Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica

 

 

Sesto e Settimo Logos
Per tutto ciò, in connessione alle seguenti fasi date dal testo, ove è questione dei sette dei e delle sette dee, potremmo riferirci altresì ad un caratteristico episodio dello mitologia ellenica; poiché già da quel che siamo venuti dicendo, anche or ora circa la città di Luz, si può comprendere che noi nei miti e così pure nelle cosmogonie mitologiche dell'antichità riteniamo che molto spesso non é questione né di poesia, né di una filosofia ingenua allo stato allegorico, sebbene di simboli in cui sono appunto celati gli insegnamenti dell'Arte.
Qui vogliamo dunque parlare del mito che raffigura Ermete e Apollo in atto di scambiarsi il Caduceo e la lira con sette corde. La corrispondenza di questo significato con quello portato dal rituale mithriaco é sufficientemente manifesta.
Apollo è il dio solare, epperò la stessa cosa dell'apparizione che segue il quarto logos e prima si porto al polo e poi procede sul sentiero nel punto in cui sarà fissato ed interverrà il muggire, annunciatore del risveglio della forzo primordiale. - Circa lo tecnica di cotesto risveglio, abbiamo accennato alla sospensione del respiro, la quale é detto operare nel senso di comporre due correnti di forza sottile (Solare e Lunare - corrispondenti ai due Dadòfori e alle due correnti del flauto) le quali allo stato normale di coscienza sensibile sono distinte e corrono serpentinamente ai due lati di una linea ideale che traversa il corpo partendo dalla sommità del capo fino al sacro, seguendo perciò, all'incirca, la linea dello colonna vertebrale (chiamata merudanda, ove meru é appunto il nome sanscrito per la montagna polare - proprio come i due serpi del caduceo ermetico. Il caduceo del mito esprime appunto codesta composizione, dalla quale procede l'attuarsi di una terza, centrale, sintetica direzione (la verga del caduceo) che sarà precisamente percorsa da kundalinî; e su questa direzione interiore si accendono e si risvegliano i cosiddetti cakra, o centri di forza, che corrispondono sia nel loro numero che nel loro senso, alla gerarchia settenaria - ai sette pianeti, ai sette dei, alle sette corde della lira, alle sette sfere, ai sette draghi, alle sette spire del serpente della divinità frigia e dell'eone mithriaco, ecc.. Dunque: dalla composizione ermetica del Caduceo (di cui quello indicato è soltanto uno dei metodi, l'iniziato ottiene dal principio solare (Apollo) l'accesso a quella Via Regia, ove, portato dal potere igneo taurino che gli dischiude le porte, realizza l'esperienza di stati trascendenti costitutivi l'immateriale gerarchia dell'ebdomade e la Terra dei Viventi.
Codesta realizzazione ho due fasi: appaiono prima sette vergini e poi sette dei. Riferendoci di nuovo all'insegnamento indiano, dormono in ciascuno dei sette cakra un dio (devo) e una dea (devi), da intendersi come l'aspetto maschile e l'aspetto femminile della speciale essenza metafisica che vi corrisponde. Abbiamo già accennato che l'aspetto femminile è l'aspetto manifestato, quindi dinamico, attivo, immanente, demiurgico; é l'aspetto çakti, cioè l'aspetto potenza, substrato delle cose esistenti in quando esistenti. La verginità delle dee esprime l'essere tale potenza allo stato puro e libero (non ancora soggetto alla legge di dualità, di lo e non-Io proprio al mondo fisico); e lo loro natura a sinuosa e di mutamento, cioè acqueo, lunare, passiva (giacché ogni potenza o verbo,, sta in rapporto di strumento rispetto al superiore principio che lo agisce secondo l’agire senza agire - wei-wu-wei - proprio ai motori immobili), é data nella nota corrispondenza del serpente che impronto il viso delle vergini; il carattere demiurgico delle quali si conferma nell'epiteto di guardiane dei quattro Fondamenti e di Dee del Destino.
L'aspetto maschile è invece l'aspetto trascendente, l'aspetto immobile dell'immobilità attiva dei motori immobili; aspetto cui, secondo un simbolismo che si ritrova nella Qabalah, nel culto a Kàli, nella effigie di Vulcano, nel legno dell'Ermete egizio, che è l'ebano, ecc., conviene il colore nero (dal nero viene anche una connessione al potere terribile della Mano Sinistra, mentre l'iniziato nel volgersi verso le dee si volgeva verso destra) di contro alla luce che comincia là dove comincia la manifestazione, l'espressione, senza poter comprendere il potere primordiale creatore che la sostiene e la comanda, e che si esprime nel viso taurino dei sette dei. Questi sono dunque i sostegni, i centri dei sette centri, la solarità e la consistenza loro; e da loro procede, come dice il testo, il volgere vorticoso delle ruote celesti riferito all'ordine non più del quaternario, ma del ternario. Di passaggio rileviamo, a proposito del significato del nero, col Guénon, il riaccostamento di coelum con coelum, che ricorda da vicino la parola caelare (nascondere) analogamente alla derivazione del sanscrito varuna dalla radice kal avente lo stesso senso e ritrovabile sia nel latino celare sia nel sinonimo greco prÕoÖoj: nuove allusioni per la comprensione di ciò che tradizioni varie hanno voluto dire nel parlare dei luoghi sotterranei o nascosti, o cavernosi - sino al sotterraneo Agartha, sede del Re del Mondo.
