Le Tavole di Tallone
 
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L’ Iniziazione e  la Scienza

(9 gennaio 1945)

Cari Fratelli

Forse Voi vi domandate: “Quale scopo hanno queste conversazioni iniziatiche in un periodo così turbolento? e quale effetto possono avere sulle condizioni caotiche, tempestose, tragiche, nelle quali ci aggiriamo senza trovare via di uscita? Non sarebbe meglio se, in luogo di queste chiacchiere, ci si dicesse come si possa fare per tirare avanti, per risollevare le condizioni miserevoli in cui si trova l’Italia? Perché è bene conoscere i simboli, ma è meglio oggi agire, che non perdersi nell’astratto”.

Questa domanda io, Fr.·. Non me la sono posta e non ho esitato ad accettare l’incarico che mi venne affidato dall’Off.·. Di parlarvi dell’iniziazione massonica ; perché io so che la contingenza degli avvenimenti è solo un accidente nella catena dei secoli; che i dolori si superano solo quando si è superata la vita; che l’azione umana contro le forze superiori a nulla vale senza la conoscenza di queste forze; infine che il Massone non può agire come tale se non sa che cosa esso sia.

Vana è l’illusione che spinge a credere si possa arginare l’impeto della vita superiore dell’umanità ponendo ostacoli umani alla forza della natura: come chi volesse arginare la piena di un fiume costruendo sulle sue sponde una rete di bastoncelli.

Ora io vi dico che ciò che oggi avviene, ciò che ieri è avvenuto e ciò che avverrà domani, non è il prodotto di azioni umane, ma il frutto di forse eterne che si urtano e si contrastano per equilibrarsi e produrre, che agiscono sugli immensi universi, sui mondi sterminati, sulle infinite umanità, sui piccoli uomini. Dalla illimitata nebulosa al piccolo elettrone, ogni cosa che esiste, nell’individuo e nella totalità, ogni cosa che vive ed ha movimento è soggetta a queste forze perenni, immense ed immortali: Solo chi le conosce e può dirigerle potrà anche sapere che cosa esse siano e a qual punto tendano; e potrà spiegare il perché degli avvenimenti.

Ora questa conoscenza insegna la Massoneria; necessaria a chi vuol progredire e far progredire l’umanità nelle eterne vie della vita. Non io vi potrò dare tale conoscenza; sia perché non sono da tanto, sia perché in questa camera non tutto si può dire. Ma se mi vorrete seguire con buona volontà, vi porrò dritto su quel sentiero che conduce alla verità ed alla vita e che voi dovrete poi seguire con la vostra intelligenza e col progredire nei gradi massonici, studiandone i simboli e le leggende.

Nella conversazione passata chiudevo il mio dire affermando che esiste qualcosa che permane in tutti i tempi  e in tutte le evenienze e sorregge la spiritualità della vita, ed aggiungevo che questo qualcosa costituisce l'ultima essenza della Massoneria. Tentiamo adesso di indagare in che possa consistere questo elemento perenne e, quasi direi, immortale.

Si sente speso parlare di spirito massonico, di carattere massonico e si dice che chi è massone rimane tale anche se esce dall'ordine, perché il suggello massonico non si perde più per tutta la vita. Ora tutto questo è vero , ma è necessario intenderci sul significato effettivo di tali affermazioni, perché molto spesso si scambia il carattere massonico con il carattere profano.

È forse l'intelligenza o la cultura? E' il trovarsi in un'altra condizione sociale, o essere una spiccata personalità politica o scientifica o letteraria? Io rispondo "No". Queste qualità le hanno i Massoni come le possono avere i profani e son dovute non già all'educazione nel tempio, ma a quella nel mondo. Noi  invece ricerchiamo qualcosa che sia esclusivamente massonica e che non possa avere chi non conosce le colonne.

È forse allora la morale? L'essere buono, onesto, ligio al dovere, umano con tutti, rifuggire dalla menzogna e dalla colpa, seguire il sentiero della virtù costituisce il crisma massonico? Io rispondo "No". Tutte queste doti ed altre di più possono benissimo averle i profani e sono doti che si possono perdere anche da un massone  il quale abbia deviato dalla retta via. Uscendo dalle file massoniche o anche rimanendovi, il massone può pure dimenticare ogni suo dovere, trascurare ogni sua evoluzione morale e finire anche delinquente. Le doti morali necessarie per far parte dell'Ordine nostro, se sono qualità indispensabili non sono sufficienti per fare di un profano un Massone: esse si hanno o si acquistano fuori e dentro il tempio e si possono perdere fuori e dentro l'ordine nostro.

