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Incontro con Hanuman e i Vanara
Era arrivata la primavera. C'era nell'aria un profumo leggiadro, un miscuglio di numerosi fiori che in quelle stagioni si facevano sentire. Le cose sembravano riprendere vita e colore. E i corsi d'acqua - ce n'erano così tanti nella foresta! - scendevano gentilmente offrendosi a tutti. Tutto sembrava gaio, sereno, il disperato riacquistava la speranza, il sofferente la serenità. Durante la primavera la natura cresceva in bellezza e in fascino. Rama non era immune da quell’attrattiva. Il senso della mancanza di Sita era così intenso che alla sua sensibilità acuta tutto ricordava di lei. La regione del lago Pampa era stupenda durante la primavera. Ammirando le bellezze della natura, Rama si aggirava nei dintorni, immerso in pensieri profondi. Era triste; quanto avrebbe voluto che Sita fosse lì con lui. Per qualche giorno vagarono nei pressi del lago. Poi si addentrarono nella foresta di Rishyamukha. Lì abitavano coloro che il fato insondabile aveva designato come loro futuri alleati, i Vanara, una potente razza di uomini- scimmia. Sapevano che non avrebbero dovuto cercare troppo, che li avrebbero trovati loro. Così vagarono senza meta all'ombra di alberi secolari.
La loro ipotesi era esatta. I Vanara, sempre all'erta, li avevano già scorti. In quel momento Sugriva in persona li osservava di nascosto. Dopo averli esaminati sufficientemente si ritirò e convocò il consiglio dei ministri. Sugriva era visibilmente preoccupato.
“Avete visto quei due stranieri? Il loro portamento è quello degli kshatriya, e sono guerrieri fieri e nobili. Sicuramente saranno anche valorosi in combattimento. Che siano uomini di Vali venuti per uccidermi?”
Jambavan parlò per primo.
“Non siamo sicuri che siano nemici. Quindi non c'è bisogno di allarmarsi anzitempo. Io credo che dovremmo mandare qualcuno da loro per conoscerne le intenzioni.”
Hanuman riprese la proposta di Jambavan.
“Ha ragione. Non c'è bisogno di avere paura. Io stesso posso andare da quei due giovani guerrieri per cercare di conoscere le loro vere intenzioni.”
Con l'approvazione di tutti gli altri, e dopo avere assunto le sembianze di un asceta, Hanuman si diresse verso il luogo dove erano Rama e Lakshmana. Li salutò.
“Come state?” disse. “Spero che tutto vada per il meglio nella vostra vita e che la fortuna vi sorrida sempre.”
Rama offrì rispettosi omaggi a colui che credeva un asceta e gli rispose che la fortuna in quel periodo non era stata molto benevola con loro.
“Chi siete?” riprese Hanuman. “Da quale famiglia provenite? E cosa fate su queste colline, dimora dei nobili Vanara, virtuosamente guidati dal valoroso Sugriva?”
“Io mi chiamo Rama,” rispose, “e questo è mio fratello Lakshmana. Siamo principi in esilio e nostro padre era il re di Ayodhya, Dasaratha. Siamo qui proprio per conoscere Sugriva e per fare amicizia con lui. Lo conosci? Sai dove si trova?”
Quando Hanuman sentì che quel nobile giovane che gli era di fronte era il famoso Rama di cui aveva sentito parlare così tante volte e che segretamente adorava come sua divinità, non riuscì più a contenere la gioia. Abbandonò le sembianze di asceta, riprese le sue fattezze naturali e si gettò ai piedi di Rama.
“Finalmente ho potuto conoscerti, guardarti, ascoltare le tue parole. Io sono Hanuman, uno degli assistenti di Sugriva. Egli è qui per paura di suo fratello, in questa foresta, ed è sempre diffidente con chi non conosce. Venite, vi porterò da lui.”
Rama sorrise di cuore. Era felice di aver trovato Sugriva così presto. Tranquillizzò ancora Hanuman.
“Non dovete aver paura di noi. Non siamo i sicari di nessuno. Siamo venuti solo per fare amicizia con il vostro re.”
