“Io,
con questo favore fatto al secolo nostro, ho
riformato tutte le scienze secondo la natura e
la Scrittura, due codici di Dio”.
L’affermazione campanelliana, tratta dalle
“lettere”, ci conduce fin dentro la struttura
del pensiero dello Stilese.
Tommaso Campanella vuole infatti, in primo
luogo, riformare totalmente il sapere, al fine
di costruire una filosofia integralmente
cristiana e totalmente nuova.
“Io faccio nuove tutte le cose”, dice Gesù nei
Vangeli, e anche la nuova filosofia ripete il
precetto del Salvatore.
E questo deve avvenire, per Campanella, tramite
la Natura e la Scrittura, appunto, i due libri
in cui unicamente Dio si è rivelato.
Tutto ciò che è entrato nella tradizione
cattolica, Platone ma, soprattutto Aristotele,
sono perniciosi secondo il Nostro Filosofo e,
peggio, inutili per la Vera Fede e per la Vita
Beata, obiettivo della Vera Filosofia.
Le posizioni di Aristotele, per esempio, sulla
Natura di Dio, dove non si sa bene se Egli sia
Uno o siano molti, l’Anima teorizzata dallo
Stagirita, “forma incorporata nella materia” che
la Fisica può studiare, il Mondo di Aristotele,
ovvero la gerarchia discendente di sfere eterne,
tutte queste teorie sono contrarie alla dottrina
cristiana, secondo Tommaso Campanella.
Il problema qui è soprattutto politico, per il
nostro Tommaso: Platone e Aristotele sono stati
introdotti nelle scuole cristiane durante il
periodo carolingio, per lui fase di crisi
culturale europea, mentre occorre la completa
lettura della Bibbia, il Vecchio Testamento che
spiega integralmente quello nuovo.
Un “Nuovo Studio”, così lo chiamerà Campanella
che presuppone, in chi lo compie, la Grazia
Divina, che rappresenta la specifica superiorità
del Cristianesimo rispetto ad ogni filosofia
profana passata.
Uno studio, comunque, del tutto lontano
dall’autoritarismo aprioristico
dell’aristotelismo, figlio del principio di
autorità e, proprio per questo, nemico del
Cristianesimo.
Tema politico di Tommaso Campanella che
ritroveremo nella “Città del Sole”.
Quindi, prima di tutto studio della Natura iuxta
sua propria principia, come dirà in seguito
Spinoza, che invece leggerà la Natura come
estensione della Cabbala esoterica estratta
dalla Bibbia.
E studio della Bibbia, per Campanella, in cui i
due Testamenti si spiegano e si integrano
perfettamente a vicenda.
Non esiste quindi, per il Nostro, una lettura
riduzionista della Onnipotenza divina,
tipicamente aristotelica, è invece la stessa
Natura che dimostra tutta la potenza di Dio e
anche la sua complessa volontà.
La Philosophia Sensibus Demonstrata fu scritta
da Campanella proprio per difendere Telesio
dagli consueti attacchi degli aristotelici, ed
essa elabora un criterio filosofico basato sulla
libera osservazione della Natura e sul contatto
diretto con essa, di contro al verbalismo vuoto
e astratto dei tardi seguaci dello Stagirita.
Rispetto a Bernardino Telesio, Campanella però
muove da un diverso criterio.
Se Telesio è del tutto immanentista, lasciando
la fede alla Grazia, Tommaso invece esalta anche
con i sensi anche la assoluta trascendenza di
Dio, l’autonomia dell’Unico dalla Natura che
pure ha integralmente creato.
Qui c’è una possibile contraddizione: se, per
Campanella, la Natura porta sempre a Dio, come
mai allora essa è sganciata dall’Entità Suprema?
Semplice risoluzione: per Campanella la Natura è
anch’essa infinita, e quindi può portare alla
conoscenza dell’Unico anche se Egli non “E’” la
Natura.
