L'universo che ci circonda e del quale facciamo parte è una costruzione prodotta da forze che si equilibrano e che in questo equilibrio trovano il modo per produrre. Esso è inscindibile e inseparabile, forma un tutto omogeneo in cui le varie parti non sono che elementi costruttivi per l'unica totalità. Come in una fabbrica rientrano mattoni e ferro e calcina e arena e cemento, e poi ancora legno e vetro e oli da pittura e gessi da stucchi e tante e tante altre cose, così nell'universo rientrano i vari elementi che a noi appaiono diversi e separati. Ma se voi volete, nella casa fabbricata, scindere i vari elementi costitutivi, voi, con tale scissione, distruggereste la casa stessa, ed i vari elementi perderebbero il loro stesso valore, quello che avevano acquistato nella costruzione totale. Ed ancora: da dove sono stati tratti i materiali costruttivi della casa? C'è un'origine comune, unica per essi: la terra, la quale contiene tutti gli elementi usati nella costruzione e molti altri ancora; mentre forma in se stessa un tutto unico ed inscindibile. Questo tutto, sia riferito alla costruzione sulla terra, sia a quella della terra, o a quella più alta dell'universo fisico, è tenuto insieme da forze agenti sulla apparenza materiale degli elementi. Da dove sono stati tratti i principi costruttivi, principi materiali e principi energetici dell'universo, guardato nella sua totalità? C'è anche qui un'origine comune, la quale deve essere come per la casa, esteriore all'universo, ma contemporaneamente interiore agli elementi costruttivi: questa origine comune la si ritrova in Dio. Con la concezione costruttiva dell'universo noi abbiamo noi abbiamo voluto chiamare l'Intelligenza Suprema; Grande Architetto dell'Universo; non volendo già intendere con questo nome soltanto il costruttore, ma anche il produttore, perché in esso è la mente che preordina, la forza che agisce. Prima che Dio fosse Grande Architetto era soltanto Dio: principio senza azione, il Pro - Archè dei gnostici., il Dio Padre dei Cristiani. Così Dio, senza mutare nella sua essenza, perché, essendo fuori dallo spazio e dal tempo non può avere mutamento, appare scisso in due, principio materiale e principio spirituale, diventa Grande Architetto, diventa il produttore di ogni cosa che esiste e di ogni elemento che non esiste. Giungiamo così a renderci ragione intellettualmente della necessità di una trinità in Dio, e di una sua unicità. Dogma fondamentale dell'esoterismo delle religioni, che il discepolo accetta per fede, ma che il Maestro consce per visione. Dogma unico e sul quale riposano tutte le affermazioni posteriori; il quale però non è mai imposto dagli iniziati ai discepoli, ma solo indicato come il massimo limite della Conoscenza , a cui sono giunti pochissimi tra gli uomini, e precisamente quelli che hanno fondato le varie religioni. Trinità ed unicità di Dio. Perché Dio può essere concepito in vari modi. Dice lo Shurè: "Veduto attraverso l'istinto ed il caleidoscopio dei sensi, Dio è multiplo ed infinito come le sue manifestazioni: e però il politeismo, ove il numero degli dei non è limitato. Veduto attraverso l'anima razionale Dio è doppio, cioè spirito e materia: onde il dualismo di Zoroastro, dei Manichei e di parecchie altre religioni. Veduto attraverso l'intelletto puro, esso è triplice, cioè spirito, anima e corpo, in tutte le manifestazioni dell'universo: onde i culti trinitari dell'India (Brama, Visnù e Siva) e la trinità stessa del Cristianesimo (Padre, Figliuolo e Spirito Santo) Concepito dalla volontà, che riassume il tutto, Dio è unico, ed abbiamo il monoteismo ermetico di Mosè in tutto il suo rigore" (I Grandi Iniziati, ed. Laterza, pag. 264). Dalla trinità divina in potenza si passa a quella in atto: Dio, Universo, Umanità. E' questa la trinità che si riferisce a noi, come tante altre si riferiscono ad altri elementi. Questo a noi interessa perché con essa noi possiamo raggiungere quella conoscenza che ci è dato possedere. Ora la Massoneria, o "Ars