Il rituale allude dunque ad una realizzazione, in sede di proiezione, dell'ebdomade, prima nel suo aspetto immanente, poi nel suo aspetto trascendente, prima nel suo aspetto di perfezione passiva (lo yin della tradizione cinese) e poi nel suo aspetto di perfezio attiva (lo yang) e di fondamento.
E potremmo ricordare, a questo punto, il noto passo di Apuleio (Metamorfosi, XI, 23): Ho raggiunti i limiti del trapasso, ho calpestato la soglia di Proserpina e, portato attraverso tutti gli elementi sono tornato sulla terra; in mezzo alla notte ho visto il sole scintillante di pura luce: mi sono avvicinato agli dei inferiori e agli dei superiori e li ho adorati faccia a faccia. La corrispondenza di queste fasi con l'itinerario già dato nel nostro rituale è particolarmente evidente. Ma bisogna passar di là anche da queste esperienze per giungere al vero compimento. L'iniziato attraversa i vari dei o pianeti disciogliendosi via via dalle loro orbite e procedendo oltre. Questo viaggio celeste è un punto noto della dottrina mithriaca, comune del resto a varie altre scuole misteriche ellenistiche: è una ascesa che è, simultaneamente, una semplificazione: in ciascuna delle sfere l'anima si libera da quei vari elementi di passione, per cui soggiaceva, nella sua vita mortale, ai Signori di queste sfere stesse, fino a rendersi interamente nuda, vestita soltanto del suo proprio potere - come è detto in un noto passaggio del Corpus Hermeticum.
Nel nostro testo, pertanto, i vari superamenti sono dati in funzione di un saluto a ciascuno degli dei, congiunto a suoni mistici o mantra che possono avere valore sia di crisma che di scongiuro. Rileviamo che qui il mysterion si svolge su un piano più teurgico-contemplativo che non magico (attivo, dominativo) in senso stretto, dimodochè il testo non dice nulla del carattere drammatico e pauroso che possono assumere cotali esperienze quando il compito dell'iniziato sia di non trascendere le varie gerarchie cosmiche che col vincerle, cioè: con l'identificarsi ad esse senza venir meno, ma invece resistendo e conservandosi, e creando nella loro stessa direzione o ascendente una forza più forte di quella di cui ciascuna dispone, per la quale forza viene operato il trapasso nella gerarchia immediatamente superiore.
In ogni caso resta fermo che il rituale ci conduce allo stato di là dai sette (o di là dai tre, secondo un altro, equivalente simbolismo), ove, presso ad un tremar della terra che ha lo stesso senso già indicato per il tuono, ha luogo l'incontro dell'iniziato con Mithra, il gran Dio.
La forza taurina (vitello) attraverso il simbolo dell'Orsa è di nuovo indicata come la forza cosmica centrale, su cui gravita il moto delle cose e dei cieli. Mithra è il dominatore di essa. Egli è ritratto in vari monumenti in atto di portare una spalla di vitello, appunto per indicare la sua qualità di uccisore del toro. E la taurobolia, in questa tradizione, ha il valore di una rinascita nell'eternità. Nella dottrina mithriaca si ha appunto un taurobolio dopo che lo spirito è passato di là dalle sette sfere, taurobolio eseguito da Mithra Saoshyant a cui si riferisce il potere di risuscitare i giusti nel giorno della suprema battaglia. - Non vogliamo tralasciare l'osservazione, che la costellazione dell'Orsa, riferita, nel testo, al vitello, nel suo complesso dà appunto la figura di un carro coi buoi aggiogati; e il settentrione che essa indica può rendersi appunto con septem-triones, cioè, secondo l'uso virgiliano del termine, sette buoi. Dal che si sarebbe ricondotti precisamente a ciò che regge i sette dei già incontrati, dati appunto con viso taurino e nero - cioè occulto, celato - celeste.
Quanto all'istruzione data alla fine del settimo logos, abbiamo detto che si riferisce alla celebrazione dell'iniziato nella stessa natura di Mithra, alla realizzazione immanente della qualità stessa di Mithra, da compiersi con una suprema assunzione del potere taurino che già ha dischiuso le porte celesti o della città dei Signore, sul quale potere si deve ora operare la stessa trasformazione figurata nel simbolo del taurobolio.

 

Indice

Il Testo Formula Propiziatoria Logos Invocatorio Prima Istruzione

I Logos e Seconda Istruzione II Logos III Logos IV Logos

V Logos VI e VII Logos VIII Logos IX Logos