Il mio primo incontro con frate Tommaso ha una sua cronaca: cronaca dico, e non storia, per meglio sottolinearne la consistenza modesta con la lenta scorrente parola che, alludendo al tempo, conclude in breve cerchia questa dimensione infinita.
Mi venne fatto di domandarmi se dovessi, se potessi dire di esso qui, oggi, davanti a voi.
Ma io, e credo anche voi, non sono venuto, non siamo venuti per una commemorazione: non abbiamo quindi una liturgia da seguire, un paludamento da indossare, e neppure una retorica da indorare: quattro secoli - quanti ci separano dalla nascita di Giovanni Domenico - sono troppi per ogni porporina, anche la più abile, anche se fosse stata preparata dalle magiche mani del suo Abraham.
Alcuni anni fa in una vecchia canonica, accartocciato in uno scaffaluccio zoppo che raccoglieva, ospitalissimo, nelle sue povere scansie insieme, con una polveraccia nera di anni, vecchi barattoli sbertucciati e cianfrusaglie di ogni genere, capitatovi chissà come, (ché il proprietario - degnissima persona peraltro - mi sembrava più disposto alla suggestione di un buon bicchiere di vino che interessato alle tormentate vicende del ferrigno domenicano) mi imbattei in un librettuccio cui il tempo aveva infuso tristezza con l'umido delle stagioni, l'ostilità del luogo e l'opera assidua dei tarli.
Una povera cosa era quel libretto!
E come tutti i poveri era chiuso: aveva la mutria della sua condizione.
Vi contribuiva anche il dilavato periodare dell'autore, un seicentista di autentica marca dai molti svolazzi.
Ma mi attrassero certo vigore logico del tessuto del libro e la intima ammirazione che traspariva con mal dissimulato gioioso pudore per il protagonista: un Campanella ne veniva fuori, si disegnava davanti ai miei occhi con fermo profilo.
La pace era fatta! Avevo dimenticato i ghirigori barocchi dello stile e la miseria e il disordine della veste. Il libro, quasi personaggio vivo, sentendo la simpatia che suscitava, mi si apriva di più: e come un povero cui si sa sorridere, mi sorrideva anche lui.
Facevo così conoscenza con l'autore (forse un abatino lindo e minuto, come lo mostravano certi preziosismi della lingua, propri del tempo, va bene, ma anche particolari e perciò rivelatori, e un suo latinuccio intriso d'incenso, sparso qua e là a guisa di abito della festa nell'intento ingenuo di dare solennità allo scritto).
Ma questa labilità si contraeva, si ritirava quando l'autore, messosi finalmente da canto, diceva in modo più diretto del suo personaggio e di certi suoi atteggiamenti peculiari e più caratteristici: un evidente caso, senza voler scomodare Freud, di identificazione.
E così autore e protagonista si prendevano sottobraccio: ospite generoso, indulgente, compiaciuto l'uno; ospite un po’ sostenuto, lusingato il secondo. Una bella coppia ad osservarli con quel tanto di distacco che mi consentiva la simpatia che mi ispiravano.
Ma la verità storica il mio autore, all'incirca, la rispettava, come con più informata indagine seppi più tardi. Soltanto forzava un pochino le tinte, allentava l'analisi in profondità,, rifuggiva da ricerche sistematiche e rigidamente razionali. Uni biografo era, insomma:con tutti i pregi, i difetti, i limiti che questa attività ha sempre comportato: ché fare il biografo è un mestieraccio difficile da adepto, da innamorato o da stipendiato, che diamine, sì sa!
Ad un certo punto dell'esposizione, il mio autore indugia in una descrizione dei luoghi e mostra i possedere una informazione minuta e talvolta deliziosamente pettegola, più che l'estro e l’afflato lirico di un autentico scrittore.
Riesce ad incastonarvi una certa sua (insistendo in questa ostentata paternità), come dire?, teoria sul rapporto tra ambiente e persone, nella quale si deve forse vedere un capovolgimento della pratica astrologica, in grande onore, come si sa, in quel tempo.
