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Nell'antica religione dell'Egitto, come Osiride offre il modello del principe, così Ermete offre il modello del sacerdote. Tat, ossia Ermete tre volte grandissimo (Trismegisto) fu innanzi a tutte le cose: egli solo comprese la natura del Demiurgo e depose tal cognizione in libri che non rivelò se non quando le anime furono create. Aiutante del primo Fattore, foggiò i corpi da congiungere alle anime e vi aggiunse la dolcezza, la prudenza, la moderazione, l'ubbidienza, l'amore del vero. Scrisse la storia degli Dei, del cielo e della creazione; comunicò la scienza a Camefi avo di Iside e Osiride ed a questi concesse di penetrare negli arcani suoi scritti, parte dei quali serbarono per sé, parte scolpirono su colonne, come regola alla vita degli uomini. Quelle prime scritture furono poi tradotte in lingua comune dal secondo Ermete, inventore della scrittura, della grammatica, dell'astronomia, della geometria, della medicina, della musica, dell'aritmetica, della religione e di tutte le arti.

I libri ermetici, che Giamblico fa ascendere a ventimila, sono perduti, e della filosofia in essi compresa differente informazione ci danno gli antichi. Tuttavia a noi rimangono degli scritti raccolti col titolo di "Poimandres", attribuiti ad Ermete Trismegisto. E' nota l'influenza che questi libri ebbero nei primi tempi del Cristianesimo e come i Padri della Chiesa spesso li chiamano in testimonianza e ne riportino brani e sentenze.

E quando un religioso, dalla Macedonia, portò il Poimandres a Firenze sotto il nome "De potestate et sapientia Dei"a Cosimo dei Medici e questi ne consigliò una traduzione latina a Marsilio FICINO, i filosofi e gli eruditi credettero di possedere il più antico monumento della teologia egiziana. E, notate le somiglianze tra i dogmi cristiani e le idee espresse nei libri ermetici, stabilirono che Ermete Trismegisto fosse un antichissimo, ispirato precursore del Cristianesimo.

La critica posteriore ha dimostrato che i libri che vanno sotto il nome di Ermete sono opere, assai tarde, dell'epoca alessandrina, espressione ultima della filosofia greca. Alcuni hanno negato, perciò, ogni valore di antichità alle idee ermetiche; altri si son limitati ad affermare che, tra le idee alessandrine che ne formano lo sfondo, nei libri ermetici si rinvenga qualche vestigio di idee religiose degli antichi Egizii. Ad un attento esame appare, invece, che il fondo sostanziale è eminentemente egiziano e che le idee ellenistiche e giudaiche sono elementi di second'ordine.

Se così è, non potrà sfuggire la grande importanza che questi libri hanno nella storia della filosofia e della religione. In fondo, gli antichi Padri della Chiesa ed i Neoplatonici del '400 non s'ingannavano gran che nei loro giudizi - salvo la interpretazione che dei libri ermetici davano - ed erano assai più vicini alla verità dei moderni critici che hanno voluto togliere ogni valore di antichità a quest'opera.

Perché, è vero che il Poimandres ci è giunto in greco, ma ciò non esclude che l'autore potesse essere un egizio, quando si pensi alla comunione di credenze ed ai continui scambi d'idee dell'Egitto e della Grecia, e si rifletta che anche Filone scrive in greco, benché giudeo. E non è impossibile - come crede il Parthey - che possa, col tempo, venire a luce il testo demotico del Poimandres.

Quel che sembra certo al Ménard è che il Poimandres sia uscito da quella scuola di Terapeuti d'Egitto spesso confusi con gli Esseni di Siria e di Palestina. Forse a quest'ultimo gruppo è dovuto il "Pastore"di Ermas ed il nome dell'autore e dell'opera ha suggerito l'idea a qualche terapeuta giudeo-egiziano, di comporre, a sua volta, - per ispirito di rivalità - una specie d'apocalisse meno moralista e più metafisica e di attribuirla non ad un Ermes o ad un Ermete contemporaneo, ma al famoso Ermete Trismegisto, celebre in tutto l'Egitto.

L'ipotesi è ingegnosa e possibile. Ma a me non sembra improbabile che l'ignoto autore fosse un iniziato in qualche società segreta esoterica egizia, conservatrice del significato primitivo dei simboli e dell'originario senso della religione: un'intuizione semplice, ma profonda della natura, considerata vivente e identica in tutte le sue parti; poiché nel Poimandres ritroviamo espressi in forma filosofica i simboli dell'antica teologia.

