Parte prima: definizioni, modi, strumenti ed obbiettivi

 

La questione della Segretezza

 

La questione della segretezza è senza dubbio quella parte della dottrina che spiazza di più l’uomo comune.

Perché mantenere il segreto riguardo qualcosa?

Il motivo è semplice, pensa la persona comune, perché non esiste nessun segreto, è solo un modo per mantenere il potere facendo credere nell’esistenza di qualcosa che c’è ma non si può sapere.

Oppure esiste una conoscenza effettiva e va tenuta nascosta per il potere che essa stessa concede a chi la possiede.

Ma siccome la seconda ipotesi sembra essere molto improbabile, visto che da sempre esistono fughe di notizie e quindi si sarebbe venuto a sapere qualcosa, mentre riguardo ad esoterismo ed occultismo le rivelazioni fatte dagli occultisti sono fumose e perlopiù incomprensibili.

E poi tale potere sarebbe evidente, si vedrebbe in giro.

Quindi la questione, pensa l’uomo comune, è come quel gioco che si fa da bambini, di chiudere le mani facendo credere che vi si trova qualcosa che in realtà non c’è.

Ed è proprio il segreto (lo schermo delle mani) a formulare la falsa credenza ed a modificare così il comportamento dell’ascoltatore.

Dunque gli “esoterici” (neologismo che la persona comune usa in modo dispregiativo per indicare indifferentemente esoteristi ed occultisti) si dividono in due categorie: 1 Quelli che ci credono sul serio, ovvero pazzi e creduloni e 2 Quelli che approfittano del gioco per ottenere dei vantaggi.

Queste sono le elucubrazioni della persona comune di fronte alla segretezza, e, in base dati che la persona comune ha a disposizione sono del tutto ragionevoli ed esatte, ed un tempo furono anche le mie.

Ma la questione è un po’ diversa.

Il fatto è che l’esoterismo si basa su alcune esperienze a cui le persone comuni solitamente non hanno accesso.

Immaginate di essere a spasso con un vostro amico\a e questo\a incontra un suo conoscente con cui incomincia a discutere amabilmente.

La discussione si protrae e coinvolge le amicizie e le esperienze comuni dei due, mentre voi ne siete estranei, perché avete conosciuto da poco il vostro amico\a e venite da un altro posto.

Ascoltando la conversazione le sensazioni che proverete saranno, molto probabilmente: 1 incomprensione totale dei discorsi e quindi imbarazzo, 2 noia e disinteresse per questi discorsi di cui comprendete i vocaboli ma non conoscete gli oggetti a cui fanno riferimento e 3 presa di distanza e spinta ad ignorare tale discorso.

Questo accade perché le due persone in questione discutono di esperienze che loro hanno in comune ma voi non conoscete e per questo si genera l’incomprensione che a valanga dà luogo a tutte quelle sensazioni sopra descritte. 

Questo non significa che quello di cui parlano non esiste o si tratta di qualcosa di falso, semplicemente si tratta di esperienze che voi non conoscete.

Se anche voi avrete accesso a tali esperienze, se ad esempio cominciate a frequentare le stesse persone e gli stessi ambienti, arriverete a capire sempre più i discorsi fatti dal vostro amico\a e di tutte le sensazioni di sopra non ne resterà neppure il ricordo.

Questo per quanto riguarda i discorsi che li esoteristi fanno tra loro, ma c’è da aggiungere che buona parte dell’esperienza esoterica non è neppure comunicabile.

L’esoterismo non si insegna, si apprende.

Non si può insegnare a parole se non per allusioni e segni che si riferiscono e stanno per una serie irrinunciabile di esperienze.

Immaginate di dover insegnare a qualcuno a guidare un’automobile potendo solamente spiegarlo a parole.

Impossibile.

Bisogna assolutamente che la persona in questione provi a mettersi al volante un po’ di volte ed esercitandosi impari a guidare.

