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Il salto sovrumano
Nel cuore devoto di Hanuman non c'era altro che il prepotente desiderio di raggiungere Lanka e di ritrovare Sita. Pressando con forza sovrumana la montagna Mahendra, spiccò il salto. I Vanara lo videro saettare nell'aria, sollevando un vento impetuoso. Al suo passaggio l'oceano si agitò e si alzarono onde gigantesche. Ravana aveva causato grandi sofferenze a tutti, e quindi chi vide Hanuman dirigersi verso Lanka per porre fine a quella sciagurata carriera provò una forte gioia. Anche la divinità che predomina sull'oceano sentì questa felicità e pensò di aiutare il possente Vanara nell’impresa. Nelle profondità delle acque giaceva una grande montagna di nome Mainaka. Raggiungendola, Varuna le chiese di sorgere dalle profondità del mare per offrire a Hanuman un posto dove riposarsi.
Si racconta che un tempo, milioni di anni fa, le montagne avessero le ali e volassero in cielo con grande velocità. I Deva e i Rishi, impauriti dal continuo pericolo di queste grandi masse volanti, chiesero a Indra di intervenire e di tagliare quelle ali. E mentre il re dei Deva procedeva a lanciare contro di loro la sua arma preferita, il possente fulmine, Mainaka, aiutata da Vayu, scappò. Nascondendosi nelle profondità dell'oceano sfuggì alle ire di Indra. Da quel tempo Mainaka era rimasta lì, bloccando la via di accesso per Patala. Mainaka era riconoscente a Vayu per averla aiutata e pensò di rendere il favore aiutando Hanuman. Mainaka sorse dall'oceano e offrì le sue pendici al Vanara per riposarsi. Ma Hanuman lo ritenne una perdita di tempo per la sua missione e spostò la montagna con una manata, liberandosi il passaggio. Mainaka ammirò la sua forza e la sua determinazione: perciò lo benedì e lo lasciò passare. Hanuman continuò il viaggio.
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Gli ostacoli
Mentre Hanuman procedeva a grande velocità verso la sua destinazione, Surasa, madre dei Naga, pensò di mettere alla prova le capacità di Hanuman. Così assunse la forma di una gigantesca Rakshasi ed emerse dalle acque proprio mentre Hanuman stava passando. Lo guardò con ferocia e gli parlò, assumendo un aspetto ostile.
“Io ho fame,” disse Surasa, “e voglio che tu oggi sia il mio cibo. Ma ammiro anche le qualità dei valorosi, la sagacia e la forza. Tu sembri molto forte e voglio lasciarti una possibilità. Ti lascerò vivere se riuscirai ad entrare nella mia bocca e poi ad uscirne. Se sarai cosi abile ti lascerò andare.”
Toccato nell'orgoglio, Hanuman volle mostrare a Surasa le sue capacità ed espanse il corpo fino a dimensioni gigantesche. Ma altrettanto fece lei. E Hanuman si espanse ancora, ma Surasa lo imitò. I due continuarono a ingigantirsi, finché Hanuman ridusse fulmineamente il suo corpo ed entrò nella bocca di Surasa. Incapace di ridursi altrettanto velocemente, Surasa non fece in tempo a chiudere l'enormi fauci e Hanuman poté venirne fuori. Soddisfatta di questa prova di intelligenza, Surasa lo benedisse e lo lasciò continuare. Hanuman riprese il viaggio.
Mentre si stava avvicinando a Lanka, il nostro eroe incontrò una vera Rakshasi di nome Simhika, posta da Ravana a guardia di Lanka. Con grande rapidità Simhika lo ingoiò, ma Hanuman squarciò il suo ventre e ne uscì mentre la Rakshasi moriva. Poi vide la terraferma, Lanka, il regno di Ravana. Quanta gioia nel suo cuore!