Soddisfatto e già convinto, Hanuman condusse i due fratelli per un passaggio segreto fino al nascondiglio di Sugriva. Il principe e il Vanara strinsero un patto di alleanza, promettendosi reciproca assistenza. Rama, incuriosito dalla situazione di paura in cui vivevano Sugriva e i suoi pur potenti alleati, fu curioso di saperne la ragione.
“Perché sei fuggito dal tuo regno?” gli chiese Rama. “Perché ti nascondi? E perché hai paura del tuo fratello Vali? Voi siete tutti molto forti e valorosi: chi è questo Vali che può incutervi così tanto terrore?”
Sugriva raccontò la sua triste storia.
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La storia di Sugriva
“Una volta mio fratello Vali, a causa di una donna, si inimicò un demone di nome Mayavi. Voi sapete chi era Mayavi: suo padre era il grande architetto degli Asura, Maya Danava. Mayavi decise di vendicarsi dell'affronto e di sfidare Vali in duello per ucciderlo. Un giorno venne alle porte della città e ruggì con ferocia, gridando furiose ingiurie nei confronti di mio fratello. Vali, che non ha mai saputo tollerare le offese e ha sempre avuto un temperamento irascibile, si precipitò fuori, per nulla intimorito dalla forza dell'avversario. Io lo seguii per aiutarlo. Quando Mayavi vide che eravamo in due preferì fuggire. Noi lo inseguimmo e, sebbene corresse molto velocemente, non perdemmo le sue tracce, finché entrò in una caverna buia e profonda. Noi ci fermammo, timorosi di entrarvi. Ma l'Asura doveva essere ucciso, altrimenti sarebbe stato sempre una spina nel nostro fianco. Coraggiosamente Vali mi disse di restare a guardia dell'entrata della caverna: lui da solo sarebbe andato a scovare e ad uccidere il demone. Io temevo per la sua vita, ma Vali non sentì ragioni. Se gli succedeva qualcosa il regno di Kiskindha doveva avere un altro re. E si inoltrò nella tenebrosa caverna.
“Passò molto tempo e Vali non tornava. Un anno intero trascorse nell'angoscia quando, proveniente dalle viscere della caverna, udii delle grida furiose e dei ruggiti simili a quelli di un gigantesco leone. E vidi un ruscello di sangue scorrere dall'entrata della caverna. Preso dal panico pensai che Vali fosse stato ucciso e che avrei dovuto pensare alla sicurezza del regno. Così presi un enorme macigno e chiusi l'entrata della caverna. Tornato a Kiskindha piansi mio fratello per morto e celebrai il suo funerale. Così divenni il re.
“Ma Vali non era morto: in realtà aveva vinto il duello e quel sangue era di Mayavi. Dopo averlo ucciso Vali tornò verso l'uscita della caverna e la trovò ostruita. Con grande sforzo riuscì a spostare il macigno e corse a Kiskindha. Nella sua mente si era fatto strada il sospetto: che l'avessi tradito? Che avessi cercato di non farlo più uscire per godermi il suo regno? E mi trovò sul trono. A quel punto la sua rabbia esplose e mi accusò apertamente di tradimento. Mi cacciò dal regno e mi minacciò, dicendomi che se mi avesse visto ancora mi avrebbe ucciso. Così io mi sono rifugiato qui dove Vali non può venire.
“Io non posso fare niente contro di lui, Vali è troppo forte. Nessuno di noi può sfidarlo. Ecco perché ci nascondiamo qui, in questo posto a lui proibito.”
“Perché dici che Vali non può venire qua?” chiese Rama. “Cosa c'è di speciale per lui in questo luogo?”
“Prima della battaglia con Mayavi,” rispose Sugriva, “Vali aveva combattuto e ucciso il fratello del demone, Dundubhi. Questo Asura aveva assunto la forma di un bufalo gigantesco e, inorgoglito dalla sua straordinaria forza fisica, vagava per il mondo in cerca di un avversario degno da affrontare. Quando andò sulla montagna Himalaya per sfidare Himavat, la divinità che lì predominava, si sentì dire:
“O grande Asura, non riesci a trovare un avversario perché sei troppo forte. Neanche io desidero combattere contro di te perché per natura sono pacifico e do rifugio ai saggi e a coloro che sono della mia stessa natura. Però posso darti un consiglio: in questo mondo c'è un degno avversario per te ed è Vali, il figlio di Indra. Sii certo che lui placherà il tuo desiderio di combattimento.”
