Dialogo Secondo – Terza Parte -

Interlocutori: Sofia, Saulino, Mercurio.

 

•Sofia• Talmente, dunque, Giove negò la sedia d'Ercole a la Fortuna, che a suo arbitrio lasciò e quella ed altre tutte che sono ne l'universo. Dalla qual sentenza, comunque se sia, non dissentirno gli dei tutti; e la orba dea, vedendo la determinazion fatta citra ogni sua ingiuria, si licenziò dal Senato dicendo: - Io, dunque, me ne vo aperta aperta ed occolta occolta a tutto l'universo; discorro gli alti e bassi palaggi, e non meno che la morte so inalzar le cose infime e deprimere le supreme; ed al fine, per forza di vicissitudine, vegno a far tutto uguale, e con incerta successione e raggion irrazionale, che mi trovo (cioè sopra ed estra le raggioni particolari), e con indeterminata misura volto la ruota, scuoto l'urna, a fine che la mia intenzione non vegna incusata da individuo alcuno. Su, Ricchezza, vieni a la mia destra, e tu, Povertà, a la mia sinistra: menate vosco il vostro comitato; tu, Ricchezza, li ministri tanto grati, e tu, Povertà, gli tuoi tanto noiosi alla moltitudine. Seguiteno, dico, prima il fastidio e la gioia, la felicità ed infelicità, la tristizia, l'allegrezza; la letizia, la maninconia; la fatica, il riposo; l'ocio, l'occupazione; la sordidezza, l'ornamento. Appresso l'austerità, le delicie; il lusso, la sobrietà; la libidine, l'astinenza; l'ebrietà, la sete; la crapula, la fame; l'appetito, la sacietade; la cupidiggia, il tedio e saturità; la pienezza, la vacuità; oltre il dare, il prendere; l'effusione, la parsimonia; l'investire, il dispogliare; il lucro, la iattura; l'introito, l'exito; il guadagno, il dispendio; l'avarizia, la liberalitade, con il numero e misura, eccesso e difetto; equalitade, inequalitade; debito, credito, dopoi sicurtà, suspizione; zelo, adulazione; onore, dispreggio; riverenza, scherno; ossequio, dispetto; grazia, onta; agiuto, destituzione; disconforto, consolazione; invidia, congratulazione; emulazione, compassione; confidenza, diffidenza; dominio, servitù; libertà, cattività; compagnia, solitudine. Tu, Occasione, camina avanti, precedi gli miei passi, aprime mille e mille strade, va incerta, incognita, occolta, percioché non voglio che il mio advenimento sia troppo antiveduto. Dona de sghiaffi a tutti vati, profeti, divini, mantici e prognosticatori. A tutti quei che si attraversano per impedirne il corso nostro, donagli su le coste. Togli via davanti gli miei piedi ogni possibile intoppo. Ispiana e spianta ogni altro cespuglio de dissegni che ad un cieco nume possa esser molesto, onde comodamente per te, mia guida, mi fia definito il montare o il poggiare, il divertir a destra o a sinistra, il movere, il fermare, il menar ed il ritener de passi. Io in un momento ed insieme insieme vo e vegno, stabilisco e muovo, assorgo e siedo, mentre a diverse ed infinite cose con diversi mezzi de l'occasione stendo le mani. Discorremo dunque da tutto, per tutto, in tutto, a tutto: quivi con dei, ivi con gli eroi; qua con uomini, là.con bestie.

 

Or essendo finita questa lite e donato spaccio alla Fortuna, voltato Giove a gli dei: - Mi par, disse, che in loco d'Ercole debba succedere la Fortezza, perché da dove è la verità, la legge, il giudicio, non deve esser lunghi la fortezza; perché constante e forte deve essere quella voluntà che administra il giudicio con la prudenza, per la legge, secondo la verità: atteso che come la verità e la legge formano l'intelletto, la prudenza, il giudicio e giustizia regolano la voluntà; cossì la constanza e fortezza conducono a l'effetto. Onde è detto da un sapiente: Non ti far giudice, se con la virtude e forza non sei potente a rompere le machine de l'iniquitade. - Risposero tutti gli dei: - Bene hai disposto, o Giove, che Ercole sin ora sia stato come tipo de la fortezza che dovea contemplarsi ne gli astri. Succedi tu, Fortezza, con la lanterna de la raggione innante, perché altrimente non sareste fortezza, ma stupidità, furia, audacia. E non sareste stimata fortezza, né men sareste; perché per pazzia, errore ed alienazion di mente verreste a non temere il male e la morte. Quella luce farà che non ardisci dove si deve temere: atteso che tal cosa il stolto e forsennato non teme che, quanto uno è più prudente e saggio, deve più paventare. Quella farà che dove importa l'onore, l'utilità publica, la dignità e perfezione del proprio essere, la cura delle divine leggi e naturali, ivi non ti smuovi per terrori che minacciano morte; sie presta ed ispedita dove gli altri son torpidi e tardi; facilmente comporti quel ch'altri difficilmente; abbi per poco o nulla ciò che altri stimano molto ed assai. Modera le tue male compagne: e quella che ti viene a destra con le sue ministre, Temeritade, Audacia, Presunzione, Insolenzia, Furia, Confidenzia; e quella, che ti vien alla sinistra con la Povertà di spirto, Deiezione, Timore, Viltade, Pusillanimitade, Desperazione. Conduci le tue virtuose figlie, Sedulità, Zelo, Toleranza, Magnanimità, Longanimità, Animosità, Alacrità, Industria, con il libro del catalogo delle cose che si governano con Cautela, o con Perseveranza, o con Fuga, o con Sufferenza; ed in cui son notate le cose ch'il forte non deve temere: cioè quelle che non ne fanno peggiore, come la Fame, la Nudità, la Sete, il Dolore, la Povertà, la Solitudine, la Persecuzione, la Morte; e de l'altre cose che, per ne rendere peggiori, denno essere con ogni diligenza fuggite: come l'Ignoranza crassa, l'Ingiustizia, l'Infidelità, la Buggia, l'Avarizia e cose simili. Cossì contemperandoti, non declinando a destra ed a sinistra, e non allontanandoti da tue figlie, leggendo ed osservando il tuo catalogo, non facendo estinto il tuo lume, sarai sola tutela de Virtudi, unica custodia di Giustizia e torre singulare de la Veritade; inespugnabile da' vizii, invitta da le fatiche, constante a gli perigli, rigida contra le voluttadi, spreggiatrice de la Ricchezza, domitrice della Fortuna, triomfatrice del tutto. Temerariamente non ardirai, inconsultamente non temerai; non affettarai gli piaceri, non fuggirai gli odori; per falsa lode non ti compiacerai, e per vituperio non ti sgomentarai; non t'inalzarai per le prosperitadi, non ti dismetterai per le adversitadi; non t'impiombarà la gravità de fastidii, non ti sulleverà il vento de la leggerezza; non ti farà gonfia la ricchezza, e non ti confondarà la povertade: spreggiarai il soverchio, arrai poco senso del necessario. Divertirai da cose basse, e sarai sempre attenta ad alte imprese.