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Arrivo a Lanka
Discese su un picco che si ergeva proprio vicino alla spiaggia. Hanuman toccò rumorosamente terra, e si guardò attorno per vedere se era stato avvistato. Nessuno, grazie al cielo! Contrasse la sua forma maestosa in quella di una piccola scimmia e si diresse verso le mura della città. E la vide, quella città di cui aveva già sentito parlare come di una fortezza favolosa. La mura erano enormi, indistruttibili, e bastioni e cancelli erano costantemente vigilati da centinaia di soldati armati fino ai denti. Sembrava inespugnabile. Attese la notte e poi, con grande cautela, si diresse verso le mura della città. Così piccolo, gli fu facile passare inosservato. Ma appena fu entrato la divinità di Lanka in persona, una potente Rakshasi, lo fermò con voce tagliente.
“Dove vai tu? Io sento che tu sei un nemico dei Rakshasa. Non entrerai in questa città: io te lo impedirò.”
Armata di tridente Lanka si lanciò contro il suo antagonista, tentando di trafiggerlo. Hanuman schivò il colpo e la colpì con uno schiaffo. Nel suo cuore sentì il dispiacere di aver colpito quella che era una divinità e una donna, ma sentiva di non averne potuto fare a meno. Nonostante fosse stata colpita in maniera non violenta, la potenza di quel colpo scaraventò in terra Lanka. Hanuman passò oltre, senza curarsi più di lei. Lanka, pensierosa, guardò Hanuman addentrarsi nella città.
“Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato,” pensò. “Non può essere altri che lui. Un giorno Brahma mi disse che la distruzione della mia città sarebbe stata imminente quando sarei stata sconfitta da una scimmia. Oggi sono stata sconfitta: quel momento, quello della distruzione della mia città, è arrivato.”
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In cerca di Sita
Hanuman si addentrò nella città, vagando per le sue strade. Che luogo fantastico, pensò. Quante bellezze artistiche e architettoniche. Che peccato che simili bellezze debbano essere usate da un essere così empio. Girò per diverso tempo, finché arrivò in un palazzo straordinario per maestosità e per sfarzo. Dedusse che quello non poteva essere altro che il palazzo di Ravana. Aveva cercato minuziosamente lungo ogni strada, in ogni casa, in ogni recesso della città, e Sita non era da nessuna parte. Pensò che forse potesse essere nel palazzo reale. Entrò.
Il palazzo di Ravana era il massimo che un materialista potesse desiderare. La mura erano fatte di marmo pregiato, costellato da milioni di pietre preziose che davano luce a differenti ore del giorno, e oro, argento, e tanti altri metalli di grande valore. E fiori e piante meravigliose ovunque. Tutt'intorno in bellissimi letti giacevano stupende fanciulle addormentate ed ebbre. Bottiglie di vino erano sparse ovunque, e carni e cibi accuratamente cucinati. Quel palazzo conteneva tutto il meglio: era il sogno di ogni materialista. Ogni tipo di gratificazione dei sensi era all'eccesso, nel palazzo di Ravana, quella gioia sensoriale che lì sembrava essere la sola ragione di vita. Hanuman non guardò neanche in quei letti, sicuro che Sita mai si sarebbe concessa a quelle depravazioni.
Cercò dovunque, ma Sita non si trovava. Alla fine, in una stanza da letto piena di inenarrabili opulenze come mai ne aveva viste in precedenza, gigantesco e splendente come il sole, vide Ravana in persona, il re dei Rakshasa. Osservò il suo corpo possente e fu ben contento che stesse dormendo. No, Sita non poteva trovarsi lì. La più casta delle donne avrebbe preferito morire piuttosto che giacere con uno che non fosse suo marito. Continuò a cercare, guardando in ogni angolo del vasto palazzo. In un incantevole giardino vide il carro Pushpaka, che era stato di Kuvera, e si inchinò per rendergli rispettosi omaggi. Trovò l'harem, e in una stanza bellissima vide Mandodari, la moglie di Ravana. Hanuman fu abbagliato da tanto splendore. Era così bella che pensò fosse Sita. Fu preso da una grande gioia, ma poi ci ripensò.
“No, Sita non si sarebbe mai abbassata ad entrare nell'harem di Ravana. Quella donna non può essere Sita. Non può essere lei.”