Certo, i vostri consigli, dal momento che voi sapete già guidare, saranno importanti per imparare, ma la persona deve necessariamente imparare “sul campo”.

Osserviamo poi la natura dei vostri consigli: assomigliano molto di più a cenni e gesti laconici che non a discorsi.

Esattamente la stessa cosa succede nell’esoterismo dove ognuno deve imparare “sul campo” e i consigli che possono essere dati sono cenni ed indicazioni e non discorsi coerenti ed estesi se non riguardo la “teoria di come bisognerebbe guidare” e non il guidare in sé.

Nella visione occidentale si conosce solo quello che si sa ripetere a parole, o in altri termini solo quello che è stato concettualizzato dal pensiero discorsivo.

Infatti si ricorre ad “interrogazioni” ovvero si chiede di esporre un discorso su una questione per verificare se qualcuno conosce tale questione.

In questo senso l’esoterismo, come già detto, non può essere definito una conoscenza.

Tuttavia come il termine Verità applicato all’esperienza dell’Assoluto suggerisce, spesso dagli esoteristi viene indicata come conoscenza superiore per il fatto di essere non-duale come invece è la conoscenza discorsiva necessariamente divisa in vero e falso.

Quindi si tratta di una conoscenza diretta, non-duale e non comunicabile tramite il linguaggio.

Proprio per il fatto di essere una conoscenza diretta e non mediata dal pensiero discorsivo, come è ad esempio la conoscenza scientifica, possiamo usare in senso proprio l’espressione sperimentale, in quanto va sperimentata di prima persona, sulla propria pelle, senza l’uso di nessun intermediario, né uno strumento materiale, né lo strumento mentale del pensiero discorsivo, ma solo tramite la propria coscienza, i propri sensi e la propria volontà.

Di contro la scienza impone esperienze astratte e in terza persona (avete mai fatto esperimenti su un elettrone? No, però credete a quello che vi dicono gli scienziati perché “funziona”) .

Quindi esiste una certa forma di conoscenza che non può essere espressa, è segreta, nascosta, profonda nel senso di interiore (tutti significati contenuti nell’etimologia della parola esoterismo).

Ora passiamo a fare qualche considerazione sul sapere essoterico o discorsivo:

Innanzitutto nella nostra società, come in ogni società, esistono delle organizzazioni che detengono un certo grado di potere (nel nostro caso la chiesa, la scienza e l’industria).

L’individuo può accedervi assumendo precisi dogmi e modalità rituali di comportamento.

Questo attraverso una forma di contrattualismo del tipo “se tu ti comporti così e cosà avrai da parte nostra questi vantaggi”.

In realtà questo adattarsi a precisi standard di comportamento e pensiero è una forma più o meno latente di lavaggio del cervello, in quanto l’individuo interiorizza rituali e schemi di pensiero in modo che diventano costitutivi del suo stesso essere, diventano i limiti entro cui si trova a vivere la sua realtà.

Entrare in queste organizzazioni è un grande vantaggio per l’individuo sia dal punto di vista materiale che soprattutto nei termini di soddisfazione del proprio bisogno di potere; d’altronde bisogna dire che spesso la cosa si presenta come una scelta obbligata per la sopravvivenza stessa o l’esistenza a delle condizioni di vita materiali e sociali accettabili.

Quando parlo di soddisfazione del bisogno di potere dell’individuo intendo il bisogno intrinseco di ogni rappresentante del genere umano di esercitare il suo potere sul mondo.

L’esercizio di questo potere è spesso comunitario e quindi si lega indissolubilmente al riconoscimento sociale che deriva dall’uso del potere da parte dell’individuo.

Aprendo una breve parentesi, in questa ottica non devono stupire gli inquisitori e i fanatici (della religione, della scienza o di ogni altra organizzazione) perché si tratta di individui che difendono la soddisfazione di un loro bisogno naturale primario, proprio come il cibo o il sesso.