 

- Or, che ordine si prenderà per la mia Lira? - disse Mercurio. A cui rispose Momo: - Abbila per teco per tuo passatempo, quando ti trovi in barca o pur quando ti trovarai nell'ostarie. E se fai elezione di farne qualche presente, donandola a chi più meritevolmente si conviene, e non vuol andar troppo vagando per cercarlo, vattene a Napoli, a la piazza de l'Olmo; over in Venezia in piazza di S. Marco, circa il vespro: perché in questi doi luoghi compariscono gli corifei di color che montano in banco; ed ivi ti potrà occorrere quel megliore a cui iure meriti la si debbia. - Dimandò Mercurio: - Perché più tosto a megliori di questa che di altra specie? - Rispose Momo, che a questi tempi la lira è dovenuto principalmente instrumento da chiarlatani, per conciliarsi e trattenersi l'udienza, e meglior vendere le sue pallotte ed albarelli, come la rebecchina ancora è fatto instrumento da ciechi mendicanti. Mercurio disse: - E in mia potestà di farne quel che mi piace? - Cossì è, disse Giove; ma non già per ora di lasciarla star in cielo. E voglio (se cossì pare ancor a voi altri del conseglio) che in luogo di questa sua lira de le nove corde succeda la gran madre Mnemosine con le nove Muse, sue figlie. - Qua fêrno un chino di testa gli dei tutti in segno di approvazione; e la Dea promossa con le sue figlie rese le grazie. L'Aritmetrica, la quale è primogenita, disse che le ringraziava per più volte che non concepe individui e specie di numeri, ed oltre per più millenarii de millenarii che mai possa con le sue addizioni apportar l'intelletto; la Geometria più che mai forme e figure formar si vagliano, e che atomi possa mai incorrere per le fantastiche resoluzioni di continui; la Musica più che mai fantasia possa combinar forme di concenti e sinfonie; la Logica più che non fanno absurdità li suoi gramatici, false persuasioni i suoi retorici, e sofismi e false demostrazioni i dialettici; la Poesia più che, per far correre le lor tante favole, non hanno piedi quanti han fatti e son per far versi i suoi cantori; la Astrologia più che contegna stelle l'inmenso spacio dell'eterea regione, se più dir si puote; la Fisica tante Mercurio é li rese, quante possono essere prossimi e primi principii ed elementi nel seno de la natura; la Metafisica più che non son geni d'idee e specie de fini ed efficienti sopra gli naturali effetti, tanto secondo la realità che è ne le cose, quanto secondo il concetto representante; l'Etica, quanti possono essere costumi, consuetudini, leggi, giustizie e delitti in questo ed altri mondi de l'universo. La madre Mnemosine disse: - Tante grazie e Mercurio é vi rendo, o dei, quanti esser possono particolari suggetti a la memoria ed a l'oblio, alla cognizione ed ignoranza. - Ed in questo mentre Giove ordinò alla sua primogenita Minerva, che gli porgesse quella scatola che teneva sotto il capezzal del letto; ed indi cacciò nove bussole, le quali contegnono nove collirii che son stati ordinati per purgar l'animo umano, e quanto alla cognizione e quanto alla affezione. E primamente ne donò tre alle tre primiere, dicendogli: - Eccovi il meglior unguento con cui possiate purgar e chiarir la potenza sensitiva circa la moltitudine, grandezza ed armonica proporzione di cose sensibili. - Ne dié uno a la quarta, e disse: - Questo servirà per far regolata la facultà inventiva e giudicativa. - Prendi questo, disse a la quinta, che con suscitar certo melancolico appulso è potente ad incitar a delettevole furore e vaticinio. - Donò il suo a la sesta, mostrandogli il modo, con cui mediante quello aprisse gli occhi de mortali alla contemplazion di cose archetipe e superne. La settima ricevé quello per cui meglio vien riformata la facultà razionale circa la contemplazion de la natura. La ottava, l'altro non meno eccellente che promove l'intelletto all'apprension di cose sopranaturali, in quanto che influiscono ne la natura e sono in certo modo absolute da quella. L'ultimo, più grande, più precioso e più eccellente, dié in mano de l'ultimogenita; la quale, quanto è posterior de l'altre tutte, tanto è più che tutte l'altre degna; e gli disse: - Ecco qua, Etica, con cui prudentemente, con sagacità, accortezza e generosa filantropia saprai instituir religioni, ordinar gli culti, metter leggi ed esecutar giudicii; ed approvare, confirmare, conservar e defendere tutto il che è bene instituito, ordinato, messo ed esecutato, accomodando quanto si può gli affetti ed effetti al culto de dei e convitto de gli uomini.