Plutarco dice che la scienza sublime dei sacerdoti consisteva nel riguardare Fta come il grande architetto dell'universo, di cui la sapienza adoravasi specialmente in Sais col nome di Neit, la bontà in Elefantina con quello di Knef di cui era simbolo un serpente in sé ritorto. Questi puri attributi, passando alla dottrina esoterica, diventarono tre persone: Iside, Osiride e Oro, e, man mano, il panteismo andò trasformandosi in politeismo. Così il senso originale filosofico-teologico si perdeva, e non ci fa maraviglia apprendere da Erodoto che al suo tempo i sacerdoti non intendessero più i simboli.

Ma non è supponibile che il significato loro fosse distrutto per sempre: delle società segrete avranno trasmesso, mediante i misteri, la primitiva dottrina esoterica.

Tra gli iniziati di questa società è da ricercare l'autore del Poimandres.

Ma non si creda che i quattordici capitoli ond'è composta quest'opera, formino un tutto organico e siano da attribuirsi ad una sola persona. Sono scritti varii, spesso in contraddizione tra di loro; di stile, di concetto, d'intonazione, diversissimi.

Il carattere sacro ed entusiasta del Poimandres non è comune agli altri capitoli, alcuni dei quali sono scheletrici e nudi, altri prolissi e ridondanti, altri addirittura poverissimi di concetto e pretensiosi. Inoltre le idee espresse non son sempre le stesse, ma assumono atteggiamenti diversi, se non in contrasto, per lo meno in non perfetta concordanza tra di loro.

Così, l'Intelligenza suprema che nel primo capitolo è detta Poimandres (il pastore d'uomini) non è mai indicata con questo epiteto nel resto dell'opera. Soltanto una volta vi si accenna e in modo oscuro.

Ma c'è di più. Nel cap. XI Ermete domanda all'Intelligenza se Dio sia invisibile e l'Intelligenza gli dimostra che nessuno è più visibile di lui. Ora nel cap.V è proprio Ermete che spiega a Tat questo concetto chiaramente e con ampiezza.

Nel decimo capitolo vi sono ricordati come antenati Urano e Crono e poi si parla dell'Olimpo, il che prova che chi scriveva era un greco autentico. Tuttavia non sarebbe facile determinare con certezza a quali autori - egiziani, greci o giudei - appartengano i singoli scritti poiché la più straordinaria mescolanza di credenze e di opinioni vi si trova, eco fedele del compenetrarsi e del fondersi di tre religioni e filosofie diverse in quella immensa fucina d'idee che fu Alessandria d'Egitto.

E per gli accenni ad altri scritti che s'incontrano qua e là, abbiamo ragione di credere che questi quattordici capitoli siano frammenti d'un'opera più vasta alla quale abbiano contribuito parecchie mani, e non tutte della stessa generazione.

Ma qual è il contenuto di questi libri.

Ecco; mentre Ermete è nello stato propizio alla contemplazione, gli appare Poimandres, l'Intelligenza suprema, il padre creatore di tutte le cose, il quale mostra ad Ermete (l'Intelligenza umana), mediante una visione, la creazione e glie ne spiega il significato recondito: L'Intelligenza crea la luce, il Verbo luminoso (il Sole) mediante il quale crea lo Spirito (Pneuma) da cui nascono sette ministri che racchiudono in sé il mondo sensibile e lo governano. Questo governo è il Destino o Fato.

Iddio non ha creato il mondo dal Nulla, ma l'ha ordinato mediante il Verbo; ha poi creato l'uomo a sua immagine.

Ora chi ha conosciuto sé stesso, cioè ha preferito l'anima al corpo, dopo morto si libera - salendo attraverso i 7 cerchi - delle passioni, e giunge fino a Dio, anzi diventa Dio. Poiché questo è il bene finale della Gnosi: divenir Dio. A questo punto finisce la visione, ed Ermete sorge e va predicando tra gli uomini la bellezza e la grandezza della Gnosi, diventando la guida del genere umano.

Nel capitolo secondo si discute e si determina la natura del moto e dello spazio e poi si dà la definizione di Dio. "Iddio - dice Ermete - non è l'Intelligenza, ma la causa dell'Intelligenza: non è lo Spirito, ma la causa dello Spirito, non è la Luce, ma la causa della Luce"A lui solo convengono due nomi: quello di buono poiché il bene esiste soltanto in Dio e quello di padre perché è il creatore di tutte le cose.

