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ARGOMENTO. - I. Si cerca il motivo per il quale é detto che Isaia fu purificato da un angelo del primo, e non dell'ultimo ordine. - II. Si risponde che quest'angelo non fu certamente un Serafino, ma che gli fu dato quel nome per la funzione che adempiva. - III. Si riferisce un'altra opinione: che cioè l'inviato celeste apparteneva in realtà all'ultimo ordine della gerarchia celeste, ma poiché gli era stata affidala quella missione dagli spiriti superiori, gli fu attribuito legittimamente quel nome, per lo stessa ragione per cui si può dire che un Pontefice conferisce gli ordini per mezzo del ministero dei Vescovi e il battesimo per mezzo del ministero dei preti, quando essi ricevono da lui il loro rispettivo potere. - IV. Si descrive la visione di Isaia, nella quale il Signore appare sopra il suo trono, circondato di Serafini, e si spiega come Isaia fu purificato, e si spiegano gli altri misteri di questa visione.

 


 

I. Fermiamoci ancora a considerare perché é detto che un Serafino fu inviato ad uno dei nostri teologi, dacché si domanda giustamente come mai sia stato destinato a purificare il profeta una delle più sublimi intelligenze, invece d'uno fra gli spiriti inferiori.  

 

II. Qualcuno, per eliminare tale difficoltà, invoca prima di tutto quella intima analogia che esiste fra tutte le celesti nature: ciò posto, la Scrittura non indicherebbe che una intelligenza del primo ordine fosse discesa per purificare Isaia, ma soltanto che uno degli angeli che presiede alla nostra gerarchia ricevette in quel caso il nome di Serafino, unicamente per la funzione che egli stava per compiere, e perché doveva togliere col fuoco l'iniquità dal profeta e risuscitare nella sua anima purificata il coraggio di una santa obbedienza. Così i nostri oracoli parlerebbero qui, non già di uno fra i Serafini che circondano il trono di Dio, ma di una di quelle Virtù purificanti che stanno immediatamente sopra noi.

 

III. Un altro mi suggerì, relativamente a questa questione, una soluzione che non è del tutto priva di senno. Secondo lui, qualunque fosse la sublime intelligenza che con questa visione simbolica iniziò il profeta ai segreti divini, riferì prima a Dio, e poi alle prime gerarchie, il glorioso potere che gli era toccato in sorte, e cioè di comunicare in quella occasione la purità. Ora, é vera questa ipotesi? Colui che me la espose la spiegò in questo modo: La virtù divina raggiunge e penetra intimamente ogni cosa con la sua libera energia, quantunque in far ciò essa sfugga a tutti i nostri sguardi, tanto per la sublimità inaccessibile della sua pura sostanza, quanto a cagione delle vie misteriose per mezzo delle quali esercita la sua provvidenziale attività. Con ciò non si vuol dire tuttavia che non si manifesti affatto alle nature intelligenti nella misura che esse ne sono capaci; poiché, conferendo la grazia della luce agli spiriti superiori, per mezzo di essi la trasmette agli spiriti inferiori con armonia e perfezione, nella misura che la condizione e l'ordine di ciascun d'essi comporta. Ci spiegheremo più chiaramente per mezzo di esempi, i quali sebbene mal convengano alla suprema eccellenza di Dio, pure aiuteranno la nostra debole intelligenza. Il raggio del sole penetra facilmente quella materia limpida e leggera che incontra prima di tutto, e dalla quale esce pieno di luce e di splen dore; ma se si riflette su corpi più densi, per quello stesso impedimento ch'essi oppongono naturalmente alla diffusione della luce, non brilla più che d'una luce velata e fosca, e via via affievolendosi gradatamente, diventa quasi insensibile.