 

- Che faremo del Cigno? - dimandò Giunone. Rispose Momo: -Mandiamolo in nome del suo diavolo a natar con gli altri, o nel lago di Pergusa, o nel fiume Caistro, dove arrà molti compagni - Non voglio cossì, disse Giove; ma ordino che nel becco sia marcato del mio sigillo e messo nel Tamesi; perché là sarà più sicuro ch'in altra parte, atteso che per la tema di pena capitale non mi potrà essere così facilmente rubbato. - Saviamente, suggionsero gli dei, hai provisto, o gran padre; - ed aspettavano che Giove determinasse del successore. Onde séguita il suo decreto il primo presidente, e dice: - Mi par molto convenevole che vi sia locata la Penitenza, la qual tra le virtudi è come il cigno tra gli ucelli: perché la non ardisce, né può volar alto per il gravor dell'erubescenza ed umile recognizion di se stessa, si mantiene sommessa; però, togliendosi a l'odiosa terra, e non ardendo de s'inalzare al cielo, ama gli fiumi, s'attuffa a l'acqui, che son le lacrime della compunzione nelle quali cerca lavarsi, purgarsi, mondarsi, dopo ch'a sé nel limoso lido de l'errore insporcata dispiacque, mossa dal senso di tal dispiacere, è incorsa la determinazione del corregersi, e, quanto possibil fia, farsi simile alla candida innocenza. Con questa virtù risaleno l'anime che son ruinate dal cielo ed inmerse a l'Orco tenebroso, passate per il Cocito de le voluttadi sensitive, ed accese dal Periflegetonte de l'amor cupidinesco ed appetito di generazione; de quali il primo ingombra il spirto di tristizia, ed il secondo rende l'alma disdegnosa; come per rimembranza de l'alta ereditade ritornando in se medesima, dispiace a se medesima per il stato presente; si duole per quel che si delettò e non vorrebe aver compiaciuto a se stessa: ed in questo modo viene a poco a poco a dispogliarsi dal presente stato, attenuandosegli la materia carnale ed il peso de la crassa sustanza; si mette tutta in piume, s'accende e si scalda al sole, concepe il fervido amor di cose sublimi, doviene aeria, s'appiglia al sole e di bel nuovo si converte al suo principio. - Degnamente la Penitenza è messa tra le virtudi, disse Saturno; perché, quantunque sia figlia del padre Errore e de l'Iniquitade madre, è nulladimeno come la vermiglia rosa che da le adre e pungenti spine si caccia; è come una lucida e liquida scintilla che dalla negra e dura selce si spicca, fassi in alto e tende al suo cognato sole. - Ben provisto, ben determinato! - disse tutto il concilio de gli dei. - Sieda la Penitenza tra le virtudi, sia uno de gli celesti numi!

 

A questa voce generale, prima ch'altro proponesse di Cassiopea, alzò la voce il furibondo Marte, e disse: - Non sia, o dei, chi tolga alla mia bellicosa Ispagna questa matrona che cossì boriosa, altiera e maestrale non si contentò di salir al cielo senza condurvi la sua catedra col baldacchino. Costei (se cossì piace al padre summitonante, e se voi altri non volete discontentarmi a rischio di patir a buona misura il simile, quando mi passarete per le mani) vorrei che, per aver costumi di quella patria, e parer ivi nata, nodrita ed allevata, determiniate che la vi soggiorne. - Rispose Momo: - Non sia chi tolga l'arroganza e questa femina, ch'è vivo ritratto di quella, al signor bravo capitan di squadre. - A cui Marte: - Con questa spada farò conoscere non solamente a te poveraccio, che non hai altra virtude e forza che de lingua fracida senza sale; ma ed oltre a qualsivogli'altro (fuor di Giove, per essere superior di tutti), che sotto quella che voi dite iattanza, dica non si trovar bellezza, gloria, maestà, magnanimità, e fortezza degna della protezion del scudo marziale; e di cui l'onte non son indegne d'esser vendicate da questa orribil punta chi ha soluto domar uomini e dei. - Abbila pur, soggionse Momo, in tua mal'ora teco: perché tra noi altri dei non vi trovarai un altro sì bizzarro e pazzo, che, per guadagnarsi una de queste colubre e tempestose bestie, voglia mettersi a rischio di farsi rompere il capo. - Non te incolerar, Marte, non ti rabbiar, Momo, disse il benigno protoparente. Facilmente a te, dio de la guerra, si potrà concedere liberamente questa cosa, che non è troppo d'importanza, se ne bisogna talvolta, al nostro dispetto, comportar, che con la sola autorità della tua fiammeggiante spada commetti tanti stupri, tanti adulterii, tanti latrocinii, usurpazioni ed assassinii. Va' dunque, che io insieme con gli altri dei la commettemo in tutto alla tua libidinosa voglia; sol che non più la facci induggiar qua in mezzo a gli astri, vicina a tante virtuose dee. Vada con la sua catedra a basso, e conduca la Iattanzia seco. E ceda il luogo alla Semplicità, la qual declina dalla destra di costei, che ostenta e predica più di quel che possiede, e dalla sinistra della Dissimulazione la quale occolta e finge di non aver quel ch'ave, e mostra posseder meno di quel che si trova. Questa pedissequa de la Veritade non deve lungi peregrinare dalla sua regina, benché talvolta la dea Necessitade la costringa di declinare verso la Dissimulazione, a fine che non vegna inculcata la Simplicità o Veritade, o per evitar altro inconveniente.