“Allora Dundubhi corse a Kiskindha e sfidò l'invincibile Vali che lo uccise, e in preda alla furia lo gettò a molte miglia di distanza. Mentre la carcassa del demone- bufalo volava nell'aria, alcune gocce di sangue caddero nell'eremo del saggio Matanga. Poi la carcassa cadde nelle vicinanze. Disturbato dal rumore, il saggio uscì e vide il corpo.
“Chi ha gettato questo cadavere vicino al mio ashrama?” si chiese Matanga. “Chi l'ha contaminato irrimediabilmente in questo modo?”
“In meditazione vide ciò che era successo e seppe che era stata colpa di Vali. Arrabbiato, maledisse Vali.
“Se quella scimmia metterà mai piede in questo posto, morirà istantaneamente.”
“Matanga cambiò eremo. Per questo motivo Vali non osa venire qua. Conosce bene la potenza spirituale di Matanga. Così in questo posto io sono al sicuro.”
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Il patto con Sugriva
Sugria continuò il suo discorso.
“Ora ti porterò a vedere ciò che rimane della carcassa di Dundubhi, cosicché tu possa renderti conto di quanto Vali sia forte.”
Il gruppo s'incamminò, e in pochi minuti arrivarono nelle vicinanze di ciò che prima era l'eremo di Matanga. Non lontana l'enorme carcassa del demone. Rama si avvicinò. Aveva bisogno dell'aiuto di Sugriva per ritrovare Sita, e per questo doveva aiutarlo contro Vali. Era necessario però convincerlo che era in grado di uccidere il potentissimo Vanara. Senza alcuno sforzo, toccò quella montagna di ossa con l'alluce di un piede. E come per magia quella si staccò dal suolo e volò in aria per molte miglia. Sugriva sorrise, compiaciuto. Ma non era convinto.
“Caro amico,” gli disse con un grande sorriso, “questa che mi hai dato è una prova della tua grande forza, però quando Vali ha gettato in aria il corpo era pesante di carni e interiora. Non offenderti, quindi, se ti chiedo un altro saggio del tuo valore.”
Con calma solenne, il principe Rama estrasse una freccia dalla faretra e mirò in direzione di sette enormi alberi sal. La freccia parti, trafisse gli alberi, entrò nella terra e raggiunse i pianeti Patala. Dopo un’ora la freccia tornò nella faretra. Sugriva era stupefatto e allo stesso tempo pieno di un’irrefrenabile gioia. Ora si sentiva sicuro che Rama poteva sconfiggere Vali.
“Rama,” chiese Sugriva con gli occhi che brillavano di gioia, “ti chiedo, per favore, uccidi Vali e restituiscimi la serenità che ho perso. In cambio prometto che ti aiuterò a ritrovare Sita.”
Uno dei Vanara che era nel gruppo porse a Sugriva uno scialle e altri oggetti. Egli li dette a Rama.
“Sono di Sita, questi?” chiese.
Vedendo lo scialle e il bracciale dell'amata, Rama li afferrò e proruppe in un grido di gioia, preso da una fortissima emozione.
“Come hai avuto queste cose? Sono lo scialle e i bracciali di Sita!”
“Una sera eravamo in una radura non lontana da qui,” raccontò Sugriva, “quando vedemmo in cielo un'enorme figura che teneva stretta a sé una donna giovane che piangeva e che si divincolava disperatamente. Quando ci vide ci lanciò questi oggetti che raccogliemmo e conservammo. Subito dopo avermi raccontato la tua storia ho capito che appartenevano a lei.”
Così l'alleanza tra i due fu definitivamente suggellata.
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La morte di Vali
Tutti insieme prepararono il piano per sfidare e sconfiggere Vali.
