Titolo originale: Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Eine ideengeschicht: liche BetrachtungEine ideengeschicht: liche Betrachtung.
 

Dal vol. 17, anno 1980, R.·.L.·. Quatuor Coronati di Bayreuth.

 

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© Alfred Schmidt

La questione dei rapporti fra Massoneria e Rosacrocianesimo appartiene ai vecchi temi delle ricerche massoniche. Ma ciò non vuol dire che si siano raggiunti risultati soddisfacenti. Nell’esaminare la vastissima letteratura primaria e secondaria, ci si imbatte in un groviglio, all’inizio scoraggiante, dì credenze storiche, di leggende, di verità, di possibilità. Alcuni autori considerano i rappresentanti del movimento Rosacroce del 17° secolo come i diretti progenitori della Massoneria inglese del 1717, altri (1) ritengono che i Rosacroce siano stati essi stessi già dei Massoni. Altri storici propongono due binari storico ideologici, relativamente autonomi, e ne indagano le influenze e le reciproche interferenze. La questione del Rosacrocianesimo nella storia delle origini della Massoneria non è assolutamente di facile spiegazione. Anche la simbologia di alcuni gradi superiori permette soltanto delle supposizioni.


Nel 18° secolo, all’epoca del massimo splendore nell’Europa occidentale delle associazioni massoniche e rosacrociane, la Libera Muratoria, come organizzazione già consolidata, era palesemente più la parte offerente che non ricevente. Lo confermano i testi pubblicati dal F.·. Beyer nel 1925 su Gli insegnamenti dell’Ordine della Rosa+Croce d’Oro (2). Questo sistema è nettamente diverso dalla attuale Massoneria per le sue caratteristiche di catechismo razionale, che non permette nemmeno l’introduzione di una vicenda rituale. A ciò si riferisce il F.·. von Pölnitz nella sua introduzione al lavoro di Beyer. Nella Croce d’Oro e nella Rosacroce egli vede una discendenza della Massoneria con allusioni alchemiche, cui manca l’autonomia di un vero legame attraverso i misteri, al quale invece appartengono (3) leggende proprie e una simbologia originale. D’altra parte i sistemi massonici alla fine del 18° secolo sono abbondantemente permeati di elementi rosacrociani.
 

Se questi oggi rappresentavano qualcosa di più di semplici sovrapposizioni, che risultano lontane allo spirito illuministico della Massoneria (4), non ne deriva che al Rosacrocianesimo non si possa attribuire una reale importanza per la Massoneria. Effettivamente si può notare che le radici storico spirituali della Massoneria, nella misura in cui essa rappresenta qual cosa di moderno e di specifico, si ritrovano nell’antico, autentico Rosacrocianesimo del 17° secolo, che non deve essere confuso con la sua fiorente evoluzione del 18° secolo.


Il presente articolo esamina le influenze del Rosacrocianesimo sull’evoluzione storica della Massoneria alla luce della migliore letteratura sull’argomento. Non si tratta di una tesi dogmatica: mi sono preoccupato di citare quei fatti relativamente accertati, che devono venir presi in esame se ci si vuole orientare nella problematica tanto complessa dei rapporti fra Massoneria e Rosacrocianesimo, qualunque sia l’interpretazione cui si perverrebbe.


Il passaggio dal 16° al 17° secolo fu per L’Europa un periodo di irrequietezza e di fermenti. Gli uomini consideravano antiquati i loro principi di vita sociale e culturale. Il carattere obbligatorio delle credenze tradizionali sembrava pericolante. Stava sorgendo una nuova visione del mondo. La nuova fisica stava imparando a leggere, con una metodica, nel libro della natura. Allo spirito empiristico di rigorose sperimentazioni si unì un razionalismo che dette vigore solo a quello che reggeva di fronte a una sovrastante intelligenza.
 

Bacone e Cartesio, i grandi metodologi, erano gli araldi di una nuova epoca. Le «cose» dettero la misura del ragionamento critico. Il principio, lucido e calcolato, di una borghesia che stava emancipandosi dai poteri del passato, si sentiva dovunque. Scienza e fede si allontanavano talmente l’una dall’altra che anche il protestantesimo si irrigidì nell’ortodossia. Stato e Chiesa esigevano una riforma. Le migliori teste europee sentivano il peso della decrepitezza, altrettanto ansiogeno quanto la paura del futuro.
In questo fragile periodo di transizione risuonò improvvisa la nuova parola d’ordine, ancora oggi valida: ricostruzione generale di tutto il mondo.