 

Questo facendosi da lei non senza modo ed ordine, facilmente potrà essere fatto ancora senza errore e vizio. - Andando la Semplicità per prendere il suo luogo, comparve de incesso sicuro e confidente; al contrario de la Iattanzia e Dissimulazione, le quali caminano non senza tema, come con gli suspiciosi passi e formidoloso aspetto dimostravano. Lo aspetto della Simplicità piacque a tutti gli dei, perché per la sua uniformità in certa maniera rapresenta ed ha la similitudine del volto divino. Il volto suo è amabile, perché non si cangia mai; e però con quella raggione, per cui comincia una volta a piacere, sempre piacerà; e non per suo, ma per l'altrui difetto aviene che cesse d'essere amata. Ma la Iattanzia, la qual suol piacere, per donare ad intendere di possedere più di quel che possiede, facilmente, quando sarà conosciuta, non solo incorrerà dispiacenza, ma ed oltre, talvolta, dispreggio. Similmente la Dissimulazione, per esser altrimente conosciuta, che come prima si volse persuadere, non senza difficultade potrà venir in odio a colui da chi fu prima grata. Di queste dunque l'una e l'altra fu stimata indegna del cielo, e di esser unita a quello che suol trovarsegli in mezzo. Ma non tanto la Dissimulazione, di cui talvolta sogliono servirsi anco gli dei; perché talvolta, per fuggir invidia, biasmo ed oltraggio, con gli vestimenti di costei la Prudenza suole occultar la Veritade.


•Saulino•  È vero e bene, o Sofia; e non senza spirto di veritade mostrò il Poeta ferrarese, questa essere molto più conveniente a gli omini, se talvolta non è sconvenevole a dei:

 

Quantunque il simular sia le più volte

Ripreso, e dia di mala mente indici,

Si trova pur in molte cose e molte

Aver fatti evidenti benefici,

E danni, e biasmi, e morte aver già tolte;

Ché non conversiam sempre con gli amici

In questa assai più oscura che serena

Vita mortal, tutta d'invidia piena.

 

 Ma vorrei sapere, o Sofia, in che maniera intendi la Simplicità aver similitudine del volto divino.


•Sofia•
 Per questo, che la non può aggiongere a l'esser suo con la iattanza, e non può suttraere da quello con la simulazione. E questo procede dal non avere intelligenza ed apprensione di se stessa; come quello che è simplicissimo, se non vuol essere altro che semplicissimo, non intende se stesso. Perché quello che si sente e che si remira, si fa in certo modo molto, e, per dir meglio, altro ed altro; perché si fa obietto e potenza, conoscente e conoscibile: essendo che ne l'atto dell'intelligenza molte cose incorreno in uno. Però quella semplicissima intelligenza non si dice intendere se stessa, come se avesse un atto reflesso de intelligente ed intelligibile; ma perché è absolutissimo e semplicissimo lume, solo dunque se dice intendersi negativamente, per quanto non si può essere occolta. La Semplicità dunque, in quanto che non apprende e non commenta su l'esser suo, s'intende aver similitudine divina. Dalla quale a tutta distanza dechina la boriosa Iattanzia. Ma non tanto la studiosa Dissimulazione, a cui Giove fa lecito che talvolta si presente in cielo, e non già come dea, ma come tal volta ancella della Prudenza e scudo della Veritade.


•Saulino•  Or vengamo ad considerar quel ch'è fatto di Perseo e della sua stanza.


•Sofia•
 - Che farai, o Giove, di questo tuo bastardo, che ti fêsti parturire a Danae? - disse Momo. Rispose Giove: -Vada, se cossì piace al senato intiero (perché mi par che qualche nuova Medusa si trova in terra, che, non meno che quella di già gran tempo, è potente di convertere in selce col suo aspetto chiunque la remira), vada a costei non come mandato da un nuovo Polidette, ma come inviato da Giove insieme con tutto il senato celeste; e veda se, secondo la medesima arte, possa superare tanto più orribile quanto più nuovo mostro. - Qua risorse Minerva, dicendo: - Ed io dal mio canto non mancarò d'accomodargli non men commodo scudo di cristallo con cui vegna ad abbarbagliar la vista de le nemiche Forcidi messe in custodia de le Gorgoni; ed io in presenza voglio assistergli, sin tanto che abbia disciolto il capo di questa Medusa dal suo busto. - Cossì, disse Giove, farai molto bene, mia figlia; ed io te impono questa cura, nella qual voglio che t'adopri con ogni diligenza. Ma non vorei che di nuovo faccia, che a danno de gli poveri popoli avenga che per le stille, che scorreranno da le vene incise, vegnano generati nuovi serpenti in terra, dove, a mal grado de miseri, vi se ne ritrovano pur assai e troppo. Però, montato sul Pegaso, che verrà fuori del fecondo corpo di colei, discorra (riparando al flusso de le goccie sanguinose) non già per l'Africa dove di qualche cattiva Andromeda vegna cattivo: dalla quale, avinta in ferree catene, vegna legato di quelle di diamante; ma col suo destriero alato discorra la mia diletta Europa; ed ivi cerca, dove son que' superbi e mostruosi Atlanti, nemici de la progenie di Giove, da cui temeno che gli vegnan tolte le poma d'oro, che sotto la custodia e serragli de l'Avarizia ed Ambizione tegnono occolte. Attenda ove son altre più generose e più belle Andromede che per violenza di falsa religione vegnono legate ed esposte alle marine belve. Guarde se qualche violento Fineo, constipato dalla moltitudine di perniciosi ministri, viene ad usurparsi i frutti dell'altrui industrie e fatiche. Se qualche numero de ingrati, ostinati ed increduli Polidetti vi presiede, facciasegli a il specchio tutto animoso innante, presentegli agli occhi ove possono remirar il suo fedo ritratto, dal cui orrendo aspetto impetrati perdano ogni perverso senso, moto e vita. -.