Structoria" come è anche chiamata, perché costruisce i Templi nel campo della materia e le anime nel campo dello Spirito, la Massoneria nelle sue tre grandi divisioni ricerca l'uomo, l'universo, Dio. L'Universo e Dio, nel Rito Scozzese, sono oggetto di alti gradi. I primi tre gradi si occupano soprattutto e quasi esclusivamente di conoscere l'uomo nella sua origine, nella sua attualità, nella sua fine. Al primo grado l'apprendista ritrova nei suoi simboli il metodo per il suo perfezionamento morale e apprende i primi elementi per riconoscere se stesso come entità materiale, spirituale e divina (ecco un'altra trinità), o, in altri termini, come corpo, anima e spirito (mi servo delle parole più comuni). L'apprendista deve, cioè, nel campo esoterico, studiare e curare il suo corpo, indovinare il processo di formazione e di costituzione, esaminare le caratteristiche principali e ricercare le forze biologiche che vi agiscono. Deve poi riconoscere in sé un agente intermedio che leghi ciò che è spirito a ciò che è materia, la sua azione sul corpo e sullo spirito, gli elementi costitutivi di questo anello di congiunzione; e conseguentemente ricercare i metodi perché quest'anima raggiunga una sua perfezione. Deve poi tentare, si badi, dico tentare, di riconoscere se stesso al di fuori e al di sopra del corpo e dell'anima, di sentire la propria esistenza non fisica e percepire il mondo superiore nel quale egli ha vera vita. Così l'apprendista studia lo stato attuale del suo essere e continuerà questo studio nel gradi di Maestro; ove, alla ricerca dell'apprendista se ne aggiunge una più alta e più difficile: l'origine e la fine dell'uomo. Noi adesso inizieremo tale ricerca spiegando la cerimonia di iniziazione al primo grado. Cominciamo dalla parte più facile e più semplice: il significato morale. Il gabinetto di meditazione corrisponde alla prova della terra. In tutte le antiche iniziazioni l'adepto doveva subire, prima di essere ammesso, delle prove nelle quali si studiava il suo coraggio sia fisico che morale. Nella iniziazione egiziana la prova della terra era talmente piena di pericoli che molti ci lasciavano la vita, senza raggiungere la soglia del Tempio. Alle prove fisiche si aggiungevano quelle morali, per le quali, agendo con allettamenti di tutte le specie sui sensi, i maestri si assicuravano del grado di fortezza dell'iniziando e studiavano le reazioni che esso provava dinnanzi ai suoi desideri. Solo quando aveva mostrato un coraggio a tutta prova, una continenza evidente, e soprattutto una intelligenza non comune nel superare i pericoli, solo allora egli veniva ammesso al primo grado. Il quale, in quasi tutte le iniziazioni antiche non era che la continuazione delle prove, ed in alcune l'apprendista era addirittura il servo dei maestri, costretto anche ai più umili servizi. Né questo primo periodo era breve, chè spesso si prolungava per parecchi anni e qualche volta per tutta la vita. Non bastava agli antichi sacerdoti che un uomo avesse una volta mostrato di essere forte, essi volevano che egli perdurasse nel suo desiderio di apprendere anche se posto in una umile condizione. Oh! se oggi facessimo lo stesso! Ma no, fratelli apprendisti, non pensate che io avrei avuto desiderio di farvi scendere in un pozzo buio per una scala con pochi gradini; e poi il baratro sotto i piedi e la morte, se non foste stati tanto avveduti da accorgervi che non c'erano più gradini e tanto accorti da ritrovare nel buoi la porta sulla parete, che però avreste dovuto raggiungere con un salto.. Né vi avrei voluto porre a lato una bellissima giovane per sapere di quanto la vostra ragione fosse superiore ai vostri sensi. Né vi avrei costretto in una notte oscura a coricarvi in una nicchia scavata in una roccia, per farvi accostare da pipistrelli e da larve e da gnomi. O a farvi rimanere per un intero anno in silenzio. Le antiche iniziazioni ai misteri della vita avevano bisogno di uomini di una provata energia morale, che avessero saputo mantenere il segreto. Ciò