Essa fu sostenuta da un gruppo di persone che si autodefinivano Rosacrociani, sparse, inafferrabili, avvolte nel mistero. Si trattava di cristiani profondamente inquieti, aperti ai problemi del mondo, provenienti per lo più dalle chiese riformate, che perseguivano una sintesi, conforme alla svolta storica, di fede e di scienza, di religione e di razionalità.

Iddio -essi ne erano persuasi - si manifesta sia in maniera sensibile che soprasensibile. Comunque, al di sopra di ogni separazione preesistente, tutto deve tendere verso una unità superiore.

Alfonso Rosenberg così descrisse il punto centrale programmatico dei Rosacrociani:

 

«Per essi creazione e redenzione, il dono divino della grazia e la cultura umana erano scaturiti da un’unica radice ... e indicavano un’unica meta futura. L’umanità intera, d’ambo le parti, il mondo intero nel profano e nel divino. Questa era la meta della loro visione. Un respiro attraversò il mondo di allora: dunque questa vita di contrasti doveva venir vinta; dunque era possibile ricongiungere in Cristo tutto quello che era stato e quello che sarà, il mondo interiore ed esteriore. Questi furono gli uomini che fecero rivivere la Croce, unica Spes. Ma ora non si trattava più dell’isolata Croce della Passione, ma come il nome stesso del movimento indicava, “la Croce nella Rosa”: la Croce come segno di redenzione nella Rosa, il segno della multiforme creazione, della natura, del mondo» (5).


In altre parole il nuovo insegnamento promette l’unificazione della vita scissa.

Coraggiosamente esso solleva la materia a una coscienza religiosa, insegnando francamente la sua conformazione cristica. A una interiorizzazione mistica corrispondeva una religiosità universale, spesso accompagnata da audaci speculazioni naturali. Sembra possibile conciliare l’astratto e il concreto, fede e scienza, nell’idea di un Cristo antidogmatico, di grandezza cosmica. È sorprendente quanto diversi, per nazionalità ed estrazione sociale erano gli uomini che agivano come propagandisti dell’annuncio rosacrociano di salvezza. Tra questi l’italiano Campanella, frate domenicano e social utopista; Johannes Arndt, mistico protestante; Amos Comenius, il famoso pedagogista ceco; il medico inglese Robert Fludd; Christoph Besold, insegnante di diritto a Tubinga e teologo; e infine il suo allievo Valentin Andreae, al tempo della sua fama europea studente di teologia a Tubinga, poi predicatore di corte a Stoccarda.


Prima di studiare più a fondo il movimento rosacrociano della riforma bisogna ritornare alla filosofia del Rinascimento e dell’Umanesimo, che costituisce una delle sue fonti principali. Si devono ricordare tre principi fondamentali, il primo dei quali, l’infinità spaziale dell’universo, si riconduce alla meccanica celeste di Copernico, Keplero e Galilei. Nicolò Cusano lo anticipa, Giordano Bruno fonda su di esso la sua cosmologia speculativa (6). Secondo essi, la terra è un corpo celeste fra gli altri pianeti e si muove con essi attorno al sole. Come le nostre conoscenze possono fare progressi all’infinito, così anche l’universo da conoscere deve essere infinito.
 

Il secondo concetto agl’inizi della nuova era si riferisce alla unità dello spirito e della natura. Accanto a Bruno, esso è sostenuto in modo decisamente risoluto dal famoso medico e filosofo naturalista Paracelso. Per lui la filosofia è una natura invisibile e la natura è una filosofia visibile. Tutte le cose in natura, insegnava Paracelso, si trovano in reciproca correlazione simpatetica. Tutte hanno un’anima e sono costruite in maniera simile l’una all’altra. Dato che gli avvenimenti nel mondo del macrocosmo riflettono il destino del microcosmo, l’uomo, dalla posizione delle costellazioni si può leggere la sua sorte. Ecco la motivazione (ancora oggi difficilmente comprensibile) della funzione dell’astrologia nel pensiero del Rinascimento.
 

