Jacob Bohme


Grande divulgatore e il più organico riordinatore della scienza dei Rosa+Croce fu invece Jacob Bohome. Jacob Bohme nacque nel 1575 nella borgata di Alt-Seidenberg, nei pressi di Gorlitz in Ober-Lausitz. Il padre Jacob e la madre Ursula erano dei poveri contadini. Un primo strano episodio gli accadde quando, ancora fanciullo, coi suoi coetanei, sorvegliava le greggi. Infatti mentre si arrampicava su una collina chiamata “Landes-Cronc”, vide come una porta formata da grandi pietre rosse; vi entrò e si trovò dentro un sotterraneo, nel quale c’era un’enorme massa di denaro. Impaurito tornò indietro, a chiamare i suoi compagni, ma successivamente insieme a loro non trovò più quella entrata. Più avanti negli anni avrebbe interpretato quell’evento come il segnale della sua futura iniziazione ai segreti della magia naturale e divina. I suoi genitori, avendo notato l’intelligenza del figlio lo iscrissero a scuola, dove imparò a leggere e a scrivere. Terminata la scuola andò ad imparare il mestiere di calzolaio. Nel 1594 sposò con Catharina Kunschmanns, figlia di un beccaio di Gorlitz. Dal matrimonio nacquero quattro figli: il primo, divenne un orefice, il secondo, un calzolaio, e gli altri due furono operai. La sua lettura preferita fu il Vangelo di Luca e fece di un passo, il tredicesimo, la legge della sua vita: “Il Padre che è nei cieli darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiederanno”. Si dedicò con autentica passione allo studio dei testi sacri.

Nel 1600, a venticinque anni di età, visse una intensa esperienza estatica: si recò a meditare nei campi e gli fu rivelata la segnatura degli esseri di cui gli fu possibile da allora decifrare la natura interiore, come spiegò nel suo libro “De Signatura Rerum”. Nel 1612 affidò ad un editore locale il manoscritto della sua prima opera, “L'Aurora nascente”. L’opera suscitò grande interesse ma anche molte polemiche, soprattutto da parte del curato di Corlitz, Cregorius Richter, il quale si scagliò violentemente contro l’autore, provocando la citazione di Bohme dinanzi al tribunale: era venerdì 26 luglio 1613. Il processo finì con l’ordine per il povero ciabattino di lasciare la città all’istante, senza neanche il tempo di salutare la famiglia. Bohme accettò con serenità la sentenza; ma il giorno seguente, al mattino, lo andarono a cercare nelle campagne e lo ricondussero a casa sua. Nel 1620, Jacob strinse amicizia con il Dr. Balthazar Walter di Gros-Glokau (Silesia). Costui si stabili per più di tre mesi a casa di Jacob, periodo durante il quale gli impartì insegnamenti ampi e segretissimi che aveva appreso durante i suoi lunghi viaggi in Arabia, in Siria ed in Egitto, dove era stato iniziato alla Scienza dei Magi. Nel frattempo il fragore suscitato dalla pubblicazione della sua prima opera si era diffuso in Sassonia e, il 9 maggio 1624, Jacob dovette recarsi a Dresda per sostenere un processo davanti ad una assemblea d'illustri scienziati, tra cui teologi, matematici e astrologi. Ma anche questa volta Jacob riuscì a convincere tutti della purezza della sua fede. Successivamente attraversò un periodo di sette anni di grande travaglio interiore in cui a suo dire aveva perso la luce. In questo periodo tormentato scrisse “Tre Principii” e le “Lettere”. Nell’estate del 1624, Bohme fu chiamato a Dresda dinanzi ad un areopago di sapienti. Al suo ritorno a casa si ammalò gravemente di febbre.

Dovette mettersi a letto a partire da giovedì 7 novembre 162, il venerdì mattina del 15 novembre spirò. É d’uopo ricordare le sue opere più importanti che sono “L’Aurora nascente” del 1618, “Dei tre Principii dell’Essere divino” del 1619, “Della triplice vita dell’uomo”, “Sei punti teosofici” nel 1620, il “De Signatura Rerum” del 1621, “Della vera penitenza”, “Del vero abbandono”, “Della rigenerazione”, “Della penitenza” del 1622, il “Mysterium Magnum della Genesi” del 1623, “Della contemplazione divina”, “Dei due testamenti del Cristo”, “Di 177 questioni teosofiche”, “Estratti dal Mysteriunm Magnum” del 1624. Per concludere segnalo che il sigillo che Jacob Bhome si era scelto rappresentava una mano elevante verso il cielo una verga con tre gigli ed il suo motto era: “Unser Heil Im Beben Jesu Christi In Uns”; cioè: “La nostra salvezza in Gesù Cristo (che è) in noi”.