“Mio fratello è troppo forte per essere affrontato in modo leale,” disse subito Sugriva. “Dobbiamo trovare la maniera di non trovarci faccia a faccia di fronte con lui.”
“Io ho un'idea,” ribatté Rama. “Potremmo fare così. Tu lo sfiderai in combattimento. Io mi nasconderò nei pressi e mentre lottate ed è distratto lo colpirò.”
Rama vide nel viso di Sugriva il terrore di dover affrontare il fratello, anche se per pochi minuti.
“Non temere per la tua vita: non ti tradirò, interverrò presto.”
Sugriva non era affatto entusiasta del piano, ma aveva piena fiducia in Rama, perciò accettò l'idea e partirono subito verso la città. Quando furono arrivati, Sugriva andò sotto le mura e cominciò a gridare e a chiamare il fratello, sfidandolo in duello. Vali sentì le grida e si sorprese della sua temerarietà. D'impeto uscì dal palazzo e corse verso Sugriva. Rama, nascosto dietro un albero, osservava la scena. Ammirò subito la figura alta, agile, possente di Vali e gli dispiacque di doverlo uccidere. I due fratelli si gettarono l'uno contro l'altro e lottarono furiosamente, senza esclusione di colpi. Rama pose subito una freccia nell'arco, ma non riusciva a distinguere l'uno dall'altro, tanto si somigliavano. Preferì non rischiare di commettere un errore fatale. Nel frattempo Sugriva non se la stava passando bene e si chiedeva cosa aspettasse Rama ad intervenire. Ferito, sanguinante, malconcio e come al solito sconfitto dal fratello, Sugriva non se la sentì più di aspettare e batté in ritirata. Raggiunto il nascondiglio di Rama, Sugriva era visibilmente terrorizzato. Ansimava.
“Ma cosa è successo?” gridò. “Perché non sei intervenuto? Vali mi ha quasi massacrato.”
“Non ho potuto fare niente,” rispose il principe. “Siete così simili l'uno all'altro che è impossibile distinguervi. Mettiti questa ghirlanda al collo e torna a sfidare Vali. Stavolta interverrò subito.”
Sugriva, con la grossa ghirlanda al collo, chiamò ancora il suo terribile fratello al combattimento. I due poderosi guerrieri sollevavano enormi nuvole di polvere e il sangue schizzava tutt'intorno. Ma ora Rama poteva distinguere i due: pose di nuovo la freccia sul suo arco e stavolta la lasciò partire. Vali fu trafitto al petto e cadde sul terreno, privo di forze, moribondo.
Lentamente Rama e Lakshmana si diressero dove il valoroso guerriero giaceva e lo salutarono. Nella città la notizia si diffuse come il fuoco in un pagliaio e a migliaia vennero a rendere l'ultimo saluto al re morente.
“Solo in questa maniera sleale Vali poteva essere ucciso,” qualcuno sussurrava. “Vergogna e disonore a chi ha ingegnato un piano così vile.”
Vali aprì gli occhi e guardò quelli bellissimi e dolci di Rama.
“Io ti conosco... so chi sei... la tua fama è chiara e senza macchia... io ho sempre saputo che eri un principe pieno di virtù... come hai potuto colpire un avversario così... a tradimento?”
Rama non rispose. E il valoroso Vanara, respirando a fatica riprese a parlare.
“Nonostante ciò che hai fatto io ho fiducia in te. Ti affido mia moglie... Tara... e mio figlio Angada... proteggili, curati di loro.. dopo la mia morte.”
Così il grande Vali morì, pianto da tutti gli uomini giusti. In suo onore vennero eseguite rispettose esequie.
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Sugriva incoronato
Sugriva fu nominato re di Kiskhindha e Angada, il figlio di Vali, principe reggente. Terminate le cerimonie, i due invitarono Rama a visitare la città. Ma lui declinò l'invito.
“Cari amici, mi dispiace di non poter accettare il vostro invito, ma la promessa fatta a mio padre mi impedisce di visitare qualunque città prima dello scadere dei quattordici anni. Preferisco dunque vivere in qualche caverna qui vicino. La stagione dei monsoni si sta avvicinando. Quando sarà finita cominceremo le ricerche di Sita, come mi avete promesso.”