Il terzo pensiero riguarda l’emancipazione dell’individuo. L’idea della libertà, proveniente dalla natura, generò nei neoplatonici Marsilio Ficino e Pico della Mirandola il concetto dell’autonomia di tutti gli esseri all’interno di un universo qualitativamente graduato. Così, per Pico della Mirandola, nel suo scritto La dignità dell’Uomo, Dio, l’Artefice Supremo si rivolge all’Uomo:


«A te, Adamo, non assegnammo né una residenza determinata né un aspetto particolare né un patrimonio esclusivo, perché tu Possa avere qualunque dimora tu voglia, qualunque aspetto tu desideri e tutti i doni che preferisci, secondo la tua volontà. Per tutti gli altri viventi, la natura degli esseri viventi è legata alle leggi da noi statuite e sarà quindi mantenuta entro quei limiti. Ma tu non sei ostacolato da limiti insuperabili; anzi secondo la tua propria libera volontà, nelle cui mani io ho posto il tuo destino, addirittura predestinerai da te stesso a te stesso quella natura. Io ti ho collocato al centro del mondo, perché tu possa guardarti attorno e conoscere tutto quanto c’è in questo mondo. Noi non ti abbiamo creato né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché. tu quasi modellatore e poeta assolutamente libero e retto governatore, ti possa dare da te stesso quella forma che ti sarai scelta per vivere. Sei libero di degenerare nel mondo inferiore degli animali: sei altrettanto libero di elevarti nel mondo superiore della Divinità, per decisione del tuo spirito». (7)


Questa libertà nella figura umana, così energicamente descritta da Pico, venne completata da Paracelso, secondo il quale l’Uomo operoso non affronta la natura, il suo laboratorio, come un dominatore a essa ostile che la manipola dall’esterno. Egli trasforma le cose, ma rimane sempre in sintonia con esse, quale collaboratore al processo creativo della natura. Il suo lavoro (transmutatio) realizza le possibilità obiettive della materia e le conferisce quindi un maggior valore. «Perché la natura - dice Paracelso - è così sottile e tanto severa nelle sue cose che non vuole sia usato nulla senza una grande arte. Perché essa nulla fa alla luce del giorno che possa essere compiuto istantaneamente, ma è l’uomo che deve completare l’opera: e questo compimento si chiama Alchimia ... Quindi ciò che proviene dalla natura per essere utile all’uomo, e colui che perviene all’ordine stesso della natura, quegli è un Alchimista» (8).


Torniamo indietro al pensiero rosacrociano degli inizi del 17° secolo. Due concetti richiamano anzitutto la nostra attenzione: teosofia e pansofia. La teosofia è una ricerca dell’assoluto nella natura, indipendentemente dall’autorità religiosa, che procede con tendenze mistiche ma che in alcun modo deve essere aprioristicamente anticristiana. Al riguardo è significativo dal punto di vista storico filosofico il caso del seguace di Paracelso, il mistico della filosofia Jakob Böhme (1575-1624). La concezione teosofica del mondo è panteistica: Dio non è una persona, bensì identico al mondo, totalmente compreso in ogni sua parte: omnia ubique. Pertanto il mondo, come nello Spinozismo, deve essere considerato un ordine statico, geometrico oppure, secondo Böhme, dinamico, la cui armonica unità dialettica della natura va collegata all’eterno reciproco conflitto delle forze.
Un’importante variante della teosofia è il panteismo (9): l’insegnamento del «tutto in Dio», tentativo di unificare il teismo e il panteismo. Il mondo è una forma della manifestazione in Dio. Ma Dio non abita il mondo, che invece è dentro di lui.

Goethe ha definito il Panteismo con queste meravigliose parole: E tutto quanto urge, quanto lotta, è eterna pace in Dio, nel Signore.
 

Il concetto di «pansofia» compare per la prima volta nel 1616 in una raccolta di scritti rosacrociani. Esso fu divulgato dall’opera di Johann Amos Comenius (1592-1670) come vescovo della Confraternita boema, umanista ed educatore. Il titolo della sua grande opera, "De rerum humanarum emendatione" (il manoscritto fu scoperto solo nel 1935), caratterizza la sua indefessa fatica per il miglioramento della umanità. Gli scritti Pansophiae prodomus (1639) e Schola pansophiae (1670) intendono con ‘pansofia’, un panorama sistematico, esattamente delineato sull’uomo. Il Lexicon reale pansophicum, una parte dell’opera citata, era destinato a «esaminare l’intero universo e definire i limiti di tutte le cose essenziali, il concetto delle cose e delle parole, al fine di mettere ovunque in luce quali sono le cose fra loro eguali o simili, diverse o dissimili; quali, in definitiva, contraddittorie e antagoniste» (10). Comenius intende presentare «la dimensione vera e reale di tutte le cose» (11). Il fatto che egli le ordina secondo l’alfabeto dimostra che non ha fiducia nelle motivazioni finali della scolastica tradizionale. Non è possibile un’eterna sicurezza: «la divinità che si manifesta nel mondo viene da noi sperimentata come un fatto storico, come emanazione» (12).