che allora veniva svelato nel chiuso di un Tempio, in una ristretta cerchia di sacerdoti, oggi lo si pubblica sui libri, lo si dichiara nelle conferenze, lo si discute dalle cattedre. Ciò che era necessario fosse taciuto, oggi è invece necessario sia additato a tutti. Ma ciò che costituisce veramente il segreto, allora ed ora, non ha bisogno di essere segreto, perché, dice il fratello Casanova, chi lo ha ritrovato in sé non può comunicarlo ad altri. Se un giorno, per le condizioni morali e mentali del popolo, era bene che il popolo stesso non comprendesse a che cosa si riferivano le cerimonie misteriose dei sacerdoti, oggi è bene invece che il popolo sappia di che si occupano gli iniziati. Da questo, però, a comprendere veramente il nostro segreto, e realizzare cioè con l'anima ciò che con l'intelletto si è percepito, ci corre e molto. Nessun pericolo che il segreto della vita possa cadere in mani profane, perché i profani potranno conoscere le teorie, ma non sapranno il segreto. E perciò io parlerò chiaro: quelli di voi che vorranno sapere sapranno. Vi dicevo che il gabinetto di meditazione corrisponde alle prove della terra. Vi siete mai chiesti per quale ragione l'antica filosofia e l'iniziazione di tutti i tempi affermano che l'universo fisico è costituito da quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco? Avete mai tentato di comprendere perché ci si occupa soltanto di queste quattro cose? E quanto noi moderni non ridiamo di questa affermazione! Ebbene, ponete al posto di quei nomi queste espressioni: elemento solido, elemento liquido, elemento gassoso, elemento energetico. E adesso chiedetevi se esistono altri stati della materia nell'universo. Vi accorgerete che effettivamente nel nostro mondo si riscontrano soltanto: terra, acqua, aria, forza. E' già un insegnamento questo: l'iniziato dovrà sostenere le quattro prove degli elementi; e cioè egli saprà di esser passato o di dover passare per questi quattro elementi. Sarò più chiaro in seguito. Il profano nel gabinetto di meditazione è l'uomo nel mondo. Egli è al buio: ignora cosa sia veramente il bene e il male; si abitua ad una morale codificata, che, quando può, trasgredisce. Ha una luce, una misera luce. Ricordate: Dante nel luogo ove sono riuniti gli "spiriti magni" dell'antichità pone un castello illuminato da una luce che non si spande al di fuori: quella luce è d'ordinario interpretata come scienza umana. Accettiamo tale spiegazione, anche se non ci sembra assolutamente esatta, e attribuiamola alla pallida luce della candela che c'è nel gabinetto. Ha la sua scienza l'uomo nel mondo, ma la scienza non gli dà la conoscenza completa del suo essere. La scienza è in perpetua evoluzione, e forse alle sue origini l'uomo non ebbe neanche quella misera luce, e forse alle fine dei secoli avrà tutta la luce; o forse è al contrario. Ma oggi più di quelle non ha. Oggi le conoscenze umane illuminano appena, poco d'intorno; ma al di là di un ristretto spazio tutto è nero, è ignoto. Però, quando il profano è nel gabinetto di meditazione egli è già l'uomo che ricerca la verità. Quando si accorge di essere nel buio, ha già la percezione delle sue condizioni: non è più un vero profano ma un uomo di desiderio. Vi trasporto in un altro gabinetto di meditazione: "Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura…" Voi conoscete questi versi, ma qui riferiti vi faranno altra e diversa impressione da quella che avete ricevuto quando li leggeste la prima volta. Osservate: Dante non dice: "mi trovai" ma "mi ritrovai"; ed è da intendersi che egli ritrovò se stesso, che egli si accorse di essere in quel luogo. Egli non sa ben ridir come ci sia entrato: perché non un cammino, sia pure intellettuale, aveva percorso, ma egli si ritrova nella selva da quando era nato e non se ne era accorto, come d'ordinario non se ne accorgono gli uomini: ad un certo momento, non attraverso un ragionamento, che sarebbe stato un "cammin della mente" (l'espressione è di Dante), ma con una immediata