E meno male che io, in questo modo, riesco, almeno in parte, ad evitare la secca in cui cadono e sono caduti tutti gli interpreti di ogni tempo e di ogni cosa, i quali, quando si trovano ad esercitarsi… lo fanno, diciamo così, nel più largo dei modi.. (Vi ricordo la vittima più illustre: l'Alighieri). Non ho fatto perciò del mio abatino (ma sarà stato poi davvero un abatino?) un profeta della biografia. E consentitemi, infine, di mostrarvi ancora l'ultimo dono che egli elargisce quando gratifica di "puntuta" questa nostra Stilo.
Mi domando: è questa una non espressa elucubrazione filologica? Una reminescenza storica dei modi della scrittura di tempi remoti? Oppure un'allusione alla configurazione fisica dei luoghi?
(Se fossi un interprete come quelli cui dianzi ho accennato, non resisterei forse alla tentazione di spacciarvi un dannunzianesimo ante litteram).
Lasciamo ai posteri i drammatici interrogativi. Ma perchè ho indugiato in questo mio primo incontro con frate Tommaso?
La prima ragione l'ho dianzi detta: la natura del nostro convegno; l'altra, la confesso subito: ogni esperienza intellettuale è per me possibile, è feconda soltanto se in essa riesco a trovare una emozione, un sentimento.
Ma vediamo più da presso il nostro domenicano; accostiamoci attenti e reverenti alla sua tonaca.
Forte di membra, platonicamente largo di spalle, statura media egli ebbe; come pelo nero e folto; occhi grandi, neri profondi; ricco sangue contadino. L'iconografia di cui siamo in possesso e la descrizione che ce ne danno alcuni testi, tale lo mostrano.
La storia della sua vita lo rivela tenace e duro di temperamento e di carattere.
Ma chi egli fu? Che fece? Perchè lo ricordiamo? Mi affretto ad affermare che non intendo tracciare un capitolo di storia della filosofia, quindi, non vi darò esposizioni, non vi farò raffronti.
Lascerò alla loro illustre pace Aristotele, Telesio, Bruno, Machiavelli, Galilei, Cartesio, Vico; grandi ombre con cui il Nostro s’incontrò e si scontrò; delle quali fu negatore, divulgatore, ispiratore, annunciatore, difensore, profeta.
Questa intenzione - del resto giustificata, mi sembra, perchè il nostro convegno non intende indagare circa un problema specificamente filosofico - non mi esime dal sogguardare almeno nel mondo di idee in cui tormentosamente visse ed operò il Campanella.
E fu il mondo del Rinascimento.
L’intuizione intorno alla quale si accentra tutta la vita spirituale di quel periodo è che l'uomo sia creatura libera e con un significato in se stesso, e che la sua vera finalità sia rivelata dai moti spontanei della sua natura e non imposta artificialmente da norme che limitano la piena realizzazione dei suoi impulsi; questo sentimento circola in tutte le creazioni del tempo e gli spiriti portano in generale sulle cose una valutazione piuttosto da artisti che da moralisti.
Il fondamento filosofico di questa Intuizione della vita doveva evidentemente essere costituito da un approfondimento e da un radicale rinnovamento nelle concezioni della realtà naturale non soltanto perchè questa si presentava come l'espressione più manifesta della vita armoniosa e serena e senza un significato trascendente, come era nelle aspirazioni del tempo, ma perchè gli impulsi alle ricerche naturali che in tutta Europa già davano risultati così fecondi di scoperte e di invenzioni e il distacco da una concezione trascendente della vita dovevano portare in sé la revisione di quella interpretazione finalistica della natura sulla quale si era basato il Medio Evo.
Il rinascere della ricerca naturale implicava da un lato l’interesse per il mondo terreno e dall'altro l'eliminazione di una visione finalistica dei fenomeni naturali, da entrambi questi punti di vista il pensiero naturalistico del Rinascimento incarna nel modo più maturo le tendenze del pensiero moderno.
Su di un piano più immediatamente storico, il periodo in cui visse il Campanella si distingue per la rottura dell'unità del mondo cattolico e per l'affermazione degli Stati nazionali.
Si conclude in questo periodo il secolare processo politico, affiorato sul sorgere del secolo XIV con la lotta tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello e via via affermatosi in Spagna, Portogallo, Inghilterra.
L'economia feudale s'intacca: nelle città si delineano forme precapitalistiche le quali, rafforzate dalle scoperte geografiche, sfociano nel capitalismo.