 - Bene ordinato il tutto, dissero gli dei. Perché è cosa conveniente che gionto ad Ercule, che col braccio della Giustizia e bastone del Giudicio è fatto domator de le corporee forze, compaia Perseo, che, col specchio luminoso della dottrina e con la presentazion del ritratto abominando de la scisma ed eresia, alla perniciosa conscienza de gli malfattori ed ostinati ingegni metta il chiodo, togliendoli l'opra di lingua, di mani e senso.


•Saulino•  Venite ora, Sofia, a chiarirmi di quello ch'è ordinato a succedere a la piazza onde fece partenza costui.


•Sofia•
 Una virtude in abito e gesti niente dissimile a costui, che si chiama Diligenza, over Sollecitudine; la qual ha ed è avuta per compagna da la Fatica, in virtù della quale Perseo fu Perseo, ed Ercole fu Ercole, ed ogni forte e faticoso è faticoso e forte; e per cui il pronepote d'Abante av'intercetto alle Forcidi il lume, il capo a Medusa, il pennato destriero al tronco busto, le sacre poma al figlio di Climene ed Iapeto, la figlia di Cefeo ed Andromeda al Ceto, difesa la moglie dal rivale, revista Argo sua patria, tolto il regno a Preto, restituito quello a Crisio fratello, vendicatosi su l'ingrato e discortese re de l'isola Serifia; per cui, dico, si supera ogni vigilanza, si tronca ogni adversa occasione, si facilita ogni camino ed accesso, s'acquista ogni tesoro, si doma ogni forza, si toglie ogni cattività, s'ottiene ogni desio, si defende ogni possessione, si gionge ad ogni porto, si deprimeno tutti adversarii, si esaltano tutti amici e si vendicano tutte ingiurie; e finalmente si viene ad ogni dissegno. Ordinò dunque Giove, e questo ordine approvâro tutti dei, che la faticosa e diligente Sollecitudine si facesse innante. Ed ecco che la comparve, avendosi adattati gli talari de l'impeto divino con gli quali calpestra il sommo bene populare, spreggia le blande carezze de le voluttadi, che, come Sirene insidiose, tentano di ritardarla dal corso de l'opra che la ricerca ed aspetta. Appigliatasi con la sinistra al scudo risplendente dal suo fervore, che di stupida maraviglia ingombra gli occhi desidiosi ed inerti; compresa con la destra la serpentina chioma di perniciosi pensieri, a' quai sottogiace quell'orribil capo, di cui l'infelice volto da mille passioni di sdegno, d'ira, di spavento, di terrore, di abominio, di maraviglia, di melancolia e di lugubre pentimento disformato, sassifica ed instupisce chiunque v'affigge gli occhi; montata su quell'aligero cavallo della studiosa perseveranza, con il quale, a quanto si forza, a tanto arriva e giunge, superando ogni intoppo di clivoso monte, ritardamento di profonda valle, impeto di rapido fiume, riparo di siepe densissime e di quantunque grosse ed alte muraglia. Venuta dunque in presenza del sacrosanto senato, udì dal sommo preside queste paroli: - Voglio, o Diligenza, che ottegni questo nobil spacio nel cielo; perché tu sei quella che nutri con la fatica gli animi generosi. Monta, supera e passa con uno spirto, se possibil fia, ogni sassosa e ruvida montagna. Infervora tanto l'affetto tuo, che non solo resisti e vinci te stessa, ma, ed oltre, non abbi senso della tua difficultade, non abbi sentimento del tuo esser fatica; perché cossì la fatica non deve esser fatica a sé, come a se medesimo nessun grave è grave. Però non sarai degna fatica, se talmente non vinci te stessa, che non ti stimi essere quel che sei, fatica; atteso che, dovunque hai senso di te, non puoi essere superiore a te; ma, se non sei depressa o suppressa, vieni al meno ad essere oppressa da te medesima. La somma perfezione è non sentir fatica e dolore, quando si comporta fatica e dolore. Devi superarti con quel senso di voluttà, che non sente voluttà; quella voluttà dico, la quale, se fusse naturalmente buona, non verrebe dispreggiata da molti, come principio di morbi, povertade e biasimo. Ma tu, Fatica, circa l'opre egregie sii voluttà e non fatica a te stessa; vegni, dico, ad esser una e medesima cosa con quella, la quale fuor di quelle opre ed atti virtuosi sia a se stessa non voluttà, ma fatica intolerabile. Su dunque, se sei virtù, non occuparti a cose basse, a cose frivole, a cose vane. Se vuoi esser là dove il polo sublime della Verità ti vegna verticale, passa questo Apennino, monta queste Alpi, varca questo scoglioso Oceano, supera questi rigorosi Rifei, trapassa questo sterile e gelato Caucaso, penetra le inaccessibili erture, e subintra quel felice circolo, dove il lume è continuo e non si veggon mai tenebre né freddo, ma è perpetua temperie di caldo e dove eterna ti fia l'aurora o giorno. Passa dunque tu, dea Sollecitudine o Fatica; e voglio (disse Giove) che la difficultade ti corra avanti e ti fugga. Scaccia la Disaventura, apprendi la Fortuna pe' capelli; affretta, quando meglio ti pare, il corso della sua ruota; e quando ti sembra bene, figigli il chiodo, acciò non scorra. Voglio che teco vegna la Sanità, la Robustezza, l'Incolumità. Sia tua scudiera la Diligenza e tuo antesignano sia l'Esercizio. Sieguati l'Acquisizione con le munizioni sue, che son Bene del corpo, Bene de l'animo, e, se vuoi, Bene de la fortuna; e di questi voglio che più sieno amati da te quei che tu medesima hai acquistati, che altri che ricevi d'altrui: non altrimente che una madre ama più li figli, come colei che più le conosce per suoi. Non voglio che possi dividerti; perché, se ti smembrarai, parte occupandoti a l'opre de la mente e parte a l'oprazioni del corpo, verrai ad esser defettuosa a l'una e l'altra parte; e se più ti addonarai a l'uno, meno prevalerai ne l'altro verso: se tutta inclinarai a cose materiali, nulla vegni ad essere in cose intellettuali, e per l'incontro. Ordino a l'Occasione, che quando fia mestiero, ad alta voce o con cenno o con silenzio quella chiamatati, o ti esorti, o ti alletti, o ti inciti, o ti sforze. Comando alla Comodità ed Incomodità, che ti avertiscano quando si possano accollare, e quando si denno poner giù le sarcine, como talor quando è necessario transnatare. Voglio che la Diligenza ti toglia ogni intoppo; la Vigilanza ti farà la sentinella guardando circa in circa, a fin che cosa non ti s'appresse all'improviso; che la Indigenza ti averta dalla Sollecitudine e Vigilanza circa cose vane; la quale se non sarà udita da te, succeda al fine la Penitenza, la qual ti faccia esperimentar che è cosa più laboriosa aver menate le braccia vacue, che con le mani piene aver tirati sassi. Tu con gli piedi della Diligenza, quanto puoi, fuggi e ti affretta, pria che Forza maggior intervegna e toglia la Libertade over porga forza ed armi alla Difficultade.