intuizione, il poeta si accorge che egli ha girato per il buio in una notte oscura, in mezzo a tante cognizioni, che anziché rendergli tranquilla e chiara la vita, la turbano e la oscurano; si accorge che la sua esistenza è chiusa da ogni lato da sofferenze e da brutture, e che uscirne è cosa impossibile. Selvaggia è quella vita, senza spiriti vitali, adatta più al viver delle belve che non a quello degli uomini; ed aspra perché afflitta da preoccupazioni e da desideri, da false scienze e da falsi precetti morali; ma è facile a vincersi: la comunione degli altri uomini, le cognizioni comuni, le aspirazioni abituali attraggono, trattengono, fissano in quel luogo, che è selva e che gli uomini credono sia prato. Per uscire occorre accorgersi del posto in cui si è, ritrovarsi cioè ed allora il terrore del luogo ed il desiderio della luce, portano direttamente fuori dalla selva l'uomo, che di essa si è accorto. Ma prima occorre averla capita, occorre "passar la notte con tanta pietà", martirizzare la propria anima, avere orrore della propria situazione. La selva di Dante è il nostro gabinetto di meditazione, e questo è la selva per il poeta. Come Dante esce da questa prima prova attraverso il suo desiderio, così il profano uscirà dal gabinetto di meditazione col suo desiderio sintetizzato nelle tre risposte che avrà dato alle domande. La prima cosa che il profano fa nel gabinetto per ottenere la luce è lo spogliarsi di tutti i metalli. questo è il primo impegno morale che egli assume con se stesso e con i suoi futuri fratelli. Tutto ciò che non ha luce propria, ma solo riflessi, tutto ciò che è mondano e materiale viene allontanato dalla propria anima. Là dove si appuntano gli occhi ed il desiderio degli uomini, là è la selva, là è l'errore. Nei beni che servono al corpo, alle comodità del corpo, è l'origine prima di ogni male. "Vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e poi seguimi", diceva Cristo ai suoi; perché chi vuol sapere non deve avere preoccupazioni di carattere mondano, che impacciano la sia ascesa. Così il pane e l'acqua simboleggiano la necessità di nutrirsi, ma in modo sobrio e tale che si mangi per vivere e non si viva per mangiare. E indicano pure che ben poco è veramente indispensabile alla vita del corpo. L'orologio a polvere ti ricorda che il tempo scorre incessantemente e non si riesce a fermarlo. La rena passa da un'ampolla all'altra ed è chiusa dal vetro: non possiamo arrestarla. Noi viviamo limitati dal tempo e di esso dobbiamo fare buon uso si ché serva a noi e non noi a lui. i due vasi con lo zolfo e col sale rientrano nel campo più strettamente esoterico e ne parleremo in seguito. Così l'uomo nel gabinetto di meditazione ritrova se stesso, comprende che egli ha girato nel buio fino a quel momento e che deve ritrovare la via per uscire da quel luogo pericoloso. Per uscire deve scrivere il proprio testamento. Avete mia pensato perché le risposte a quelle tre domande si chiamino testamento? Cosa ha a che vedere la risposta ad una domanda con una atto che indica la morte? Proprio perché nel gabinetto di meditazione si deve morire. I teschi posti sul tavolo, o lo scheletro dritto dinnanzi a voi, danno il tema di tutta la cerimonia: la morte; la cerimonia si riferisce tutta alla morte ed alla rinascita. Già Cristo aveva detto: "Se voi non nascete di nuovo non potrete vedere il regno dei cieli". E parlava, appunto, di questa rinascita spirituale, che da noi è simboleggiata col passaggio dal gabinetto di meditazione al Tempio. E' il capovolgimento di Dante giunto al centro della terra. Perché, per Dante, il gabinetto di meditazione comincia con la selva e termina con Lucifero. Quando egli si accorge di aver errato nel buio più fitto, esamina la vita umana attraverso i suoi vari aspetti, con una analisi sottile, fino a che la riconosce nella sua sintesi in Lucifero e rinasce verso la luce capovolgendosi; ponendo i piedi dove aveva la testa: e cioè abbandonando le cognizioni comuni dell'umanità per acquistare quelle