Lo scritto di Comenius Via Lucis (1642), stimolato da Bacone, sviluppa il progetto di un Collegio universale formato da uomini di tutte le nazioni, colti e attivi, i quali dovrebbero cercare i mezzi per condurre al benessere tutto il genere umano. Egli era interessato a unire intimamente i singoli dispersi con la luce contemporaneamente divina e razionale (Lumen divinum et razionale). La pansofia deve conciliare il sapere terreno, rappresentazione fedele della struttura dello universo, con la saggezza divina. Premesso che le idee di tutte le cose, come si esprime Comenius in un linguaggio neoplatonico, provengono da Dio, e deve regnare una «Panarmonia» come l’accordo di tutto nel Tutto (13).


Accanto alle vecchie scienze occulte, magia, astrologia, alchimia, compare con Comenius un vero sistema pedagogico con basi empiriche. Ragione, mondo e Bibbia sono le tre strade che conducono alla saggezza e sono descritte nel saggio "l’Unum necessarium" (1668): «La prima è un sentimento sano, dotato di una forza naturale conoscitiva che deve essere illuminata dal ragionamento; la seconda è il mondo con le sue creature, che può essere governato con l’aiuto del sentimento; la terza è il libro della Bibbia, pieno di misteri rivelati, che la fede esplora. In questi tre libri di Dio è contenuto tutto quanto è degno di essere saputo: essi sono un unico mezzo, necessario per raggiungere la saggezza» (14).


Will Erich Peuckert, che in importanti studi storici di pensiero e sociologia ha recentemente esaminato le ramificazioni della letteratura del Rinascimento e del Barocco, fa notare che Teosofia e Pansofia sono il ponte verso le nuove società occulte fino alla Massoneria, la quale nella sua forma è la continuazione di vecchie tradizioni, mentre il contenuto rimane il concetto dell’umanità secondo la nuova definizione. Se la Teosofia pone al centro la conoscenza di Dio e il suo concetto, diverso è il pensiero, come Peuckert afferma, dei pansofici Rosacrociani che seguono Paracelso: «Noi costruiamo dal basso l’alto: alla base stanno le cose di questo mondo. La natura, con le piante e gli alberi, gli animali e gli uccelli, i minerali e le pietre, tutto questo è solo un libro di lettura, dove si riconosce la potenza di Dio. E si riconosce la sua fedeltà verso di noi. E forse si può anche riconoscere il suo pensiero» (15).


Parlando di Dio, il Barocco non può astrarlo dal suo mondo. Se il Teosofo vuole comprendere il mondo dal divino Centrum Naturae, per il Pansofo si tratta solo, dirigendosi dall’esterno verso il centro, di portare alla luce il senso del tutto. Per Peuckert entrambe le strade, dall’esterno verso l’interno e dall’interno verso l’esterno, sono praticamente eguali: «Cos’era il Primo? Non posso dirlo. Entrambi sono viventi, uno accanto all’altro. Entrambi compaiono nello stesso momento. All’uomo si presentano due strade: la destra, che porta all’Unione, e la sinistra che procede attraverso la conoscenza. Oggi si chiamano Teosofia e Pansofia» (16).

Fin qui la definizione di questi due concetti. Prendiamo ora in esame il movimento rosacrociano.
 

Verso la fine del 16° secolo, nell’Europa Occidentale e specialmente in Germania, erano diffuse speculazioni teosofiche, cabalistiche, alchemiche, Frotte militaristiche delle più svariate tendenze profetizzavano, dall’Apocalisse di Giovanni, che nel secolo successivo sarebbe avvenuta una grande riforma. Si era sazi di litigi professionali e si pretendeva una convivenza veramente cristiana, una «societas christiana» (17). Il movimento rosacrociano che stava sorgendo rispondeva alle perplessità e agli aneliti del tempo. Un cristianesimo riformatore, evoluto e arricchito di pansofia doveva alla fine promuovere delle riforme. La storia dei vecchi rosacrociani, giustamente si richiamano autori come Frick e Schick, è una storia della loro letteratura (18).
 

Il gruppo di Tubinga attorno al giovane studente di teologia Johann Valentin Andreae (1586 - 1654), il cui debutto letterario trovò un’eco inaspettata, non poté rimanere solitario. Il movimento proseguì superando lo stesso Andreae. Non si ebbe all’inizio una Confraternita saldamente organizzata, ma circoli disuniti di consenzienti. Uniti erano solo nell’opposizione contro l’ortodossia d’entrambe le chiese. Se Roma vedeva in essi dei luterani eretici, i religiosi protestanti li incolpavano di tradimento rispetto a Lutero. Teosofia e Pansofia, dice Frick, erano «l’edificio dei liberi cristiani che, con una visione universale del mondo, furono i precursori delle nostre società occulte» (19).