Il “Deus sive Natura”, l’equiparazione
dell’Unico con la totalità della Natura di
Spinoza non esiste, quindi, nell’architettura
filosofica di Campanella.
La Natura è libera, e allora l’Uomo è libero,
perché Dio, nel crearli, ha operato con assoluta
libertà e gratuità.
Dio è sempre assolutamente libero, e quindi
opera come vuole nella Natura e nel Mondo, non è
legato nemmeno alle leggi che le Sue creature si
danno o mostrano.
Altrimenti, dice Campanella, non potrebbe
nemmeno crearle.
In seguito, dopo il suo primo testo, Tommaso
Campanella scrive opere nelle quali la base
filosofica e naturalistica, ereditata da Telesio,
si amplia nel senso che il Cosmo, che Telesio
leggeva come un immenso “animale”, rappresenta
invece una immane teofania, sempre in
costruzione, di Dio.
Egli, nello sviluppo e nella vita del Cosmo,
nella Sua forma di Intelletto Puro, dispiega i
Suoi concetti, mentre il Mondo diviene il “vivo
Tempio” con gli Uomini e la Natura che
dispiegano entrambi la Volontà, libera, di Dio.
Nel Senso delle Cose e della Magia Campanella
poi intende esaltare la stessa Natura nei suoi
infiniti e cangianti particolari, nei quali si
deve percepire, con le dovute tecniche, la
stessa volontà di Dio, universale per tutti gli
Enti ma anche particolare per quel singolo Ente
che stiamo studiando.
E’ questa la “Magia Intellettuale e Pratica” che
crea Campanella, non altra.
Comunque, si tratta anche qui di Magia vera e
propria, “sperimentale” nel senso medievale del
termine.
La stessa esistenza e sopravvivenza degli Enti è
allora metafisica, Dio opera sempre e ovunque, e
solo la Presenza della “causa prima”, per dirla
in termini aristotelici, che spiega la Natura e
l’Uomo, quello sì sive Natura.
Quindi, la infinitezza della varietà degli Enti
è essa stessa dimostrazione della infinità del
Primo Essere, e di Lui vi è continua presenza in
tutti i particolari dei vari Enti naturali.
Da un punto di vista strettamente ontologico
potenza, sapienza e amore sono quindi
assolutamente eguali, presenti in ogni Ente
creato, è il Senso che è quindi espressione
della Natura Divina e dell’assoluta autonomia
del vivente.
Il sensus rerum, un criterio spesso presente
nelle opere di Campanella, non spiega solo la
vita vegetale e animale, il suo svolgimento
secondo il Grande Disegno di Dio, ma
caratterizza tutte le specificazioni naturali e
le riunisce in una sola Entità Creata, in un
grande e unico abbraccio tra Dio e la Natura.
Tutte le scienze conosciute e valorizzate da
Campanella portano al “senso delle cose”:
Fisica, Antropologia, Magia, Astrologia,
Epistemologia si riuniscono tutte nella teoria,
specificamente campanelliana, della “universale
sensibilità” degli Enti.
E qui si materializza, a partire dalla filosofia
della natura di Tommaso Campanella, l’immagine,
che si ripete nelle sua Cantica, di un mondo che
palpita di vita come un solo “grande animale”.
E la sua contemplazione porta all’amore della
filosofia come “amor di senno”, il quale porta
alla luce tutti quei rapporti di somiglianza e
affinità che ci fanno dedurre la intera Natura
come opera continua e permanente di Dio.
Itinerarium Mentis in Natura sive Deo, quindi.
E allora, per Campanella, si tratta di
teorizzare e scoprire un nuovo “pansensismo
universale” che ci fa accedere alla divinità del
Creato.
Differenze e affinità con Bruno: per il Nolano
Dio è “ascoso” tra la Natura, per Campanella
invece Dio appare continuamente nella Natura
come insieme dei viventi e in ogni singolo
vivente, è la sua “forza insita” che lo fa
appunto vivere.