Il problema di tutto questo processo è proprio il lavaggio del cervello o meglio il condizionamento, che differisce dal cosiddetto lavaggio del cervello nel fatto che i soggetti non sono consapevoli di tale azione e non vedono coloro che la perpetuano (ovvero professori, sacerdoti e mass media) come “nemici” ma spesso ne hanno piuttosto una visione positiva, derivante proprio da questo condizionamento subito già in tenerissima età.

Pensate criticamente alla vostra educazione: voi pensate che due più due fa quattro non per un’evidenza come vorrebbero farci credere i razionalisti (perché altrimenti non vedo perché i maestri debbano affaticarsi tanto mettendo insieme mele, sassolini od altri ausili simbolici per spiegare qualcosa che il bambino dovrebbe conoscere già); ma piuttosto perché questo meccanismo mentale vi è stato inculcato per mezzo di una serie infinita di esempi e ripetizioni.

L’elemento psicologico in questo processo è preponderante.

Se non si interiorizzano nozioni e schemi mentali si viene biasimati dall’insegnante e a volte dai compagni stessi, altrimenti si viene elogiati e premiati.

Pensate che perfino i genitori, figura unica e centralissima, sono complici a loro volta di questo meccanismo di condizionamento premiando con affetto e doni materiali l’assoggettamento dei figli all’ordine concettuale e di contro castigandoli affettivamente e materialmente quando non si lascino imprigionare in queste gabbie interiori.

Ovviamente maestri e genitori non hanno alcuna colpa dal momento che dal loro punto di vista questo è un comportamento del tutto giusto, perché così facendo garantiscono ai bambini l’adattamento indispensabile all’accesso futuro in quelle organizzazioni che sono così necessarie e positive per la loro vita.

Ma in questo ambito non sto discutendo sulle responsabilità individuali di ognuno in questo processo, né delle sue cause che mi sembra di aver già chiarito, ma piuttosto delle sue modalità e delle sue conseguenze.

Sarà chiaro ora che tutto questo processo chiamato “educazione” non è altro che un brutale condizionamento pavloviano basato su premi, punizioni e schemi indotti.

Tale condizionamento imprigiona l’individuo in precisi dogmi e rituali di comportamento che diventano vere e proprie barriere oltre le quali egli non può vedere; viene mutilato degli orizzonti che potrebbe possedere per creare un orto recintato ed unicamente entro questi limiti gli è consentito di costruire la propria realtà.

Ma per capire meglio come avviene l’imprigionamento dell’individuo facciamo un passo indietro:

la tendenza naturale dell’uomo ad imbrigliare gli eventi in uno schema mentale che ne mostri la ripetitività e renda quindi possibile un’azione effettiva nel mutare gli eventi ha portato alla creazione di una grande mole di esperienze registrate, ovvero di dati.

La memoria umana naturale si è mostrata però troppo limitata per immagazzinare tutta questa mole di dati e la trasmissione orale poco funzionale per quanto riguarda la divulgazione di tali informazioni.

Ecco allora nascere la scrittura e alla creazione di magazzini di informazioni infinitamente più grandi della capacità dell’individuo di gestirli ed utilizzarli.

Qual è il problema di tutto questo?

Che ogni notizia appresa (anche oralmente, si intende) deve essere assunta come un dato di fatto su cui possiamo formulare giudizi basandoci sulle nostre esperienze ma che necessariamente non abbiamo vissuto nella loro unicità (a meno che, ovviamente non fossimo presenti, ma qui sto parlando delle informazioni indirette ).

L’informazione per il destinatario è un’esperienza vissuta per procura, attraverso il gioco del messaggio letto attraverso le esperienze del destinatario.

Ma è sempre e comunque un esperienza non vissuta, su cui si possono effettuare molti giudizi (è vera, è falsa, l’accetto, la rifiuto ecc.) ma va comunque presa come un dato di fatto.

Questo è il punto, l’informazione è comunque un “a priori” un dato che viene accolto senza una corrispettiva esperienza.

