1. Campanella e
l’astrologia
Nel luglio 1626 Campanella giunge a Roma dopo
ventisette anni trascorsi nelle prigioni
napoletane e talune voci non mancano di
insinuare che il sospiratissimo trasferimento
nella città del papa, annunciato e rinviato per
anni, fosse stato finalmente conseguito anche in
virtù delle sue eccellenti competenze
astrologiche. La perizia nell’arte era stata
acquisita in tempi successivi allo scetticismo
degli anni giovanili, da Campanella stesso
rievocato in due famosi passi. Nel Senso delle
cose ricorda: «io fui nemicissimo d’astrologi e
scrissi contra loro in gioventù, ma i miei
travagli m’hanno fatto accorto che dicono molte
verità»
(1),
e in una bella lettera a mons. Antonio Querenghi,
schermendosi del paragone con Giovanni Pico
della Mirandola, conferma la propria ostilità
giovanile nei confronti dell’astrologia, cui era
seguita in età adulta una più matura
riflessione: il giovane conte «dannò gli
astrologi per non aver mirato all’esperienze: ed
io li dannai quando ero di diciannove anni, e
poi vidi altissima sapienza intra molta
stoltizia loro albergare»
(2).
Non sappiamo quando esattamente Campanella si
sia accostato all’astrologia con maggiori
simpatie, venendo ad acquisire competenze
specifiche in questo campo. Forse le poté
apprendere già da quel misterioso rabbino
Abramo, con cui si diceva avesse lasciato la
Calabria per dirigersi alla volta di Napoli, e
che esaminando la sua natività gli avrebbe
pronosticato l’eccezionalità della sua vita
(3).
Ma è forse più probabile che lo studio della
dottrina risalga al primo soggiorno napoletano,
quando ebbe modo di frequentare i fratelli Della
Porta
(4).
Giovan Battista, il più famoso, godeva di
un’ampia fama internazionale per i suoi testi di
magia naturale e di fisiognomica, ed è dalle
discussioni con lui sui principi di simpatia e
antipatia delle cose che ebbe origine quello che
sarà il Senso delle cose e la magia. Il fratello
Giovan Vincenzo, pur dilettandosi di ogni
scienza, con particolari competenze in medicina
e alchimia, «soprattutto fu divino
nell’astrologia, sì nella parte theorica che i
misura i moti delle stelle […] come anco nella
pratica e nella giudiziaria», al punto che era
solito dire che l’anima di Tolomeo era
trasmigrata in lui
(5). Sempre a
Napoli, Campanella aveva avuto modo di discutere
di quelle dottrine celesti che, collegando
eventi astrali con mutamenti terreni, si
coniugavano con temi profetici e politici. In un
passo del la Dichiarazione di Castelvetere, il
primo documento dettato a propria discolpa nel
settembre 1599, subito dopo l’arresto per la
tentata congiura di Calabria, nel ricordare i
propri interessi per «quelle cose che donano
indizio del futuro» e la persuasione che il
regno di Napoli «dovesse patire presto
mutazione», afferma che ciò che gli era stato
confermato dalle conv ersazioni avute a Napoli
con C olantonio Stigliola, Giulio Cortese,
Giovan Paolo Vernaleone, convinti anch’essi che
presto «ci dovea essere mutazione di stato»
(6).
Quando nell’estate del 1598 Campanella fa
ritorno in Calabria e a Stilo, dopo quasi dieci
anni di assenza, è senza dubbio in possesso di
approfondite conoscenze astrologiche, e nei
preparativi della congiura giocarono un ruolo
imporante sia la fiducia nell’eccezionalità del
proprio oroscopo, che lo destinava a dare nuove
leggi ed essere un nuovo messia, sia
l’astrologia che riguardava mutamenti di leggi e
religioni, e risultava connessa con la profezia.
Entrambi gli aspetti sono ricordati in stretta
connessione nella Città del sole, la cui
composizione viene fatta risalire al 1602. Nelle
battute finali, si sottolinea come le credenze
astrali dei Solari non risultino in conflitto
con la libertà dell’arbitrio. A conferma del
permanere della libertà pur entro il contesto
degli influssi celesti, da un lato egli rievoca,
come farà anche in altre occasioni, la terribile
tortura di recente patita, a prova che se un
condizionamento fisico estremo non riesce a
scalfire la libertà del volere, tanto meno lo
potrà il condizionamento di gran lunga più
debole e lontano operato dalle stelle, e che
solo chi segue più il senso che la ragione è
sottoposto alle stelle. Dall’altro fa rilevare
come in tempi assai ravvicinati, e sotto aspetti
astrali analoghi, si ano nati personaggi quali
Ignazio da Loyola, Lutero, il conquistatore del
Messico, Fernando Cortes, che risultano per un
verso accomunati dall’impulso al rinnovamento,
per l’altro alquanto lontani per le diversità
delle situazioni e dei contesti: Questo si
sappi, che essi tengon la libertà dell’arbitrio.
E dicono che, se in quarant’ore di tormento un
uomo non si lascia dire quel che si risolve
tacere, manco le stelle, che inchinano con modi
lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso
soavemente fan mutanza, chi segue più il senso
che la raggione è soggetto a loro. Onde la
costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori
infetti, da’ Gesuini nostri che furo al suo
tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da
Fernando Cortese che promulgò il cristianesmo in
Messico nel medesimo tempo
(7).
Una conferma eloquente degli interessi per
l’astrologia mondiale, che fanno appello anche
ai nuovi dati del sistema di Copernico («sagacissimus»,
«vir admirabilis»), è offerta dal Pronostico
astrologico redatto in occasione d ella grande
congiunzione del 24 dicembre 1603. Da quella
data, e per i seguenti duecento anni, le
congiunzioni dei pianeti superiori Giove e
Saturno si sarebbero verificate nei segni di
fuoco, a partire dal Sagittario, dopo che nei
precedenti duecento ave vano avuto luogo nel
trigono dei segni d’acqua, dominati da Venere e
dalla Luna: ciò che aveva comportato, fra le
altre cose, il prevalere dei Maomettani e il
dominio delle figure femminili, fatti anche
questi ricordati nella Città del sole. Il
ritorno delle congiunzioni nel trigono igneo, lo
stesso che aveva presieduto alla nascita di
Cristo e all’impero di Carlo Magno, annuncia un
profondo rinnovamento politico e religioso, e
Campanella guarda all’evento astrale, atteso
proprio per il giorno della natività di Cristo,
con grande emozione, componendo, oltre al
Pronostico, che verrà annesso come ultimo
capitolo degli Articuli prophetales
(8), alcuni
sonetti profetali, in cui auspica la sconfitta
dei «fieri giganti», il trionfo degli «spiriti
pii, lieti e contenti» e il ritorno dell’«aurea
età felice», nella quale, eliminato il «tuo» e
il «mio», l’amore individuale ed egoistico si
trasformerà in amore comune, «l’astuzia ed
ignoranza in saper vivo e ’n fratellanza
l’imperio funesto»
(9). Fra i
mutamenti annunciati, Campanella prevede grandi
progressi nelle scienze, nuove scoperte e
invenzioni, a causa della particolare posizione
di Mercurio, secondo quanto non mancherà di
ricordare a Galileo nella chiusa della grande
epistola latina che gli indirizza subito dopo la
lettura del Sidereus Nuncius
(10).
Gli interessi astrologici che serpeggiano in
larga parte dei testi campanelliani trovano
un’organica sistemazione nei sei libri
Astrologicorum, annunciati come compiuti nella
lettera del l’8 marzo 1614 a Galileo. In queste
pagine Campanella non manca di rimproverare
all’amico la contraddizione fra la sua
dichiarata “incredulità”, in base alla quale
rifiuta un consulto astrologico per i propri
problemi di salute, dichiarando di non crederci,
e le puntuali allusioni astrologiche presenti
nella dedicatoria a Cosimo II del Nuncius
Sidereus, dove le eccellenti qualità del
Granduca sono messe in rapporto con la posizione
fortunata del «benignissimo astro di Giove» nel
suo oroscopo. Campanella sottolinea che, se tali
riferimenti agli influssi del pianeta sono solo
di maniera, e frutto di un elogio encomiastico e
cortigiano privo di ogni intima convinzione,
andavano evitati, perché «non è licito a Vostra
Signoria servirsi [...] d’opinion false credute
dal solo volgo», e quindi passa ad ammonirlo a
non disdegnare una dottrina senza dubbio «piena
di fallacie», ma che contiene anche «cose
divinissime», se si operano le debite
distinzioni riguardo ai diversi livelli di
certezza dei suoi contenuti
(11).
