta raggiunta la meta non potersi fermare ma finire chissà dove. Riporto una nota a pag 83 di Uomo Donna Natura di Alan Watts: “La contrattura della mentepuò venir temporaneamente rilassata mediante l’uso di alcune droghe, come l’alcool, la mescalina e l’acido lisergico (LSD). Laddove l’alcol offusca la chiarezza della coscienza, non così accade con la mescalina e l’acido lisergico. Di conseguenza queste sono due sostanze, e a volte anche l’ossido di azoto e il biossido di carbonio, inducono stati di consapevolezza in cui l’individuo percepisce la sua identità relazionale con l’intero regno della natura. Anche se questi stati sembrano simili a quelli realizzati attraverso mezzi più “naturali”, differiscono da questi ultimi come nuotare col salvagente differisce dal nuotare senza. Dalla sperimentazione personale, anche se limitata, con un gruppo di ricerca che lavorava con l’acido lisergico, sarei portato a ritenere che lo stato di coscienza indotto dall’acido lisergico si confonde con quello mistico a causa di una somiglianza linguistica nella descrizione dei due. L’esperienza è multidimensionale, come se tutto fosse interno, o implicato, in tutto il resto, e richiede una descrizione paradossale dal punto di vista della logica ordinaria. Ma, laddove la visione della natura che dà la droga è di infinita complessità, lo stato mistico è chiarificante, e dà una visione che è infinitamente semplice. La droga sembra dare all’intelligenza una visione caleidoscopica che “organizza” la percezione delle relazioni in accordo con la sua particolare struttura.” D’altro canto è da notare il fatto accertato del suo uso in svariati contesti rituali e le affinità tra le esperienze del sacro fatte ad esempio da una mistica cristiana come Santa Caterina da Siena e quelle di un esploratore della coscienza del tutto profano e privo di coordinate con cui orientarsi in questa dimensione come Aldous Huxley. La differenza evidente sta’ nell’intenzionalità e nella coordinazione perfetta dei movimenti della mistica contro la casualità ed il carattere effimero delle esplorazioni dello scrittore americano; proprio la stessa differenza di chi si reca in posti sconosciuti, non riesce ad orientarsi e così gira in tondo passando molte volte nello stesso punto e chi invece segue un cammino consequenziale che lo porterà ad una meta ben precisa. L’altro grande carburante della coscienza è il dolore. Tutti i riti in cui il dolore è presente, dalle processioni cristiane, alla danza del sole sioux non sono altro che rituali per mettersi in contatto con l’Assoluto anche per pochi istanti. Digiuni, fustigazioni, cantilene ripetitive e danze estenuanti sono tutte attività che cercano di esasperare la coscienza del soggetto “pietrificata” nello stato di coscienza comune per renderla di nuovo elastica. La coscienza abituale, quello che comunemente viene definito “io” o “personalità” ed i suoi contenuti non sono altro che prodotti del linguaggio che una data società crea spontaneamente al suo interno. Questa identità o “io” altro non è che un contenitore di esperienze ed insieme una precisa posizione all’interno di un sistema di coordinate che è il sistema di miti [1] che una società costruisce nell’ordinare e rendere accessibile e fruibile la realtà. Questa che sembra una tesi forse astrusa o estrema per il pensiero comune contemporaneo, che si basa sulla visione del mondo cartesiana, il cui pilastro portante è proprio l’io, in realtà la ritroviamo in un autore totalmente immerso in tale visione del mondo e del tutto anti-tradizionalista. Si tratta di Ernesto de Martino, la cui tesi sulla magia abbiamo già trattato sopra. Citiamo nuovamente questa posizione per far notare come la concezione dell’io come semplice prodotto del costrutto sociale, di per se insussistente, non è una tesi propria unicamente del pensiero tradizionale, ma un’intuizione universale, aperta a tutti. A tale proposito sono magistrali i primi due brevi capitoli de La via dello zen di Alan Watts nei quali viene espressa con