 

Cossì la Sollecitudine, avendo ringraziato Giove e gli altri, prende il suo camino e parla in questa forma: - Ecco, io Fatica muovo gli passi, mi accingo, mi sbraccio. Via da me ogni torpore, ogni ocio, ogni negligenza, ogni desidiosa acedia, fuori ogni lentezza! Tu, Industria mia, proponite avanti gli occhi della considerazione il tuo profitto, il tuo fine. Rendi salutifere quelle altrui tante calunnie, quelli altrui tanti frutti di malignitade ed invidia, e quel tuo raggionevole timore che ti cacciâro dallo tuo natio albergo, che ti alienaro da gli amici, che ti allontanâro dalla patria, e ti bandîro a poco amichevole contrade. Fa', Industria mia, meco glorioso quello essilio e travagli, sopra la quiete, sopra quella patria tranquillitade, commoditade e pace. Su, Diligenza, che fai? perché tanto ociamo e dormiamo vivi, se tanto tanto doviamo ociar e dormire in morte? Atteso che, se pur aspettiamo altra vita o altro modo di esser noi, non sarà quella nostra, come de chi siamo al presente; percioché questa, senza sperar giamai ritorno, eternamente passa. Tu, Speranza, che fai, che non mi sproni, che non m'inciti? Su, fa' ch'io aspetti da cose difficili exito salutare, se non mi affretto avanti tempo e non cesso in tempo; e non far ch'io mi prometta cosa per quanto viva, ma per quanto ben viva. Tu, Zelo, siimi sempre assistente, a fine ch'io non tente cose indegne di nume da bene, e che non stenda le mani a quei negocii che sieno caggione di maggior negocio. Amor di gloria, presentami avanti gli occhi quanto sia brutto a vedere, e cosa turpe di esser sollecito della sicurtà nell'entrata e principio del negocio. Sagacità, fa' che da le cose incerte e dubie non mi retire, né volte le spalli, ma da quelle pian piano mi discoste in salvo. Tu medesima (acciò ch'io non sia ritrovata da nemici, ed il furor di quelli non mi s'avente sopra) confondi, seguendomi, gli miei vestigi. Tu mi fa menar gli passi per vie distanti da le stanze de la Fortuna, perché la non ha lunghe le mani, e non può occupar se non quelli che gli son vicini, e non essagita se non color che si trovano dentro la sua urna. Tu farai ch'io non tente cosa, se non quando attamente posso; e fammi nel negocio più cauta che forte, se non puoi farmi equalmente cauta e forte. Fa' ch'il mio lavoro sia occolto e sia aperto: aperto, acciò che non ogniuno il cerca ed inquira; occolto, acciò che non tutti, ma pochissimi lo ritroveno. Perché sai bene che le cose occolte sono investigate, e le cose inserrate convitano gli ladroni. Oltre, quel che appare, è stimato vile, e l'arca aperta non è diligentemente ricercata, ed è creduto poco preggiato quello che non si vede con molta diligenza messo in custodia. Animosità, con la voce del tuo vivace fervore, quando la difficultà mi preme, oltraggia, e resiste, non mancar sovente d'intonarmi a l'orecchio quella sentenza: Tu ne cede malis, sed contra audentior ito.

