Johann Wolfang Goethe
Al conte von Wilzeck subentrò nella reggenza Johann Wolfang Goethe. Egli nacque il 28 agosto 1749 a Francoforte sul Meno da una benestante famiglia borghese. La prima tappa della sua giovinezza fu nel 1768, Francoforte dove attraversò una profonda crisi spirituale in occasione della quale scrisse le “Confessioni di un’anima bella”. Strasburgo fu la seconda tappa della sua giovinezza: qui conobbe nuovi amici e compagni di studio, scrittori esuberanti come Lenz, L. Wagner, Lavater, Jung. Sotto l’influenza del filosofo e teologo Herder, teorizzatore dello “Sturm und Drang” (Tempesta e Impeto), che sottolineava il passaggio della concezione dall’uomo come testimone lirico al titano prometeico che intende la poesia come forza che continuamente sconvolge il mondo. In questo periodo abbozzò la prima stesura del “Faust” i frammenti del “Prometeo”, il suo primo romanzo “I dolori del giovane Werther”. La terza tappa importante della sua vita fu la permanenza presso la Corte di Weimar dove fu sotto la protezione del più giovane Duca e fece una brillante carriera: prima membro del Consiglio segreto, poi Consigliere segreto e quindi Ministro. Poi dal 1786 fu la volta dei viaggi in Italia, a Roma, a Napoli ed a Venezia dove incontrò gli esponenti della confraternita che lo accolsero nel loro seno. Dal 1790 in poi non viaggiò più, dedicandosi al compito che gli era stato affidato.
Si dedicò con nuova lena a lavori scientifici (ottica, botanica, geologia, anatomia) e letterari, e nella comunanza di vita e di affetto del poeta e confratello Schiller, l’autore del testo dell’”Inno alla Gioia” di Beethoven, illuminò di poesia e di sapienza coloro che gli stavano vicino. In questi anni scrisse “Gli anni di noviziato di Guglielmo Meister” , il poemetto “Hermann und Dorothea”, e riprende il “Faust”, la summa del pensiero di Goethe, ma anche, unitamente ad un poemetto dal titolo “Il Serpente Verde”, del mistero della fratellanza. Nella sua opera dedicata a Cagliostro “Il Grande Cofto” fece capire di conoscere il segreto della vita del misterioso personaggio, al quale si ispirò anche per alcuni aspetti nel “Faust”. Incontrò per due volte Napoleone, rimanendo conquistato dalla sua personalità, ma non condividendone il progetto poiché, coerentemente con la confraternita, guardava con sospetto alla involuzione nazionalistica: una delle sue affermazioni era che «la patria è ovunque e in ogni luogo». Nella nuova stagione della sua vita non amava più le tinte forti, ma ad una sintesi sfumata ed eloquente dei colori, come espresse nel capolavoro “Le affinità elettive”, un vero romanzo per iniziati La morte di Schiller nel 1805, e della moglie Cristiane nel 1816 lo resero più solo, ma non ripiegato, lavorò ancora alle sue opere fino al 1827 quando la morte del figlio August fu l’ulteriore grave colpo che l’ottantenne scrittore dovette sopportare. Egli volle che fosse sepolto presso la piramide di Cestio a Roma, dove avrebbe voluto anche lui avere l’eterno riposo. Morì a Weimar il 22 marzo 1832.