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Logos Invocatorio
Nel primo logos il teurgo evoca dal profondo del proprio essere la sensazione del corpo perfetto o compiuto, che é come l'atto in cui ardono in purità ed in unità immateriale i vari elementi che nella loro forma oscura e corruttibile compongono il suo corpo animale. Tale corpo è formato dal mondo della Luce e della Tenebra, della Vita e della Morte - è tratto, cioè, dalle cose che, soggette al divenire, sono e non sono - per messo del Potere della Mano destra, un nome della potenza iniziatica di cui abbiamo detto, che opera la trasformazione secondo sostanza concepita anche, nello gnosticismo, nell'ermetismo e nello stoicismo, come una integrazione, rettificazione, fissamento, raddrizzamento. Il modo degli elementi quali si trovano nel corpo animale dell'uomo é qualcosa di obliquo, di curvo, di debole, di oscuro, di fuggente: è il modo delle ombre e dei cadaveri. La virtù essenzialmente virile ed eroica (vîryâ) della Mano Destra - che è Mano di Potere (in ebraico come in arabo jod, mano, vuol dire anche potere) e di Giustizia - fissa, risveglia, dinamizza tali elementi; li agisce, li rialza trasfondendo in essi la propria forza e la propria incorruttibilità.
Allora agisce la legge di omeopatia. È insegnamento comune ad ogni occultismo che in ogni organo di corpo umano integro è come incatenata una forma di sensibilità cosmica, una via per comunicare secondo sostanza con gli elementi del mondo superiore o interiore; la quale sensibilità, quando l'Io è desto, é desta anch'essa.
Nel logos invocatorio il teurgo cerca di esaltare la propria coscienza in questo senso e verso questo rapporto cosmico, perché solamente sulla, base di esso ogni atto rituale o magico può produrre effetto La dottrina del Corpo Perfetto ha corrispondenze in varie altre tradizioni: ricordiamo soltanto il corpo spirituale paolino, l’augoeides, il corpo radiante di cui in Plotino e il vâjra-kâya dell'Oriente, ove il termine vâjra (in tibetano: Droje) racchiude simultaneamente l'idea di fulmine e dell'adamantina incorruttibilità e durezza. Questo corpo è corpo di resurrezione e corpo magico. In Agrippa (De occulta philos., III, 44) è detto: In tutto l'insieme del mondo non vi è alcuna opera così ammirabile, così eccellente, così miracolosa che sia, che l'anima umana avente nella sua complessione l'imagine della divinità, chiamata dai maghi anima stante e non cadente, non possa fare con la sua propria virtù e senza al-cun ammennicolo esteriore. La forma (l'attualità) di tutta la virtù magica viene da questa anima dell'uomo, stante e non cadente. L'espressione tecnica stante e non cadente, tradizionale, usata da tempi antichissimi, si riferisce appunto alla anzidetta fortificazione mediante il potere della mano destra o potere eroico (la vîryâ buddistico). Nel Corpus Hermeticum Tat, il figlio dell'Arte, dice al suo Maestro Ermete-Thot: Fortificato da Dio, o Padre, io contemplo non cogli occhi, ma con l'energia intellettuale delle potenze. Il termine usato è ¡ -clinºj, cioè reso stabile, non cadente - dal quale si può risalire al termine sahu che designava arcaicamente appunto il corpo mediante il quale il defunto si confermava nell'immortalità. Infatti l'egizio aha significa star su, fronteggiare, e, col prefisso s che in quella lingua forma i verbi causativi, si ha saha = far stare su, portar su, drizzare. Nell'antico egiziano il morto era detto anche kherit, cioè colui che è caduto; ed era solamente per il sahu formato dal rito, che era resa possibile l'immortalità. D'altra parte il nome stesso dell'interlocutore ermetico:Tat, in egiziano significa stabilità, durata, e il geroglifico che corrisponde alla sua pronuncia é il nilometro, ossia il tronco di tamarisco su cui, secondo la tradizione, era andato a fermarsi il cadavere, i resti di Osiride ucciso, prima della sua resurrezione. Il potere iniziatico fa risorgere colui che è sepolto nella terra, da un cadavere e da un’ombra fuggente dà in atto - nel corpo perfetto o rettificato - un Vivente.
Così in nome della realtà trascendente evocata nel proprio corpo, il teurgo chiede, nel passaggio alla nascita che è libera da morte, l'estinzione della necessità. - L'idea di ¡n¡gch si trova nella più antica misteriosofia ellenica e, identica a quella indiana di karma e a quella buddhistica di brama, da cui lo schopenhaueriano Wille zum Leben, si basa su quel profondo, irrazionale conato da cui l'essere è precipitato in una vita animale fatta di bisogno, su quel conato che dallo stato di essere-in-sè - conduce allo stato di ex-sistenza, cioè di esser-fuori - allo stato di non-persuasione (Michelstaed-ter), di ingiustizia (Anassimandro, Parmenide), di privazione, di insufficienza. di ignoranza, di obliquità e spettralità, che in varie cosmogonie viene concepito sotto l'ipostasi di un principio distinto di cui si intride il Seme di Luce.