Rama e Lakshmana trovarono una caverna adatta alle loro esigenze. Sugriva entrò nella città e si dette alla pazza gioia per festeggiare il trono conquistato. Dopo tanti sacrifici voleva gustare i piaceri della vita, e non si accorgeva del passare inesorabile del tempo.
Per Rama invece il tempo passò lentamente e dolorosamente. Il pensiero di Sita lo ossessionava e non lo lasciava un solo momento. Poi giunse la stagione delle piogge.
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La furia di Lakshmana : Gli eserciti si preparano
E anche la stagione delle piogge finì. Arrivò l'autunno e la natura, saziata dalla vivificante acqua, sbocciò in tutta la sua bellezza. Vivendo fra quelle bellezze, Rama sentì ancora di più il dolore dell'assenza dell’amata.
Sugriva non si era più fatto sentire. Intossicato dal potere e dalle gioie dei sensi, sembrava che si fosse dimenticato delle promesse fatte e del voto di gratitudine verso colui che gli aveva dato quelle opulenze. Rama cominciò a diventare inquieto e irritato.
“Lakshmana, Sugriva non si è fatto più vedere. Non vorrei che si fosse dimenticato della promessa fatta. Io gli ho ridato il regno e la vita, uccidendo Vali e non pretendendo niente per me, e ora lui sta godendo della vita, senza preoccuparsi della mia sofferenza. Vai a ricordargli chi deve ringraziare per tutto ciò che ha. Digli che non riesco più a sopportare il dolore della separazione da Sita.”
Ben più arrabbiato del fratello per il comportamento di Sugriva, Lakshmana si affrettò a raggiungere la vicina Kiskindha. Il suo viso non prometteva niente di buono per i Vanara: aveva l'aspetto di uno che volesse distruggere il mondo intero. Vedendolo in quell'atteggiamento, i Vanara che lo incontrarono tremarono di paura e temettero per la vita del loro re e per il bene del regno. Qualcuno lo precedette, annunciando a Sugriva che Lakshmana stava arrivando con un cipiglio furibondo. Nel momento in cui i messaggeri arrivarono, egli era ebbro e giaceva nel letto con sua moglie. Ma quando venne a sapere dell'arrivo dell'infuriato Lakshmana, saltò dal letto impaurito e gli corse incontro per riceverlo. Quando lo vide arrossì violentemente.
“Vedo che sei molto in collera. Ma io non ho dimenticato la promessa fatta a Rama. Come potrei? Tutto ciò che possiedo lo devo a lui. Ho mandato il mio generale Nila a raccogliere i nostri eserciti. Presto arriveranno e troveremo Sita. Non pensare male di me. Non sono un ingrato.”
E moltissimi Vanara da ogni parte del mondo cominciarono presto ad arrivare. Erano cosi tanti che sembravano le onde del mare o tanti fiumi in piena. Tutti erano valorosissimi guerrieri e fedeli alla missione del loro re. Era impossibile contarli, né avere un'idea del loro numero. Quindi Sugriva andò da Rama e chiese perdono per il ritardo. E persino mentre i due discorrevano, innumerevoli Vanara continuarono ad arrivare.
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La partenza
Ora si doveva cercare il regno di Ravana, dove era prigioniera Sita. Sugriva riunì i suoi combattenti. Divise l'esercito in quattro parti e mandò il primo contingente, guidato da Vinata, al nord. Verso est mandò un secondo contingente guidato da Sushena. Verso ovest un grande esercito guidato da Shatabali. Verso il sud invece un battaglione guidato da Hanuman, Nila e Angada. A tutti Sugriva raccomandò di tornare entro un mese. Chiunque non fosse tornato in tempo sarebbe stato severamente punito.
Prima della partenza, Rama incontrò i capi della missione. Voleva parlare con loro, incoraggiarli, raccomandare di fare presto, di mettercela tutta.
“La mia felicità e il mio futuro,” disse loro, “sono nelle vostre mani. Che la fortuna vi assista.”