E il concetto di “forza insita” nasce proprio
nella Fisica aristotelica.
Dopo Tommaso Campanella, avremo a che fare con i
“sensisti” inglesi, divinizzati dal
filosoficamente primitivo illuminismo francese,
in cui i sensi nascono e finiscono nel Soggetto,
e poi allora non si capisce coma facciano a
indicare il Mondo.
E, d’altro canto, Campanella differisce dalla
filosofia occultistica di Spinoza, in cui i
sensi sono inutili perché è la Ragione che
unifica Uomo e Dio.
E allora i sensi a cosa servono, e perché
modificano sempre la stessa Ragione, come è
comune esperienza?
Il senso, per Campanella, è comunque la
scintilla della Divina Sapienza, ed è proprio il
senso a determinare la misura del sapere di ogni
Ente, perché, dice il Nostro Autore, “sapere”
non è altro che “sàpere”, ovvero l’assaporamento
della cosa sperimentata, oltre e prima del
linguaggio.
E’ questo “sapore” a mettere insieme
immediatamente gli esseri tra di loro, a
separarli o a unirli a seconda dei sapori e dei
dissapori, delle affinità o differenze
immediate, che rende conto della immediata,
spontanea, disposizione degli Esseri nel Mondo e
nella Natura.
E ancora, il Senso, il “sapore” crea le fattezze
esterne dello “spirito”, e della sua
realizzazione nell’Uomo con la mens, che è per
Campanella immortale e del tutto immateriale.
E’ nel De Gentilismo che si compongono i livelli
naturali, umani e universali della filosofia di
Campanella.
E a questo punto occorre mettere insieme e
spiegare l’apparato metafisico di Tomaso
Campanella e il suo pensiero politico.
Che è un tratto essenziale della sua opera, il
riformatore della filosofia, Colui che pensa
“oltre e contro Aristotele”, come disse di lui
Hegel, non può non pensare alla riforma radicale
della politica, che è una costruzione a partire
della Natura, secondo tutti i canoni
campanelliani.
Nel concetto politico dello Stilese, si passa
dall’immanentismo nel rapporto uomo-natura alla
creazione della “communitas humana”, che si basa
sulla composizione duale, corporea e dotata di
una Anima, dell’Essere Umano.
Tema patristico, peraltro.
Al primo livello analitico, come il filosofo
afferma in una sua poesia, si deve seguire un
criterio essenziale: la Norma secondo la quale
l’uomo imita il Creatore, e così Lo loda.
Il Sole, la cui città è quella perfetta, è il
generatore della Luce, materiale e simbolica
insieme; e quindi rigenera la Natura, operando
direttamente quasi come il Creatore, di cui è,
lo ripete spesso Campanella nelle sue poesie, il
simbolo perfetto.
Ecco quindi perché la Civitas di Tommaso
Campanella è, appunto, dedicata al Sole.
L’opera consiste nel dialogo tra un Cavaliere di
Malta e un ammiraglio genovese, “nochiero de
Colombo” che è appena tornato da un giro del
mondo; e narra appunto di aver trovato la strana
e unica “Civitas Solis” che si trova sulla linea
dell’Equatore.
Perché Un Cavaliere di Malta? Forse il ruolo di
un cavaliere della “Religione” maltese deriva
dalla probabile fondazione, da parte dei
Cavalieri, di Monasterace in Calabria e dalla
presenza di loro castelli nella zona di Stilo,
dove nacque proprio Campanella.
La città perfetta si troverebbe, dice
l’Ammiraglio, sull’isola di Taprobana, che è
probabilmente corrispondente all’attuale Ceylon.
Ceylon, che appare come limite ad Est proprio in
tante carte nautiche che disegnano la rotta
oltre l’Asia Minor…ma l’isola dell’arcipelago
indiano è, come dire, l’Altro e il Limite
insieme, simbolicamente.