Poi Ermete espone in forma enfatica l'andamento della creazione ed accenna alla gran legge del perpetuo rinascere di ogni cosa e del continuo rinnovamento. Inizia poi suo figlio Tat e gli parla di Dio.

Questi ha dato a tutti la ragione, ma non l'intelligenza che è premio da conquistarsi. Ne ha riempito un cratere e l'ha mandato tra gli uomini: solo chi vi si è battezzato possiede la Gnosi. Ermete spiega questo concetto: essendo l'uomo duplice, formato d'anima e di corpo, chi non odia il corpo, non può amare l'anima cioè sé stesso. La scelta è libera. Quando si ama la propria anima, si ha l'Intelligenza e quindi la Gnosi, che è un mezzo per arrivare al Bene cioè a Dio.

Trattando la questione del male, Ermete dice che questo non viene da Dio, ma da noi che lo preferiamo al bene. Il bene è invisibile, non ha forma, è simile a sé stesso e differente da tutto il resto; il male, invece, è visibile e perciò lo preferiamo.

Iddio è Bene ed Unità (Monade), che contiene tutti i numeri e non è contenuta da alcuno, li genera senz'essere generata; è quindi il Perfetto. Iddio è invisibile ma si mostra attraverso le apparenze dei corpi che sono un mezzo da lui adoperato per rivelarsi. Avendo tutto creato, Egli può dirsi padre di tutto, anzi la sua essenza è quella di creare. E siccome nulla esiste senza creatore, così Dio non esisterebbe se non creasse continuamente: quello che esiste lo ha manifestato; quello che non esiste lo ha in sé stesso, in potenza.

Poi Ermete parla del Bene. Il vero bene, il bene assoluto è in Dio. Tra gli uomini il bene è il meno male: esiste di nome, non di fatto, perché il bene è incompatibile con un corpo materiale. Il bene divino si manifesta mediante il Bello, tuttavia neppure il Bello è visibile. Chi comprende Iddio, comprende anche il Bene e il Bello; e la via per comprendere Iddio è la Gnosi.

Parlando poi della morte, Ermete dice che essa non esiste poiché se il mondo è il secondo dio, nessuna parte di un essere immortale può morire. Perciò l'uomo che fa parte della divinità del mondo non può morire. Ciò che gli uomini chiamano morte non è che trasformazione di apparenze: non muoiono le cose, ma le sensazioni.

Ermete viene così a parlare del pensiero e della sensazione e dice che hanno tra loro reciproche influenze: l'unione del pensiero e della sensazione è il carattere dell'uomo. Anche il mondo ha pensiero e sensazione, però più semplici: creare tutte le cose e farle rientrare in sé. In tutti gli animali sensazione e pensiero vengono dal di fuori: il mondo li ha ricevuti da Dio alla sua nascita. Anche Dio ha pensiero e sensazione: fa tutto scaturire da sé stesso.

Nel capitolo decimo Ermete espone la dottrina della metempsicosi. Dall'anima unica dell'universo si staccano infinite anime che attraversano numerosi cangiamenti, felici o avversi: dai rettili agli uomini. Le anime umane, passando pei dèmoni, giungono all'immortalità, quindi entrano nel coro degli Dei immobili, e questo è l'ultimo grado dell'iniziazione gloriosa dell'anima. Ma quando l'anima dell'uomo è cattiva, torna indietro e ridiscende. Ecco ora come è formata l'anima dell'uomo:

L'Intelligenza è nella
Ragione;
la Ragione
nell'Anima;
l'Anima
nello Spirito;

Lo Spirito è nel
Corpo
E penetrando nel sangue, fa muovere l'organismo.

Così tutto proviene dall'Intelligenza che è principio ed unità: tutto viene dall'Uno. Questa è la trinità: Iddio, il mondo, l'uomo. Dio contiene il mondo, il mondo contiene l'uomo. Le energie sono i raggi di Dio, le creazioni sono i raggi del mondo; le arti e le scienze sono i raggi dell'uomo. Questo è il regime universale, conseguenza di una sola Intelligenza.

Nel capitolo undicesimo l'Intelligenza parla ad Ermete esponendogli idee già conosciute nel senso che tutto proviene da un Dio solo, ed accenna all'intuizione profonda di Dio.