L'unità spirituale dell’Europa, espressa dal Cattolicesimo, minacciata nei secoli, prima da sporadici tentativi di riforma, poi da quei grandi fenomeni culturali e spirituali dell'Umanesimo e del Rinascimento che si concludono nella Riforma.
I movimenti politico, economico, culturale, religioso che hanno spezzato l'unità del mondo europeo, non sono, infatti, distinti, bensì fenomeni interdipendenti che dischiudono la via al mondo moderno.
Se poi si considerano le condizioni dell'Italia meridionale. si deve riconoscere che, a partire dal 1600, tutto il Mezzogiorno d'Italia è considerato dagli spagnoli alla stregua di una colonia di sfruttamento. Si afferma il frazionamento regionale nel Vicereame; eliminato lo strapotere dei vecchi baroni, s’impone lo strapotere dei funzionari al servizio della Spagna; la Calabria, facendo vita a sé ed essendo in mano a funzionari ed ecclesiastici, diventa più povera e desolata. E la cultura non ebbe miglior sorte nel Mezzogiorno, quando si pensi al destino di Bernardino Telesio, di Giordano Bruno, del Della Porta e, più tardi, dello stesso Campanella; anche centri di cultura come le biblioteche e le accademie furono eliminati,
Spopolamento delle campagne, impoverimento dell'artigianato, finiscono col distruggere sul nascere ogni iniziativa di carattere economico, e le uniche manifestazioni di vita sono da ricercarsi nel fenomeno del banditismo - oscillante tra la rivendicazione sociale e la degradazione economica - e nel fenomeno dei monasteri, dove ancora era possibile una certa vita culturale; anch’essa, però, oscillante tra eresia e ortodossia cattolica.
Il Campanella vive in questo contraddizioni del suo tempo ed è figlio di queste contraddizioni, cioè del vecchio che vuole conservarsi e del nuovo che vuole affermarsi.
Ma tutto ciò si potrà vedere meglio, soffermandosi brevemente sulle vicende della sua vita ed esaminando le sue opere.
Giovanni Domenico Campanella nacque da Geronimo e da Caterina Martello il 5 settembre 1568 a Stilo di Calabria. I primi tredici anni passati in famiglia ebbero, senza dubbio, una notevole influenza su tutto il corso della sua vita. Il padre, un povero contadino che stentava a mandare avanti la numerosa famiglia; la madre una donna rozza e ignorante. Il quadro dell'ambiente familiare, povero e legato ancora alla superstizione medioevale, si completa con la presenza della cugina Emilia, donna esaltata e soggetta a convulsioni, la quale curava le malattie e prediceva il futuro.
In questi anni, in diverse occasioni il giovane aveva avuto modo di manifestare la sua vivace intelligenza, il suo acuto senso di osservazione, recitando versi estemporanei, scrivendo brevi orazioni e componimenti.
Sulla soglia dell'adolescenza, nel 1581, entrava nel Convento dei Domenicani, come chierico, per diventare nell'anno successivo frate dell'Ordine stesso assumendo il nome di Tommaso. Nell'Ordine dei Domenicani, fra’ Tommaso poteva trovare appagamento al suo desiderio di ampi e severi studi, ma questo appagamento mal si conciliava con la disciplina imposta dall'Ordine, che era di freno alla sua audacia speculativa.
Tutta la vita del Campanella è caratterizzata dal dissidio tra questa sua audacia che è anche un segno della sua modernità, e la disciplina dell'Ordine, nonché la disciplina più generale e più autorevole della Chiesa cattolica nel travagliato periodo della Controriforma. E questo dissidio, che, non è solo del Campanella, ma dell'età sua, si riflette nell'opera e nella vita del frate calabrese.
Fin dal primi giorni della sua permanenza nel convento, scoppia il contrasto tra lui e i suoi confratelli, Il Campanella nega, infatti, l'autorità di Aristotele e, più precisamente, rifiuta ogni autorità, filosofica, religiosa, politica; rifiuta di dire, di scrivere o di fare attraverso ciò che altri hanno detto, scritto o fatto; si pone, cioè, contro la regola conventuale e della Chiesa.