Rama guardò Hanuman, per il quale nutriva un affetto speciale. Poi gli raccontò diverse storie, quella della nascita di Sita, della sua vita e molte altre.
“In te ripongo la mia speciale fiducia,” gli disse. “Prendi questo anello e quando troverai Sita mostraglielo. Da questo segno lei capirà che tu sei veramente un mio inviato. Narrale le storie che ti ho raccontato. Lei avrà fiducia in te e le infonderai coraggio. Andate, presto, partite ora, e tornate con buone notizie.”
Hanuman porse rispettosi omaggi ai piedi di Rama. Con grande clamore gli eserciti partirono.
Quando aveva istruito i suoi Vanara sui luoghi dove avrebbero dovuto andare, Rama si era accorto che Sugriva aveva dimostrato una perfetta conoscenza geografica di tutto il pianeta. Era curioso di sapere come l'aveva acquisita.
“Quando Vali mi cacciò dal regno,” rispose Sugriva, “fuggii per paura di essere ucciso e lui mi inseguì per tutto il globo. Fu allora che, per forza di cose, imparai a conoscere questo mondo.”
Cominciarono con l'attesa impaziente del ritorno degli eserciti, sperando di avere buone notizie.
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Viaggio verso il sud
Dopo un mese Vinata tornò dal nord senza aver trovato alcuna traccia di Sita. Poi tornarono Sushena e Shatabali, con lo stesso risultato. Ma seguiamo il gruppo di Hanuman e Angada nel loro viaggio verso il sud.
I Vanara procedettero velocemente, attraversando montagne e vallate, incontrando eremi e imbattendosi in molte avventure. Un giorno Angada uccise un demone credendo che fosse Ravana.
Il mese stava per terminare e cominciarono ad avere timore per la punizione che Sugriva aveva minacciato di infliggere loro se fossero arrivati in ritardo. Il tempo stava per finire inesorabilmente, ma non volevano arrendersi, volevano trovare Sita. Cercarono ovunque, strenuamente, senza un momento di riposo, senza mangiare, senza concedersi tregua. Un giorno in una caverna incontrarono un asceta di nome Swayamprabha. E in quei giorni il mese terminò. Si trovavano sulle pendici di una montagna rocciosa e sotto di loro si stendeva l'ennesima vallata. Angada guardò i suoi compagni: era sfiduciato.
“Amici miei,” disse, “il mese è finito e voi sapete quanto sia crudele Sugriva. Ci punirà severamente per il ritardo. Non ci lascerà vivere dopo avergli disobbedito. Ricordate con quanta malvagità e con quale slealtà ha fatto uccidere mio padre? Non riusciremo a trovare Sita. E piuttosto che essere punito e ucciso da lui, preferisco digiunare fino alla morte. Non riusciremo a trovare Sita. Per noi non c'è più speranza. Io preferisco morire qui.”
Hanuman incitò i Vanara a continuare la ricerca, a non disperare ma, stanchi e sfiduciati, i Vanara non lo ascoltarono. Angada ed altri cominciarono il digiuno.
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La speranza ritorna
Sulla cima del monte viveva un gigantesco avvoltoio. Guardando i Vanara che si apprestavano a digiunare fino alla morte, ringraziò la provvidenza di avergli mandato così tanto cibo senza nessuno sforzo. Sampati - così si chiamava - uscì dalla sua caverna e si mise a osservare i Vanara che digiunavano, aspettando la loro morte. Ricordate? Sampati era il fratello maggiore di Jatayu, che era morto nel tentativo di proteggere Sita. Angada vide il grosso avvoltoio e cominciò a lamentarsi.
“Amici, guardate quell'avvoltoio. Presto si ciberà delle nostre carni. Ma dobbiamo essere pronti anche ad abbandonare la nostra vita per servire Rama. Ricordate Jatayu a Panchavati? Ha sacrificato la sua vita per servire Rama. Coraggio, dunque: affrontate la morte da eroi.”
Sampati sentì il nome del fratello e solo allora apprese della sua morte.