Ma non riusciva a trovarla. Si sentiva sconfortato. Che l'avesse uccisa perché si era rifiutata di sottomettersi ai suoi voleri? Pensò che se Sita fosse morta avrebbe ucciso Ravana e digiunato fino a morire. Una rabbia immensa invase il suo cuore.
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Sita nel giardino Ashoka
Dalla finestra di un palazzo vide un giardino nel quale non aveva ancora guardato e volle andare a controllare. Mentalmente e con grande devozione chiese a Dio la misericordia di ritrovarla, di dargli successo nella sua missione. Entrò in quei giardini, detti Ashoka, e cercò attentamente nell'interno.
All'improvviso, in una radura circondata da alberi e cespugli, vide una donna così meravigliosa come nessuna poesia potrà mai descrivere appropriatamente. Ogni bellezza materiale svaniva e diventava nulla di fronte a quella bellezza trascendentale. La materia, così imperfetta, caduca, illusoria, nascondeva il suo volto di fronte a quel corpo spirituale. Non poteva essere altri che Sita, Hanuman non aveva dubbi. Il suo cuore gli diceva che non poteva essere altri che Sita. Ricordando la descrizione che Rama aveva fatto, della sua età, delle sue fattezze fisiche, Hanuman riconobbe in lei la tanto agognata Sita.
La guardò con profonda devozione e amore spirituale, senza traccia di lussuria materiale, e riconobbe in lei la dea che aveva tanto adorato e servito. La guardò e la riguardò ancora. Una luce di profonda purezza emanava dal suo viso e i suoi pensieri erano persi in un mondo dove la materia non aveva accesso. Abbeverandosi alla sua figura spirituale, guardandola come un assetato guarda un'oasi dopo tanto vagare per un deserto di sabbie roventi, sentì estasi, una profonda felicità trascendentale. La bellezza celestiale di Sita era indescrivibile. Come poteva una donna così nobile e pura aver dovuto subire un fato così disgraziato? Questa domanda ossessionava la sua mente. Gli occhi del devoto Hanuman si riempirono di lacrime e mentalmente offrì i suoi omaggi ai piedi di loto di Rama e Lakshmana.
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La premonizione della maga
Mentre era assorto in quella meditazione, Hanuman vide in lontananza Ravana che si dirigeva verso di loro. Attorniato dai suoi ministri più fidati, Ravana camminava con passo fiero e deciso. Hanuman si nascose dietro un cespuglio, non molto lontano, in modo da poter ascoltare.
Quando Sita vide Ravana avvicinarsi, il suo tenero viso si rabbuiò ancora di più. Era chiaro che il Rakshasa veniva spesso a trovarla, sicuramente per tentare di convincerla ad abbandonarsi a lui. Ravana, visibilmente irato, la guardò severamente.
“É passato quasi un anno,” disse, “e hai vissuto tutto il tempo in questo giardino senza conoscere nessuna delle gioie alle quali hai diritto. Convinciti: Rama non arriverà mai. Diventa la mia regina. Non puoi neanche immaginare ciò che potrei darti.”
Sita non rispondeva. Non lo guardava neanche. Ravana sapeva che quando Sita si comportava così era inutile anche tentare di parlarle. Irritato, dette alcune istruzioni alle guardiane e si allontanò, guardandola con profondo desiderio. Appena Ravana si fu allontanato, esse cercarono in tutte le maniere di convincerla ad accettare il possente re come marito, ma Sita piangeva, si lamentava, chiamava il nome di Rama e non rispondeva. Insensibili al disperato pianto, le Rakshasi la tormentavano sempre di più, minacciando di torturarla fino alla morte se non avesse cambiato idea. Sita continuava a piangere, disperatamente.
Improvvisamente una voce le fermò. Era Trijata, una Rakshasi rispettata come una maga dai grandi poteri divinatori.
“Basta. Smettetela,” intimò a voce alta. “Non minacciate Sita. Non cercate di spaventarla. Mi sono appena svegliata da un sogno tremendo: ascoltate. Ho visto Rama che entrava trionfante a Lanka, seguito da eserciti di scimmie, e ho visto il terreno della città cosparso dei corpi dei nostri mariti, dei nostri figli, dei nostri padri, dei nostri parenti e amici. Ho visto numerosi presagi che indicavano la vittoria di Sita su colui che l'ha rapita. Se questo sogno si avvererà, è meglio per noi di non maltrattarla in questa maniera, perché poi potrebbe vendicarsi severamente.”