La costruzione della Città del Sole avviene su
una collina, come le città che si difendevano
dai pirati “mori” nel Sud d’Italia e,
simbolicamente, come Troia e Roma.
Le entrate sono quattro, come i punti cardinali.
La città perfetta di Campanella è posta quindi
correttamente all’interno della Natura, di cui è
perfetta continuazione, nella ragione umana e
nell’Idea di Dio, che collaborano insieme come
accade nella ricerca detta naturale e della
“filosofia”.
Il Sole o il “Metafisico” è anche il nome di
colui che regna sulla Città del Sole, il quale
esercita un potere assoluto sia civile che
religioso.
Il che è ovvio, nel pensiero campanelliano: se
Uno è Dio, che governa tutto il visibile e anche
l’Invisibile, Uno deve essere anche colui che
comanda nel solo mondo sensibile e politico.
Ma Egli, il Metafisico è assistito da tre
Principi, Pon, (Potenza) Sin (Sapienza) e Mor
(Amore).
Nel comando della Città sono divise, quindi, le
facoltà, qui rappresentate da tre prìncipi,
facoltà che nella vita dell’uomo e del cosmo
operano unitariamente e simultaneamente.
E’ come se la Città Perfetta dovesse scomporre
la Natura per ricomporla nel solo universo
politico, ma secondo la Forma dell’Anima Umana.
Pon è ovviamente il capo militare, e qui non si
capisce bene quale è il rapporto tra il
“metafisico” ovvero il “Sole” e i suoi Principi.
Se la Potenza, che è anche Regalità e immagine
del Divino, è titolo di un solo principe, allora
la Città di Campanella appare piuttosto come una
Triarchia “moderata” dal Sole, il Metafisico.
Sin si occupa invece dell’istruzione, essenziale
in ogni costruzione utopistica e quindi anche
nella Civitas Solis di Tommaso Campanella.
Poi vi è Mor, che si occupa di tutto ciò che
riguarda la generazione e riproduzione umana e
allora anche la salute, l’alimentazione, il
vestiario.
La società perfetta si basa sulla comunione dei
beni, come in Platone, comunione anche delle
donne, e questo sempre come accade nel testo
Platonico.
Anche in questo caso, sul comunismo di
Campanella (e poi di Tommaso Moro) dobbiamo
riportarci alla tradizione greca: i Dori in
Laconia distribuivano infatti in parti eguali le
terre e mantenevano il pascolo in comune, ci
narra Plutarco riguardo a Licurgo, il
legislatore di Sparta.
Qui sorge il rilievo del concetto di “limite”,
così importante nel mondo classico e greco in
particolare e a cui corrisponde l’ùbris, la
“punizione”.
Il “limite” di tipo spartano è quindi, per
Campanella, il criterio del possesso materiale
oltre il quale l’Uomo si crede Dio e,
soprattutto, ne modifica la volontà comprando e
soggiogando i suoi simili.
E fu proprio a Crotone in Calabria che il
“comunismo” degli “amici” (e l’amicizia è
anch’essa un cardine della filosofia politica
platonica) pitagorici raggiunse la sua massima
potenza e perfezione istituzionale.
Sempre per Platone, ma anche per Campanella, se
la via dell’uomo è la ricerca del Bene, ed esso
è anche la Verità, quella che si raggiunge fuori
dalla Caverna, caverna che è insieme schiavitù
dei luoghi comuni, schiavitù della ragione
dominata dai sensi, schiavitù dell’anima legata
al mondo sensibile.
Ma anche l’Isola del Sole di Giambulo, uno
storico che è fonte di Artemidoro per i suoi
viaggi, è fondata sulla tradizione greca e sulla
narrazione delle isole narrate da Omero.
Fu comunque Giambulo, mercante di origini
nabatee a raggiungere, ce lo dice Diodoro
Siculo, l’Isola del Sole nel remoto Oceano
Australe.