“Principe, il mio nome è Sampati,” gridò ad Angada. “Quel Jatayu che prima hai nominato era il mio fratello minore. Ho sentito che è morto. Raccontami come è accaduto. Raccontami chi è quella persona per la quale ha sacrificato la sua vita e come l'ha incontrato.”
Sampati non aveva più le ali e si muoveva con difficoltà. Angada e gli altri erano diffidenti. Era veramente, quel grosso avvoltoio, il fratello di Jatayu?
“Aiutatemi a scendere giù da voi,” disse cercando di scendere. “Le mie ali sono state bruciate dai raggi del sole e da quel giorno non mi è stato più facile muovermi.”
I Vanara furono presi dal sospetto che stesse mentendo per mangiarli prima che fossero morti, ma decisero ugualmente di aiutarlo a scendere. Sceso tra di loro, Sampati non mostrò cattive intenzioni e i Vanara si rincuorarono. Angada gli raccontò la storia di Rama, il rapimento di Sita, lo scontro di Jatayu con Ravana e la sua morte. Poi raccontò anche la storia dell'alleanza di Rama con Sugriva, la morte di Vali e la drammatica ricerca di Sita. Quando Angada ebbe finita la sto- ria, Sampati sembrava triste.
“Jatayu era la persona più cara che avevo. É per lui che ho sacrificato le mie ali. Sapete, un giorno, molto tempo fa, stavamo tornando dai pianeti celesti e vidi che lui soffriva per il caldo eccessivo. Vedendolo così sofferente lo coprii con le mie ali, ma quel giorno i raggi del sole erano così forti che mi bruciarono e caddi su questa montagna chiamata Vindhya, dove ci troviamo ora. Da quel giorno non ho saputo più niente di Jatayu.”
Angada pensò che forse Sampati, che viveva sulle cime di quelle montagne, poteva aver saputo o visto qualcosa che poteva aiutarli nella ricerca. Non ci sperava molto, ma si sa, la speranza è l'ultima a morire.
“Forse tu puoi aiutarci,” gli chiese. “Sai qualcosa di Sita? Hai visto niente di strano? Aiutaci, se puoi.”
Sampati rifletté un momento.
“Si,” rispose lui, “ora che ci penso ricordo di aver sentito parlare di una bellissima donna che veniva portata via da un grande Rakshasa. Lei gridava: Rama! Rama! aiuto!, e cercava di districarsi dalla presa. Dal vostro racconto penso di poter mettere in relazione il rapimento di Sita con quella storia.
“Sapete perché vi dico tutto questo? Ve lo dico perché voglio vendicare la morte di mio fratello, e vi dirò anche dove si trova il regno di quel demone. Sicuramente troverete Sita lì. Quel Rakshasa era Ravana e il suo regno è l'isola di Lanka.”
A quella notizia tutti i Vanara sgranarono gli occhi dalla gioia: non speravano più di trovare anche la minima traccia di Sita, che sembrava svanita nel nulla. Tutti cominciarono a saltare dalla gioia e si abbracciarono.
“Amico nostro carissimo,” disse il saggio Jambavan a Sampati. “Non puoi neanche immaginare quanto conforto e felicità ci abbia dato questa notizia. Ma come sei venuto a sapere di questo fatto?”
“Io ho un figlio che si chiama Suparsva,” rispose. “Da quando le mie ali sono state bruciate dal sole è lui a procurarmi il cibo e ogni giorno viene nella caverna dove abito. Un giorno arrivò in ritardo e gliene chiesi le ragioni. Ero molto affamato e mi accorsi in modo particolare del ritardo. Mi raccontò che aveva visto un gigantesco Rakshasa che volava e che portava con sé una donna giovane e bella che si dimenava e urlava: Rama! Rama! Si incuriosì su chi potesse essere quel Rakshasa così maestoso e lo chiese ai saggi della montagna: loro gli dissero che era Ravana e che quella donna era Sita. Ora sapete perché ero al corrente del passaggio di Ravana.”
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Sampati riacquista le ali
“Ora voglio raccontarvi alcuni dettagli della mia storia che ancora non sapete.