In un aspetto speciale e più tecnico, la necessità e l’acre, incessante bisogno di cui dice il testo più di una volta, può riferirsi ad una esperienza caratteristica che sopravviene in molti non appena coi primi esercizi e con le prime discipline occulte riescono (sapendolo o non) a toccare e a mettere in moto qualcosa nella zona sotterranea della loro essenza. Questa esperienza è come di una fame indicibile, organica, assoluta, generatrice di una angoscia e di una insoddisfazione senza pari. Essa cerca di intorno, prova a spegnersi precipitandosi verso questo o quell'oggetto, identificandosi a questa o quella tendenza o appetito umano - a partire dalla stessa fame fisica sino allo spasimo di un amore simile a quello del Tristano e Isotta. Tentativo vano, perché é una fame che nulla più di terreno e di umano può soddisfare: essa porta disperatamente a fondo ogni specie di sensazione, che tuttavia risulta insufficiente, cosicché resta un tendere a vuoto, una sofferenza, una disperazione. Allora morire può apparire come una gioia suprema e come l'oggetto unico; nell'oscuro istinto che l'al-di-là della morte e della stessa notte celi l'oggetto supremo, in cui può spegnersi questa rete senza nome, della quale più sotto sarà detto anche nell'ordine dell'orfismo. E così che potremmo indicare più di una persona in cui il suicidio é stato appunto l'epilogo in cui ha tragicamente abortito un primo approccio, anche se non avvertito o direttamente voluto, col Serpe in loro.
Questa interpetrazione speciale del bisogno e della necessità di cui dice il teurgo, é appoggiata dal trovarci dinanzi ad un rito dei Misteri Maggiori, ossia dopo pratiche preliminari, che potrebbero aver provocato precisamente l'esperienza in parola; la quale solamente in una morte ha la sua risoluzione: o in telioqa, in quella morte che é vita, resurrezione iniziatica - o in telut©n, in quella morte che é morte, t˜loj; qui non avendo valore di compimento, del fine, ma della fine, dell'estinzione tragica della piccola luce della coscienza individuale data in prestito agli animali umani.
Schiavo della necessità, l'uomo, come abbiamo detto in altra occasione, corre di esistenza in esistenza, secondo una legge che l'iniziato vuole infrangere per convergere in sé stesso. Per ciò gli occorre di fissare la potenza della sua anima umana, sospenderla e tenerla ferma sotto di sé, per mezzo del superiore potere ottenuto con la consacrazione, rettificazione e tradizione, - ed allora soltanto avverrà la rigenerazione e la resurrezione, quella nascita in mente che é divenire principio a sé medesimo ed autogenerarsi. Così si scioglie in lui angustia o vincolo del cuore, e l'lo respirarespira l’aria cosmica, che é etere di libertà e di liberazione, é un esser-in-nessun-luogo e freschezza fatta di attività immateriale; é altresì l’etere di vita o etere dei Viventi, che risuona in una forma spirituale di udito, in sillabe fatte di evidenza e di illuminazione. Queste sillabe nell'arcaica tradizione egiziana sono i cosiddetti nomi di potenza; e i mantra, nella tradizione indiana.
Aristotile, nei riguardi dei Misteri di Eleusi, dice che vi si sperimentava ciò che di più orrido e di più meraviglioso, di più, raccapricciante e di più rasserenante le cose divine possono offrire agli uomini. Del pari nel nostro rituale si parla della Meraviglia del Fuoco e dell’Orrore delle Acque (le Acque che danno i brividi), degli Abissi della Scaturigine. Ricordiamo che queste esperienze si riferiscono ai Misteri Maggiori, perciò a chi prove anteriori abbia temprato sì che possa affrontare senza spezzarsi lo smarrimento, il terrore, il rapimento senza pari che ne deriverebbero per la massa degli uomini. A questo proposito é da rilevare l'infinita sproporzione fra qualsiasi descrizione o accenno rituale e queste o consimili esperienze, una volta vissute che siano, in quella sede che a loro é propria. Per esse, il testo indicherà pertanto un protettivo: la subita invocazione od evocazione del Silenzio.