una chiarezza totale la natura dell’io come aggregato artificiale e la realtà che si trova dietro. Qui possiamo aggiungere solo che il contatto sociale, con il ribadire le norme e la posizione dell’individuo al suo interno non fanno altro che solidificare la coscienza all’interno di questo costrutto. La coscienza che di per se sarebbe elastica, aperta a diversi piani di esperienza, per le necessità della sopravvivenza fisico-biologica viene ad essere solidificata in un piano di realtà preciso, la cosiddetta “realtà ordinaria o di veglia” e con il suo solidificarsi “pietrifica” la realtà stessa, dandogli quelle caratteristiche di sussistenza e materialità che vengono giudicate imprescindibili dalla realtà stessa. Una visione simile è espressa dallo psichiatra americano Lawrence Le Shan, specialista nello studio degli stati alterati di coscienza, quando già negli anni '60 affermava che: "Lo stato normale della nostra coscienza è semplicemente un prodotto provinciale della nostra civiltà meccanizzata occidentale. Possiamo benissimo considerarlo come il tipo di coscienza in cui la nostra cultura ammaestra gli individui, ma esistono altri tipi di coscienza altrettanto validi, ognuno con i suoi vantaggi ed i suoi svantaggi [..] Quando si parla di stati di coscienza alterati si intende alterati rispetto al normale, al giusto, al corretto stato di coscienza. Ma non esiste alcuna dimostrazione che lo stato normale è quello giusto. Ogni tipo di coscienza ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, e - per quanto ne sappiamo - nessuno rivela la verità" E ancora: "Dato che noi consideriamo normale e sano lo stato di coscienza non alterato, non ci succede per caso di considerare patologici gli altri stati e malati coloro che percepiscano la realtà in modo diverso? Tornando all'esempio dei chiaroveggenti, che possono vedere in due modi, non li consideriamo forse dei fenomeni patologici? Nel paese degli orbi quello che ha due occhi viene accompagnato dallo psichiatra". Aldous Huxley diceva che la coscienza ordinaria è una diga che frena l’esperienza dell’Assoluto che ci “schiaccerebbe” e così facendo crea questa realtà, permettendo la sopravvivenza. L’ingestione di “piante di potere”, i riti di dolore, il vivere con l’immaginazione i miti, la solitudine, sono tutti metodi per sciogliere la coscienza, ridarle la sua elasticità, ovvero la sua capacità di allineare diversi livelli di esperienza. Questa elasticità viene guidata dalla ritualità come da una guida inconscia verso la meta desiderata. Bisogna anche dire che questi propulsori della coscienza ovvero: droga e dolore vengono usati inconsciamente anche dalle persone comuni per ricevere “dall’alto” ovvero da uno stato di coscienza più profondo o da un “più alto grado di partecipazione all’Essere” la soluzione dei loro problemi. E che tale richiesta di aiuto inconscia ad una realtà “superiore” o “più profonda” viene anche riutilizzato in forme accessibili a tutti, anche alle persone comuni. Ad esempio è il caso dei penitenti cristiani o di coloro che pur non essendo sciamani si imponevano la danza del sole presso i sioux. La differenza è che l’Assoluto o le esperienze intermedie che questi vengono ad incontrare sono passeggere e non diventano stabili come invece vuole l’esoterista. E non è nemmeno questo lo scopo di questi rituali, perché si tratta semplicemente di persone comuni che non desiderano cambiare la loro condizione a livello di coscienza, ma solamente ricevere un aiuto o una risposta e la cercano presso questa Realtà che sanno non li deluderà. [1] Si intenda mito in senso lato, come “forma simbolica” cassireriana, anche se io intendo il concetto di “mitico” in senso molto più allargato, come “forma simbolica” nel suo senso etimologico di narrazione, che comprende in realtà tutte le altre forme simboliche. In altre parole intendo il mito come linguaggio, tecnica ed in sostanza tutte le creazioni del pensiero in quanto espressioni di una facoltà mediatrice in opposizione alla Realtà immediata. |