La Rakshasi, intimorite, non la molestarono più. Ma a quelle parole Sita non si era tranquillizzata di molto. Come poteva sperare ancora? Pensava.
“È passato un anno e Rama non è ancora arrivato. Forse non arriverà mai. Non riuscirà a trovare quest'isola inaccessibile e nascosta. Forse, chissà, mi ha persino dimenticata o ha rinunciato a cercarmi. La mia vita è un inferno. Il pensiero di Rama mi tortura. Non riesco a vivere senza di lui. E questi Rakshasa che mi tormentano tutto il giorno... non posso continuare a vivere così. Digiunerò fino alla morte pensando al mio amato Rama.”
Ma in quel momento, quando aveva deciso di porre fine alla sua esistenza, un segno di buon auspicio apparve sul suo corpo. E poi altri, e altri ancora. Erano segni così chiari che Sita rinunciò al proposito di morire.
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Hanuman parla a Sita
Hanuman vide che Sita soffriva troppo. L'aveva trovata, è vero, e avrebbe dovuto correre subito
indietro per guidare gli eserciti verso Lanka, ma non poteva lasciarla in quello stato. Doveva darle
un segno, una ragione per continuare a sperare e a vivere. Saltò su un ramo dell'albero sotto il quale
Sita era seduta sconsolata, e le bisbigliò delle parole. Lei, incuriosita, guardò su e vide la piccola
scimmia.
Hanuman iniziò a raccontare la storia di Sita fin dall'inizio, fin dal momento della sua nascita,
quando fu adottata da Janaka, e poi la storia di Rama. Stupita, Sita stava ad ascoltare il meraviglioso
racconto.
“Cara Sita, fatti coraggio,” le disse alla fine. “Le tue sofferenze stanno per terminare. Non perderti
di fiducia. Rama arriverà presto.”
Lei lo guardò ancora, speranzosa ma anche diffidente. Che fosse un Rakshasa mandato da Ravana
per carpire la sua fiducia? Pensò che i Rakshasa erano capaci di congiurare qualsiasi piano.
Hanuman capì il suo stato d'animo.
“Io sono Hanuman, un caro devoto e amico di Rama. Siamo venuti a cercarti e ora, per fortuna, ti
abbiamo trovata. Credimi. So che in un luogo come questo è difficile aver fiducia in qualcuno, ma
devi credermi: io sono un amico di Rama.”
Sebbene fosse ancora diffidente, Sita pregò ardentemente gli dei che ciò che stava ascoltando fosse
vero. Qualcosa che sentiva nel cuore gli dava speranza. Hanuman la vide titubante, insicura, e pensò
che dovesse darle una prova della sua sincerità. Le lanciò l'anello che Rama gli aveva affidato, che
cadde sul terreno con un dolce tintinnio. Sita lo raccolse e trasalì. Lacrime di gioia inondarono i
suoi occhi.
“Ma è l'anello di Rama, è vero,” disse Sita tutto d'un fiato. “Oh caro amico, come sta Rama? Perché
ha tardato così tanto? Parla ancora di me? Mi pensa qualche volta? Parlami di lui.”
Hanuman rispose con voce suadente, carezzevole. Voleva darle fiducia, infonderle coraggio, la
speranza, anzi la sicurezza nella vittoria finale.
“Rama non ti ha mai dimenticata. Come puoi pensare una cosa del genere? Pensa sempre a te e la vita gli è intollerabile. Ha tardato perché ignorava dove tu fossi. Per questo non è ancora venuto a riprenderti. Ma ora che so dove sei, io lo porterò qui presto e ti libererà. Non dubitarne.”
Hanuman le parlò della sofferenza che Rama stava provando lontano da lei, e Sita si rattristò ancora di più sentendo della sua infelicità.
“Hanuman, per favore, corri via subito. Non rischiare restando ancora qui. Porta da me Rama al più presto. Fa in modo che possa rivederlo presto.”