La stragrande maggioranza delle informazioni che le persone istruite conservano in memoria e/o apprendono sono accolte come “a priori” dettate da una terza persona.

Ecco dunque che tali persone si trovano a vivere in un mondo non fatto di esperienze ma di dati, di quel gioco tra messaggio e vissuto personale di cui si parlava sopra.

Già Ghelen ha parlato del linguaggio come “esonero” ovvero un qualcosa che ci esonera dall’avere presente una tale esperienza, di poterla indicare dal di fuori, anche senza averla vissuta.

La tanto elogiata educazione essoterica consiste  sostanzialmente nell’acquisizione di una serie di nozioni e processi mentali dati “a priori” dalla società, ovvero dall’esterno.

In questa prospettiva lo studente “creativo” è quello che usa con maestria tali nozioni e processi appresi a priori.

Ma perché bisognerebbe credere in queste nozioni?

Tutte queste informazioni vengono dal di fuori, possono essere vere o false ma rimangono estranee, non sono Tue perché non fanno parte di te, sono materiale inerte depositato nel magazzino della memoria.

Attraverso la sedimentazione di nozioni (dogmi) e di processi mentali (rituali d’azione) le organizzazioni che detengono il Potere imprigionano l’individuo “dal di dentro” senza che egli se ne accorga, facendogli credere che pensa ed agisce del tutto liberamente, quando invece pensa ed agisce uniformemente agli schemi dell’organizzazione stessa.

Un piccolo esempio che credo sia il più esplicativo in assoluto: Robinson Crousoe, quello che da molti viene ritenuto il primo romanzo moderno, mostra proprio come un uomo del tutto libero da ogni costrizione sociale e legale non sia in grado di agire e pensare in modo diverso da quello che aveva appreso nella propria società.

Per prima cosa fa un catalogo di cose dividendole in buone e cattive, riassumendo così il succo di tutta la morale cristiana da una parte e della pratica mercantile dall’altra.

Incontra un autoctono e lo prende come schiavo, convivendo si, ma pensando a lui sempre come una bestia e col pensiero fisso di cristianizzarlo.

La cosa che da sempre mi ha impressionato di questa storia è che le sue azioni sono condizionate in modo spaventoso in una situazione in cui la sua libertà dovrebbe essere pressoché totale.

Sorpresa! Quando non c’è il limite “fisico” troviamo che la coscienza è già limitata “dal di dentro”.

Questa facoltà di pensare ed agire in modo condizionato è chiamata ragione ed in tutto l’occidente si tessono gli elogi a questa facoltà autolimitante ed autocastrante che fa agire nel modo “migliore”, dove ovviamente il giudizio di migliore è espresso da altri individui della stessa società e quindi condizionati alla stessa maniera.

Ho sempre trovato stranissimo e malsano questo elogio infinito a questa facoltà razionale con cui l’individuo si autoimprigiona.

Un altro esempio: un test di psicologia per valutare la creatività consiste nel porre su un tavolo una scatola di fiammiferi, una candela, dei chiodi e un martello.

Si chiede quindi ai soggetti di appendere la candela al muro e di accenderla.

Solo a una percentuale molto esigua di soggetti viene in mente una cosa molto banale come quella di utilizzare la parte interna della scatola di fiammiferi come contenitore da fissare al muro e poggiarvi sopra la candela.

Perché?

Perché sono prigionieri della funzione normalmente assegnata agli oggetti, ovvero degli schemi “razionali” della via di tutti i giorni.

La creatività è solamente una certa elasticità nell’uso degli schemi o, a volte, l’assenza degli schemi stessi.

Le persone che  non sono creative sono proprio quelle che hanno interiorizzato gli schemi con maggiore forza, o meglio quelle che sono state condizionate meglio.

Non starò a sottolinearvi come tali individui siano molto più benvoluti ed incentivati dai vari centri di potere perché sono affidabili, prevedibili, fedeli, in una parola facilmente dominabili (anzi addirittura autodominati).