E’ molto probabilmente questa la fonte storica
di Tommaso Campanella per il suo mito
egualitario, che anche Giambulo, lo abbiamo
notato, sottolinea.
Peraltro, è bene ricordare che ai tempi di
Tommaso Campanella e di Tommaso Moro non era
stata ancora formulata una vera e propria teoria
della “proprietà privata”, che nasce
esplicitamente solo con John Locke.
Egli, il Locke, scrive dopo la rivoluzione
puritana del 1640, dove si notano i larvati
inizi del capitalismo manifatturiero, e dove il
lavoro “servile” diviene, in qualche modo,
intercambiabile e quindi, come direbbe Marx,
“astratto”.
E ancora, quando scrivono Campanella e Moro, sia
in Italia che in Inghilterra non sono ancora
state chiuse e privatizzate tutte le terre
comuni dei villaggi, anche se il processo di
privatizzazione dei “commons” è iniziato.
E’ proprio questo ciò che Tommaso Moro definisce
come “le recinzioni dove le pecore mangiano gli
uomini”.
Ma ritorniamo ora alla struttura della “Città
del Sole”.
L’educazione è fornita a tutti i cittadini
solari dai tre anni in su, fino alla fine della
vita.
Ogni vera formazione intellettuale e spirituale
è quindi sempre infinita.
Ogni abitante della Civitas campanelliana deve
poi avere conoscenze di agricoltura, di
pastorizia e militari, oltre a quelle del
proprio specifico mestiere.
E’ un anticipo della teoria economica dei
Fisiocrati, secondo i quali tutto il surplus
economico proviene unicamente dall’agricoltura e
dalla pastorizia, e il commercio non ha alcuna
influenza nella creazione del valore.
Tesi improbabile, ma quella era la scienza
economica di allora.
Il commercio, evidentemente esiste nella Città
del Campanella solo nella dimensione dello
scambio tra oggetti e del dono.
Se il dono, come ci hanno spiegato antropologi
come Mauss e Lévy-Strauss, è il fondamento dello
scambio e la sua origine, è naturale che abbia
un ruolo importantissimo nella Città del Sole
dove tutto esiste in quanto è, appunto,
originario ed elementare.
Simplex Sigillum Veri, come diceva la
Scolastica.
Tutti i solari di più di venti anni partecipano
poi alle assemblee, dove possono discutere le
loro rimostranze, mentre le leggi sono tutte
poche e brevi, ma rimane il criterio del
taglione nelle sanzioni.
Taglione che è, come punizione del reato,
l’equivalente logico del dono in un rapporto
legale.
Per la religione, i solari credono nel
cristianesimo naturale: onorano l’Universo come
immagine di Dio e Sua opera, credono
nell’immortalità dell’anima ma non conoscono
l’esatta definizione dei luoghi futuri di
penitenza o di gioia nel vedere il Signore.
E i Sacramenti? Qui Campanella torna ad una
religio medici, un tema che va dal Rinascimento
all’Illuminismo.
Certamente, Tommaso Campanella non vede il
futuro della Chiesa come Istituzione, ma come
lievito evangelico di tutte e organizzazioni
umane e le associazioni tra produttori e
lavoratori.
Un tema, questo, che è circolato continuamente
nella Teologia contemporanea.
Se la Chiesa debba essere struttura a parte,
istituzione potentissima tra le altre, oppure se
i cristiani debbano essere da soli il sale della
terra, come Gesù peraltro dice ai Suoi Apostoli.
Tema che passa attraverso la storia di due
secoli, tre anzi, d’Italia.
Il Modernismo viene letto dalle Gerarchie
ecclesiastiche come adattamento ingenuo al mondo
moderno e abbandono della Fede dei Semplici,
tesoro della Chiesa e segno dell’autonomia
politica del Vaticano.