Sarà allora ciò che abbiamo l'abitudine di chiamare "carattere"? Sarà la fortezza, la fede nei propri ideali, la disposizione a morire piuttosto che a rinunciare ai propri principi, la salda tempra di chi sacrifica se e i suoi cari, di chi si immola per la libertà e la giustizia, di chi serenamente affronta e supera le persecuzioni e le beffe? Io rispondo "No". Uomini di tal fatta sono sempre esistiti, tanto nelle nostre fila quanto nel mondo profano; i martiri di un proprio ideali non sono stati tutti massoni o adepti di simili organizzazioni, e tanti vivono, fieri del loro carattere e che pure non  hanno mai pensato di venire a noi o che addirittura siano o siano stati nostri avversari. Né è a dire che tali qualità non si possano perdere. Quanti e quanti nostri Fratelli su cui  poggiavano certi i nostri giudizi, a cui si volgevano sicuri i nostri occhi, che erano in se fermi e tranquilli nella loro coscienza e nel loro ideale, quanti e quanti di questi fratelli cedettero e subito dinanzi alla bufera fascista! Anche queste, perciò non possono costituire le qualità particolari del Massone.

Tutte le virtù a cui  ho accennato sono virtù possibili e comuni a tutti gli uomini. La differenza è solo in questo: che i profani possono averle, i Massoni debbono averle. Il profano può rinunciare a tutte le qualità buone, perché egli   è libero di agire o di non agire, di lavorare in un senso o in un altro, di scorgere soltanto se stesso nella vita o di vederci anche gli altri. Il Massone deve possederle perché egli non è più libero: ha giurato e si è legato ad una organizzazione che ricerca la verità ed il bene, che agisce e vuole agire per risollevare l'umanità da ogni oppressione, che rinuncia ad ogni suo vantaggio per il vantaggio altrui.

Ma c'è di più. Il profano ottiene la virtù per istinto, per educazione, per ragionamento; il massone deve possederla per "conoscenza". Là agisce l'intelletto ed il sentimento; qui deve agire la profonda "sapienza" e la sensazione che la virtù non è virtù ma è vita. Per il profano la virtù è scopo della vita; per il Massone è mezzo di essa; per il profano è causa del suo miglioramento, per il Massone è effetto della sua saggezza.

Ed allora? Allora il carattere massonico, lo spirito massonico, il crisma che non si perde più, e che produce nell'animo uno sconvolgimento tale da non poter più tornare indietro; la trasformazione, quasi direi, la il percorso, che di un profano fa un massone, è ciò che si usa chiamare: "Iniziazione", o se volete, con un termine diverso: "Sapienza"; che non è scienza e che non ha niente a che fare con le forme dello scibile umano. Iniziazione, perenne ed immortale ricerca del vero in se stesso, realizzazione della propria vita, conoscenza del proprio essere. Iniziazione che di un uomo affannato e triste nel nostro mondo fa un essere tranquillo e felice, che del dolore fa gioia e dell'inferno paradiso. Iniziazione, infine, che spiega dinanzi agli occhi dello spirito, fatti attoniti dalle bellezze osservate, i misteri dell'esistenza nostra; e che fa sentire il proprio essere come qualcosa di reale e di vivo, di immutabile e di immortale, di bello e di divino.

Nel mondo profano, per quanto si sia ricchi o colti o virtuosi sempre le tempeste della vita dolorano nell'animo e i desideri affannosi tormentano il cuore. All'iniziato le tempeste della vita fanno lo stesso effetto che fa all'oceano sterminato inghiottire una piccola barca; un inavvertito increspamento di  un attimo su una piccola parte della sua superficie, e poi lo stato normale. Per l'iniziato non ci sono più desideri, altro che uno, più aspirazioni, altro che una, più sforzi, altro che uno; e quel desiderio rimasto, quella aspirazione, quello sforzo, non danno pene, ma gioie.

Non vale la pena, Fratelli, diventare massoni e conoscere se stessi e la tranquillità? Non vale la pena ottenere quella calma interiore che ci fa passare sereni in mezzo alle brighe dell'umanità e ci fa comprendere il detto di Cristo: "Il mio regno non è di questo mondo"?