La ricerca distingue i tre cosiddetti lavori propriamente rosacrociani di Andreae: Fama Fraternitatis, Confessio Fraternitatis e Le nozze mistiche di Christian Rosenkreuz: anno 1459, che comparvero in rapida successione fra il 1614 ed il 1616, fra la massa enorme di risposte favorevoli e contrarie, suscitate da essi (fino al 1625 vi sono circa duecento pubblicazioni). La vastissima discussione delle idee rosacrociane, spesso controversa, doveva avvantaggiare la trasformazione. Frick cita due direzioni in cui essa si sviluppò (20).

Nel ramo primitivo, teosofico cristosofico, rappresentato da seguaci di Valentin Weigels (1533-88) e di Böhme, nonché da Abraham von Franckenberg (1593-1652) e da elementi di mistica cristiana talvolta eterodossa, si arriva al sorgere della letteratura sul Pietismo, mentre l’altro ramo rimane alchemico pansofico. A esso appartennero il mago naturalista chiliastico Julius Sperber (15?-1616) e i medici Michael Maier (1568-1622) e Robert Fludd (1574-1637). Entrambi i rami dettero origine diretta alle società segrete del 18° secolo che, come detto in precedenza, in qualità di Rosa+Croce d’Oro, si manifestarono spesso sotto forme massoniche.


L’importanza di Andreae sia ben chiaro non si esaurisce nel fatto che, volente o no, fu l’iniziatore del movimento rosacrociano di carattere universale. Gli studi di van Dülmen lo descrivono come molto più che una figura rappresentativa «della prima cultura della nuova era, come veniva compresa nelle premesse del sorgere dell’assolutismo e all’inizio della secolarizzazione del pensiero sociale all’epoca della guerra dei Trent’anni. Il suo programma di fondare una società di studiosi di religione fu attivata dagli studi cristiano umanistici di Comenius e Leibniz fino a congiungersi in una riforma del sapere, della chiesa e della società» (21). Van Dülmen sottolinea che Andreae nel suo romanzo Christianopolis (1619), «primo e unico tedesco .... nella formazione di un pensiero utopistico», si sia interessato del fatto che «le specifiche modalità d’espressione della volontà di cambiamento della nuova erano derivate da un’intelligenza europea» (22).


L’utopia di Andreae d’una comunità cristiana tendeva, come lui stesso disse, «a riportare la luce sui candelabri e a disperdere le tenebre» (23). Il teologo svevo si considerava il legittimo successore di Lutero. Perché la grande opera non rimanesse priva di risultati si rendeva necessaria una buona riforma che si estendesse anche ai rapporti sociali. Da ciò l’acutezza della sua critica del tempo:


«Dato che proprio i capi religiosi - così scrive - non volevano ammettere alcun traffico con gli uffici spirituali, i governanti non volevano ammettere alcuna ingiustizia, gli accademici alcuna ignoranza, furono considerati tentativi rivoluzionari i solleciti alla devozione, alla rettitudine e all’educazione ... Perché il mondo preferisce sapere piuttosto taciuti i propri peccati che elogiati ... In questa maniera, gli ipocriti hanno disteso il loro ombrello protettivo sulla religione, la tirannide sulla vita politica, la sofistica sul sapere, e hanno tirato a sé, a forza, il potere, in nome e per ordine della ignoranza».(24)
Linguaggio energico, affatto sornione! Andreae conosceva quella che egli chiamava «l’essenza di questo mondo». Come scrive più tardi in un articolo di utopia sociale, «per gl’imbroglioni non c’è nulla di più insopportabile quanto la verità e la sincerità: essi le odiano a tal punto che, senza comprendere la miseria della loro collera, si spogliano delle croste, delle maschere e dei mantelli, vengono fuori improvvisamente nudi e tradiscono così le infamie nascoste. In quale maniera infamante, l’ingordigia in mezzo alle chiese, la decadenza morale, la, molteplicità dello spirito nel suo centro di potere, la corruzione generale dal titolo privo di significato, la sfrenata dissipazione, vengono abbellite, anzi elogiate, e ognuno che avesse ancora sentimenti onesti, lo vedeva con errore» (25).