Negli Astrologicorum libri, ponendosi sulla
linea di Girolamo Cardano, che si era proposto
di far rivivere l’autentica dottrina di Tolomeo,
al di là di ogni deformazione e deviazione,
anche Campanella dichiara di voler liberare la
dottrina dalle superstizioni degli Arabi, per
rifondarla come una dottrina naturale e
congetturale, in modo che risulti altresì
compatibile con le posizioni cristiane. In primo
luogo, si tratta di separare l’astrologia da
quella folla di dottrine nugaces, verso le quali
l’animo umano è pur irresistibilmente attratto.
Se il desiderio dell’uomo di conoscere le cose
future è di per sé positivo, in quanto è una
delle vie per avvertire la propria
partecipazione alla divinità, può diventare una
passione illusoria e rovinosa, se non è corretto
e regolato dalla ragione superiore e se l’uomo,
dimentico della Causa prima, si prostra di
fronte alle cause seconde e strumentali. Né
idolatrica né demonica, attenta a studiare le
corrispondenze, palesi o più segrete, fra stelle
e natura, cauta nei suoi metodi d’indagine –
solo in alcuni pochi casi essa procede
demonstrative, ma più di frequente probabiliter
e suspicative, consapevole che gli eventi
dipendono da un molteplice concorso di cause –,
l’astrologia non è indegna del nome di scienza,
e solo chi non ne rispetta i limiti naturali cad
e nella superstizione e rischia di incorrere
nell’inganno diabolico
(12).
Per quanto riguarda il problema più spinoso, il
condizionamento astrale sulle libere scelte
dell’uomo, Campanella prende le distanze da
posizioni deterministiche di stampo stoico,
rivend icando la libertà dell’umano volere in un
passo assai simile a quello della chiusa della
Città del Sole. Alludendo alle torture subite, e
a roghi non lontani, forse un tacito omaggio al
più famoso di tutti, quello di Giordano Bruno
del febbraio 1600, egli afferma che «l’uomo è
così libero che, se non vuole, non viene vinto
da nessun tormento e morte. Quanto meno dunque
dalle stelle che non esercitano una pressione
tanto atroce? Anche se bruciano il corpo non
riescono a domare la volontà»
(13).
La questione in verità risulta complessa e
richiede tutta una serie di distinzioni e
precisazioni. Richiamandosi ad Alberto Magno e a
san Tommaso, egli afferma che l’arbitrio
dell’uomo è sottoposto agli astri non directe,
bensì per accidens. Il cielo e le stelle
influiscono sul corpo e sullo spiritus, che
veicola le affezioni così ricevute all’anima
incorporea infusa da Dio, la quale può scegliere
di consentire o invece di contrapporsi alle
sollecitazioni passionali. Se è vero che,
secondo un famoso aforisma del Centiloquio
pseudotolemaico, «il sapiente dominerà le
stelle», è altrettanto vero che i filosofi e i
sapienti sono assai rari, per cui l’astrologo
spesso ha buon gioco nelle sue previsioni, in
quanto gli uomini, nella maggior parte dei casi,
indulgono alle inclinazioni sensibili anziché
operare scelte razionali.
2. L’affare
dell’oroscopo del papa e il De siderali fato
vitando
Fin dai primi tempi dell’arrivo a Roma di
Campanella, erano cominciate a circolare voci su
un prossimo decesso del papa a causa del
verificarsi di aspetti astrali minacciosi per la
sua vita. Dapprima vaghe e in sordina, le voci
si andranno diffondendo sempre più e
acquisteranno maggior consistenza negli anni fra
il 1628 e il 1630, per culminare in un affaire
politico-astrologico di proporzioni
internazionali, costituendo un esempio clamoroso
e istruttivo dell’ambiguo connubio di
astrologia, politica e propaganda. Interessanti
informazioni sulla questione ci vengono fornite
da Campanella stesso, in una lunga lettera che
scriverà da Parigi al papa il 9 aprile 1635 e
nella quale, in una ricostruzione un po’
affannata, svelerà gli oscuri retroscena delle
vicende romane di quegli anni
(14).
La lettera ha come protagonista il generale dei
Domenicani Nicolò Ridolfi, della cui persona, e
del «modo violento e rapace con cui regna»,
l’esule, ormai lontano e dopo averne patite a
lungo le persecuzioni, traccia un ritratto
spietato, con l’intento di smascherarne le
doppiezze, gli intrighi, le calunnie.
In un fitto intrico di malignità, simulazioni,
tradimenti («in lui non ci è religiosità se non
finta, né veracità, né carità né amicizia; ma
tanto mostra amare uno quanto n’ha bisogno, e
poi subito lo trade»
(15)),
si inserisce la specifica azione e il ruolo
sostenuto dal Ridolfi nell’ affaire astrologico.
Campanella ci informa che il Ridolfi, che, al
pari dei fratelli, nutriva una sfrenata passione
per l’astrologia, gli faceva spesso visita,
proprio per questioni astrologiche, nel palazzo
del Sant’Uffizio, dove si trovava rinchiuso. Nel
corso di una di queste visite, gli aveva
mostrato «certi giudici fatti d’altri»
riguardanti la vita del papa, «che dicean ch’a
settembre del ’28 avea da morire». Anziché
confermare queste predizioni – come il Ridolfi,
che aveva personali mire di potere, avrebbe
sperato –, Campanella le smentisce, scrivendo un
discorso, che non ci è pervenuto, volto a
mostrare come il papa sarebbe vissuto ancora a
lungo: «Io li provai che non era vero, e feci
uno scritto contra». Constatata l’esattezza di
queste previsioni, il Ridolfi gli aveva mostrato
la propria natività. Dopo averla esaminata,
Campanella gli aveva predetto il cardinalato per
il giugno del 1629 – ammettendo però di avere
sbagliato carica, in quanto in quel mese il
Ridolfi divenne non cardinale, bensì generale
dell’Ordine. Ma altri illustri personaggi, ai
quali si era rivolto e aveva mostrato il proprio
tema di nascita, meno cautamente gli avevano
predetto senza indugio il papato, «per un
satellizio in occidente di tutti pianeti in
Scorpione»
(16),
prospettiva che lo aveva reso «baldanzoso, come
il pronostico di Ticone al re di Svezia chi non
credea poter essere vinto né morire»
(17).
Di qui si erano accese rinnovate attese per la
morte del papa, spostata adesso al febbraio
1630, e in vista dell’evento si organizzavano
incontri e concili aboli di astrologi, con
successivi pellegrinaggi presso i principi per
diffondere le previsioni sul decesso del papa e
«commover gli animi di cardinali a fare quel
papa che mostravan le stelle»
(18).
I turbamenti e i disordini giunsero al punto che
nel giugno del 1630 arrivarono a Roma i
cardinali spagnoli, sollecitati dal cardinal
Borgia, fiero avversario del papa, per prender
parte a un nuovo conclave, come se ci fosse già
«sede vacante»
(19).
In questo clima oscuro e gravido di minacce si
inseriscono sia le prat iche di magia astrale
operate da Campanella con il papa, sia la
composizione degli opuscoli. Urbano VIII non
disdegnava di dedicarsi all’astrologia in via
strettamente riservata: si vantava di conoscere
le natività di tutti i cardinali e non mancava
di consultare con una certa impazienza quella
del vecchio duca d’Urbino, non vedendo l’ora che
sparisse di scena per prendere finalmente
possesso del suo stato. Comprensibilmente
infastidito e allarmato per le previsioni
nefaste sul suo conto, Urbano si rivolge a
Campanella, che a partire dall’estate del 1628
viene convocato a più riprese a palazzo, per
mettere in pratica i rimedi atti a scongiurare
le minacce celesti. Negli Avvisi di Roma di quel
periodo serpeggiano frequenti accenni agli
incontri segreti fra un papa più che mai
intenzionato a preservare in ogni modo la
propria vita e il frate, «il maggior astrologo
de’ nostri tempi», che, grazie a cerimonie
notturne, illuminate dai bagliori di fiaccole e
candele, e «a certi fomenti che sono contro li
mali humori e la malinconia», riesce a indurre
nell’illustre personaggio la persuasione «di
vivere lungamente e con molta quiete»
(20).