            Che cos’è l’Iniziazione? E’ difficile esprimere a parole ciò che è un senso dell’anima. Potremmo dire: “la scienza del Divino in contrapposto a quella dell’umano; la scienza dello spirito in contrapposto a quella del fisico”. La nostra scienza non è se non la ricerca del fenomeno fisico, delle forze agenti e manifestantesi nel fisico, ed anche quei rami di scienza che pare studino l’astratto, come potrebbe essere la psicologia, volgono sempre la loro ricerca sui fenomeni che questo astratto produce sul fisico e per ritrovare i movimenti dell’intelletto e dell’animo umano esaminano il loro manifestarsi sul piano fisico e ne derivano le conseguenze e le ipotesi. In sostanza la scienza non risolve il problema della vita, ma analizza il fenomeno del cadavere; essa non sa nè può ritrovare le cause essenziali del fisico e si deve di necessità accontentare del fenomeno nella sua effettuazione. In che consiste, per esempio, per la scienza, il passaggio dallo stato solido allo stato liquido e allo stato areiforme?  La scienza risponde che ad una determinata temperatura e pressione un corpo passa da uno stato all’altro perchè le molecole si allontanano l’una dall’altra. E la cosa è vera; ma la risposta al problema di questi passaggi non c’è; perchè la scienza non risponde alla domanda: “qual’è la ragione per cui le molecole di un corpo sottoposto ad una determinata temperatura e pressione si debbono allontanare l’una dall’altra”? La scienza ha constatato il fenomeno e si è dovuta fermare a questo.

            Una corrente elettrica passa attraverso l’acqua e questa si scinde in idrogeno ed ossigeno. Ecco il fenomeno: la corrente elettrica è la causa della scissione; ma che cosa veramente produce quella corrente in quell’acqua?  Qual’è il mezzo, cioè, che unisce corrente ed acqua, per cui la causa agisce in quel tal modo? La scienza non può rispondere.

            Il pendolo mantiene sempre il suo piano di oscillazione. Questo è il fenomeno; ma per quale causa il piano di oscillazione non si sposta? La scienza non può rispondere.

            Gli astri si attraggono l’uno con l’altra e questa attrazione produce l’equilibrio. Il fenomeno è constatato e se ne conoscono le leggi. Ma noi vorremmo sapere che cosa sono questi fili invisibili che reggono l’universo. Dire che son forze non è rispondere; poiché proprio la spiegazione di forza noi desideriamo avere. La scienza ha mandato in soffitta le antiche parole “Virtù, Potenza” e le ha sostituite con la parola “Forza”. Sostituzione di parola, non spiegazione. E se da questo campo passiamo a quello degli esseri viventi l’incomprensione scientifica aumenta.

            Perchè dall’unione di un uomo e di una donna nasce sempre un essere umano e dall’unione di un cavallo e di una cavalla sempre un cavallo? Perchè uno spermatozoo di un asino, mettiamo, se si incontra con un uovo di leone non produce? Affinità Ma affinità è una parola e non da la spiegazione che vorremmo.

            Qual’è il mistero della cellula? Un essere organico nasce, cresce, invecchia e muore; ma la cellula no. Essa nasce, cresce, invecchia e... non muore; si scinde insieme al suo nucleo in due parti e diventano due cellule giovani. Che cosa avviene nella cellula che nell’uomo non avviene?

            Uno spermatozoo umano raggiunge un uovo; vi penetra con la sua testa e l’uovo comincia a segmentarsi; si spezzetta, pur rimanendo unito nelle sue parti. Che cosa è avvenuto nell’uovo al momento in cui è stato penetrato dallo spermatozoo? Qual’è la forza che agisce? Dalla segmentazione si passa alla formazione degli organi e poi del corpo. Ma in questa successione di fasi il feto umano passa per stadi similari a quelli di altri animali. ( Il che fa pensare che l’uomo non è da considerarsi staccato dal regno animale). Ora qual’è la ragione perchè dall’uovo al corpo formato ci siano tanti stadi intermedi? Quando il feto giunge alla luce egli non ha ancora respirato, perchè ha preso direttamente dalla madre l’ossigeno di cui aveva bisogno; ecco, subito emette un vagito che è l’effetto compiuto per utilizzare un organo che fino a quel momento non conosceva. Come sapeva il bambino che doveva utilizzare i polmoni per vivere?