 

La teosofia di Andreae univa la speranza di un miglioramento delle condizioni corrotte con la realizzazione dell’immagine di Cristo (26). Essa intende unire la lealtà e la dottrina, affinché una accresca lo splendore dell’altra (27).
Il tenore battagliero, critico sociale e protoriformista degli scritti di Andreae, ebbe una notevole influenza su Ernst Bloch. Come materialista utopistico speculativo e come provato conoscitore della tradizione gnostico eretica cristiana, egli dedicò loro un monumento nel suo capolavoro Il Principio della Speranza. In relazione alla nostra esposizione le considerazioni di Bloch sono essenzialmente degne di riflessione. Egli ritiene che la terminologia alchimistica di Andreae (come anche quella di Paracelso) tende al «cambiamento del mondo»: per il vero Adepto si tratta di una «purificazione più ampia di quella dei metalli scadenti in oro» (28).

Bloch caratterizza le Nozze Chimiche di Andreae così:

 

«Lo scritto si rivolge direttamente contro i cattivi bollitori d’oro; esso può essere interpretato come la presa in giro di tutta l’arte ermetica. Il grande significato dell’opera è sostanzialmente un’innegabile satira; essa apre alle ‘Nozze Chimiche’ una strada d’oro ed al Cavaliere Allegorico che la percorre globalmente, il senso alchimistico è palese nell’allegoria di Andreae ma non del tipo che si esaurisce nella metallurgia. Se egli si fosse limitato a ciò, le ‘Nozze Chimiche’ avrebbero un riferimento nullo o molto piccolo con la bollitura dell’oro. Ma se l ‘Alchimia è interpretata come la mediatrice d’una trasformazione universale o d’una riforma generale, allora si può comprendere come gl’ingenui contemporanei abbiano visto nel romanzo, anche se esso è un frammento caratteristico, l’allegoria più rilevante per il lavoro di perfezionamento» (29).


Il profondo significato della «preparatio lapidis aurei» è secondo Bloch il fatto che «esso doveva essere inteso non solo come allegoria, ma come simbolo già nel senso finale, cioè come immagine della unità finale dell’aureo Pan in fermento» (30). Nella misura in cui, nel mondo ufficiale, alla cristianità venne a mancare la libertà annunciata dalla riforma, la pressione della borghesia spianò la strada verso le società ermetiche del Barocco tedesco. Accanto ad alcune manifestazioni selvagge e fantastiche, il loro insegnamento conteneva un qualcosa di non concluso, che ci colpiva ininterrottamente. Non è ancora estinto il grido d’allarme dei rosacrociani. Perciò Bloch ribadisce la stretta connessione fra «preparazione dell’oro e il progresso della umanità» (31).

Le finalità terrena e ultraterrena sono intrecciate in modo inestricabile nell’opera di Andreae. Così egli poté diventare il pioniere non solo del Pietismo ma anche dell’Illuminismo. Thomasius non lo considerava meno di Herder o di Spener e Francke (32).
 

Questa inscindibilità dei momenti, che nel Rosacrocianesimo sono contenuti separati (oppure solo separabili) si ripercuote nel fatto, difficilmente compreso da chi guarda dal di fuori, che la Massoneria vive la tensione insoluta, ma rettamente in ciò costruttiva, di esoterismo e di razionalismo.
 

Bloch, che ha studiato con acume le correlazioni storiche del rosacrocianesimo con la Massoneria, dice:
Per quanto vecchio sia il nome dei Rosenkreuzer e per quanto lontano si possa andare indietro con l’emblema dei miti utopizzanti o utopistici, solo Andreae con le Nozze Chimiche ha dato a esse il senso dell’Alchimia superiore, dell’elevazione dell’uomo. Si deve andare ancora avanti in questa connessione caratteristica perché, attraverso l’anello di congiunzione della «riforma generale» di Andreae, si cerca una mediazione fra qualcosa di solare, d’evidente, come l’Illuminismo, questo faro di luce contro la superstizione. Perché l’enfasi della luce, come la nascita del progressivo processo della luce (oro) nasce dall’alchimia e l’illuminismo è originariamente un concetto alchimistico, proprio come «Processo» e «Risultato».

Capovolto, invece, sorge lo strano legame fra Massoneria, Illuminismo e Occultismo. Andreae ha già mescolato la sua Fraternità con riti magici. L’aureo sogno di una Societas humana trovò le sue conventicole alchimistico filantropiche in Germania, ma anche nella sorprendente Inghilterra, per gli interi secoli 17° e 18°. Ci fu una «Fraternità della Ruota Celeste per la restaurazione di una medicina ermetica e della filosofia». Ci fu il Collegium lucis, con un sogno misto, sociale e cosmologico, seguace di Andreae e fondato da Comenius, e tutte queste sezioni dettero origine alla Croce+Rosa, o alla Alchimia superiore.