I rimedi contro gli aspetti celesti sfavorevoli
sono descritti nell’opuscolo De siderali fato
vitando, che verrà dato alle stampe, a d ire di
Campanella senza il suo consenso, in appendice
ai sei libri Astrologicorum nel 1629
(21).
Se in altri testi Campanella si sofferma,
proprio come Ficino nel De vita coelitus
comparanda, sui modi per attirare con “esche”
opportune i favori del cielo, nel l’opuscolo sul
fato siderale affronta il problema dal diverso
punto di vista di come sventare le possibili
minacce celesti adottando opportune cautele. A
tale proposito, egli insiste su due temi
centrali: il valore delle scienze come mezzi e
rimedi di cui l’uomo dispone per porre riparo ai
diversi mali; la fiducia che anche i pericoli
connessi con il fato sidereo non siano
inevitabili.
Per Campanella, ogni male ha il suo rimedio e le
arti, figlie della natura e raggi dell’unica
luce del Verbo divino, hanno lo scopo di
proteggere la vita dell’uomo, aiutandolo a
conseguire quello che giova e ad evitare quello
che nuoce. Se la medicina, l’etica, la politica,
l’economica consentono di fronteggiare i mali
del corpo, dell’anima, della repubblica e della
famiglia, la scienza siderale è efficace contro
i possibili danni derivati dalle stelle. In una
bella pagina dal sapore baconiano Campanella
celebra le scoperte dei moderni – la stampa, la
bussola e le armi da fuoco, che hanno consentito
la scoperta e la conquista del nuovo modo – e ad
esse aggiunge il telescopio, con l’auspicio che
si realizzi quanto prima l’arte del volo e che
si giunga presto alla costruzione di un
auricolare organum, l’«oricchiale», come vien
detto nella Città del sole lo strumento per
ascoltare le armonie delle musiche celesti
(22).
Tali mirabili invenzioni dovrebbero spronare i
principi a incrementare sempre più le arti
speculative e meccaniche, contribuendo così a
migliorare la vita dell’uomo e ridurre anche i
mali connessi con il fato: Come sarebbe bello
se i principi, lasciando perdere le ridicole
dottrine degli antichi, facessero progredire il
presente secolo favorendo chi si dedica alle
scienze! Non c’è nulla infatti che la ragione
umana non possa vincere. Ma le scuole sono
occupate da sofisti incapaci di ritrovare cose
nuove, e pronti solo a perseguitare chi ricerca
la verità. Non c’è quindi da stupirsi che ancora
non vengano alla luce tutti quei rimedi che Dio
offre contro le calamità del fato
(23).
Non sono i mali ad essere inevitabili, ma
purtroppo sono le arti utili a porvi riparo ad
essere trascurate. Se scopo di ogni vera scienza
è quello di alleviare i mali degli uomini e
provvedere ai loro bisogni, anche la scienza
siderale è utile e può controllare i pericoli
minacciati dalle stelle. Il cielo infatti non
realizza in modo necessario quanto Dio ha
stabilito, demandando agli angeli l’esecuzione,
ma agisce con il calore, la luce, l’aspetto, il
movimento. Le azioni, le passioni, le forme
sostanziali e accidentali del mondo inferiore
sono prodotte per mezzo di strumenti corporei:
il cielo è lo strumento e il sigillo delle
intelligenze apposto al mondo elementare, e
pertanto gli effetti che conseguono a cause
corporee possono venire rafforzati o impediti da
cause corporee. Garantito così un possibile
margine di intervento all’interno dalla catena
causale del fato, Campanella analizza le varie
situazioni di pericolo suggerendo di volta in
volta gli opportuni rimedi, improntati, nella
maggior parte dei casi, a regole ispirate al
semplice buon senso. La pagine più famose e più
discusse, in quanto rispecchiano le pratiche
operate con il papa, sono quelle che
suggeriscono i rimedi contro i possibili danni
di eclissi e comete.
Se un’eclisse è malefica e generale, non resta
che la fuga: «abscinde te a toto». Quando si
presenta minacciosa per una persona specifica,
Campanella consiglia di usare ogni diligenza per
far sì che «fin dall’inizio i semi sparsi non
possano piantare in te le loro radici; il seme
del frumento o della senape o gli altri semi, se
non trovano un terreno adatto, non mettono
radici, o ne mettono di deboli, in modo da non
dare nessun frutto, o modesto, o non crescono»,
ricordando che, durante la terribile peste di
Atene, Socrate ne era rimasto immune, grazie
alla temperanza con cui aveva neutralizzato
l’aggressione della malattia. Si tratterà allora
di delimitare uno spazio separato, che risulti
impenetrabile agli influssi maligni e al tempo
stesso riproduca un ambiente favorevole. Serrate
porte e finestre, l’aria verrà purificata
cospargendo profumi e aromi, e bruciando legni
odorosi come alloro, mirto, rosmarino, cipresso.
Nella stanza, ornata con fronde e drappi bianchi
di seta, verranno accesi due luminari e cinque
fiaccole, composti di una mistura aromatica, e
altre luci, a rappresentare i pianeti e lo
zodiaco. Quali ulteriori antidoti, sarà inoltre
utile ricercare la compagnia di amici indenni
dagli effetti negativi dell’eclisse, diffondere
musica gioviale e venerea per infrangere la
malignità dell’aria, e in genere fare ricorso a
tutte quelle esche, collegate con piante,
pietre, colori, odori, capaci di attirare gli
influssi benefici e contrastare quelli maligni.
Se le tenebre dell’eclisse sembrano sospendere e
interrompere la vita che fluisce dal cielo, sarà
necessario porvi riparo con la costruzione di
una sorta di cielo artificiale. In celebri
pagine dedicate al De siderali fato, e volte a
sottolineare i nessi fra i rimedi suggeriti e la
magia naturale e astrale di Ficino, D. P. Walker
osserva con finezza: «le luci nella stanza
sigillata sono semplicemente un sostituto del
mondo celeste esteriore, manchevole a causa
dell’eclisse; i cieli veri si sono guastati e
così ci fabbrichiamo un normale, non disturbato,
favorevole cielo in miniatura»
(24).
L’opuscolo si conclude con pagine che ricordano
casi di morti di personaggi famosi, annunciate e
non sventate nonostante tutte le precauzioni
adottate, ciò che sembrerebbe smentire la
possibilità di evitare l’inesorabilità del fato.
Fra gli esempi antichi, viene ricordato il caso
di Edipo, a c ui Seneca, nell’omonima tragedia,
dedica versi volti a sottolineare
l’implacabilità della forza fatale, e la morte
di Plotino – in verità Campanella confonde la
morte atroce del filosofo, narrata da Firmico
Materno, con quella, davvero curiosa, di
Eschilo, il quale, a quanto narra Valerio
Massimo, in un capitolo dedicato alle morti
insolite, ebbe la testa fracassata dal guscio di
una tartaruga scagliato con forza dall’alto da
un’aquila, che aveva scambiato il cranio calvo
del poeta per un sasso
(25).
Fra gli episodi più recenti, vengono ricordate
le morti di due astrologi famosi, le cui
cautele, messe in opera al fine di preservarsi
da una morte violenta da loro stessi prevista e
temuta, risultarono vane. Il primo caso è quello
di un celebre chiromante e astrologo, il
bolognese Bartolomeo della Rocca, detto Cocles,
che, odiato dai Bentivoglio, signori della
città, per le sue previsioni funeste, andava
sempre armato di spada e si proteggeva il capo
con un elmo nascosto, poiché temeva di morire a
causa di un colpo alla testa. Precauzione che
non era stata sufficiente a salvarlo da un
sicario assoldato da Ermete Bentivoglio, figlio
del tiranno, che, travestito da facchino,
l’aveva sorpreso mentre si era chinato, intento
ad aprire la porta di casa, la cui serratura e
ra stata artificiosamente manomessa con
l’introduzione di un sasso, vibrandogli un colpo
di scure sul collo
(26).