“Quando caddi sulla montagna con le ali bruciate e completamente inutilizzabili, scesi faticosamente dal picco di questa montagna e lì vicino incontrai un saggio di nome Nishakara. Lui mi vide e mi chiese:
“Cosa ti è successo? Perché le tue ali sono bruciate?”
“E io gli dissi: cercando di proteggere la vita di mio fratello mi sono avvicinato troppo al sole e così mi sono bruciato. In questa condizione la mia vita non ha senso e quindi desidero morire saltando giù dal picco della montagna.”
“No, non farlo,” disse il misericordioso saggio. “Non ti preoccupare per questa tua infermità perché riavrai presto le tue ali. Un giorno incontrerai i fedeli Vanara amici di Rama, alla ricerca della sua cara moglie. Se tu darai loro le indicazioni necessarie per ritrovarla riacquisterai le tue ali.”
E proprio mentre Sampati parlava con i Vanara, un paio di meravigliose ali spuntarono dal suo corpo. Colmo di gioia, Sampati spiccò il volo e cominciò a volteggiare in cielo.
“Non preoccupatevi, presto ritroverete Sita. Andate più a sud, oltre l'oceano. Sita è lì,” gridò dall'alto.
E scomparve in cielo. Rincuorati da Sampati, i Vanara si diressero più a sud.
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Chi può saltare l'oceano?
Dopo molti altri chilometri, il gruppo arrivò sulle rive dell'oceano. Secondo le indicazioni di Sampati, a molti chilometri di distanza c'era Lanka, e a Lanka c'era Sita, l'oggetto della loro ricerca. I Vanara guardarono il grande oceano e la distanza che li separava dall’isola. Si guardarono in volto l'un l'altro: e come avrebbero potuto superare un oceano così grande? Furono presi di nuovo dallo scoraggiamento. Vedendo le facce attonite dei suoi migliori guerrieri, Angada volle incoraggiarli, dare loro la speranza.
“Nessuno di voi,” tuonò, “i migliori guerrieri che ci siano, è in grado di saltare la distanza che ci separa da Lanka? Come è possibile?”
Nessuno osò parlare.
“Quanto pensate di essere in grado di saltare?” chiese ancora. “Perché non rispondete?”
Ancora una volta nessuno rispose. Angada, il figlio di Vali, non si perse d'animo.
“Non potremo mai tornare orgogliosamente nelle nostre case, dalle nostre famiglie, senza aver ritrovato Sita. Riprendete coraggio, dunque, e ditemi quanto ognuno di voi pensa di poter saltare.”
Ogni Vanara dichiarò le proprie capacità, ma nessuno si sentì in grado di saltare le ottocento miglia di oceano. Allorché Jambavan intervenne.
“Io sono in grado di saltare ottocento miglia,” disse, “ma non so se poi sarei in grado di tornare.”
“Anch'io so di poter saltare ottocento miglia,” dichiarò poi Angada stesso, “ma non sono sicuro di essere in grado di tornare.”
A questo punto un silenzio agghiacciante scese tra gli eroici Vanara: tutti avevano parlato e nessuno si riteneva capace di una simile impresa. Solo Hanuman non si era ancora pronunciato. Stava seduto in disparte e non partecipava alla discussione. Tutti lo guardavano, ora. Jambavan si avvicinò a lui.
“Hanuman, tu sei capace di saltare ottocento miglia,” gli disse. “Io lo so.”
Hanuman lo guardò, sinceramente stupito.
“Io non ne sono capace. Cosa dici? Come potrei fare una cosa simile?”
“Tu non ricordi chi sei e i poteri che possiedi,” incalzò Jambavan. “Ascoltami pazientemente e ti narrerò la storia della tua gioventù e di come tu l'abbia dimenticata.”
Jambavan gli raccontò tutta la storia e Hanuman ricordò di avere straordinari poteri che gli potevano permettere fantastiche imprese. Così decise di andare a Lanka saltando oltre l'oceano. Salì sul monte Mahendra e si concentrò. Poi fletté le gambe contro il terreno per darsi la spinta e l'enorme montagna gridò di dolore. Dentro di sé Hanuman pensava solo a Lanka.
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