Tutti vollero volgere il decorso della società come quello della natura verso uno stato paradisiaco dove l’eguaglianza della società reale o della società non caduta, l’età dell’oro, erano un tutto unico. (33)
 

L’opera basilare di Schick "Il Rosacrocianesimo più antico", chiaramente concepito come «Contributo alla storia sulle origini della Massoneria» tende, diversamente dagli scritti di Bloch, di carattere escatologico, a una interpretazione globalmente obiettiva. La Fraternità di Andreae è, secondo Schick, una «comunità educativa con una visione religiosa del mondo» che si presenta sotto la veste delle circostanze storiche. Essa viene incontro, apparentemente e visibilmente, all’impulso verso le scienze occulte allo scopo d’usarlo come stimolo verso una sapienza superiore e trasformarlo, rapidamente e radicalmente, nella ricerca di una visione del mondo conforme allo spirito cristiano del tempo» (34). Se s’osserva meglio, gli scritti rosacrociani invitano alla fondazione d’una fratellanza di precursori che intende trasformare il quadro del mondo medioevale.

Andreae auspica una sintesi di cristianesimo luterano e di conoscenze naturali moderne. Egli vuol unire «la fede cristiana e tutta la sapienza dell’uomo in una nuova visione dell’umanità e del mondo» (35). Dio è conosciuto mediante la Bibbia altrettanto come dal fondo inesauribile della natura. La Pansofia si nutre d’entrambe le fonti, totalmente equivalenti (36). Mentre Andreae ritiene unificabili alla base la scienza proveniente dal mondo dell’empirismo baconiano (37), e la sapienza divina, da un punto di vista religioso, egli perviene a una moltitudine di possibilità che sono precluse alle chiese essoteriche.
 

Grande attenzione è dedicata da Schick al ruolo storico ideologico di Comenius, relativo alla formazione della Massoneria, e in particolare al suo pensiero umanitario, derivato dall’ideale pansofico del Rosacrocianesimo. Comenius, dice Schick, non è solo un elemento mediatore fra Andreae e «coloro che furono i padrini alla nascita della Massoneria inglese, ma anche e soprattutto il ponte fra l’ideologia Rosacrociana e la Massoneria organizzata. Da Andreae egli ha preso la fiaccola e dal continente l’ha portata nelle isole britanniche» (38).
 

Gli Antichi Doveri di Anderson e i regolamenti redatti da Comenius per i Fratelli boemi presentano inequivocabilmente analogie (39). Lo stesso vale per il linguaggio figurativo di architettura biblica di Comenius e quello del Massone (40).

Nel richiamo diffuso dal 1666 in Germania, in Olanda e in Inghilterra, che doveva arrivare a Cristiani ed Ebrei, Turchi e Pagani, Comenius era decisamente avviato alla trasformazione della società, e precisamente basandosi su concetti pansofici o umanitari (due termini equivalenti).
Quando egli parla della «comunità generale di Cristo», intende «Il Tempio della Saggezza», e aggiunge: «dato però che quest’opera, cioè il tempio della saggezza, non deve servire solo ai cristiani, ma a tutti coloro che sono nati uomini, affinché possa avere forza per ispirare e convincere gl’increduli (se ciò piace a Dio), la si potrà, forse meglio, chiamare Pansofia umana» (41).


L’idea della tolleranza in campo di fede è penetrata nella Massoneria attraverso Andreae e Comenius. Un notevole contributo è derivato dall’atmosfera specifica del pensiero illuministico deistico dell’Inghilterra del 17° secolo. Da ricordare, accanto ai successivi «Liberi Pensatori» Herbert di Cherbury (1583-1648), che nei suoi lavori De Veritate (1624) e De Religione Gentilium (1645) aveva cercato, in accordo con Comenius, di scoprire un nucleo inafferrabile di tutte le religioni (42). Il Deismo nascondeva, sia con Comenius sia con gli autori inglesi, la sua origine cristiana: esso si comportava indifferentemente nei riguardi della positività storica delle religioni e al dogma preferiva il contenuto etico. La Fratellanza universale umana progettata da Comenius anticipa l’idea massonica della catena d’unione fra i Fratelli di tutto il mondo (43). Lo stesso vale per il nuovo indirizzo che la già vecchia simbologia di luce conserva nella Massoneria, nonché per il pensiero costruttivo che Fludd, come erede dei Rosacroce, ha introdotto nelle Logge (44).
 

Il presente articolo, inevitabilmente lacunoso, tratta alcuni punti di vista che sono emersi nelle più recenti discussioni su un tema d’interesse non solo storico, ma altamente attuale. Esso riguarda tutte le domande circa il luogo d’origine e i compiti della Massoneria odierna.