Fra gli astrologi che temevano la morte violenta
e non poterono evitarla Campanella ricorda anche
il tedesco Valentinus Nabod
(27),
autore di commenti ai testi del Sacrobosco e di
Alcabizio, che fu vittima di un atroce delitto a
Padova nel marzo del 1593, proprio durante il
soggiorno del giovane domenicano, che dovette
rimanerne vivamente impressionato e ci narra
l’episodio in modo preciso:
Costui, mentre viveva a Padova, temendo, a
causa della direzione, la spada, si chiuse in
casa, sbarrate porte e finestre, dopo aver fatto
provviste di cibo bastanti per un mese. I ladri,
credendo che se ne fosse andato fuori città e
che avesse sprangato le finestre per custodire
il denaro, entrarono con violenza spaccando una
piccola apertura, portarono via il denaro e
uccisero l’astrologo, timorosi che gridasse o li
accusasse
28..
Di fronte a tali episodi Campanella non nasconde
le proprie perplessità. Ma non può che ribadire
la sua generale fiducia nella possibilità di
evitare le minacce del fato, pur consapevole che
l’uomo è sì «libero nel volere e disvolere, ma
non nell’operare, se non quando egli stesso è la
causa totale dei propri effetti». Nonostante i
margini ridotti della sua libertà, e anche se
non ci sono rimedi contro l’intera serie causale
del fato, l’uomo deve fare tutto quello che è in
suo potere fare, «con la mente e le mani», al
fine di evitare il male, e facendo ricorso a una
prudenza che risulti in accordo, e non in
contrasto, con la sapienza divina.
3. L’Apologetico in
difesa del De fato
Sullo scorcio del 1629
l’opuscolo sul fato siderale vide la luce
annesso ai sei libri degli Astrologicorum, in
una stampa presso i fratelli Prost a Lione.
Quando il volume giunge a Roma, oltre che
suscitare grande scalpore, scatena la furiosa
ira del papa, che si vede compromesso in
pratiche considerate superstiziose, ciò che
induce un grave stato di prostrazione in
Campanella. Superata la crisi, egli si affretta
a respingere con sdegno ogni responsabilità
nella pubblicazione dell’opuscolo, attribuendola
a un vero e proprio complotto ai suoi danni da
parte dei due suoi più malevoli e potenti
avversari, i confratelli Nicolò Ridolfi
comunemente noto come “padre Mostro”, e Nicolò
Riccardi, al fine di screditarlo agli occhi del
pontefice, ed alienargli la benevolenza che
aveva acquisito presso di lui, impedendone la
nomina, che era nell’aria, a qualificatore del
Sant’Uffizio
(29).
In seguito a tali vicende, Campanella si dev e
difendere dalle accuse, oltre che di stampa non
autorizzata, di eresia e superstizione. Riguardo
alla prima imputazione, la respinge negando ogni
iniziativa personale. Per discolparsi dal
secondo capo d’accusa, si afffretta a stendere
un Apologeticus in difesa dell’opuscolo,
inviandolo a due censori che lo giudicheranno
immune da superstizione
(30).
In queste pagine egli intende mostrare come le
pratiche suggerite nelle pagine del De fato non
vadano intese come un rito cerimoniale
superstizioso, bensì come un rimedio
integralmente naturale, che non comporta alcun
patto demonico, né tacito né espresso. Ma se
Campanella ha buon gioco nel richiamare la
necessità di purificare ambienti e aria infetti,
secondo quanto raccomandano i medici e Ficino
nel Consilio contro la pestilenza, deve in
seguito fare ricorso a tutta la propria dottrina
per rispondere a obiezioni più insidiose,
riguardanti le virtù dei numeri, il valore
simbolico della rappresentazione, i poteri delle
immagini.
Per quanto riguarda i numeri, Campan ella
precisa che nessun concilio si è mai pronunciato
in merito alle dottrine pitagoriche che
attribuiscono specifiche virtù ai numeri, per
cui, indipendentemente dal loro valore di
verità, non esistono divieti in proposito.
Poiché poi la Scrittura, secondo il citatissimo
versetto della Sapienza, proclama che Dio fece
ogni cosa «in numero, peso e misura», è del
tutto naturale ritenere che la scansione
numerica sia presente in ogni aspetto del
creato, e che anzi sia proprio essa a rendere
possibile la distinzione dei singoli enti dalla
congerie indifferenziata del caos. Sempre nelle
Scritture, è poi assai frequente il ricorso a
simbologie numeriche, con particolare attenzione
per il settenario – basti pensare al vorticoso
turbinio dei sette angeli, ampolle, tuoni,
trombe, sigilli dell’Apocalisse; del pari
copiosi sono i riferimenti ai misteri dei numeri
nei testi dei padri, da Origene a Gerolamo ad
Agostino a Riccardo di San Vittore, e Campanella
non esita a fare ricorso a tutta la propria
erudizione per esibi re quella che Walker dice
«a formidable list of patristic authorities for
the power and vitues of numbers»
(31).
Fra gli autori recenti si sono soffermati sul
valore mistico del settenario, Campanella
ricorda il medico fiammingo Cornelio Gemma,
autore del De arte ciclognomica, e l’udinese
Fabio Paolini, professore di greco a Venezia e
accademico uranico, autore di un curioso
trattato intitolato Hebdomades, i cui sette
libri consistono in una dottissima, vertiginosa
variazione sulla teologia orfica e il valore del
settenario, prendendo spunto da un verso dell’
Eneide
(32).
Che poi le fiaccole da accendere debbano essere
proprio sette, deriva ovviamente dal fatto che
sette sono i pianeti. Il che non significa che
si tratti di un rito superstizioso o di una vana
osservanza, bensì di una specifica imitazione
del cielo, in conformità ai testi biblici, che
spesso prescrivono la riproduzione di modelli
esemplari. A questo proposito, Campanella
ricorda l’arcano valore simbolico dei paramenti
sacerdotali di Aaron e del tabernaculum mosaico,
richiamandosi in particolare al testo che è una
delle fonti privilegiate delle sue conoscenze
sulla cultura ebraica, la Bibliotheca sancta di
Sisto da Siena, il domenicano di origini ebree
convertitosi al cattolicesimo. Se la
tripartizione del tabernaculum in atrio, stanza
santa e Sancta sanctorum è una trasparente
allusione alla tripartizione dei mondi
sublunare, celeste e divino, i singoli capi
delle vesti del sommo sacerdote, i loro colori,
i loro ornamenti e le pietre che le decoravano,
avevano un potente valore simbolico,
raffigurando tutto il mondo contratto. Oltre ad
esercitare una particolare efficacia, tali
paramenti, al pari di altri oggetti simbolici,
richiedono, secondo Sisto, uno specifico tipo di
spiegazione, quella «sciographica», nella quale
risulta essenziale la riproduzione di
un’immagine che ponga sotto gli occhi cose che
non si possono esprimere in modo adeguato con le
sole parole. Oggetti come l’arca di Noè, il
tabernacolo, il tempio di Salomone si
comprendono male e a fat ica senza la figura,
mentre grazie alla loro rappresentazione
«apprendiamo con un solo sguardo molte più cose
che con una lunga e complessa lettura di
commenti: infatti si apprende molto più e in
modo di gran lunga più distinto e si tratttiene
più tenacemente nella memoria ciò che si coglie
con gli occhi che ciò che si percepisce con le
sole orecchie»
(33).
Ma anche accettando il valore rappresentativo
delle sette fiaccole, qualcuno potrebbe sempre
richiedere che si specifichi in modo più preciso
di che genere di virtù esse risultino dotate.
Campanella risponde a questa ulteriore obiezione
affermando che, oltre alla virtù simbolica e
mistica di cui si è detto, si può anche
affermare che le sette torce acquisiscano dagli
influssi dei sette pianeti una «vis physica», e
per sostenere questo punto non esita ad
affrontare la delicata questione delle immagini
astrologiche. Già Ficino, nelle pagine più
discusse e problematiche del De vita coelitus
comparanda, per sostenere la liceità delle
immagini e giustificare la loro efficacia, aveva
fatto appello allo Speculum astronomiae di
Alberto Magno e a testi, più sfumati e cauti, di
san Tommaso
(34).
Campanella non solo ripropone tali autorità, ma
fa anche appello a un’abilissima pagina di
commento del Gaetano alla Summa tomista. In
quella pagina il commentatore riesce, con uno
sforzo ermeneutico davvero ammirevole, a
mostrare come talune affermazioni dell’Aquinate
sulle immagini che sembrano fra di loro in
contrasto risultino in verità conciliabili, e
come il passo della Summa che a una lettura
superficiale sembrerebbe negare alle immagini
qualsiasi efficacia derivata dalle stelle, in
verità vada interpretata sotto una diversa luce.