Quanto grande e profonda era la sofferenza di Sita!
“Cara Sita,” le disse col cuore gonfio di emozione. “Se vuoi posso portarti via subito io stesso. Basta che tu salga sulle mie spalle e ti porterò da Rama in un batter d'occhio.”
Vedendo quanto Hanuman fosse piccolo, Sita dubitò che ne fosse capace e sorrise. Hanuman allora assunse una forma gigantesca, così alto era che sembrava toccasse le stelle. Impressionata, Sita si coprì gli occhi con le braccia.
“Dubiti ancora che io possa portarti via da questo luogo orrendo?” disse lui. “Sali sulle mie spalle e rivedrai Rama fra pochi istanti.”
Ma Sita non era neanche tentata.
“No, preferisco che venga Rama a prendermi,” rispose lei con voce piena di riconoscenza e di speranza ritrovata. “Io lo conosco. So quanto sia fedele ai suoi principi. Non gradirebbe che io fossi salvata da qualcun altro. Lui vuole venire di persona. Vai subito. Porta qui Rama al più presto.”
“Vorrei qualcosa da mostrare a Rama,” chiese dopo qualche istante Hanuman. “Potrebbe dubitare della veridicità delle mie parole. Come posso assicurargli di averti trovata? Cosa posso dirgli? O cosa posso portargli?”
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La storia del corvo
Sita pensò un momento: che messaggio poteva mandargli?
“Raccontagli questa storia,” disse poi. “Nessun altro oltre a me e a lui la conosce. Quel giorno eravamo soli, io e lui. Digli così:
“Una volta, quando eravamo ancora a Citrakuta, mentre stavi facendo le tue abluzioni, un corvo affamato mi attaccò. Io cercai di scacciarlo, ma non ci riuscii. Mi sentii irritata e spaventata, anche perché ero sola. Allora mi arrabbiai, e per i movimenti bruschi la gonna stava per cadermi. E con una mano cercavo di tenerla e con l'altra mi difendevo dagli artigli dell'animale. In quel momento tu tornasti e mi vedesti in quella situazione e pensasti che ero buffa; ridesti di cuore. Io mi lanciai tra le tue braccia, cercando protezione. Allora il corvo volò via. Ci sdraiammo sotto un albero e ci addormentammo, abbracciati l'uno all'altra.
“All'improvviso quel corvo malvagio tornò e mi attaccò ancora, graffiandomi sul petto più di una volta e profondamente. Le mie grida di dolore e di paura ti svegliarono e vedesti che sanguinavo al petto. Allora non ridesti più, ma eri molto in collera.
“Chi è stato?” mi chiedesti con voce concitata. “Chi ti ha fatto quelle ferite?”
“E vedesti il corvo che stava per attaccarmi ancora. I tuoi occhi di- vennero rossi come il fuoco per la rabbia. Decidesti di ucciderlo. Dopo aver colto un filo d'erba kusha, recitasti un mantra per caricarlo con la potenza del brahmastra e lo lanciasti contro il corvo. Ma subito capimmo che non era un semplice animale: era Jayanta, il figlio di Indra. Lui si accorse di essere in pericolo mortale, e quando vide il filo d'erba saettare verso di lui, tentò la fuga. E fuggì dappertutto, con l'arma che lo seguiva da presso, cercando qualcuno che potesse aiutarlo. Ma nessuno poteva fare niente contro quell'arma, lanciata dal tuo braccio possente.
“Jayanta fuggì per tutto l'universo, ma nessuno, nemmeno suo padre Indra, poté aiutarlo. Si sentì perduto. Così tornò da te e chiese perdono, e ti pregò di salvargli la vita.
“O Jayanta,” gli rispondesti, “quest'arma una volta lanciata non può più essere ritirata, ma deve colpire e distruggere qualcosa. Però mi hai chiesto protezione, e io ti aiuterò. Scegli una parte del tuo corpo a cui puoi rinunciare e il brahmastra distruggerà solo quella.”
“Jayanta rifletté a cosa fosse conveniente; poi decise di rinunciare all'occhio destro. Appena ebbe pronunciato quelle parole, l'arma fatale colpì.”