“Democrazia Cristiana”, il movimento popolare e
le leghe bianche di Guido Miglioli, lo stesso
cattolicesimo in politica sono visti malissimo
dalla Gerarchia, che teme sempre il solito
“modernismo”.
E’, paradossalmente, la stessa opinione della
Massoneria al potere dell’Italia appena unita
dal Risorgimento, che deve appunto “prendere
Roma”.
Ma arriva lo straordinario momento del “Codice
di Camaldoli del 1943.
Nel momento più basso e buio dell’Italia unita,
in cui la stessa Chiesa pone le basi moderne e
laiche del rinnovamento, secondo la Sua Dottrina
e usufruendo della migliore élite economica,
giuridica e politologica dei cattolici italiani.
Il Vaticano II è il momento poi in cui, grazie
alla Costituzioni sul laicato cattolico, si
sviluppano nuovi fermenti, non sempre utili, nel
sistema politico italiano.
Che sono paralleli a quelli che subisce il mondo
del laicato e l’intera società mondiale.
Non sono quindi convinto, come invece lo è
Tommaso Campanella, che la Chiesa sia da
sciogliere, come il sale dentro la società
umana, un sale evangelico che deve fare
paradossalmente anche da “lievito” del mondo.
Era un tema sul quale discutevamo anche con
Francesco Cossiga: se l’ubbidienza alla Santa
Madre Chiesa debba essere totale e priva di
accordo con la società laica e lo Stato.
Il Presidente, se da un lato accettava
l’ubbidienza del fedele senza discussioni, come
il suo amatissimo Tommaso Moro, che non si piega
all’Atto di Supremazia di Enrico VIII,
dall’altro non accettava la “sedizione” dentro
lo Stato.
E come gli pesò questa mentalità, quando dovette
gestire il caso di Aldo Moro e come sapeva,
Cossiga, che il suo maestro e amico sarebbe
stato silente di fronte alle richieste dei
brigatisti sui segreti più profondi dello Stato,
e questa fedeltà gli veniva proprio, ad Aldo
Moro, dal sui essere credente nella Santa
Chiesa.
Certo, è probabile che qualche “interrogatorio
del popolo” sia stato manovrato da potenze
avversarie, che gestivano talvolta le Brigate
Rosse.
Qualche camioncino è uscito da Forte Braschi, ma
certamente mai con materiali tali da mettere in
pericolo lo Stato.
E Francesco Cossiga, nel suo essere ministro
proprio in quella fase, ebbe la maestria di
scindere le indubitabili scelte della Fede con i
doveri del vero uomo di Stato.
La Politica, probabilmente, sta proprio
nell’arte di scegliere la cosa giusta tra due
comandamenti entrambi astrattamente giusti.
Più che adattarsi meccanicamente al detto
machiavelliano, di seguire i fatti piuttosto che
le “belle fole”, che è talvolta quasi una
ovvietà, bisogna pensare che la Politica come
tale è selezione, morale e scientifica, tra
opzioni che noi non possiamo scegliere.
Certo, se torniamo ora alla discussione su
Campanella, ci viene subito in mente come il
frate di Stilo fosse un esplicito nemico del
Segretario Fiorentino.
Per Campanella la convivenza, la creazione dello
Stato, lo stare insieme nelle istituzioni
pubbliche derivano dall’Armonia, che è
certamente un tratto comune a tutti gli uomini
ma che viene stimolata dalla educazione.
Per Machiavelli e per Hobbes, che scrive dopo la
trasformazione capitalistica delle campagne,
quello che fa stare gli uomini insieme è la
coazione.
Dal punto di vista antropologico, Tommaso
Campanella vede invece gli uomini come composti
di ogni elemento della Natura e dello Spirito,
non necessariamente buoni o cattivi, mentre
l’antropologia più semplice, ma non per questo
maggiormente realistica, di Machiavelli ritiene
l’uomo sempre volto al male e “nimico naturale”
dei suoi simili.