Tenendo presenti tutta una serie di distinzioni
e di precisazioni, egli giunge a concludere che
le immagini astronomiche, purché prive di
caratteri, non risultano condannabili
(35).
Per suffragare l’affermazione che non solo gli
enti naturali sono dotati di virtù e
disposizioni originarie, ma lo possono essere
anche i prodotti dell’arte umana, Campanella fa
appello alle recenti scoperte sul magnetismo, a
Giambattista Della Porta, e soprattutto al testo
di Gilbert, che rilevava come le barrette di
ferro e i chiodi costruiti dal fabbro si
orientano verso quella direzione verso la quale
sono stati fabbricati: come si può constatare
ponendoli a galleggiare su un sughero, essi
tenderanno ad assumere una propria specifica
direzione, dipendente dall’orientamento ricevuto
al momento della loro formazione.
4. La Disputatio sulle
bolle contro le dottrine divinatrici
I due opuscoli si
collocano su uno sfondo inquieto, in cui le
aspettative e le previsioni per la morte del
papa si intrecciano con oscure manovre per
affrettarne la fine. Nonostante dicerie un po’
ciniche affermassero che il dolore di Urbano per
la morte del fratello Carlo nel febbraio 1630
fosse stato in parte alleviato dalla speranza
che il maligno influsso celeste si fosse
“scaricato” colpendo un altro membro della
famiglia, le voci sulla sua morte, anziché
sopirsi, si fecero più insistenti. Al punto che,
come si è ricordato, in giugno si presentarono a
Roma i cardinali spagnoli, seguiti da quelli
francesi e tedeschi, come se dovessero prendere
parte a un conclave imminente. Al culmine
dell’esasperazione, di lì a due settimane Urbano
ordina al governatore di Roma di istituire un
processo contro don Orazio Morandi, abate del
convento di Santa Prassede, uno dei centri più
attivi della propaganda astrologica e luogo di
incontro di quei personaggi in cui la passione
per l’astrologia andava di pari passo c on le
trame del potere, al fine di smantellare una
volta per tutte il reticolo di conciliaboli e
trame che gravitava attorno all’abate
(36).
Incarcerato, il Morandi, «homo di molte lettere,
amato da molti, e dal papa stesso», la cui
cultura era testimoniata d a una ricchissima
biblioteca, e amico fra gli altri di Galileo,
morirà all’inizio di novembre. Nonostante il
medico del carcere attestasse la morte naturale,
seguita a una violenta febbre, immediate voci lo
dissero morto di veleno propinato in una
vivanda, al fine di risolvere in modo sbrigativo
un caso alquanto delicato, ed evitare a un
personaggio con amicizie tanto altolocate il
disonore della pena capitale.
In questo clima saturo di sospetti e oscure
manovre, nell’aprile del 1631 papa Urbano VIII
promulga la severissima bolla Inscrutabilis,
che, vietando ogni tipo di divinazione e
minacciando pene severissime, dalla confisca dei
beni alla condanna capitale, agli autori di
predizioni riguardanti la vita del papa e dei
suoi familiari, intendeva porre fine, una volta
per tutte, a oroscopi negativi sulla su a
persona e i suoi parenti. La bolla veniva a
confermare e inasprire la Coeli et terrae
Creator che, promulgata da Sisto V del 1586,
metteva al bando ogni dottrina divinatrice,
proclamando solennemente che l’uomo non può
presumere di elevarsi alla conoscenza degli
eventi futuri, riservata esclusivamente a Dio,
al cui solo sguardo ogni cosa è «nuda e aperta»
(37).
La fiduciosa affermazione dell’uomo fatto a
«immagine e somiglianza di Dio», che pur con
diverse modulazioni aveva caratterizzato
l’umanesimo e aveva attraversato buona parte del
secolo sedicesimo, per sottolineare la dignità e
l’eccellenza dell’uomo, subiva un drastico
ridimensionamento. Fin dalle prime righe il
documento ammoniva «questo superbo anima le»,
affinché «non s’innalzasse nel suo sapere, ma
temesse e prostrato a terra adorasse l’immensa
maestà del suo fattore», ricordandogli che Iddio
«riserbò a sé solo la scienza delle cose
ch’hanno a venire e la cognitione delle future».
Di qui la dura condanna di tutte le arti
divinatrici, delle quali si traccia un quadro
pittoresco e impressionante, e che vengono
accomunate nell’accusa di superstizione e nel
pericolo di intervento diabolico. Il dubbio
onore di aprire l’elenco delle dottrine illecite
spetta all’astrologia, alla quale non è
riservato alcun trattamento di riguardo, ma che,
posta sullo stesso piano del lancio delle sorti
o delle evocazioni del demonio negli specchi e
nelle caraffe piene d’acqua, viene condannata
come uno dei prodotti più deleteri della
superbia dell’uomo.
L’Inscrutabilis, mentre conferma la condanna di
ogni genere di divinazione, estende i divieti,
inasprisce le pene per i colpevoli, accentua la
gravità di fare o anche solo tenere presso di sé
pronostici riguardanti il papa e i suoi
familiari fino al terzo grado
(38).
Allarmato anche per le possibili ripercussioni
negative sui propri scritti, già oggetto di
censure e critiche, Campanella scrive una
ingegnosa e contorta Disputatio, che, sotto
l’apparenza di replicare alle critiche d i
ipotetici avversari della bolla, fa di tutto per
fornirne un’interpretazione mitigata.
Composto fra il 1631 e il 1632
(39), l’opuscolo vedrà la luce a Parigi nel
1636, non a caso insieme con l’ Atheismus
triumphatus, che a pochi mesi dall’edizione di
Roma del 1631, cui era approdato dopo un
itinerario travagliatissimo, era incappato anche
nello scoglio astrologico. Poche righe del
capitolo XIV, in cui l’autore affermava che
l’approssimarsi di una profonda riforma
spirituale e del rinnovamento della chiesa era
confermato anche dalle configurazioni celesti,
erano bastate a far porre il libro sotto
sequestro. Nella Disputatio Campanella intende
in primo luogo contrapporsi all’interpretazione
restrittiva propugnata dal Riccardi, allora
maestro del Sacro Palazzo, in base alla quale il
divieto nei confronti delle arti predittive non
avrebbe riguardato solo la possibilità di
redigere o tenere presso di sé pronostici, ma
avrebbe coinvolto la possibilità stessa di
citarli anche solo per confutarli e
controbatterli. Oltre a respingere la rigida
interpretazione del padre Mostro, Campanella è
costretto ad affrontare e chiarire tutta una
serie di problemi riguardanti l’astrologia e la
divinazione, e lo fa utilizzando strategie
argomentative e tecniche retoriche molto
sottili. Nella Disputatio, che si presenta come
un documento in difesa delle due bolle,
Campanella, mentre espone e replica alle
obiezioni degli avversari, mostra al tempo
stesso che sarebbe disastroso offrirne
un’interpretazione troppo rigida e si propone di
enunciarne una interpretazione corretta,
scartando ciò che non risulta più difendibile,
ma cercando di salvare il salvabile entro
margini divenuti ormai strettissimi.
Entro la struttura formale della disputatio o
quaestio altre volte utilizzata per affrontare
questioni alquanto delicate – basti pensare all’
Apologia pro Galileo –, il quesito che viene
sottoposto a discussione è quello se le bolle
risultino passibili di critiche. Gli argomenti
d’esordio elencano le possibili obiezioni, a cui
si darà risposta dopo avere enunciato i principi
su cui basare le repliche. I critici delle bolle
sostengono che la condanna papale è ingiusta e
nociva, in considerazione dell’innegabile
utilità dell’astrologia e del suo status di
scienza, in quanto procede sulla base di cause,
di effetti e di segni. Il terzo argomento
sottolinea come il pontefice, con la messa al
bando delle arti divinatorie, si mostri più
severo contro gli astrologi che contro gli
eretici, e il quarto rileva che, se non è stato
illecito collegare la nascita di Cristo alle
stelle e delinearne l’oroscopo, a maggior
ragione sarà lecito compilare oroscopi di uomini
comuni, tanto più fortemente sottoposti alle
stelle. Le obiezioni conclusive stigmatizzano il
fatto che la bolla proibisca non solo le
previsioni certe, ma anche quelle congetturali,
nonché la possibilità di citare testi
astrologici anche al solo fine di confutarli:
proibizioni che comporterebbero una revisione di
molti testi scritturali e di molte autorità dei
padri, degli scolastici, dei concili.