 

 

1. Si può anche ricordare una poesia di Henry Adamson, comparsa nel 1638 a Edimburgo, in cui si dice: «Noi siamo Fratelli della Rosacroce; abbiamo la Parola massonica e la seconda Vista». Cfr. E. Lennhoff, 0. Posner, Dizionario massonico internazionale, Monaco Zurigo Vienna 1932, p. 1331.

2. Beyer Bernhard, Il sistema della Rosa+Croce d’Oro, Hiram, Augusta 1978.

3. Idem, p. 4.

4. Miller Horst: La Rosa + Croce d’Oro, struttura, programma ed attività di una società segreta antilluministica, in Società Segrete di Peter Christian Ludz, Heidelberg, 1979, p. 153 sgg.

5. Rosenberg Alfons, Introduzione a Johann Valentin Andreae, ‘Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuts, Anno 1459, Monaco 1957, Flanegg, p. 10 e sgg.

6. Cfr. Koyré Alessandro: Dal mondo chiuso all’Universo infinito, Francoforte 1969.

7. Pico della Mirandola, La Dignità dell’Uomo, Friburgo Francoforte Vienna p. 52 e sgg.

8. Jaeckle Erwin, a cura di, Paracelso: la sua visione del mondo nei termini della sua opera, Zurigo 1942, pp. 83-84.

9. Il concetto di «Panteismo» è stato creato da Karl Christian Krause (1791-1823), un famoso filosofo massone, scolaro di Fichte e Schelling.

10. Comenius, cit. da Franz Hofmann, Jan Amos Comenius, Maestro di nazioni, Lipsia Jena Berlino 1975, p. 99 sgg.

11. Id., p. 100

12. Cfr. Schaller Klaus: La pedagogia di Johann Amos Comenius e gli inizi del realismo nella pedagogia del 17° secolo, Heidelberg 1967, pg. 16 sgg.

13. Id. p. 29.

14. Comenius, cit. da Riemeck, Renato, L’altro Comenius, Francoforte 1970, p. 63.

15. Peuckert Will. Erich: Pansofia, un tentativo nella storia della magia bianca e nera, Berlino 1976, p. 353.

16. id., p. 358.

17. Cfr. Van Dülman Richard: L’utopia di una comunità cristiana: Johann Valentin Andreae, Parte I, Stoccarda Bas Cannstatt 1978, p. segg. Cfr. anche Frick Karl, Karl R.H., Gl’Illuminati, Graz, 1973, p. 123 sgg.

18. Cfr. Frick; p. 152 sgg. Da ricordare anche gli studi fondamentali di Schick Hans, La storia segreta dei Rosenkreuzer, Schvarernburg 1980.

19. Frick, op. cit. p. 153.

20. Id. p. 156.

21. Van Dülman, anche a p. 11.

22. Idem.

23. Andreae Johann Valentin, Christianopolis, Lipsia 1977, p. 6

24. Id., p. 8 sgg.

25. Id., p. 9.

26. Id., p. 10.

27. Id., p. 8.

28. Bloch Ernst, Il Principio della Speranza, vol. II, Berlino 1955, p. 204.

29. Id., pp. 204-205.

30. Id., p. 205.

31. Id.

32. Cfr. anche Van Dülman, p. II sgg.

33. Bloch, p. 206.

34. Schick Hans, L’antico Rosacrocianesimo. Un contributo alla storia delle origini della Massoneria, Berlino 1942, p. 63.

35. Id.

36. Id.,. p. 74.

37. Cfr. Andreae, Christianopolis, p. 71 sgg., dove egli, proprio secondo lo stile di Bacone, inveisce contro «Ciarlatani e Medicastri».

38. Schick, op. cit., p. 154-156 sgg.

39. Id., p. 156 e 292.

40. Id., p. 155.

41. Comenius, in op. cit. p. 292.

42. Cfr. per i rapporti fra Massoneria ed Illuminismo e Deismo, Schenkel Gotthilf, La Massoneria alla luce della storia delle religioni e della Chiesa, Gotha 1926, p. 21. La problematica completa è trattata da Lechler Gotthard Victor, Storia del Deismo inglese, Tubinga 1841, (rist. Hildescheim, 1956).

43. Queste idee sull’unità del genere umano, cui corrisponde l’utopia d’uno stato ideale universale, sono riconducibili agli stoici, che Bloch chiama «antichi Massoni»: cfr. Bloch, op. cit. p. 52 sgg.

44. Schick, op. cit. p. 294.