 

Tu, Consultazion, mi farai intendere quando mi conviene sciôrre o rompere la mal impiegata occupazione; la qual degnamente prenderà la mira non ad oro e facultadi da volgari e sordidi ingegni; ma a que' tesori che meno ascosi e dispersi dal tempo, son celebrati e colti nel campo de l'eternitade; a fin che non si dica di noi, come di quelli: meditantur sua stercora scarabaei. Tu, Pazienza, confirmami, affrenami ed administrami quel tuo Ocio eletto, a cui non è sorella la Desidia, ma quello che è fratello de la Toleranza. Mi farai declinar dall'inquietudine ed inclinare alla non curiosa Sollecitudine. Allora mi negarai il correre, quando correr mi cale dove son precipitosi, infami e mortali intoppi. Allora non mi farai alzar l'ancora e sciôrre la poppa dal lido, quando aviene che mi commetta ad insuperabile turbulenza di tempestoso mare. Ed in questo mi donarai ocio di abboccarmi con la Consultazione, la quale mi farà guardar prima me stessa; secondo, il negocio ch'ho da fare; terzo, a che fine e perché; quarto, con quai circonstanze; quinto, quando; sesto, dove; settimo, con cui. Amministremi quell'ocio con cui io possa far cose più belle, più buone e più eccellenti che quelle che lascio; perché in casa de l'Ocio siede il Conseglio, ed ivi della vita beata, meglior che in altra parte, si tratta. Indi megliormente si contemplano le occasioni; da là con più efficacia e forza si può uscire al negocio, perché, senza esser prima a bastanza posato, non è possibile di posser appresso ben correre. Tu, Ozio, mi administra, per cui io vegna stimato manco ocioso che tutti gli altri; percioché per tuo mezzo accaderà, che io serva a la republica e defension de la patria più con la mia voce ed esortazione, che con la spada, lancia e scudo il soldato, il tribuno, l'imperatore. Accòstati a me tu, generoso ed eroico e sollecito Timore; e con il tuo stimolo fa' che io non perisca prima dal numero de gl'illustri che dal numero de vivi. Fa' che prima che il torpore e morte mi tolga le mani, io mi ritrove talmente provisto che non mi possa togliere la gloria de l'opre. Sollecitudine, fa' che sia finito il tetto prima che vegna la pioggia; fa' che si ripare a le fenestre pria che soffieno gli Aquiloni ed Austri di lubrico ed inquieto inverno. Memoria del bene adoperato corso della vita, farai tu che la senettute e morte pria mi tolga che mi conturbe l'animo. Tu, tema di perdere la gloria acquistata ne la vita, non mi farai acerba, ma cara e bramabile la vecchiaia e morte.


•Saulino•  Ecco qua, o Sofia, la più degna ed onorata ricetta per rimediar alla tristizia e dolor che apporta la matura etade, ed all'importuno terror de la morte che da l'ora, che abbiamo uso di sensi, suol tiranneggiar il spirto de gli animanti. Onde ben disse il nolano Tansillo:

Godon quei, che non son ingrati al cielo,

E ad alte imprese non fur freddi e rudi;

Le staggion liete, allor che neve e gielo

Cadon su i colli d'erbe e di fior nudi,

Non han di che dolersi, ancor che, pelo

Cangiando e volto, cangin vita e studi.

Non ha l'agricoltor di che si doglia,.

Pur ch'al debito tempo il frutto coglia.


•Sofia•
 Assai ben detto, Saulino. Ma è tempo che tu ti retiri; perché ecco il mio tanto amico nume, quella grazia tanto desiderabile, quel volto tanto spettabile da la parte orientale mi s'avicina.


•Saulino•  Bene dunque, mia Sofia, domani a l'ora solita, se cossì ti piace, ne revederemo. Ed io in questo mentre andarò a delinearmi quel tanto che oggi ho udito da te, a fine che megliormente la memoria de tuoi concetti possa, quando fia bisogno, rinovarmi, e più comodamente per l'avenir far di quella partecipe altrui.


•Sofia•
 Maraviglia, che con più del solito frettolose piume mi viene a l'incontro; non lo veggio venir, secondo la sua consuetudine, scherzando col caduceo e battendo sì vagamente con l'ali l'aria liquidissimo. Parmi vederlo turbatamente negocioso. Ecco, mi rimira, e talmente ha ver' me conversi gli occhi che fa manifesto l'ansioso pensiero non pender da mia causa.


•Mercurio•  Propizio ti sia sempre il fato, impotente sia contra di te la rabbia del tempo, mia diletta e gentil figlia e sorella ed amica.


•Sofia•
 Che cosa, o mio bel dio, ti fa sì turbato in vista, benché al mio riguardo non mi sei men ch'altre volte liberale di tua tanto gioconda grazia? perché ti ho veduto venir come in posta, e più accinto di andar e passar oltre che disposto de dimorar alquanto meco?


•Mercurio•  La caggion di questo è che sono in fretta mandato da Giove a proveder e riparar a l'incendio che ha cominciato a suscitar la pazza e fiera Discordia in questo Regno Partenopeo.