Nel rispondere alle obiezioni conclusive
Campanella non incontra grandi difficoltà, e non
esita a far sue le obiezioni mosse contro la
bolla, sostenendo apertamente che
l’interpretazione rigida e restrittiva perorata
dal padre Mostro è del tutto abusiva e risulta
inaccettabile, in quanto non solo è in evidente
contrasto con autorevoli posizioni della
tradizione, e con passi stessi della Bibbia, ma
«lega le mani dei soldati di Cristo mentre
scioglie e arma la mani dei soldati del
diavolo». Le risposte alle obiezioni d’esordio
risultano invece più ardue e lo costringono, in
primo luogo, a precisare in che senso ed entro
quali limiti vada intesa la “scientificità”
dell’astrologia. In via preliminare egli
distingue due ordini di enti. Il primo è quello
degli enti fisici, alla cui origine e
composizione collaborano una serie di cause,
governate dall’Idea divina, che utilizza in
veste di coadiutori e strumenti gli angeli, i
cieli, gli elementi: la costruzione di una
chiave o di un’arma dipende in prima istanza dal
l’idea dell’artefice, che quindi si serve degli
elementi e degli strumenti idonei per la
realizzazione dell’oggetto. Il secondo livello è
quello della mens umana, che è al di sopra
dell’ordine elementare, in quanto essa, al
contrario di ogni altro ente, non è prodotta
dall’azione di una serie di cause, ma è immessa
nel corpo da Dio, direttamente e senza
mediazione alcuna. Nei suoi confronti i cieli e
gli elementi non possono esercitare un’azione
diretta, ma possono agire indirecte, nella
misura in cui essa risulta collegata alle parti
vegetative e sensibili del corpo
(40).
La mente, ed essa soltanto, è il luogo delle
scelte morali, connesse con la libertà
dell’arbitrio. Se le inclinazioni, i
temperamenti, le caratteristiche fisiche degli
individui sono innegabili, e innegabilmente
dipendono, fra le altre cause, anche dai cieli,
come mediatori ed esecutori dell’idea divina,
all’uomo, e solo a lui, spetta di consentire o
deviare da tali tendenze e propensioni naturali,
ed è proprio in tale possibile scarto dalle
sollecitazioni sensibili – che tutti gli altri
esseri non possono invece non assecondare – che
consiste la libertà, una delle prerogative che
con maggior forza caratterizzano la diversità e
la peculiarità dell’uomo rispetto agli altri
animali
Da tali premesse si deduce che si possono
formulare previsioni certe e «in via
dimostrativa» solo per eventi di ordine fisico e
generale, come, ad esempio, sull’avvicendarsi
delle stagioni. Riguardo agli eventi, sempre
fisici, ma particolari, che ne possono
conseguire con ragionevole regolarità, si
possono formulare previsioni congetturali: per
esempio, che da particolari condizioni
climatiche e ambientali conseguano «la siccità,
e le ire, tristezze, allegrie, stupefazioni,
malattie, carestia e abbondanza». Ma dei futuri
contingenti, che riguardano le scelte volontarie
umane, non è possibile scienza alcuna, né certa,
né congetturale. Campanella ricorre con perizia
alla terminologia scolastica ( per se, per
accidens, directe, indirecte ) per operare una
serie di distinzioni molto sottili sul terreno
minato del delicato rapporto fra passioni e
libero arbitrio, del difficile e precario
equilibrio fra condizionamenti corporei e scelte
morali e razionali (41).
Passando poi a rispondere alle obiezioni,
afferma che, quando si parla dell’astrologia
come una delle scienze utili, si allude a quella
fisica, cioè a quella dottrina che fa previsioni
riguardo ad eventi che dipendono da cause
esclusivamente fisiche, quali «le piogge, i
venti, le passioni del mare e delle piante»,
dottrina che in qualche caso può diventare
anch’essa congetturale – al tempo stesso può
piovere nella città di Roma ed essere sereno nei
sobborghi – e che è concessa anche dal papa per
quanto riguarda l’agricoltura, la medicina e la
navigazione. La bolla vieta l’astrologia
superstiziosa, che opera indebite deduzioni
riguardo agli eventi morali e soprannaturali,
procedendo non da vere cause, o veri effetti, o
da segni posti dalla natura o da Dio, errando di
un triplice paralogismo. In primo luogo gli
astrologi peccano di petizione di principio,
pretendendo che «venga loro concesso, senza
nessuna prova scientifica da loro dimostrata
(anzi, c’è discordia fra di loro), quel che
suppongono delle case, delle esaltazioni, dei
trigono, delle direzioni, degli afeti, dei
luoghi afetici», sul modo di stabilire
l’ascendente. In secondo luogo sbagliano
operando un passaggio indebito del per accidens
al per se, come quando presumono di fare
previsioni per le scelte morali. In terzo luogo
sono in errore quando procedono da una non causa
e non segno come se si trattassero di vera causa
e di vero segno.
Il discorso sui segni risulta del più alto
interesse. In linea generale, per Campanella
essi possono essere razionali, vale a dire
stabiliti dagli uomini, o naturali, e
costituiscono un linguaggio senza dubbio molto
importante, ma non sempre di agevole
decifrazione. Nella Disputatio, il discorso sui
segni riguarda non tanto l’astrologia, quanto la
folla delle dottrine divinatorie che su di essa
pretendono di fondarsi, e a proposito delle
quali Campanella sembra oscillare fra la
tentazione di liberarsene, come di una zavorra
ormai indifendibile, e quella di salvare almeno
taluni aspetti di dottrine a lui care e da lui
praticate. Pertanto anche a questo proposito
preferisce operare delle distinzioni anziché
condannare in blocco. Da un lato manifesta tutte
le sue perplessità per dottrine quali la
geomanzia, l’idromanzia, la piromanzia, o in
genere quelle che, basate su segni arbitrari,
senza alcun fondamento naturale, si pongono
quali obiettivi richieste e interrogazioni
futili, e proprio a causa di tale inconsistenza,
scaturita da una vacua curiositas, corrono il
rischio che nelle loro pratiche intervenga il
demonio
(42).
Diverso è il discorso per dottrine quali la
fisiognomica, la chiromanzia, la metoscopia, che
fanno riferimento a segni naturali e si
appellano a una diligente e seria studiositas.
Nel gran libro della natura nessun segno,
neppure minimo, è posto a caso o risulta
inutile, ma ognuno ha un significato: i dubbi e
le incertezze derivano dall’estensione e
dall’interpretazione del significato dei segni
stessi
(43).
Quanto alla natività di Cristo, Campanella
insiste nel considerare l’evento come
soprannaturale, non sottoposto all’ordine
consueto della natura. La stella che l’annunciò
non era natur ale, come lo erano invece la
stella del 1572, che era stata al centro di un
ampio dibattito, registrato da Tycho Brahe, o la
cometa del 1618, che Campanella stesso, pur
ancora rinchiuso in Castel Nuovo, aveva avuto
l’opportunità di osservare
(44).
Sottolineando che molte profezie si sono
dimostrate fallaci, come quella dell’avvento di
un «sovrano del nord», identificato nel re
svedese Gustavo Adolfo
(45),
egli osserva poi che i più famosi oroscopi di
Cristo, delineati da Cecco d’Ascoli, Alberto
Magno, Albumasar e più recentemente da Cardano
(46),
non evidenziano affatto gli aspetti eccezionali
del Messia. Gli oroscopi restano leciti solo in
ambito medico, al fine di venire utilizzati
nella diagnosi e cura delle malattie, insistendo
nel precisare che non c’è alcuna certezza
riguardo al momento della morte, che può essere
ritardato o evitato grazie a rimedi di varia
natura.