Questo energico rifiuto al principio d'autorità, e in particolare all'aristotelismo, viene tradotto in una della opere più importanti e più fresche del Campanella, Philosophia sensibus demonstrata, nella quale propugna i principi della filosofia naturale del conterraneo Bernardino Telesio. Siamo nel 1589, ma l'opera verrà pubblicata nel 1591 a Napoli, dove il Campanella si era rifugiato.
Qui la sua ansia di sapere e sopratutto di addentrarsi in quelle discipline che erano ripudiate dagli studi conventuali lo fa assiduo frequentatore di G.B. Della Porta, che coltivava la magia e le scienze naturali.
Da questo momento ha inizio la serie dei processi per eresia intentati, al Campanella.
Il primo di questi processi, A Napoli, nel 1592, si risolve con la condanna a ritornare nei conventi di Calabria. Ma egli infrange l'ordine e si reca prima a Firenze, poi a Padova, dove viene a contatto con Galileo. Nel 1593, a Padova subisce un secondo processo, ma viene assolto. Nel terzo processo è posto sotto l'accusa di seguire le dottrine di Democrito; il processo viene concluso a Roma nel 1595, con l'assoluzione, però dopo aver subito per due volte la tortura. Si ebbe infine un quarto processo, nel quale è ancora accusato di eresia, e nel corso del quale viene ancora una volta condannato a ritornare in un convento della sua provincia e a non far circolare i suoi scritti.
In questi anni così difficili il Campanella compose una serie di opere che sono quasi tutte andata smarrite. Nel 1593 aveva scritto due opere importanti: Monarchia Christsanorum e De regimi Ecclesiae, nelle quali parlava di unione universale di tutti i popoli in un solo gregge e sotto un solo pastore, il papa, mentre gli interessi mondani avrebbero dovuto essere curati dalla Spagna: in un secondo tempo il Campanella suggeriva, al posto della Spagna, la Francia.
Egli considera l'apporto dei principi italiani a quest'opera del papa nei Discorsi ai principi d'Italia, del 1594, e l'apporto dei popoli riformati, i quali avrebbero dovuto, secondo lui, rientrare nell'ambito della Chiesa romana, nel Dialogo contro Luterani, Calvinisti ed altri eretici, del 1595.
Dopo tanto girovagare, ritorna in Calabria e si dedica all'approfondimento dottrinale di due temi a lui cari: il sensismo e la religione naturale. Il senso non viene più considerato dal Campanella come una funzione propria dell'uomo e dell'animale, ma viene inteso come diffuso per tutte le cose, s’ da garantire la conservazione dell’essere: il pansensismo del Campanella è molto vicino al pansichismo dei filosofi presocratici. Per quanto concerne la religione, il Campanella sviluppa in questo periodo il pensiero del Bruno, il quale dava valore a tutte le forme di culto, ritenendole modi diversi di estrinsecare la religione naturale; il Campanella, però, tende a far confluire la religione naturale nella religione cattolica, per dare origine a una vera e propria religione universale, che avrebbe dovuto diventare la radice di un nuovo ordinamento politico, già espresso negli scritti di politica sopra ricordati.
Ma i suoi pensieri di riforma religiosa e politica non restano allo stato di idee: il Campanella cercherà di tradurli nella realtà, e l'occasione di questo tentativo gli sarà fornita durante la sua permanenza in Calabria. Infatti, nel 1599 si preparerà qui una congiura attraverso la quale il Campanella cercherà di attuare il suo ampio disegno di riforma del mondo; l'episodio calabrese non doveva essere che il primo concreto esempio, dal quale a poco a poco la riforma religiosa e civile si sarebbe imposta in tutto il mondo.
In che cosa consisteva questa riforma? Nel ritorno dell'uomo alla natura e nell'eliminazione di tutto ciò che di soprannaturale vi è nel Cristianesimo. Il mistero è nella natura, il divino è in Cristo e nei grandi legislatori, la magia naturale è il solo sacramento. Campanella rifiuta i dogmi della trinità e del Dio incarnato, per cui Cristo per lui è un uomo; rifiuta il dogma della Eucarestia.
A queste cose il Campanella non solo pensa, ma le predica, e nello stesso tempo tesse le fila della rivolta della Calabria per liberarsi dal dominio spagnolo e creare una repubblica.