L’approccio esoterico alla Realtà è del tutto differente.

Tutte le conoscenze acquisite subiscono un processo in cui vengono giudicate fallaci ed inconsistenti senza appello.

Un processo simile a quello compiuto da Al-Ghazali nella sua opera Salvezza dalla perdizione o più vicino a noi da Cartesio nel Discorso sul metodo e nelle Meditazioni metafisiche solamente che a differenza di quest’ultimo,l’esoterismo non punta ad una nuova costruzione intellettuale che conduca alla certezza, ma l’esito del processo è proprio il riconoscimento della fallacia intrinseca in ogni conoscenza intellettuale.

Interessante notare come la nascita filosofica del metodo delle scienze moderne sia prodotta proprio a partire da questo processo in cui la certezza del sapere acquisito viene messa in dubbio, processo che è alla base del cammino esoterico.

E proprio dal fallimento di questo processo nascerà il Metodo; ma di questo avrò modo di parlare più avanti.

L’individuo in questo stadio si chiede innanzitutto cosa pensa Lui, indipendentemente dalle nozioni esterne.

Con questo primo passo l’individuo cessa di essere un centro di pensiero (penso dunque sono) ma diventa un centro di esperienza-azione.

Da notare come questo sia un processo del tutto naturale, che tutti subiscono nell’adolescenza ma che nella società occidentale è visto come pura crisi emotiva e dunque non trova alcuno sbocco.

Per questo tale spinta naturale è soffocata nella ricerca di palliativi oppure causa il famoso “disagio giovanile” o “esistenziale” , condito di domande senza costrutto perché condizionate a cercare un sapere intellettuale, quando invece costituiscono vere e proprie forze propulsive verso l’esperienza dell’Assoluto.

In questo periodo ci si rende conto d’un tratto che la Realtà, la percezione, non ha niente a che fare con tutte le nozioni e gli schemi mentali che abbiamo assorbito e ci imprigionano.

Nessuno da fuori può indicarti la Realtà.

Ogni realtà indicata dal linguaggio non è reale ma gioco di messaggio ed esperienze immagazzinate nella memoria del ricevente.

E tutto il sapere essoterico è linguaggio!

Pensateci un po’, vedete il vostro mondo attraverso dei segni che per voi ha tracciato qualcun altro!

E se anche costui fosse attendibile, vivete comunque in un mondo di segni (o schemi, come preferite) e non di certo nella Realtà!

Dunque l’esoterismo è basato sulla percezione diretta della Realtà, cosa che non è da confondersi con una percezione puramente sensibile.

La percezione diretta della Realtà è uno stato di coscienza ben preciso; è uno stato in cui le impressioni (che sono sempre interne) giungono in modo diretto alla coscienza. 

Questo non significa che nella visione esoterica sia negata l’esistenza della realtà esterna, semplicemente si ha coscienza che la Realtà esperita è quella formata dalle impressioni interne che possono anche essere riflessi di sensazioni esterne al soggetto, ma sono esperite solo nel momento in cui divengono impressioni.

A questo punto sono due i cardini che regolano la visione esoterica e causano la segretezza: il primo è l’esperienza diretta, non mediata dal linguaggio che viene mirabilmente espressa dalla sentenza biblica “La lettera uccide, lo spirito vivifica”.

Il secondo è l’indicazione di come trovare questa esperienza che va cercata nell’interiorità dell’individuo luogo di  percezione della Realtà, norma riassunta nel motto Agostiniano “homo, noli fore te ire…”

 

 


 

 

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PrefazioneCosa è l'EsoterismoLa Questione della Tradizione La questione della Segretezza

I Metodi dell'EsoterismoIl problema della Coscienza Le linee generali della DottrinaIl concetto di Verità

Il concetto di ParadigmaLinguaggio, Concetto e SimboloL'Immagine e il SimboloEsoterismo, Storia e Società

Bibliografia