•Sofia•
 In che maniera, o Mercurio, questa pestifera Erinni s'è da là de le Alpi ed il mare aventata a questo nobil paese?


•Mercurio•  Dalla stolta ambizione e pazza confidenza d'alcuno è stata chiamata; con assai liberali, ma non meno incerte promesse è stata invitata; da fallace speranza è stata commossa; è aspettata da doppia gelosia, la quale nel popolo adopra il voler mantenersi nella medesima libertade in cui è stato sempre, ed il temer di subintrar più arcta servitude; nel prencipe il suspetto di perder tutto, per aver voluto abbracciar troppo.


•Sofia•
 Che cosa è primo origine e principio di questo?


•Mercurio•  La grande avarizia che va lavorando sotto pretesto di voler mantener la Religione.


•Sofia•
 Il pretesto in vero mi par falso; e se non m'inganno, è inexcusabile: perché non si richiede riparo o cautela dove nessuna ruina o periglio minaccia, dove gli animi son tali quali erano, ed il culto di quella dea non cespita in queste come in altre parti.


•Mercurio•  E quando ciò fusse, non tocca a l'Avarizia, ma alla Prudenza e Giustizia di rimediarvi; perché ecco, che quello ha commosso il popolo a furore, ed a la occasione pare aver tempo d'invitar gli animi rubelli a non tanto defendere la giusta libertà, quanto ad aspirar ad ingiusta licenza, e governarsi secondo la perniciosa e contumace libidine, a cui.sempre fu prona la moltitudine bestiale.


•Sofia•
 Dimmi, se non ti è grave, in che maniera dite che l'Avarizia vuol rimediare?


•Mercurio•  Aggravando gli castighi de delinquenti, di sorte che della pena d'un reo vegnano equalmente partecipi molti innocenti, e tal volta gli giusti; e con ciò vegna a farsi sempre più e più grasso il prencipe.


•Sofia•
 È cosa naturale che le pecore ch'hanno il lupo per governatore, vegnano castigate con esser vorate da lui.


•Mercurio•  Ma è da dubitare che qualche volta sia sufficiente la sola cupa fame ed ingordiggia del lupo a farle colpevoli. Ed è contra ogni legge, che per difetto del padre, vegnano multati gli agnelli e la madre.


•Sofia•
 È vero che mai ho trovato tal giudizio se non tra' fieri barbari, e credo che prima fusse trovato tra' Giudei, per esser quella una generazione tanto pestilente, leprosa e generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta che nata. Sì che, per venire al nostro proposito, questa è la caggione che ti tien turbato, suspeso, e per cui fia mestiero che subito mi lasci?


•Mercurio•  Cossì è; ho voluto far questo camino per convenirti prima che giunga a le parti, dove ho drizzato il volo, per non farti vanamente aspettare, e non mancar a la promessa che feci ieri. A Giove ho mosso qualche proposito de casi tuoi, e lo veggio più ch'al solito inchinato a compiacerti. Ma per quattro o cinque giorni, ed oggi tra gli altri, io non ho ocio di trattar e conferir teco quello che doviamo negociare in proposito de l'instanza che devi fare; però arai pazienza in questo mentre, atteso che meglio è trovar Giove ed il senato feriante da altri impacci, che in quella maniera che puoi credere che sia al presente.


•Sofia•
 Mi piace l'aspettare, perché con questo che la cosa verrà proposta più tardi, potrà anco megliormente essere ordinata. Ed a dire il vero, io in gran fretta (per non mancar il mio dovero per la promessa che ti avevo fatta di commetterti oggi la richiesta) non ho possuto satisfar a me medesima, atteso che penso che le cose denno essere esposte più per particolare che non ho fatto in questa nota; la quale ecco vi porgo, perché veggiate (se vi occorrerà ocio per il camino) la somma de le mie querele.


•Mercurio•  Io vedrò questa; ma voi farrete bene di servirvi della commodità di questo tempo per far più lungo e distinto memoriale, a fine che si possa a pieno provedere al tutto. Io adesso per la prima, per confondere la forza, voglio andar a suscitar l'Astuzia; acciò che gionta a l'Inganno, dettar possa una lettera di tradimento contra la pretenduta ambiziosa Ribellione; per la qual finta lettera si diverta l'empito maritimo del Turco, ed obste al Gallico furore ch'a lunghi passi da qua de l'Alpi per terra s'avicina. Cossì per difetto di Forza si spinga l'ardire, si tranquille il popolo, s'assicure il prencipe, ed il timore spinga la sete de l'Ambizione ed Avarizia senza bere. E con ciò al fine vegna richiamata la bandita Concordia, e posta nella sua catedra la Pace, mediante la confirmazione dell'antiqua Consuetudine di vivere, con abolizione di perigliosa ed.ingrata Novitade.


•Sofia•
 Va dunque, mio Nume, e piaccia al fato che felicemente vegnano adempiti i tuoi dissegni, perché non vegna la mia nemica guerra a turbar il stato mio, non meno che quel de gli altri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spaccio della Bestia Trionfante

Epistola Esplicatoria Dialogo Primo parte 1 Dialogo Primo parte 2 Dialogo Primo parte 3

Dialogo Secondo Parte 1 ▪ Dialogo Secondo Parte 2 ▪ Dialogo Secondo Parte 3 ▪

Dialogo Terzo Parte 1Dialogo Terzo Parte 2Dialogo Terzo Parte 3

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