            Tutto il mistero della procreazione si compie sempre in luogo chiuso: sotto terra o in un uovo coperto da uno strato duro o in un utero. Perchè è necessario questa specie di segreto?

            Qual’è la ragione per cui, nato il bambino, le sue cellule, come avessero fretta, si moltiplicano ed avviene l’accrescimento? Da che deriva questa fretta? Ad un certo punto questa moltiplicazione viene a cessare; e non si ha più se non sostituzione di cellula nuova a cellula vecchia. Da che cosa è derivato questo arresto nella moltiplicazione?

            Che cosa è la salute e che cosa è la malattia? Noi troviamo un organo gonfio, congestionato, infiammato e ne constatiamo il fenomeno. Ne ricerchiamo la causa ma non troviamo la ragione per cui quella causa debba agire in quel modo.

            Dalla malattia si passa alla morte. L’individuo che prima si muoveva non si muove più, il corpo va in disgregazione. Che cosa è avvenuto al momento della morte? Che cos’era che teneva unite le cellule ed ora viene a mancare? Che cos’è la vita che è nata con un mistero in un luogo chiuso e scompare con un altro mistero?

            E perchè certe razze sono in decadenza e vanno scomparendo, e certe altre si vanno sviluppando? Perchè in certi periodi l’umanità esprime nuove idee, nuove forme, nuove evoluzioni, ed in certe altre si chiude in se e non produce? Perchè ci sono periodi di civiltà e periodi di medioevo?  Che cosa è quella forza che fa costruire al ragno la sua tela, al filugello il suo bozzolo, alla termite la sua montagna? DA quale esperienza primitiva l’ape imparò a riunirsi in società e la rondine torna al suo nido? Istinto è anche qui una parola e non una spiegazione.

            O come mai una donna non sa se partorirà un figlio o una figlia, e l’ape e la formica fan nascere a loro piacere maschi o femmine dalle loro uova? E che cos’è e perchè le api, tranne la regina, sono infeconde e le formiche pure?

            A tutte queste domande la scienza non sa rispondere; ne lo potrebbe perchè essa studia i morti, non i vivi; ricerca il fenomeno ma non può risalire alle cause. La scienza ha fallito al suo scopo?

            Mi piace riportare qui ciò che a proposito ha scritto un grande scienziato moderno, il Fabre: “La nostra scienza, tanto grandiosa paragonata alla debolezza dei nostri mezzi, così misera di fronte ai limbi sconfinati dell’ignoto, che cosa conosce della assoluta realtà? Nulla. Il mondo ci interessa unicamente per l’idea che ne abbiamo. Scomparsa l’idea tutto diventa sterile, caos, niente. Un’accozzaglia di fatti non è la scienza; è un freddo catalogo. Bisogna farlo sgelare, vivificarlo al focolare dell’anima; bisogna far intervenire l’idea e le luci della ragione; bisogna interpretarlo.”

            Interpretarlo, proprio. Ma non con i metodi scientifici, perchè essi non hanno saputo ne potevano  ascendere nel campo puro delle forze. I chimici conoscono tutti gli elementi delle cellule, la cellula non vive: è un preparato chimico, non biologico. Coi metodi Carrel e Lindberg si riesce a far funzionare per diverso tempo un organo staccato dal corpo; ma in quell’organo la vita era precedente al nostro esperimento. La scienza è riuscita a deformare la natura: Hans Speman con un uovo e un... capello riesce a produrre mostri ed esseri deformi. Waddington ci dà galline con due teste. Ma in tutte queste trasformazioni, o, come abbiamo detto, deformazioni della natura, la vita sempre preesiste, e non è data dalla scienza, la quale non riesce in nessun caso a provocarla la dove non c’è.

            Dunque la vita non è conosciuta dalla scienza che, occupandosi esclusivamente del mondo fisico, non può conoscere ciò che esorbita dal fisico, ciò che agisce in un campo completamente diverso dalla materia.

E’ forse la filosofia, costituita tutta di pensiero, che riesce a penetrare in quel mondo spirituale? Anche la filosofia è ben lontana dal sapere veramente che cosa sia la vita. Essa è trascinata dall’ambito mentale comune degli uomini, che si chiama ragionamento. Ora il ragionamento parte sempre da argomentazioni che sono frutto dell’esperienza e dei sensi, cioè da elementi fisici dell’uomo. E del resto che cosa ha trovato la filosofia? Ha imbastito teorie su teorie, ha creduto in Dio e lo ha negato, ha visto l’uomo come un essere fatto di materia e di spirito e poi lo ha rivisto come essere esclusivamente fisico. Ciò che ieri ha affermato, lo rinnega oggi, per riaffermarlo domani. Ciascuno dei filosofi ha sempre un unico desiderio: dire qualcosa di nuovo, purchessia.