L’Umanità come “legno storto” da raddrizzare,
come dirà molto tempo dopo Kant.
Ma è davvero così? E’ possibile fondare un
sistema politico pensando solo al male che
alberga nell’uomo e non alla sua ben più
complessa natura?
Non è che questa concezione, che ha dato origine
al mondo moderno, non genera essa stessa il Male
nell’uomo e diviene essa stessa l’immagine del
maligno?
Ecco quindi la dura polemica di Tommaso
Campanella con Machiavelli, che teorizza lo
stato nazionale e non lo stato potenzialmente
universale volto al miglioramento degli uomini,
alla loro completezza, e contro Lutero, che ha
distrutto l’unità dei cristiani.
Cristiani e non cattolici, invero.
Poiché, come sostiene con molte buone ragioni
Luigi Firpo Campanella, abbandonata la fede
cattolica nella cupa prigione dell’Inquisizione,
si rende conto che non può più esternare la sua
nuova religione e quindi inserisce elementi di
cattolicesimo nella sua “Città del Sole”: “ho
visto Mosè, Osiride, Giove, Mercurio, Maometto
ma, in un luogo particolare, Gesù Cristo”, dice
Campanella descrivendo la sua città ideale.
E, poco prima di morire, dedicherà un’ode nella
speranza che il prossimo Re di Francia, Luigi
XIV, sarà all’inizio di una nuova Età dell’Oro,
che dovrebbe iniziare proprio con il “Re Sole”.
Quindi, per il frate di Stilo, martoriato
dall’Inquisizione, la ragione umana è capace di
comprendere da sola la Santissima Trinità e di
arrivare da sola a comprendere la Rivelazione e
la duplice natura di Cristo.
Se è naturale comprendere questi concetti, è
quindi del tutto ovvio non aver bisogno
dell’Istituzione ecclesiastica.
Tutto il mondo moderno è percorso da questo tema
della “religione naturale”, che non ha bisogno
di istituzioni, e sarà un tema dell’empirismo
inglese e poi della sua brutta copia,
l’illuminismo francese.
Dall’altra parte, vi è la linea
Machiavelli-Hobbes, per la quale la società non
è in sé armonica e i cittadini hanno bisogno di
una autorità che inculchi, magari anche con le
cattive, i comportamenti positivi agli uomini.
E la Chiesa è in mezzo, tentata, come tutti gli
uomini, dall’abbandonarsi alla ipotetica ma
talvolta reale natura armonica dei rapporti o
dal rafforzarsi come istituzione, per inculcare
il Vero nei fedeli erranti, nei due sensi del
termine.
Certo, la coercizione, nella Città del Sole
esiste, eccome.
I funzionari, per esempio, controllano gli
accoppiamenti per favorire la razza, ad ore e
luoghi precisi.
Selezionare la razza umana è stato il delirio
del momento più cupo del Novecento ma anche
dell’intera storia dell’Uomo, mentre per
Campanella è una semplice e quasi ovvia nota
alla sua “Città”.
Tema campanelliano questo che verrà ripreso in
seguito dai Gesuiti nelle loro “estancias” del
Paraguay, dove i Reverendi Padri salvarono dai
mercanti di schiavi numerosissimi indios.
Ogni notte, ad una certa ora, la campana della
Chiesa suonava, indicando ai lavoratori il
momento più adatto per accoppiarsi.
Lo notava con malizia, il controllo erotico dei
lavoratori, anche Vilfredo Pareto nei suoi
“Sistemi Socialisti”.
Troviamo cose del genere anche nell’utopismo
Francese e, da lì, nelle teorie positiviste.
Certo, davvero l’utopismo dei Gesuiti
meriterebbe un convegno a parte.
Secondo Campanella, peraltro, è proprio la
proprietà privata a generare conflitti tra la
popolazione, così come scrive peraltro Tommaso
Moro nella sua Utopia.