Alla congiura prendono parte contadini, ecclesiastici, nobili; Bassà Cicala garantisce l'intervento della flotta turca. Ma una delazione non solo fa saltare il piano dei congiurati, ma porta allo arresto dello stesso Campanella. Il filosofo calabrese è accusato di sedizione, e l'accusa è confermata da alcune testimonianze circa dichiarazioni da lui stesso fatte. Al processo per sedizione dovrebbe far seguito quello per eresia, ma il Campanella, resosi ormai conto che su di lui pende la minaccia della pena capitale, simula la pazzia.
Il processo non può proseguire; per aver conferma della pazzia il tribunale applica il supplizio della veglia per trentasette ore, e solo il 13 novembre del 1602 il Santo Uffizio condanna il filosofo al carcere a vita.
La carcerazione, applicata dapprima con estremo rigore, mitigata poi durante periodi nei quali il Campanella riprende i suoi studi, scrive, riceve visite, dura dal 1599 al 1626.
Nella sua attività letteraria e filosofica di questo periodo emerge, sul sensismo, il nuovo orientamento: fondamento essenziale ne è l'autocoscienza, che significa conoscenza di se e di ciò che è diverso da sé, cioè dell'oggetto. Così anche il primitivo pensiero sulla personalità di Cristo si modifica: Cristo è considerato come emanazione di Dio per la salvezza degli uomini. Inoltre fra’ Tommaso scrive poesie di carattere autobiografico e metafisico; pensa ad una riforma di tutto il sapere che si ispiri al Cristianesimo e che non rappresenti, invece, uno strano connubio tra cultura classica, e più precisamente aristotelica e cultura cristiana. Da questi intendimenti nascono le opere più importanti: la Metaphysica, in 18 libri (1602-03); la Theologia, in trenta libri (1613-24); l'Atheismus triumphatus (1605-07), col quale cerca di dimostrare le verità del Cristianesimo. Degli scritti politici, oltre quelli già ricordati, vanno considerati: La Città del Sole; la Monarchia di Spagna, del 1601, con il quale il Campanella mostra alla Spagna quale sia il suo compito, cioè, come braccio secolare, di aiutare la Chiesa a realizzare il suo Stato universale; gli antiveneti, del 1606, scritti per confutare Paolo Sarpi sulla famosa contesa tra papa Paolo V e la Repubblica di Venezia che culminò nell’interdetto promulgato contro la Repubblica veneta. L'enciclopedia del sapere viene realizzata dal Campanella Nella Philosophia rationalis, del 1613, nella Philosophia realis, del 1619, e nelle Quaestiones, del 1620, nelle quali due ultime opere viene approfondito il naturalismo filosofico. Importante anche l'Apologia di Galileo, del 1616, in occasione dell'accusa di eresia rivolta al Galilei da parte del Santo Uffizio. L'accusa di eresia partiva dall'affermazione che i passi della Bibbia concernenti il sistema dell'universo smentivano le scoperte di Copernico e di Galileo. La questione si trasferì nel campo più generale del rapporto tra le verità scientifiche e quelle rivelate, e così il Galilei come il Campanella vennero affermando che la Bibbia non è in grado di illustrare le verità scientifiche ma, se mai, le verità scientifiche sono in grado di illustrare i passi che riguardano la natura contenuti nella Bibbia.
Nel maggio del 1626 il Campanella otteneva la libertà dagli spagnoli, ma, arrestato dalle autorità ecclesiastiche, veniva trasferito nel carcere di Roma, dove restava fino al gennaio del 1629.
A Roma trovava un poco di tranquillità; papa Urbano VIII gli faceva avere una pensione e la nomina a "magister"; egli stesso si definirà poi "magister" di astrologia e politica. In questo periodo si apre un nuovo processo al Galilei, e in tale occasione il Campanella dimostra di non condividere la concezione copernicana e dichiara le Sacre Scritture estranee alle dispute scientifiche intorno alla natura.