Similmente il calore del sole si trasmette con più intensità agli oggetti che sono più suscettibili di riceverlo e che si lasciano più agevolmente assimilare dal fuoco; in seguito la sua azione apparirà come nulla o quasi nulla a contatto con certe sostanze che gli sono opposte o contrarie; infine, e ciò è ammirabile, raggiungerà, per mezzo delle materie infiammabili, quelle che non sono tali, dimodochè, in determinate circostanze, invaderà prima i corpi che hanno con lui qualche affinità, e per mezzo di essi si comunicherà mediatamente tanto all'acqua, quanto ad ogni altro elemento che sembra respingerlo. Ora, questa legge del mondo fisico si ritrova nel mondo superiore. Ivi il sommo autore di ogni bell'ordine tanto visibile che invisibile, fa brillare prima di tutto sulle sublimi intelligenze gli splendori della sua dolce luce, e quindi i santi e preziosi irradiamenti passano mediatamente sulle intelligenze subordinate. Così quelle che per prime sono chiamate a conoscere Dio, e nutriscono l'ardente desiderio di partecipare alla sua virtù, si elevano all'onore di ricopiare veracemente in se stesse, per quanto é possibile alle creature, quella augusta immagine, e dipoi si applicano con amore ad attirare verso lo stesso fine le nature inferiori, facendo loro pervenire i ricchi tesori della santa luce, che queste continuano a trasmettere ulteriormente.

Così ciascuna comunica il dono divino a quella che la segue, e tutte partecipano, secondo il loro grado, alla munificenza della Provvidenza divina. Dio è dunque, usando un linguaggio appropriato, realmente e per natura, il principio supremo di ogni luce, perché è l'essenza stessa della luce, e perché l'essere e la visione vengono da lui; ma a sua imitazione e per i suoi decreti ogni natura superiore è in certo modo principio d'illuminazione per la natura inferiore, poiché a guisa d'un canale, lascia scorrere fino a questa le onde della luce divina. Perciò tutti gli ordini degli Angioli considerano giustamente il primo ordine della celeste milizia che vien subito dopo Dio, come il principio di ogni sacra conoscenza e di ogni pio perfezionamento, inviando esso a tutti gli altri beati spiriti, e quindi anche a noi, i raggi dell'eterno splendore. Da ciò consegue che, se essi riferiscono a Dio le loro auguste funzioni e la loro santità, come a Colui che é il loro creatore, d'altra parte le riferiscono anche alle più elevate tra le pure intelligenze che sono chiamate per prime a compierle e ad insegnarle alle altre.

Il primo ordine delle gerarchie celesti possiede dunque, in maggior misura di tutti gli altri, e un divorante ardore e una larga parte nel tesoro della saggezza infinita, e la sapiente e sublime esperienza dei misteri sacri, e quella proprietà dei Troni che annunzia una intelligenza continuamente preparata alle visite della divinità. Gli ordini inferiori partecipano, è vero, all'amore, alla saggezza, alla scienza, all'onore di ricevere Dio; ma queste grazie non giungono loro che più debolmente ed in modo subalterno, e non si elevano verso Dio se non per mezzo dell'aiuto degli angeli superiori, che furono per primi arricchiti dei benefici celesti. Ecco perché le nature meno sublimi riconoscono per loro iniziatori questi spiriti più nobili, riferendo prima a Dio, e poi ad essi, le funzioni che hanno l'onore di compiere.

 

IV. Il nostro maestro diceva adunque che la visione era stata manifestata al teologo Isaia da uno dei santi e beati angioli che presiedono alla nostra gerarchia, e che il profeta, in tal modo illuminato e condotto, aveva goduto quella contemplazione sublime, nella quale, per parlare un linguaggio simbolico, gli apparvero le più alte intelligenze assise immediatamente al di sotto di Dio e circondanti il suo trono; e, in mezzo al corteggio, la sovrana maestà nello splendore della sua essenza ineffabile, elevantesi su quelle Virtù sì perfette. In queste visioni il profeta intese che la Divinità, per la superiorità infinita della sua natura, supera senza confronto ogni potenza visibile ed invisibile, e che è assolutamente separata dagli altri esseri e non ha nulla di simile neppure alle più nobili sostanze; imparò che Dio è il principio e la causa di tutte le nature, e la base incrollabile della loro permanente durata, e che da lui dipendono l'essere e il benessere anche della creature più auguste; seppe inoltre quali sono le virtù interamente divine dei Serafini, il cui nome misterioso esprime così bene l'ardore infiammato, come diremo un po' più avanti, quando, secondo la nostra possibilità, cercheremo di spiegare come l'ordine serafico si elevi verso il suo adorabile modello. Il libero e sublime sforzo col quale gli spiriti dirigono verso Dio il loro triplice potere, é simboleggiato dalle sei ali delle quali sembravano rivestiti agli occhi del profeta. Parimente quei piedi e quei volti innumerevoli che la visione faceva passare sotto il suo sguardo, gli servivano di insegnamento, nello stesso modo delle ali che velavano i piedi, di quelle che velavano il volto e di quelle che sostenevano il costante volo degli angeli; poiché, penetrando il senso misterioso di questo spettacolo, egli intendeva di quale vivacità e potenza di intuizione sieno dotate quelle nobili intelligenze, e con quale religioso rispetto si astengano dal ricercare con temeraria ed audace presunzione i profondi e inaccessibili segreti di Dio, e come si studino d'imitare la Divinità con infaticabile sforzo e in un concerto armonioso. Egli intendeva quell'inno di gloria sì grandioso e sempre ripetuto, poiché l'angelo gli comunicava la scienza, per quanto gli era possibile, nel tempo stesso che gli metteva la visione sotto gli occhi.