nuove della spiritualità. Mentre era passato per l'inferno servendosi della ragione, egli dovrà passare per il purgatorio servendosi dell'intuizione. Egli è morto all'uomo - bestia ed è nato uomo - divino. Questo stesso il grande iniziato aveva espresso nella "vita nuova" quando, trattando della morte di Beatrice, afferma, in modo stranissimo per il senso letterale, che non può più parlare della morte di lei perché diverrebbe laudatore di se stesso. In alcune antiche iniziazioni si metteva il discepolo in condizione da avere delle visioni. anche questa era una forma di morte e di rinascita. Ecco perché testamento: perché muore il profano e nasce l'uomo vero, il massone. Perché questo avvenga è necessario che egli comprenda quali sono i suoi doveri e impegni verso se stesso, dinnanzi alla propria coscienza; che egli chiude la sua vita passata per la nuova, che egli, sia pur confusamente intravede i campi nei quali egli vive e riconosce la necessità di vita in quei tre campi.. Dio, Umanità, Se stesso (mi riferisco sempre alle domande originarie): i tre mondi della sua esistenza, i tre aspetti della sua stessa persona, i tre momenti della sua vita. Così fa il suo testamento. Egli è morto al mondo e vive solo della nuova esistenza, con degli impegni nuovi, con delle aspirazioni nuove. Chi non ha sentito e non sente tutto ciò, anche se per accidenti fosse pervenuto al massimo nostro grado, non è massone. Chi non è nato di nuovo non vive se non col corpo tra noi, ed è indegno di respirare l'aria che i massoni respirano, di sedere in un luogo che si chiama Tempio. Questo simbolo della morte e della rinascita si ripeterà poi diverse volte in vari gradi massonici; e ciò non vi faccia meraviglia perché è su questo che poggia tutta l'iniziazione di tutti i tempi. Chi ha veramente provato la sensazione della morte e della nuova vita, quegli e quegli soltanto conosce il segreto dell'esistenza e può chiamarsi perfetto massone. Prima di uscire dal gabinetto di meditazione al profano viene denudato il petto dal lato sinistro, il ginocchio destro ed il piede sinistro; ciò che costituisce un triangolo di nudità e formerà una squadra quando il profano presterà il suo giuramento. Per divenire massoni occorre avere il cuore allo scoperto e pronto ai sentimenti umani di bontà. Ogni egoismo, ogni tentativo di chiudersi in se stesso, di non udire i lamenti dei fratelli del mondo, ogni velo che copra il cuore, deve essere lasciato nel gabinetto di meditazione, cioè in quel mondo dal quale il profano si è già staccato col suo testamento. Chiudere il proprio cuore significa separarsi dagli altri uomini, vivere in sé e per sé, mancare ai doveri verso l'umanità. Parimenti il ginocchio nudo rappresenta la dote prima necessaria per ottenere la conoscenza. Quando Dante giunge sulla spiaggia del purgatorio, Catone lo manda a cingersi i fianchi con un giunco schietto; e Francesco D'Assisi, l'iniziato spontaneo, pose un cordone a fianco dei suoi frati. I tre simboli si equivalgono: essi rappresentano l'umiltà; quella vera e non quella ipocrita; quella per cui nell'intimo della nostra coscienza noi sentiamo di essere inferiori a tutti gli altri. Chi non sa discendere fino ai lidi bassi, chi non sente di non poter nulla, di non sa di non sapere nulla, quegli ascenderà nella vita bestiale dell'uomo comune, e discenderà sempre più nella vita spirituale. Il piede è scalzo, come scalzi si entrava nei Templi antichi. Per ritrovare l'interpretazione morale occorrerebbe che io vi facessi dei riferimenti astrologici, poco comprensibili per chi non è versato in tale scienza. Vi dirò soltanto che il piede scalzo rappresenta il sentimento mistico - religioso, la spiritualità che il massone deve possedere. Il profano che si è ritrovato, che ha compreso di essere vissuto in una selva, non è però ancora edotto della vita vera. Esso è bendato ed esce dal gabinetto di meditazione ancora cieco. Le passioni, i vizi, le abitudini soprattutto gli nascondono la luce. Se nel suo animo una