Thomas More, nella sua “Utopia”, parte da un
concetto simile a quello campanelliano, in cui
Natura e Grazia si compenetrano.
La persona umana, in quanto toccata comunque dal
peccato originale, ha bisogno di un aiuto
soprannaturale per salvarsi, ma anche di un
aiuto naturale dato dagli altri uomini, che
rappresentano il “dato naturale” di ogni
comunità politica.
E il dato naturale, anche, della stessa
Salvezza.
Tale sussidio è l’ordinamento politico e
giuridico, nel meccanismo filosofico sia di Moro
che di Campanella nei loro universi utopici.
Abolire la proprietà privata, per entrambi i
teorici, significa liberare sia la comunità in
sé che l’uomo singolo dalla brama di beni, che è
il modo primario in cui si perde il senso della
Vita dello Spirito.
Moro e Campanella superano e rovesciano, a mo’
della dialettica marxiana, il criterio dei Padri
della Chiesa, i quali ritenevano che il male non
sta nella proprietà in sé, ma nell’attaccamento
morboso alle ricchezze nel cuore dell’uomo,
ovvero il peccato del singolo.
Campanella e Moro, invece, fanno della
trasformazione radicale delle strutture esterne
la condizione necessaria ma non sufficiente per
la costruzione di una società virtuosa.
Quindi Campanella e Moro teorizzano, per la
realizzazione delle loro città utopiche e
solari, la simultaneità dell’esterno, le leggi,
e dell’interno, la trasformazione spirituale
dell’uomo e il suo raggiungimento del Volere di
Dio.
Nella teorica laica del comunismo, si parla di
condizioni esterne che innescheranno, non si sa
quando ma sicuramente, la trasformazione
dell’uomo e del suo spirito.
Campanella e Moro, più concreti, vogliono
cambiare l’esterno e l’interno quasi
contemporaneamente, con i loro ordinamenti, e
non si sa ancora se il pensiero utopico, che
parte dai nostri due Autori per arrivare fino a
Fourier o Saint Simon, non sia invece più
paradossalmente concreto di quello del
“materialismo dialettico”.
E quindi, non a caso, sia l’Utopia di Tommaso
Moro che La Città del Sole di Campanella danno
una rilevantissima importanza all’educazione,
alla formazione dell’uomo il cui solo peccato
rimane quello originale.
Per Campanella, peraltro, il peccato originale è
proprio l’abbandono del nesso immediato e divino
tra uomo e mondo naturale, tra Adamo e il
Paradiso Terrestre.
Viene qui in mente, a chi parla, la grande
passione che, per Thomas More, aveva il mio
amato amico Francesco Cossiga, che vedeva nel
frate britannico il limite della coscienza
individuale rispetto al dominio della legge che
diventa tirannide.
Si riferiva, naturalmente, al rifiuto che Thomas
More fece dell’Atto di Supremazia in cui Enrico
VIII si separò dalla Chiesa Cattolica.
Essere utopisti ma fedeli a Roma e alla
tradizione, era questo il punto, anche per
Francesco.
E certo, per il nostro Presidente, vi era una
lunga linea grigia tra Tommaso Moro, che
contribuì, con le sue pressioni in Vaticano, a
far dichiarare santo, e Aldo Moro, che era
rimasto zitto sotto un “dominio pieno e
incontrollato”, per dirla con le sue lettere dal
carcere delle brigate rosse.
Sentire il futuro, come gli utopisti
cinquecenteschi, programmarlo e poi patire, come
patirono Campanella in carcere e Tommaso Moro
con l’assassinio, il peccato di intravedere i
segni dei tempi futuri.
Frate Tommaso
La città del sole:
Utopia o Progetto Massonico
La Città del Sole
Questioni sulla Città
del Sole
Estasi Filosofica
La Buona Magia
Nella Luce degli Astri
Pensare Tommaso Campanella