Sul piano politico è da notare l'avvicinamento del Campanella alla Francia, come la nazione capace di conquistare il mondo alla Chiesa cattolica. Ma nel 1634 viene scoperta a Napoli una congiura contro gli spagnoli, ordita da Tommaso Pignatelli; il Campanella viene accusato di correità, e perciò è costretto a fuggire con l’aiuto dell'ambasciatore francese, rifugiandosi a Parigi.
La sua presenza a Parigi segna un vero e proprio trionfo: gode dei favori di Luigi XIII e del cardinale Richelieu, insegna alla Sorbona, ottiene una pensione, pubblica alcune opere.
La sua travagliata esistenza si chiude con un breve periodo ricco di soddisfazioni e di riconoscimenti.
Ed ora qualche accenno alla Città del Sole, l'opera per la quale il Campanella è più diffusamente noto, forse perchè in essa, a mio avviso, egli trasfuse in termini politici il suo poetico ideale della vita associata, il respiro di un sogno, il seme di una speranza, un canto romantico e ingenuo lungamente perseguito e sofferto.
Quali sono i motivi ispiratori della Città del Solo? Vi è, come già altri hanno osservato negli atti del processo della congiura calabrese del 1599, una certa relazione con la Città del Sole, o meglio le dichiarazioni degli imputati, tra cui il Campanella, rappresentano il canovaccio rozzo del programma politico-religioso idealizzato nella Città del Sole. Quindi il testo campanelliano è sì una utopia, ma essa nasce da circostanze e avvenimenti reali quali sono, appunto, i preparativi della congiura di Stilo, che poi, nella storia della Calabria sotto la dominazione spagnola non è né la prima né l'ultima. Gli atti del processo non mettono in luce solo gli avvenimenti, ma la materia politico-religiosa e le concezioni astrologiche che si ritrovano poi nella Città del Sole.
Qualche autore ha individuato come spunto letterario per la Città del Sole il II libro delle Storie di Diodoro Siculo. Ma a questi motivi ispiratori vanno aggiunte le credenze astrologiche , così diffuso in quel tempo, di una catastrofe universale che avrebbe, nel 1600 - anno, risultante dalla congiunzione di due numeri fatali: il 900 e il 900-, rinnovato il mondo; e vanno aggiunte tutte le aspirazioni di libertà politica e religiosa che formavano il tessuto delle conversazioni nelle carceri e nei circoli frequentati con assiduità, le une suo malgrado, e gli altri volontariamente, dal Campanella. Infine, si considerino le condizioni della sua Calabria, dove prelati e nobili, uniti in una opera di spoliazione, si combattevano con tutte le armi per potere spadroneggiare; un clero corrotto che approfittava delle immunità ecclesiastiche senza alcun rispetto del proprio ufficio; frati che si davano al brigantaggio; nobili in eterna lotta fra loro per questioni di proprietà, divisi in fazioni sempre in guerra; delitti, spoliazioni, e di contro una estrema severità delle leggi del governo spagnolo, che comminavano la pena di morte per ogni minimo reato. Il quadro della ispirazione dell'opera del Campanella ne risulta completo.
Questi i motivi ispiratori della Città del Sole, che il Campanella scrisse nel 1602 e riscrisse nel 1611, nel carcere di Napoli, solo dopo che il processo per sedizione e per eresia ebbe pronunciato la condanna al carcere a vita.
L'opera fu scritta in volgare; una redazione latina fu pubblicata a Francoforte ed ebbe molta fortuna, tanto che le prime edizioni della opera sono traduzioni del testo latino.
Il contenuto del dialogo, che si svolge tra un nostromo di Colombo e un cavaliere di Malta, riguarda la vita di una città che si trova all'Equatore - e precisamente nell'isola dì Taprobana, oggi Ceylon, narrata dal nostromo genovese. La città, che il Campanella chiama Città del Sole, sorge su un colle e digrada fino a comprendere la pianura circostante; è circondata da sette giri di mura, ciascuno dei quali porta il nome di uno dei sette pianeti. Gli ingressi alla città sono quattro, in corrispondenza dei quattro punti cardinali; ogni ingresso sbocca in una strada che interseca i sette giri di mura.
Nella sommità della città, al termine dei sette gironi, vi è un gran piano sul quale sorge un tempio di forma circolare, strutturato su colonne e privo di pareti. All'interno del tempio, un altare, sul quale è collocato al posto di una immagine divina, un grande mappamondo, sul quale è dipinta la terra; nello sfondo della cupola del tempio sono dipinto le stelle maggiori.