trasformazione è avvenuta, egli però non può conoscere d'un tratto la verità. Dante, fuori dalla selva, intravede il sole alle spalle del monte, ma non può salire per vederlo e, con una guida, deve mettersi per "un cammin alto e silvestro": ecco la benda. Egli torna nel buio, nel buio dell'inferno a sostenere le sue prove; non più si aggira inutilmente nello stesso luogo selvoso, va avanti a sé, per la via giusta, si, ma nel buio. allo stesso modo il profano non più medita fra quattro strette e nere pareti, va verso la luce, ma ci va bendato. Egli non sa ancora. Ha una guida, che nel significato morale si può interpretare come intelligenza; ha una guida dentro di sé, che lo condurrà alla luce, a poco a poco, dopo varie prove, partendo dal buio. Alle porte del Tempio egli può penetrare solo quando la sua guida ha affermato che egli è nato libero e di buoni costumi. E questa nascita non è già quella fisica, nella quale tutti gli uomini si comportano allo stesso modo, ma quella che ha avuto nel gabinetto di meditazione; quella prodotta dalla propria volontà e dal proprio desiderio. Perché solo quando si è rinati nello Spirito si può concepire la libertà e la morale. Quando egli entra nel Tempio inizia la via verso la luce in mezzo a rumori assordanti e a cozzar di spade. Non vede nulla, due soli sensi agiscono: l'udito ed il tatto. Sono i primi inciampi che egli prova, non ancora esperto nella via. Gli pare che tutto intorno stia per cadere, che tutto sia contro di lui, che solo dolori egli potrà trovare nella nuova vita. Il suo coraggio è messo a prova e la sua tenacia nel desiderio è sperimentata. Ricordate: al cominciar della via dolorosa, dinnanzi alle onde di Acheronte, quando veramente il poeta deve penetrare ne mondo del male per distaccarsene, ecco: "la terra lacrimosa diede vento Che balenò una luce vermiglia, La qual "gli" tolse ogni sentimento e "cadde" come l'uom che sonno piglia". Il terremoto che avviene all'entrata di Dante nell'inferno corrisponde ai rumori forti che il profano ode all'entrar nel Tempio. E come Dante ha bisogno di una guida per uscir vittorioso dalla prova infernale, così ne ha bisogni il profano che è ancora bendato. Ma è una guida che non dovrà allontanare il discepolo dalle prove, ma solo sorreggerlo e consigliarlo. E' il maestro che non può e non vuole evitare le difficoltà del cammino, ma farle superare. Quando si comincia la vita dello spirito la sofferenza è grande; perché quel mondo che tentiamo abbandonare ci attrae sempre con le sue illusioni, con i suoi fantasmi; la società degli uomini da cui ci stacchiamo si rivolta contro di noi, con le beffe o con la violenza, con lo scherno o con l'oppressione; la natura animale dalla quale vogliamo allontanarci ci pone dinnanzi ogni impedimento possibile per legarci alla sensibilità che ci ha dominato per tutta la vita passata. Triste, doloroso, dubbioso è l'inizio della nuova vita. Si può, come Francesco D'Assisi, d'un tratto buttar le vesti ai piedi del padre e fuggir nudo per vestirsi di saio; prendere una scodella e porvi dentro i più disparati cibi che la carità gli offre e poi mangiare quella broda nauseante. Ma occorre essere eroi come Francesco, ed avere ricevuto tutta l'iniziazione d'un tratto; forse frutto di un lavoro precedente. Gli uomini, però, si avviano ad essere iniziati solo dopo lungo, tenace, aspra sofferenza di molti anni. Questo indicano i tre viaggi: difficilissimo il primo, meno aspro il secondo, facile l'ultimo. Ogni vittoria su se stesso spiana il cammino e diminuisce le difficoltà. Dei tre viaggi nel Tempio dovremo parlare in modo particolare nella interpretazione esoterica. Qui basta dire che col primo viaggio, quello dell'acqua, l'iniziando supera gli allettamenti dei sensi; con quello dell'aria quelli della ragione, con quello del fuoco quelli della fantasia e dell'immaginazione. Solo quando avrà superato questi mondani allettamenti egli è pronto a ricevere la prima iniziazione. Siamo così al giuramento, che è molto chiaro