            Ma tutto ciò non è ricerca della vita. La verità è una ed immutabile; il mutamento può esistere con l’errore o con le verità parziali: ma la verità assoluta è quella che è. Le verità non possono essere due o tre, perché se un’affermazione è vera, le altre che la contraddicono sono false. E poiché in filosofia le contraddizioni sono continue, si potrebbe dire tuttalpiù che una ed una sola delle affermazioni sia vera. Ma quale? Quella che a noi piace? No, perché qui non si tratta di piacere o meno ma di realtà.

            E si tratta di qualche altra cosa. Non è la convinzione del nostro intelletto quella che ci può dare la sicurezza di non avere sbagliato, ma è il sentire dentro di noi la verità; è il penetrare nel mondo della vita, come siamo penetrati nel mondo fisico; avere la sensazione di questo mondo, come abbiamo quella del fisico. Solo allora possiamo fare delle affermazioni sicure, perché vediamo, con i nostri sensi non fisici, la realtà: e la vita e la nostra esistenza non saranno più un enigma per noi, ma una cosa chiara e semplice. Come noi avvertiamo il nostro mondo fisico, che lascia in noi le sue impressioni attraverso i nostri sensi, così noi potremo conoscere la verità quando le stesse impressioni potremo avere di un mondo non fisico nel quale fossimo penetrati e lo percepissimo attraverso sensi non fisici.

            Io penso che voi vi domandiate: “Ma tutto questo è realizzabile? Veramente  si può giungere a conoscere ciò che noi siamo? Sul serio possiamo avere comunione con un mondo diverso dal nostro? E se questo è possibile perché chi ha avuto tal privilegio non ha chiaramente insegnato come si debba fare? Se c’è un metodo per arrivarci, perché lo si tiene nascosto e segreto? Se l’iniziazione porta veramente l’uomo a comprendere, a sentire la vita, perché la si da a pochi e non la si comunica a tutta l’umanità”.

            Ecco Fratelli, se voi aveste fatto solo i primi passi nella via che conduce alla verità queste domande non ve le porreste, perché avreste già in voi delle risposte precise. Ma io in verità vi dico che tutti gli uomini conosceranno la Realtà dell’Universo; l’Iniziazione affretta questa conoscenza, ma solo per chi vi è preparato, solo per chi vuole veramente affrettarsi. E son pochi gli uomini della nostra età che sappiano rinunciare al mondo fisico, per lanciarsi in quello spirituale, son pochi coloro che son disposti ad uno sforzo intenso iniziale; a capovolgersi, come fece Dante al centro del mondo della materia; a dimenticare le loro cognizioni umane per ritrovare quelle divine; in una parola a diventare, come disse Cristo, fanciulli.

            Ma nulla si può dire, a chi vuol proseguire, se non per simboli, che non son fatti per non esser compresi, per ridere alle spalle di chi non sa; ma costituiscono una necessità di espressione in un campo in cui nulla c’è di fisico e nulla può riportarsi al fisico, se non per simbolo.

            Noi non ci accorgiamo della necessità del simbolo e spesso ci sembra che esso sia inutile e niente affatto adatto alla nostra natura. Ma non ci accorgiamo che in tutte le nostre comunicazioni altro non adoperiamo se non simboli, e che senza di essi non potremmo conversare tra noi.

            Quando noi scriviamo la parola “acqua” non abbiamo fatto che un simbolo. Tale parola non ha a che vedere con la cosa significata; essa è un composto di segni grafici, ciascuno per se stante, riproducenti essi stessi, in forma simbolica dei suoni emessi dalla nostra voce, e che non rispondono nessuno alla cosa indicata. Una rappresentazione più vicina alla realtà si ebbe  nelle scritture ideografiche nelle quali la cosa da esprimersi venne in qualche modo disegnata; ma neppure in tali scritti si potettero poi rappresentare le astrazioni e le azioni che dovettero poi essere indicate con disegni tratti da cose sensibili.