Il capo della città è chiamato Sole o Metafisico ed esercita il potere civile e religioso, coadiuvato da tre principi, Pon (Potestà), sin (sapienza), Mor (Amore).
Pon si occupa delle cose militari e della guerra; Sin dirige le arti liberali e le arti meccaniche, avendo come collaboratori tanti ufficiali quante sono le scienze; il suo libro è costituito dai dipinti su ciascun muro, che raffigurano la storia delle singole scienze e arti; Mor provvede a tutto ciò che concerne la generazione, l'educazione, la salute, l’alimentazione e il vestiario. Anche Pon e Mor hanno degli ufficiali che collaborano sia nel fare eseguire i provvedimenti, sia nel dare consigli, sia nel segnalare coloro che si distinguono nelle varie attività.
La vita è fondata sulla comunione dei beni e sull'uso comune delle donne. Gli ufficiali (ministri), uno per ogni virtù (Liberalità, Magnanimità, Castità, Giustizia, eccetera) regolano la vita della comunità e la educano. La comunione dei beni e l'uso comune delle donne non danno luogo a tutti i reati che si riscontrano negli altri paesi, e che sono provocati o dall'offesa al diritto di proprietà o dalla offesa al diritto matrimoniale.
L'educazione è rivolta a tutti i membri, della comunità e comincia a tre anni per svilupparsi poi nel corso di tutta la vita; ne vi è una gerarchia di valore tra arti liberali e arti meccaniche, ma tutte sono poste sullo stesso piano di dignità, e qualunque sia la professione di un solare, egli deve comunque essere esperto nell'agricoltura, nella pastorizia, nell'arte militare. A tutti i cittadini si insegnano tutte le arti.
Le abitazioni, le mense, i luoghi di ricreazione, i vestiti sono comuni; anche i figli, appena svezzati, crescono in comune. Generazione e salute sono regolate sia dai segni astrologici che da un cibo salutare, da un esercizio fisico costante e dal lavoro,che è molto, ridotto nel corso della giornata, per dar modo ai solari di occupare il tempo libero nella preghiera e nell'apprendimento di nuove conoscenze.
Non fanno la guerra i solari, o la fanno solo se aggrediti, ma sono generosi verso i nemici, perchè il loro scopo è di convertire gli altri popoli al loro modo di vivere.
Tutta la città è dunque fondata su due principi: quello della generazione e quello dell'educazione.
Che posto ha la religione cristiana in questa costruzione del Campanella?
Anche in questo caso si deve partire dalla concezione generale della religione del Campanella. Infatti, per il filosofo calabrese la vera religione è quella naturale; se dal Cristianesimo noi togliamo i sacramenti, osserva il filosofo, il Cristianesimo stesso è la più completa manifestazione della religione naturale. Questo è il senso, nel quale il Campanella intendeva l'universalità della religione Cattolica.
Molti l'hanno ritenuta la delineazione di una specie di socialismo, quasi che il Campanella avesse potuto fare il profeta di una ideologia e di una società socialista quando il capitalismo incominciava appena a manifestarsi. (Tale giudizio è stato già confutato da Benedetto Croce nel suo "Materialismo storico ed economia marxisista").
E così altri, seguendo questa interpretazione socialistica, dichiararono addirittura che il linguaggio profetico tenuto dal Campanella nella Città del Sole serviva solo di copertura al suo ideale rivoluzionario e socialistico.
Altri, con l'Amabile, sostiene invece la tesi che il Campanella, dopo la condanna del 1602, avesse con la sua opera simulato una conversione all'ortodossia cattolica.
Ritengo che si debba accettare, perchè più vicina al vero, la tesi che il Campanella con la Città del Sole volesse dar corso ad una aspirazione di rinnovamento politico e religioso della vita, che ha le sue origini nel quattrocento - e continua fino al Seicento così negli scrittori italiani come negli scrittori stranieri, per esempio Tommaso Moro nell'Utopia o Francesco Bacone nella Nuova Atlantide o Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Questa aspirazione nasceva non da un atteggiamento dottrinario, bensì dalle condizioni stesse della vita, dal contrasti che il filosofo avvertiva e viveva fra un mondo destinato al tramonto, come quello feudale Incarnato nella Spagna e nella religione positiva, e un mondo che nasceva sotto l'azione delle nuove forze: le culturali, sprigionate dal Rinascimento, le religiose, espresse dalla Riforma, le politico-economiche, affermantisi sulle nuove vie di traffico aperte alla fine del Quattrocento e nel corso del Cinquecento.