Infine il suo celeste iniziatore gli faceva conoscere che la purità degli spiriti, qualunque essa sia, consiste nella partecipazione alla luce e alla santità immacolata.

Ora Iddio stesso, per ineffabili motivi e per un'opera incomprensibile, comunica questa purità ad ogni creatura spirituale; ma essa é assegnata più abbondantemente e in modo più evidente a quelle Virtù supreme che circondano più d'appresso la Divinità. Per ciò che riguarda e gli ordini subalterni della gerarchia angelica e la gerarchia umana tutta quanta, quanto più un'intelligenza é lontana dal suo augusto principio, più il dono divino che giunge a lei diminuisce di splendore e si nasconde nel mistero della sua unità impenetrabile. Esso raggia sulle nature inferiori attraverso alle nature superiori, e per dir tutto in una sola parola, esce per mezzo del ministero delle potenze più alte, dal fondo della sua adorabile oscurità. Così Isaia, santamente illuminato da un angelo, vide che la virtù purificatrice e tutti i divini ordini che per primi son ricevuti dagli spiriti più sublimi, scendono subito dopo su tutti gli altri, a seconda della capacità che trovano in ciascuno di essi. Perciò il Serafino gli apparve come l'autore, dopo Dio, della purificazione che egli descrive. Non é dunque irragionevole l'affermare che un Serafino purificò il poeta. Perché, come Dio purifica ogni intelligenza, precisamente perché egli é il principio d'ogni purità; ovvero, per servirmi di un esempio familiare, come il nostro Pontefice quando purifica e illumina per mezzo del ministero dei suoi diaconi e dei suoi preti, si dice giustamente che purifica e illumina, poiché coloro che egli ha elevati agli ordini sacri ripetono da lui le loro nobili funzioni; così quelli'angelo che fu scelto per purificare il profeta attribuì la scienza e la virtù del suo ministero anzitutto a Dio, come alla causa suprema, e poi al Serafino, come al primo iniziatore creato. Possiamo dunque figurarci l'angelo nell'atto di istruire Isaia con queste pie parole: «Il principio supremo, l'essenza, la causa creatrice di quella purificazione che opero in te, é Colui che ha dato l'essere alle più nobili sostanze, che conserva immutabile la loro natura e pura la loro volontà, e che le invita a partecipare per prime della sua provvidenziale sollecitudine». (Questo significa l'ambasciata del Serafino al profeta, secondo il parere di colui che mi spiegò questa questione). «Ora, quegli spiriti sublimi, nostri pontefici e nostri maestri, dopo Dio, nelle cose sante, che mi hanno insegnato a comunicare la divina purità, sono quelli che per mezzo mio ti purificano, e di cui il benefico autore di ogni purificazione impiega il ministero per trarre dal suo segreto, e inviare agli uomini i doni della sua attiva provvidenza». Ecco ciò che m'insegnò il mio maestro, e che io ti trasmetto, o Timoteo (Timoteo era collega a Dionigi nel sacerdozio e amico di lui. A Timoteo sono dedicati anche i libri dei Nomi Divini e della Teologia Mistica ). Ora lascio alla tua scienza e al tuo discernimento di risolvere la difficoltà per mezzo del l'una o dell'altra delle ragioni proposte, e di preferire la seconda come ragionevole e bene immaginata, e forse come più esatta; o di scoprire colle tue proprie investigazioni qualche cosa di più conforme alla verità; o, infine, con la grazia di Dio che dona la luce, e degli Angeli che ce la trasmettono, d'imparare da qualche altro una miglior soluzione. In questo caso, fammi parte della tua buona fortuna; poiché il mio amore per i santi Angeli si rallegrerà di possedere dei dati più chiari intorno a questa questione.

 


 

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