            La parola e lo scritto servono a noi non già per rappresentare realmente gli oggetti e le azioni, ma solo come mezzo semplice di comunicazione, come necessità per comprenderci. E fanno nascere in noi l’idea della cosa significata perché abbiamo acquistato l’abitudine mentale di pensare a quella tal cosa con quella tal parola.

            Ecco così il simbolo esteso a tutta la nostra vita ordinaria, a tutte le nostre comunicazioni. Noi non ci facciamo caso e, in modo naturale, prece perché abitudinario, ci serviamo dei simboli.

            Ma al simbolo comune segue quello scientifico, quando il chimico scrive H2O non ha fatto che simbolizzare con quella formula ciò che noi chiamiamo acqua. Al chimico non basta la parola del linguaggio comune, ma usa un’altra forma che gli da contemporaneamente l’idea generica dell’acqua, nonché le idee particolari degli elementi che la compongono e delle quantità che entrano in composizione. Così con un simbolo, che comprende soltanto lui, il chimico designa in modo diverso, e per lui più completo, ciò che l’uomo comune indica con una parola.

            E quando il matematico scrive, per esempio, “ax2 + bx + c = 0 ” fa anch’esso un simbolo. Quelle lettere e quei segni presi isolatamente non dicono nulla, riuniti costituiscono un’idea precisa per il matematico, mentre per gli altri sono un’espressione priva di significato.

            Eppure linguaggio e scienza si occupano sempre di elementi fisici, ed hanno bisogno di servirsi di simboli. Che c’è di strano se l’Iniziazione, la quale si occupa di elementi non fisici, adopera anch’essa dei simboli? Essi sono diversi da quelli comuni? Ebbene se voi osservate i tre esempi che vi ho dato, trovate senz’altro che i tre simboli sono diversi tra loro; perchè a secondo delle concezioni che si vogliono avere degli elementi, e la necessità di considerarli in un senso o in un altro, sorge la diversità dei simboli. Ciascun linguaggio ha i propri, ciascuna scienza i suoi particolari, Ciò che interessa è che il simbolo susciti nella mente di chi lo comprende delle idee precise.

            Se noi ignoriamo il significato della parola acqua, ricorriamo ad un vocabolario, che, con le sue spiegazioni, ci da l’idea che è sottintesa in quella parola. Ma vana sarebbe la nostra fatica se ricorressimo ad un vocabolario per spiegarci una formula chimica o una espressione matematica. Il metodo di ricerca e di soluzione è diverso: occorre che noi ci mettiamo a studiare la chimica o la matematica, e, attraverso il nostro lavoro, riusciremo a comprendere i simboli scientifici. Ciascuna scienza ha un suo metodo, un suo simbolismo, in cui occorre penetrare per comprenderla.

            Come vedete per comprendere i simboli iniziatici è necessario studiarli e penetrarli con metodi che saranno diversi da quelli a cui siamo abituati. E in questo campo lo sforzo è anche maggiore, perché, ripeto, non si tratta di elementi fisici; e gli iniziati che hanno fissato determinati simboli si sono trovati dinanzi a questa grande difficoltà: dover esprimere con elementi tratti dal fisico elementi spirituali. Cioè dovettero porre dinanzi ai nostri sensi umani, e perciò in forma umana e sensibile, ciò che essi avevano visto in un mondo non umano e non sensibile. Questa discordanza tra il simbolo e la cosa significata rende ancor più arduo il passaggio dal fisico allo spirituale. La stessa difficoltà che incontrarono gli Iniziati a fissare i simboli, la incontra l’adepto, per raggiungere attraverso quelle formule particolari, il mondo che essi hanno visto.

            Ecco perché l’uomo di cattiva volontà, colui che fa scopo della sua vita il mangiare ed il vestire, chi non si appaga se non del godimento terrestre, chi, in una parola, non è pronto a trascurare la sua vita terrena per altra più alta, ma a lui ignota, costui disdegna i simboli e li deride. Per questo Cristo disse di non buttare le perle ai porci, per questo l’iniziazione si concede solo a pochi di buona volontà, per questo solo una piccolissima schiera di uomini ha saputo e conosce la verità.

            Noi cercheremo di penetrare un poco in questo mondo di luce, e tenteremo di avviarci verso il sentiero che, uscendo dal fisico, si volge allo spirituale. E per prima cosa ci porremo la domanda: “ Come si interpretano i simboli iniziatici”.

Da: www.grandeoriente.it