L’occhio immortale é il terzo occhio, l’occhio frontale, ciclopico, solare e sidereo, l’occhio dell'Aquila, l'occhio della visione spirituale. Anche per esso la letteratura iniziatica é ricca di riferimenti. Non soltanto é atto a fissare l'Eone, ma ad esso si rivelano anche le cose che il fuoco di purificazione denuda dalla loro sensibilità e particolarità, dal loro carattere di oggetti di brama e rende in atto in specie di cose che sono, in un luogo assoluto libero da spazio e tempo - eterno. Si é accennato alla corrispondenza con l’occhio di Çiva, che é l'urna, la perla frontale che si ritrova nelle effigi del Buddha. Potremmo anche riferirci alla coppa del Graal che, secondo la leggenda, è stata intagliata dagli angeli in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, al momento del suo precipitare, e che a sua volta Adamo perdette, quando fu scacciato dal paradiso. La ricerca del Graal é la via stessa del Risveglio. La lancia, a questo proposito, é il correlativo maschile (attivo, creativo), del femminile (ricettivo, conoscitivo) della e coppa: nelle scuole tibetane la sapienza o visione é detta appunto femmina, maschio il metodo (rito) e la potenza iniziatica - e il loro simbolismo raffigura espressivamente i due in congiunzione sessuale. E il sangue della lancia corrisponde a quello che, nelle tradizioni occulte taoiste, è detto uscire sotto il morso del dragone: Per il suo morso, il Dio entrerà. La voce, senza parola; l'udito, senza il suono; la vista, senza l'oggetto; il possesso, senza il contatto: ecco le stille di sangue del morso.
È forse possibile congiungere questo occhio immortale a quel Fulgore nelle auree splendenze del quale l'Io, secondo quanto sarà detto più giù nello stesso logos, è trasportato alle Altezze; fulgore che corrisponderebbe a ciò che é destato dal muggire, cioè al Potere taurino o serpentino, alla Vampa di Kundalinî e al Basilisco ermetico, dal quale la coscienza umana é trasportata fra le nature cosmiche.
È interessante di rilevare, sempre nello stesso logos, l'allusione, che la potenza dell'anima umana deve essere restituita oltre stato di necessità; giacché in essa si conferma la veduta antimistica, per cui l'iniziazione non volge alla cessazione dell'lo e al naufragio nell'universale, sibbene alla conferma dell'Io stesso in uno stato trascendente di esistenza. Diciamo di più: le evocazioni teurgiche e misteriche hanno un valore non solo per l'uomo, ma altresì per il cosmo. In un racconto rosicruciano é narrato che Dio creò l'uomo affinché dicesse alle varie entità cosmiche, che non li conoscevano, i loro Nomi. L'uomo è individuazione, e nell'esperienza teurgica e magica egli porta una potenza di individuazione nello stesso mondo meta-fisico. Col gesto, col rito, coi segni e coi nomi di potenza esprimendo le forze profonde che dorarono in lui, egli individuar scolpisce, dà persona ad enti che prima della sua opera erano diffusi come semplici stati nella sostanza cosmica. Il mago é realmente il creatore degli dei e dei genii (tale é il senso letterale della parola: teurgo) che gli appariranno e di cui si servirà. Onde nella Qabalah l'adepto è chiamato il Signoredei Nomi. - Il Grande Agente Magico di Eliphas Levi é lo 'ain, il roû degli Arabi, il Mana dei selvaggi e il nefs, chiamato numinoso (da numen) da Rudolf Otto e teoplasma (god-stuff) dallo Hartland (in Folklore, XII, 27) appunto perché é la sostanza da cui la pratica teurgica enuclea il dio. È così che i simboli, i riti e le formule tradizionali, agili con giusta intenzione, hanno un potere evocativo reale, perché i vari dei mantengono una vita propria e sono presenti virtualmente in seno alla tradizione o scuola che, col crearli, li ha conosciuti.
Questa invocazione è fitta di voces mistica. Di esse, abbiamo dunque detto: sono suoni inarticolati che, assunti in uno speciale stato di esaltazione fluidica, hanno un potere suscitatore, evocatore, proiettore - quasi come illuminazioni, espressioni assolute, gesti di potenza in cui culminano i significati di cui sono caricate le restanti parole. Affinché abbiano effetto, questi Nomi o mantra vanno svegliati. Lteurgico deve accenderli e schiuderli sino al punto da prorompere quasi spontaneamente nelle invocazioni.
In tali voci é anche da notarsi la presenza delle sette vocali greche, nel loro ordine corrispondenti forse ai sette pianeti e ai sette gradi della gerarchia magica, di cui più oltre, e che hanno un simbolismo vastissimo.

 

Indice

Il Testo Formula Propiziatoria Logos Invocatorio Prima Istruzione

I Logos e Seconda Istruzione II Logos III Logos IV Logos

V Logos VI e VII Logos VIII Logos IX Logos