La terza obiezione denunciava come la b olla
perseguisse con maggior severità gli astrologi
che gli eretici, inducendo in tal modo il
sospetto che il papa avesse a cuore la propria
tranquillità personale e quella dei suoi parenti
più che la fede e il culto divino. Campanella
non resta insensibile a tale insinuazione, ma,
pienamente consapevole a sua volta che la messa
al bando dell’astrologia è anche di natura
politica, controbatte spostando il discorso dal
piano della verità a quello dell’utilità. Il
padre comune, in quanto principe prudente, ha il
diritto di vietare non solo le dottrine false,
ma anche quelle pericolose, in grado di
provocare turbamenti sociali analoghi a quelli
dell’anno precedente, quando pronostici vani e
superstiziosi riguardanti il papa e la chiesa,
spregiudicatamente diffusi e utilizzati presso i
politici e i potenti, avevano suscitato gravi
disordini:
Ma il pontefice proibisce i pronostici sulla
vita e la morte dei pontefici e sulla stato
della chiesa, per entrambi i motivi, non a
vantaggio proprio o dei suoi, ma della
repubblica. Nessuno infatti ignora quanti
turbamenti sono sorti l’anno scorso dalle vane
prediz ioni degli astrologi e dalle dicerie dei
superstiziosi pronosticatori su lla vita del
pontefice e dello stato della chiesa, e quanti
sollevamenti di animi, e depressioni, e quanti
preparativi e progetti di cose nuove, e che i
sacri principi vennero a Roma per questo, e c
ome i potenti male affetti sono soliti fare,
ricorrendo anche a false profezie, agitarono gli
animi del popolo ed eccitarono sedizioni e
guerre e scismi
(47).
La bufera che investe l’astrologia segna il
tramonto di un’epoca. Le cupe trame romane che
si annodano attorno a un’astrologia degradata a
strumento di potere; la spregiudicata
manipolazione di passioni e timori; i richiami
alle profezie pseudo - gioachimite sui pontefici
e il loro intrecciarsi a riti sacrileghi e a
visioni di sante e pinzochere sono cose tutte
assai lontane dalle prospettive di una luminosa
«aurea età felice». Se negli ambienti in cui
vive Campanella viene tacciato di ingenuità e di
goffaggine; se lo smaliziato Naudé gli
rimprovera di non sapere come gira il mondo,
Campanella in verità lo sa fin troppo bene, ed è
proprio per questo che non si stanca di
suggerire i modi per porre rimedio ai mali che
affliggono l’umanità. Pur minacciato dagli
eventi che rischiano ancora una volta di
travolgerlo, e che lo indurranno a trovare
rifugio e scampo in terra francese, Campanella
riesce a conservare «il sapore e l’amore della
verità»
(48).
Nell’Ecloga che celebra la nascita del Delfino,
mentre lo esorta a edificare la Città del sole,
annuncia ancora una volta l’approssimarsi di un
età nuova di pace e prosperità, nella quale
esuleranno «l’empietà, le frodi, le menzogne, le
liti» e i sovrani apprenderanno a governare per
il bene del popolo
(49)
e nell’ultima revisione del suo testo più
famoso, quella Civitas Solis in cui le
corrispondenze fra cielo e terra giocano un
ruolo primario, egli aggiunge un lunga
digressione, proprio per rispondere alle
perplessità dell’Ospitalario, cui pare che i
Solari «nimis astrologizant». Ribadita la piena
liceità filosofica dell’astrologia, e ricordati
i diversi livelli di causalità e i limiti dei
condizionamenti delle stelle, il Genovese non
esita ad accennare con orgoglio all’invenzione
da parte dei Solari di un mirabile rimedio
contro i pericoli astrali, che sono gli stessi
precetti enunciati nel De fato. Quando incombono
eventi celesti minacciosi, essi suggeriscono di
ricreare un luogo chiuso, separato e protetto,
una stanza dalle pareti bianche, nella quale
aromi, musiche gioviali e liete conversazioni
contrastino i semi infetti che si diffondono
all’esterno, e l’accensione di sette fiaccole
riproduca un cielo privato, un domestico teatro
del mondo
(50).
La pur rapida descrizione è così convincente che
l’interlocutore non può che riconoscerne
l’utilità e ammirarne la sapienza, suscitando
quasi l’impressione che la città tutta sia
quella stanza separata e protetta, antidoto
contro il male e le forze distruttive.
1. T.
Campanella, Del senso delle cose e della ma gia,
a cura di A. Bruers, Laterza, Bari 1925, p. 316.
2. T.
Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato,
Laterza, Bari 1927, p. 134.
3. Per il
rabbino Abramo, cfr. L. Amabile, Fra T.
Campanella, la sua congiura, i suoi processi e
la sua pazzia, Morano, Napoli 1882, III, pp. 281
-83. Sull’oroscopo di Campanella, v. O. Pompeo
Faracovi, Sull’oroscopo di Campanella, in «Bruniana
& Campanelliana», 1997, n. 3, pp. 245-263.
4. Per i
rapporti con il circolo dei Della Porta, resta a
tutt’oggi fondamentale il contri buto di N.
Badaloni, I fratelli Della Porta e la cultura
magica e astrologica a Napoli nel ’500, in
«Studi storici», 1959 -60, n. 1, pp. 677-711
(ora in Idem, Inquietudini e fermenti di libertà
nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa
2005, pp. 93-126).
5. Ivi, p. 679.
6. T.
Campanella, Dichiarazione di Castelvetere, in L.
Firpo, I processi di T. Campanella, a cura di E.
Canone, Salerno editore, Roma 1998, p. 102.
7. T.
Campanella, La città del Sole – Questione quarta
sull’ottima repubblica, a cura di G. Ernst,
Rizzoli, Milano 1996, p. 94.
8. Cfr. T.
Campanella, Articuli prophetales, a cura di G.
Ernst, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 260
-300. Il Prognosticum pertanto non andrà più
annoverato fra gli opuscoli perduti, secondo
quanto registrato in L. Firpo, Bibliografia
degli scritti di Tommaso Campanella, Tipografia
V. Bona, Torino 1940, p. 186.
9. T.
Campanella, Sonetti alcuni profetali, in Id., Le
poesie, a cura di F. Giancotti, Einaudi, Torino
1998, pp. 232-237.
10.
T. Campanella, Articuli prophetal es, cit., p.
290; Id., Lettere, cit., p. 169.
11.
T. Campanella, Lettere, cit., pp. 177-78. Per i
rapporti con Galileo su questioni astrologiche,
cfr. G. Ernst, Aspetti dell’astrologia e della
profezia in Galileo e Campanella, in P. Galluzzi
(a cura di), Novità celesti e crisi del sapere,
Giunti, Firenze 1983, pp. 255 -266 (poi in Ead.,
Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso
Campanella e il tardo Rinascimento, FrancoAngeli,
Milano 1991, pp. 237 -254).
12.
T. Campanella, Astrologicorum libri, in Id.,
Opera latina Francofurti impressa annis 1617
-1630, a cura di L. Firpo, Bottega d’Erasmo,
Torino 1975, II, pp. 1091, 1096.
13.
Ivi, p. 1091.
14.
Cfr. T. Campanella, Lettere, cit., pp. 282-295.
15.
Ivi, p. 284.
16.
Ivi, p. 287. Per satellizio si intende un
eccezionale accumulo di pianeti in uno stesso
segno. L’accumulo di pianeti attorno al sole nel
Medium coeli è considerato da Tolomeo,
Tetrabiblos, IV, 3, un aspetto astrologico
particolarmente positivo e fautore di successo:
cfr. Claudio Tolomeo, Le previsioni
astrologiche, a cura di S. Faraboli, Mondadori,
Milano 1985, pp. 297 -98.
17.
Nella IV parte dei suoi Astronomiae instauratae
progymnasmata (in Opera omnia, a cura di J.L.E.
Dreyer, t. III, Hauniae 1916, pp. 308 ss., 405
ss.) Tycho Brahe (1546 -1601) aveva vaticina to
l’avvento di un «sovrano del Nord», che qualche
decennio dopo venne identificato con il re di
Svezia Gustavo Adolfo (1594-1632). Ma se le sue
strepitose vittorie in Germania contro gli
eserciti imperiali avevano favorito tale
identificazione, la sua mor te nella pur
vittoriosa battaglia di Lützen il 16 novembre
1632 aveva poi smentito le profezie.
18.
T. Campanella, Lettere, cit., pp. 287-88.
19.
Ivi, p. 288. Per l’arrivo dei cardinali, cfr. L.
Amabile, Fra T. Campanella ne' castelli di
Napoli, in Roma e in Parigi, Morano, Napoli
1887, I, p. 379.