Sita fece una pausa.
“Dì anche questo a Rama,” disse poi riprendendo il discorso.
“Tu hai lanciato un'arma così terribile contro un semplice corvo che mi aveva graffiato il seno: perché allora non usi la stessa contro questi crudeli Rakshasa che mi stanno facendo soffrire molto di più? Perché non intervieni? Amato signore, ti prego, vieni subito a prendermi.”
Sita pose nelle mani di Hanuman un gioiello che gli aveva regalato Rama e glielo affidò.
“Quando Rama vedrà questo gioiello sarà sicuro che mi hai ritrovata. Che tu possa essere benedetto, amico caro; ma parti, qui sei in pericolo, potresti essere scoperto. Parti e torna presto con Rama.”
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Hanuman sfida i Rakshasa
Era ora di ripartire. Sita era stata ritrovata sana e salva, l'aveva incoraggiata; inoltre aveva visto Lanka, le sue fortificazioni, e il numero degli avversari. Ma aveva bisogno di conoscere anche la loro forza individuale, il loro valore in combattimento. E soprattutto voleva incontrare Ravana. Decise di abbandonare l'incognito e di dare battaglia. Assunse così una forma gigantesca e attaccò con violenza i guardiani del giardino, uccidendoli. In pochi minuti distrusse l'intero giardino Ashoka. L'allarme corse per la città e Ravana fu avvertito dell'accaduto.
Informato della presenza di un nemico a forma di scimmia, Ravana mandò il potente figlio di Prahasta a eliminarlo, ma dopo un breve combattimento Hanuman lo uccise. E continuò a distruggere le foreste circostanti e poi anche il santuario. Durante l'opera di devastazione uccise molti soldati che tentarono di opporglisi. Usando un enorme pilastro di marmo, Hanuman massacrò gli altri sette figli di Prahasta insieme ai soldati che li seguivano.
Era terribile. Si muoveva con una velocità impressionante ed era difficile persino vederlo. La forza dei suoi colpi, poi, era così grande che nessuno sopravviveva al primo. Terrorizzati, molti Rakshasa fuggirono. E man mano che le notizie delle sconfitte arrivavano, Ravana era sorpreso e sdegnato. Tanti bravi combattenti sconfitti da una scimmia! Mandò persino uno dei suoi figli, il potente principe Aksha, ma anche lui fu ucciso. Stanco di quei massacri, Ravana convocò Indrajit, il suo figlio maggiore, che corse nel luogo dove Hanuman era ancora impegnato in una massiccia opera di distruzione, e divampò un terribile duello. Ma il virtuoso Vanara aveva deciso che era ora di vedere il re in persona e si lasciò catturare. Legato e trascinato con forza, fu condotto alla presenza del crudele Rakshasa.
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Discussione tra Hanuman e Ravana
Ravana era seduto sul maestoso trono d'oro massiccio tempestato di varie pietre preziose e la sala delle riunioni era di un’opulenza celestiale. Hanuman fu colpito dalla sua grandezza e dal suo splendore, e pensò che se non fosse stato per la sua mentalità così grossolana, così egoistica, Ravana avrebbe potuto regnare su tutti i pianeti dell'universo. Ma questo materialismo così grossolano, rifletté Hanuman, sarebbe stato sicuramente la causa della sua fine. Ravana, rivolgendosi verso il suo primo generale Prahasta, gli ordinò di interrogarlo. E Prahasta, ancora sconvolto per la morte dei suoi figli, tentò di avere informazioni.
“Perché hai fatto tutto questo?” gli chiese. “Perché hai distrutto la foresta Ashoka? E perché hai ucciso così tanti dei nostri soldati? Chi ti manda? La tua vita è ora appesa ad un filo molto sottile: non spezzarlo per orgoglio.”