in se stesso e che non ha bisogno di commenti, quanto agli impegni che si assumono. Facciamo solo una osservazione. L'uomo divenuto libero, con la rinascita spirituale, liberamente giura; e la spontaneità dell'impegno è dovuta al desiderio che egli ha di uscire dalla selva per entrare nel mondo vero. L'impegno è assunto con pieno e profondo convincimento dell'anima. Egli era libero di giurare o di non giurare, giura appunto perché l'anima, pur non potendo ancora vedere la luce, cioè ottenere il perfezionamento morale, sente profondamente in sé che la via del bene non può essere assunta senza aver preso l'impegno di seguirla. Ma non basta il convincimento occorre anche la volontà, perché si può essere convinti di dover seguire un determinato cammino e non avere nessuna voglia di percorrerlo. Vedete come in questo impegno solenne c'è una gradazione: prima la libertà ottenuta fa sorgere ed acuire il desiderio del bene, poi l'intelletto si tende a ricercare quale sia il bene e se ne convince, ultima e sola veramente fattiva entra in gioco la volontà che, sorretta dal convincimento e dalla libertà, dovrà superare le asprezze della nuova via e vincere. Il giuramento si presta in presenza del Grande Architetto. Ecco l'unica, grande convinzione che l'anima si è potuta formare in questi primi suoi passi: un mondo superiore al mondo della materia, con un naturale reggitore. Niente più di questo può conoscere a questo punto l'anima, ma questo basta perché essa si elevi e mostri di essersi elevata al di sopra del fisico. L'acqua che si fa bere all'iniziando, prima dolce e poi amara, e il sangue con cui deve firmare il giuramento, hanno il senso che le amarezze che la vita del bene gli darà e l'impegno che egli è pronto a sacrificare anche se stesso per gli altri. Quando il profano ottiene la mezza luce si ritrova circondato da spade, le quali sono spiegate dalle parole che il Venerabile pronunzia, ed hanno un'altra significazione nell'esoterismo. L'iniziando si trova soltanto in una semioscurità perché le sue condizioni non sono tali da fargli veramente conoscere il bene. Presta il giuramento in questa semioscurità e a mano a mano che dalle sue labbra, cioè dalla sua coscienza, si formulano i vari impegni, la luce del bene penetra in lui e lo illumina, sicché quando ha finito egli sa qual è la sua via ed ottiene la luce completa. Il grembiule che gli è affissato è il simbolo del lavoro, della necessità che agisce nella vita umana: lavorare, produrre, per sé e soprattutto per gli altri. I guanti bianchi indicano la purità che le sue mani debbono avere; e quelli femminili egli dovrà donarli ad una donna che sia pura come lui e che con lui costituisca una famiglia che poggi sulla comunità di intenti e sull'affetto reciproco. Gli si restituiscono i metalli, perché il profano divenuto iniziato non si lascerà più attrarre da falsi splendori e saprà usare i beni terreni. Adesso il neofita può sedere tra i fratelli e lavorare con essi. Questa la spiegazione morale della cerimonia dell'Iniziazione al grado di apprendista. Questa cerimonia ci dà il passaggio dal profano al Massone, dall'uomo comune all'uomo morale. Dall'errore del gabinetto di meditazione, dopo aver compreso io propri umani doveri, dopo aver tentennato, esser caduto per via varie volte, dopo aver sofferto all'inizio della nuova vita; quando ha sentito la presenza del Bene Supremo, allora i suoi occhi si aprono alla luce ed egli vede veramente e veramente distingue l'azione buona dall'azione cattiva. Così avrei finito questa chiacchierata. Una sola cosa avrei da aggiungere. In una precedente conversazione vi ho detto che l'interpretazione morale dei nostri simboli non è che un primo passo: essi si riferiscono piuttosto ad un senso esoterico molto più profondo e più importante, anche se più difficile, per la vita dell'uomo. Perciò quanto fin qui vi ho detto è una interpretazione di carattere secondario rispetto a quella vera che insieme intraprenderemo tra un mese. Da: www.grandeoriente.it |