Autore al tempo
stesso vulcanico ed enciclopedico, Tommaso
Campanella appartiene a quella schiera di
intellettuali italiani che, nel corso del
Cinquecento e nei primi decenni del secolo
successivo, furono pervasi da un intenso anelito
di rinnovamento, filosofico ma anche politico e
religioso. I tempi non erano tra i migliori per
portare a termine progetti del genere: il
controllo esercitato dalla Chiesa si dispiegò
con sempre maggiore forza ed efficacia, nel
corso del Cinquecento, allargando il proprio
campo di azione da questioni meramente
teologiche e religiose a tutto ciò che potesse
avere connessione come premessa o conseguenza
filosofica o scientifica con i dettami della
fede. I destini di Cardano, Telesio, Patrizi,
Bruno, Galilei furono diversi, così come diverse
e a volte contrapposte erano le loro proposte di
rinnovamento. Quello di Campanella fu di subire
precocemente procedimenti inquisitoriali (la
prima condanna, per adesione alle teorie
telesiane, gli è inferta dal suo stesso ordine
monastico di appartenenza, quello domenicano,
nel 1592: Campanella ha 24 anni), per poi
passare circa trent’anni della sua vita prima
nelle carceri spagnole, poi in quelle romane,
per aver congiurato contro la monarchia spagnola
e per eresia. Alla pena capitale sfugge solo
facendosi dichiarare giuridicamente pazzo, dopo
aver sopportato una lunga e penosissima tortura.
La parziale e non duratura riabilitazione da
parte di Urbano VIII, l’interesse manifestato
per la sua persona e il suo pensiero da una
parte di intellettuali francesi saranno vissuti
come un parziale e tardivo risarcimento a un
uomo che ha trovato il modo di sopportare le sue
traversie considerandosi un filosofo
perseguitato proprio per le sue autentiche doti
profetiche1. Della copiosa produzione filosofica
e poetica di Campanella solo un libro è stato
stampato prima del suo incarceramento (la
Philosophia sensibus demontrata, nel 1591);
le altre, seppur in alcuni casi redatte prima,
hanno visto la luce, inseguito a vere e proprie
riscritture, solo dopo la congiura del 1599. Il
senso delle cose non esula da questo schema:
composto inizialmente in latino, a Napoli tra il
1588 e il 1592, a Bologna, su mandato
dell’Inquisizione il manoscritto originale viene
sottratto a Campanella, insieme ad altri nel
1592. Ormai in carcere, Campanella lo riscrive
in italiano, probabilmente nel 1604; tre anni
dopo ne consegna una copia a Kaspar Schoppe, per
farlo stampare. Il progetto di una stampa veneta
fallisce, e Schoppe consiglia a Campanella di
tradurlo in latino: questa nuova versione,
portata a termine nel 1609, fu consegnata a
Tobias Adami, che finalmente lo pubblicherà nel
1620 a Francoforte. Ristampato da Campanella
stesso a Parigi, nel 1636 e nel 1637, il
testo latino non ha poi avuto un’edizione
moderna, mentre la redazione italiana, sulla
base dei manoscritti allora noti, venne edita
solo nel 1925 da Antonio Bruers. In attesa di
approntare una nuova edizione critica, Germana
Ernst ce ne offre un assaggio: emenda il testo
di Bruers grazie alla lettura dei testimoni
scoperti negli ultimi decenni, segnalando le
scelte fatte in una tavola apposita; in nota
indica le fonti esplicitamente citate da
Campanella, spiega i passi oscuri, chiarisce le
eventuali discrepanze con il testo latino. Il
lettore può quindi ripercorrere alcuni dei temi
salienti della filosofia campanelliana,
lasciandosi catturare da una prosa che alterna
l’uso di vocabolario tecnico a un mimetismo
plebeo che affiora prepotente soprattutto nei
non rari accenni alla sfera sessuale o agli
episodi di origine autobiografica. L’anelito di
rinnovamento: Il senso delle cose è percorso da
una insistente polemica contro Aristotele e
contro chi vorrebbe mantenere in auge il suo
pensiero. Di converso, ancora molto forte, e più
persistente che nella Metaphysica, è la presenza
di Telesio, il filosofo che fornisce a
Campanella una struttura metafisica e fisica
alternativa a quella aristotelica. I principi
della realtà sono dunque il caldo e il freddo,
con sede rispettivamente nel Sole e nella Terra,
mentre tutto ciò che ci circonda deve essere
letto alla luce della loro contrapposizione e
lotta, una contrapposizione e una lotta che non
potrebbero avvenire se ogni ente, semplice o
composto, non fosse dotato di una forma di
sensibilità. L’assioma da cui parte Campanella
nella sua dimostrazione è celebre, e molto
variamente utilizzato anche ai suoi tempi: «Ente
nullo potere ad altri dare quel ch’egli in sé
non ha», ossia gli effetti contengono solo ciò
che è in qualche modo presente nelle cause. Se
gli animali sentono (la cosa è data per
assolutamente scontata), anche gli elementi che
li compongono devono farlo, perché altrimenti si
avrebbe la generazione di una capacità dal
nulla. In maniera del tutto speculare,
Malebranche arrivava alla conclusione opposta da
una premessa simile: il pensiero, di cui la
sensazione è una specie, è prerogativa della
mente umana ed è assente dagli animali, perché è
inconcepibile che nasca da ciò che costituisce
gli animali, il corpo, che ne è privo. Il senso
è poi strettamente collegato al desiderio di
conservazione: «Non ci saria dunque nel mondo
generazione e corruzione, se non ci fosse
contrarietà, come tutti fisici concedono; e se
l’un contrario non conoscesse l’altro esser suo
contrario, contra quello non pugnerebbe. […]
Tutti dunque sentono, altrimenti il mondo
sarebbe caos». Tutti gli enti cercano quindi di
persistere nello stato in cui sono, di
conservarsi, dunque, e il senso è strumento
indispensabile per orientarsi tra ciò che nuoce
o ciò che conserva. Pur essendo onnipresente, il
senso non è però uniforme: così come ogni cosa
si differenzia dalle altre a seconda della
diversa commistione in essa presente di freddo e
caldo, ogni ente ha un suo specifico tipo e
grado di senso «più chiaro» o «più oscuro» a
seconda della sua costituzione. La prima
alternativa a questa proposta filosofica è anche
quella che più facilmente viene in mente al
lettore: l’atomismo antico aveva elaborato un
modello di spiegazione del mondo basato sul
semplice scontro casuale degli atomi, relegando
le divinità negli intermundia ed eliminando ogni
tipo di ente che non fosse corporeo. Campanella
lo liquida qui rapidamente, con l’argomento
tradizionale che il caso non può comporre una
certa opera letteraria gettando a caso le
lettere, mentre l’arte umana lo può fare. La
seconda alternativa radicale è una forma di
proto-occasionalismo: ogni forma di azione può
essere attribuita non alle cause seconde, ma
alla causa prima (Dio, l’intelligenza non
errante, l’anima del mondo) e ai suoi succedanei
(gli angeli). Campanella si rifiuta di eliminare
le cause seconde o naturali: una cosa è dire che
Dio crea gli enti e poi concorre con loro in ciò
che va verso l’essere, e non ciò che va verso il
non-essere, altro è privare le cause naturali di
ogni capacità di operare. Chi la pensa così
attribuisce a Dio un’azione imperfetta: molto
meglio invece elargire a ogni ente creato
«quelle virtù che bastano alla conservazione».
Frate Tommaso
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