Hanuman non aveva alcun timore, la sua voce uscì forte e fiera. “Io sono Hanuman della razza dei Vanara. Sono un messaggero di Rama e sono venuto qua per ritrovare sua moglie. Ho distrutto i giardini perché volevo combattere contro di voi e poi lasciarmi catturare per vedere Ravana. Non illudetevi: Indrajit non avrebbe mai potuto catturarmi in questo modo, ma ho subìto il potere delle sue armi per essere condotto qui, per parlare con Ravana.” Senza degnare Prahasta di un altro sguardo, si girò a guardare Ravana. I suoi occhi erano duri e accusatori.
“Re dei Rakshasa, se ti preme la vita restituisci Sita al suo legittimo marito. Forse così potresti ottenere il suo perdono. Ma se non farai come ti ho detto, è certa la tua fine e la distruzione della tua città e dell'intera tua razza. Non puoi combattere contro di noi, la nostra forza è incommensurabile. Hai visto cosa ho saputo fare ai tuoi soldati? E io non sono altro che uno dei tanti che presto verranno qua, determinati a sterminare ogni Rakshasa che incontreranno.”
Colpito nel vivo da quelle parole insolenti, l'irruente Ravana perse la calma e ordinò che il Vanara fosse messo a morte. Ma in quel momento Vibhisana, suo fratello minore, lo fermò.
“Ravana, mi meraviglio di te,” gli gridò, fermando le guardie che avevano già afferrato Hanuman per le braccia. “Hai dimenticato le regole della vita di un re e di un guerriero? Un ambasciatore non può mai essere ucciso, per quanto offensivo sia il messaggio che porta. Hanuman è un messaggero e non deve essere ucciso.”
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L'incendio di Lanka
Ravana digrignava i denti: non si era ancora calmato.
“Caro fratello, sei sempre pronto a ricordarmi le regole che governano la nostra vita,” gli disse con
tono sarcastico. “Sono d'accordo con te. Ma un messaggero che abusa della sua missione e
dell'immunità che il ruolo gli conferisce può e anzi deve essere punito in maniera esemplare. Se un
re non punisce un criminale nessuno avrà più il timore di lui e nessuno gli obbedirà più. E il regno
andrebbe in sfacelo. Io devo quindi punire questa scimmia insolente.
“Appiccate fuoco alla sua coda e portatelo in giro per la città. Mostratelo a tutti. Che nessuno pensi
che Ravana non impartisca con severità la giustizia.”
Le guardie trascinarono Hanuman fuori della sala del trono.
Avvolsero la sua coda con degli stracci e li inzupparono di olio. Poi le appiccarono fuoco. Così la
guardie portarono Hanuman in giro per le strade di Lanka, esponendolo al ridicolo del popolo. La
gente si divertiva molto a vedere quella scimmia con la coda che bruciava e tutti lo schernivano.
Anche Sita venne a sapere dell'accaduto e pregò sinceramente il Deva del fuoco di non bruciarlo, di
non fargli provare dolore.
Ma l'intelligente Hanuman aveva il suo piano. Riducendo improvvisamente le dimensioni del suo
corpo, si liberò delle corde e uccise le guardie che lo scortavano. La gente affollata, quando lo
videro libero, scapparono tutti via gridando allarmata. Con la coda infuocata, Hanuman decise di
bruciare Lanka. Correndo a tutta velocità, appiccò fuoco a tutte le case, risparmiando solo quella di
Vibhisana. Il cielo era rischiarato da quell'enorme falò. E quando i Deva e i Rishi del cielo videro
Lanka bruciare danzarono e cantarono dalla gioia. Hanuman era quasi ebbro di gioia, ma subito un
pensiero lo folgorò.
“E Sita? Mio Dio, come ho fatto a non pensare a lei? Anche Sita potrebbe essere morta
nell'incendio.”
E maledicendo la sua impulsività corse verso ciò che rimaneva dei giardini Ashoka. Ma prima che
vi arrivasse sentì delle voci dal cielo che lo assicuravano che Sita era viva, che stava bene, e che era
assorta nella speranza del ritorno di Rama. Hanuman si rinfrancò e fuggì dalla città in fiamme.
Corse sulla spiaggia e ancora una volta spiccò il prodigioso salto.