20.
L. Amabile, Fra T. Campanella ne' castelli,
cit., I, pp. 325 ss.; II, doc. 203, p. 148.
21.
Il testo latino dell’opuscolo, con tr. it. a
fianco, in T. Campanella, Opuscoli astrologici,
cit., pp. 63-133.
22.
Cfr. T. Campanella, Città del Sole, cit., p. 92;
Quaest. phys., XLIX, 1, in Disputationum in
quatuor partes suae philosophiae realis libri
quatuor, D. Houssaye, Parisiis 1637, p. 474.
23.
T. Campanella, Come evitare il fato astrale, in
Opuscoli astrologici, cit., p. 89.
24.
D.P. Walker, Spiritual and demonic Magic from
Ficino to Campanella, The Warburg Institute,
London 1958, pp. 203-236; cfr. ora la traduzione
italiana Magia spirituale e magia demoniaca da
Ficino a Campanella, a cura di R. Bargemihl – A.
Mercurio, Nino Aragno, Torino 2002.
25.
Cfr. Seneca, Oedipus, V, 996 s.; G. Firmico
Materno, Matheseos, I, VII, 14; Valerio Massimo,
Facta et dicta memorabilia, IX, 12.
26.
Su Cocles (1467 -1504), autore della
Chyromantiae et physionomie Anastasis, che vide
la luce l’anno stesso della sua morte, cfr. L.
Thorndike, A History of Magic and Experimental
Science, Columbia University Press, New York
1923 -58, V, pp. 49-65; VI, p. 146 s., 163 s., e
la voce di R. Zaccaria in Dizionario biografico
degli Italiani, vol. 37, Istituto della
Enciclopedia Italiana, Roma 1989, pp. 302 -306.
27.
L. Thorndike, History, cit., V, p. 155; VI, p.
121.
28.
Come evitare il fato astrale, cit., p. 127.
Negli Elogi degli uomini illustri anche il
Tomasini si sofferma sulla tragica fine del
Nabod, dopo av erne tracciato una sintetica
biografia, deplorando il feroce delitto rimasto
impunito e attribuito dalle voci popolari
all’invidia di chi si sentiva superato in
perizia dall’astrologo: cfr. I. Ph. Tomasini,
Illustrium virorum elogia, apud Donatum
Pasquardu m, Patavii 1630, pp. 181-184.
29.
T. Campanella, De libris propriis et recta
ratione studendi syntagma, I, 4, in Tommaso
Campanella, a cura di G. Ernst, Introduzione di
N. Badaloni, Il Poligrafico e Zecca dello Stato,
Roma 1999, pp. 390-391; Id., Lettere, cit., p.
286. La vicenda della stampa presenta aspetti
non del tutto chiariti. Firpo, che era anche un
appassionato e competente bibliofilo, offre una
attenta ricostruzione delle quattro edizioni
degli Astrologicorum che si susseguirono fra il
1629 e il 163 0: cfr. La stampa clandestina
degli «Astrologicorum libri», in Ricerche
campanelliane, cit., pp. 155-169. Francesco
Grillo sostiene che la prima edizione ebbe luogo
a Roma, presso l’editore camerale Brugiotti:
cfr. Questioni campanelliane. La stampa
fraudolenta e clandestina degli « Astrologicorum
libri», Cosenza 1961.
30.
T. Campanella, Syntagma, I, 4, in Tommaso
Campanella, cit., pp. 390-391.
31.
D.P. Walker, Spiritual and demonic M agic, cit.,
p. 222.
32.
Per il Paolini, cfr. ivi, pp. 126 -144.
33.
Sisto da Siena, Bibliotheca sancta, Lugduni
1575, p. 184 s.
34.
Cfr. M. Ficino, Sulla vita, a cura di A.
Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1995, p.
251 ss.
35.
S. Thomae Aquinatis, Summa theologiae, II IIae,
q. 96, art. 2, in Opera omnia, cum commentariis
card. Gaetani, ed. Leonina, vol. IX, Roma 1897,
pp. 331 -333.
36.
Sulla vicenda, oltre al fondamentale e
pioneristico contributo di A. Bertolotti,
Giornalisti, astrologi e negromanti in Roma nel
secolo XVII, in «Rivista Europea», 1878, n. 5,
pp. 466-514, cfr. L. Fiorani, Astrologi,
superstiziosi e devoti nella società romana del
Seicento, in «Ricerche per la storia religiosa
di Roma», 2, 1978, p. 97 ss.; G. Ernst, Dalla
bolla «Coeli et terrae» all’«Inscrutabilis».
L’astrologia tra natura, religione e politica
nell’età della Controriforma, in Religione,
ragione e natura, cit., pp. 255-279; Ead.,
Scienza, astrologia e politica nella Roma
barocca. La biblioteca di don Orazio Morandi, in
E. Canone (a cura di), Bibliothecae selectae. Da
Cusano a Leopardi, Olschki, Firenze 1993, pp.
217-252. Sul Morandi si veda ora il volume di B.
Dooley, Morandi’s Last Prophecy and the End of
Renaissance Politics, Princeton University
Press, Princeton 2002.
37.
La traduzione italiana della bolla, a cura del
cardinale Paleotti, è riprodotta in T.
Campanella, Opuscoli astrologici, cit., pp.
255-264.
38.
L’esordio della bolla, in traduzione italiana,
ivi, pp. 265 -267
39.
T. Campanella, Disputatio contra murmurantes in
Bullas SS. Pontificum adversus iudiciarios, in
Opuscoli astrologici, cit., pp. 175-241.
40. T.
Campanella, Disputatio, cit., pp. 191 s., 205.
41. Ivi, p.
195.
42.
Ivi, p. 201 s., 209 s.
43.
Ivi, p. 213 ss. Sui segni cfr. T. Campanella,
Dialectica in Philosophia rationalis, T. Dubray,
Parisiis 1638, p. 489. Negli ultimi anni
parigini Campanella fu viva mente sollecitato a
scrivere un trattatello di chiromanzia dal
cardinale Richelieu: il testo in G. Ernst, Note
campanelliane. I. L’inedita “Chiroscopia” a
Richelieu, in «Bruniana & Campanelliana», 1995,
n. 1,pp. 83- 94: 90-94. Campanella era anche
interessato alla grafologia, su cui aveva
scritto alcune p agine andate perdute: cfr. Ead.,
Note campanelliane. II. La perduta «Disputatio
contra graphomantum», ivi, pp. 83-101.
44.
Dopo la lettura dei trattati raccolti da Tycho
Brahe sulla stella nuova in Cassiopea del 1572,
Campanella aggiunse un ampio brano alla
conclusione del cap. VII degli Articuli
prophetales, pp. 75-79, in cui si sofferma
sull’interpretazione profetica dell’eccezionale
fenomeno celeste. Sulla cometa del 1618 cfr. G.
Ernst-L. Salvetti Firpo, Tommaso Campanella e la
cometa del 1618. Due lettere e un opuscolo
epistolare inediti, in «Bruniana & Campanelliana»,
1996, n. 2, pp. 57-88: 66-82.
45.
Cfr. supra, nota 17.
46.
Girolamo Cardano aveva inserito, nel proprio
commento al Quadripartito di Tolomeo, un famoso,
criticatissimo (e censurato) oroscopo di Cristo:
cfr. G. Cardano, Opera omnia, Lugduni 1663, V,
pp. 221 - 222. Sulla questione, cfr. G. Ernst,
Religione, ragione e natura, cit., p. 207 ss.
Sugli oroscopi di Cristo, cfr. O. Pompeo
Faracovi, Gli oroscopi di Cristo, Marsilio,
Venezia 1999.
(47)
T. Campanella, Disputatio, cit., pp. 219-220.
48.
T. Campanella, Come evitare il fato astrale,
cit., p. 89.
49.
T. Campanella, Ecloga […] in portentosam
Delphini nativitatem, in Poesie, cit., pp.
651-653.
50.
T. Campanella, Civitas Solis, in Id.,Città del
sole, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino 1941,
pp. 160 - 162.
Frate Tommaso
La città del sole:
Utopia o Progetto Massonico
La Città del Sole
Questioni sulla Città
del Sole
Estasi Filosofica
La Buona Magia
Nella Luce degli Astri
Pensare Tommaso Campanella