La Città del Sole non è dunque né un disegno socialista, né una vocazione reazionaria di un mitico ritorno ad un mitico passato, ma è l'espressione di una vita fondata sulla giustizia sociale, liberata dall'ignoranza e dalle passioni, che l'ignoranza e l'ingiustizia scatenano; di una vita fondata sulla salute del corpo e dello spirito, sulla quale il potere politico non è che la messa in atto di un grande piano religioso, di una religione cristiana che, liberata dai suoi dogmi, si identifica con quella naturale. A questa aspirazione a nuove e più giuste condizioni fa riscontro, per contrasto, l'organizzazione teocratica della repubblica pensata dal Campanella.
Non mi interessano, per le ragioni avanti dette, i problemi sollevati dalla esegesi: se, ad esempio, il Campanella, partendo dal sensismo di Telesio, seppe tracciare una nuova organica visione filosofica o semplicemente "aggiunse" alle teorie del maestro metafisica, politica e teologia.
Se egli fu "cattolico e sostenitore acerrimo della gerarchia e campione della controriforma" come ritiene lo Spaventa. Se il Campanella fu "un simulatore continuo, perchè cospiratore continuo", come sembra all'Amabile.
Certo molto complessa si rivela la personalità del nostro frate. Ma al disopra di ogni contrasto o dissenso logico, filosofico, psicologico (e con questa affermazione non intendo avanzare una interpretazione, del resto estranea alle mie intenzioni e al di fuori della mia specifica competenza di ravvisare in Tommaso Campanella una costante formidabile unità, una fervida e mai smentita vocazione, una eroica coerenza.
Egli è un campione dell'umano riscatto, della umana libertà, della umana fratellanza.
Questo è il suo messaggio, per il quale lo salutiamo fratello. Questo messaggio siamo convenuti a ricordare; questa fede a rinsaldare nei nostri cuori nel suo grande Nome.
Il senso del nostro convegno è tutto qui! Tutta la vita del Campanella è testimone fermissima di ciò.
Vita grande per la genialità della mente, per i dolori che egli patì, per la ferrea costanza durata nell'affermare - a dispregio di persecuzioni, di inquisizioni, di carcere, di torture, di esilio - la sua volontà di riscatto dell'uomo dalla "trina bugia" della tirannide, dei sofismi, dell'ipocrisia.
E tale limpida consapevolezza illuminò e distese il viso, reso cupo ed arcigno dalla lotta e dalla sofferenza durata e subita per tutta la vita, nel momento in cui, nella cella del convento di rue Saint Honorè, fatta meno spoglia dalla ammirata pietà dei suoi ospiti, Tommaso, al sorgere della livida alba parigina del 21 maggio 1639, chiuse la sua vicenda terrena di apostolo e di martire.
Qualche ora dopo, all'apprenderne notizia, l'arguto profilo del duca di Richelieu s'incupì e, come narra un cronista cui mi è grato prestare fede, una lacrima ne scorse il viso affilato e si perse sulla porpora: il geniale signore di Francia salutava così, reverente e commosso, il contadino di Calabria a cui l'altezza dell'ingegno, la forza immane dell'animo, il lunghissimo calvario di patimenti, l’ardore della fede nei suoi ideali avevano conferito dignità più alta della porpora e del potere.
La pace della tomba durò per Tommaso poco più di 150 anni: la Rivoluzione di Francia, sanguinosa sorgente di libertà, sperdeva le ceneri del bianco frate che la libertà tanto aveva amato.
E fu l'ultima suprema ingiustizia!
Frate Tommaso
La città del sole:
Utopia o Progetto Massonico
La Città del Sole
Questioni sulla Città
del Sole
Estasi Filosofica
La Buona Magia
Nella Luce degli Astri
Pensare Tommaso Campanella