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La gioia dei Vanara
Sollevando onde altissime e causando quasi una tempesta, Hanuman ripassò sull'oceano. Dopo aver salutato e ringraziato Mainaka, vide la montagna Mahendra. Gridava e ruggiva dalla gioia, quasi non potesse controllare il proprio entusiasmo. Voleva incoraggiare e anticipare la sua gioia ai compagni che lo stavano aspettando. Jambavan fu il primo a sentirlo.
“Ascoltate. Queste sono le grida di gioia di Hanuman. Sentite che fervore esprime la sua voce, e che felicità! Forse l'ha ritrovata. Coraggio, amici: forse porta buone notizie.”
Dopo essere atterrato sulla montagna, Hanuman fu circondato dai festanti Vanara che gli chiesero cosa fosse successo. Hanuman raccontò tutto per filo e per segno. Ma il principe Angada voleva ascoltare di nuovo tutta la storia e gli chiese di raccontarla ancora con più particolari.
“Valoroso amico,” disse Angada. “Raccontaci ancora la storia dei tuoi successi a Lanka. E dacci altri particolari. Sono molto curioso di sentire questa gloriosa storia.”
Tutti si sedettero a terra e ascoltarono ancora la storia, con tutti i particolari. Terminato il racconto, Angada era eccitato.
“Ma perché aspettare?” disse alzandosi in piedi e gonfiando i muscoli. “Perché tornare a Kiskindha e muovere tutti i nostri eserciti mentre Sita continua a soffrire? Possiamo andare noi a Lanka, possiamo noi stessi da soli distruggere Ravana con tutta la sua razza malvagia e riportare Sita da Rama. Perché no?”
Qualcuno lanciò grida di entusiasmo. Molti erano dell'opinione di muoversi subito e di attaccare i nemici. Ma il saggio Jambavan freddò la loro impulsività e consigliò di tornare a Kiskindha. Alla fine anche Angada riconobbe che quella era la cosa migliore da farsi e ripartirono.
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Il saccheggio del miele
In pochi giorni, camminando speditamente, arrivarono nel loro territorio. Non lontana c'era una foresta di proprietà privata di Sugriva, dove nessuno era mai potuto entrare. Fuori c'erano numerose guardie, comandate dallo zio di Sugriva di nome Dadhimukha. Angada, pieno di entusiasmo per il successo della missione, voleva festeggiare gozzovigliando con l'ottimo miele che lì abbondava. Sicuro che non sarebbe stato punito, il giovane Angada autorizzò i suoi Vanara ad entrare anche con la forza per prendere il miele. Ghiotti di dolci e trasportati da una gioia intensa per il ritrovamento di Sita, i Vanara invasero Madhuvana, senza curarsi né di Dadhimukha né dei suoi guardiani. Dadhimukha credette di dover impedire ciò che credeva una grave insubordinazione e, dopo averli inutilmente minacciati, cercò di usare la forza. Ma l'entusiasmo dei Vanara di Angada era
incontenibile e furono malamente sconfitti e costretti alla fuga.
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Finalmente la buona notizia
Dadhimukha fuggì a Kiskindha e raccontò a Sugriva l'accaduto. Sugriva non si fece prendere dalla collera.
“Questo comportamento di Angada,” rifletté, “e degli altri non è normale. Sanno quanto quella foresta mi sia cara, e se l'hanno violata senza nessuna paura significa che sono stati trasportati da una grande gioia, che vogliono festeggiare qualcosa di grande. E poi sono arrivati in notevole ritardo e non mostrano alcun timore di una punizione. Forse ci portano buone notizie. Forse hanno ritrovato Sita. Falli venire qui subito.”
Dadhimukha si precipitò a Madhuvana e chiese il perdono di Angada. Gli riferì il messaggio di Sugriva. Alla presenza di Rama, Hanuman raccontò tutta la storia, compresa quella del corvo di Citrakuta per rassicurarlo che tutto corrispondesse alla verità. Poi gli consegnò il gioiello che Sita gli aveva affidato. Vedendo il gioiello che una volta aveva regalato a Sita e ascoltando quella storia cosi intima, Rama pianse. E volle ascoltare di nuovo il messaggio che Sita gli aveva mandato. Hanuman ripeté tutto ancora una volta.
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