Di nuovo Ermete parla a Tat dell'Intelligenza. Tutti sono sottoposti al destino, ma chi ha Intelligenza è estraneo al male e quindi non lo soffre: l'Intelligenza, essendo l'anima di Dio, domina tutte le cose, anche perciò il destino. E parlando del linguaggio, Ermete dice che, sebbene le lingue siano diverse tra gli uomini, la parola è la stessa perché la ragione parlata è una: la parola è immagine dell'Intelligenza.

Ermete poi mostra a Tat la via che mena alla rinascita: la liberazione delle passioni - vendette della materia - . Allora si acquista la Gnosi e s'invocano le potenze delle dieci sfere. Quando la decade è completa, la nascita ideale è avvenuta e si nasce alla contemplazione.

Le dieci potenze scacciano le dodici vendette che sono nel corpo, pitagoricamente detto skénos (tenda). La rinascita è vedere l'universo in sé stesso, nell'Intelligenza, distogliendo il pensiero dalle tre dimensioni. Nell'ultimo capitolo, Ermete parla ad Asclepio dei due termini necessari: creatore e creato, che bisogna sempre aver presenti. Se il creatore è colui che crea, è evidente che egli crea da sé. Se il mondo è il creato, nasce da un creatore. Questi sono i due termini indissolubili. Iddio ha tutto creato: nel cielo l'immortalità, sulla terra il cangiamento; dovunque movimento e vita. I quattro principii, Dio e la creazione costituiscono tutto ciò che esiste.

Queste, in breve, sono le idee principali espresse in questi quattordici scritti. Iddio vi è dunque considerato come Causa prima di tutte le cose: egli non è l'Intelligenza, ma la causa dell'Intelligenza, non è la Luce, ma la causa della Luce. E' importantissimo osservare come la teogonia espressa nel Poimandres non sia altro, in fondo, che l'espressione, in forma filosofica ellenistica, dell'antico simbolismo egiziano. Nel Poimandres l'Intelligenza mediante il Verbo crea il Dio dello spirito dal quale procede il mondo sensibile; nell'antichissima religione egizia Knef - il Bene - manda fuori dalla bocca un uovo dal quale nasce Fta - lo spirito attivo e sapiente -.

Sopra un tempio di Sais era scritto: "Io sono quello che è, fu, e sarà; nessun mortale sollevò il velo che mi copre", concetto che si ritrova identico nei libri ermetici "Egli è ciò che è e ciò che non è ". Nel Libro dei morti, Iddio definisce sé stesso: "Io sono Atum (l'inaccessibile) che ha fatto il cielo, che ha creato tutti gli esseri…. Io sono Ra (la luce increata) che governa ciò che egli ha fatto… Io sono il gran Dio che genera sé stesso… Io era ieri e conosco il domani… Io sono la legge dell'esistenza e degli esistenti".

É proprio questo il Dio del panteismo ermetico: "L'Eterno non è stato generato da un altro: è nato da sé, o, piuttosto, si crea da sé eternamente…..". Nel Poimandres il primo nato di Dio è il Verbo luminoso cioè il Sole che crea tutte le cose, ed in una stele del museo di Berlino il Sole è detto "il primo nato, il figlio di Dio, il Verbo". E così anche il terzo dio Ermetico, l'uomo nel suo senso astratto, ha analogia con Osiride considerato come ideale dell'umanità: nel Rituale funerario l'anima è sempre chiamata "Osiride"di qualcuno. Bastano questi pochi ma sostanziali raffronti per comprendere come la concezione ermetica risponda perfettamente alle dottrine religiose dell'antichissimo Egitto.

Tuttavia non si può negare l'importanza dell'influsso della filosofia greca nello svolgimento dei concetti ermetici. Elementi greci si trovano sparsi qua e là, specialmente tratti dalla filosofia platonica, né mancano accenni ai misteri orfici e pitagorici,però non possiamo determinare con sicurezza l'origine greca. Così, per citare un esempio, il carattere androgino dell'uomo primitivo del Poimandres si ritrova bensì nel Convito di Platone, ma espresso in forma grottesca ed ha tutta l'aria di non essere una concezione ellenica, ma una credenza straniera - e nulla impedisce che possa essere egiziana - il che spiegherebbe il tono poco serio nel quale è presentata. Anche il mito di Narciso, che sembrerebbe schiettamente greco, è il simbolo d'una idea comune alle religioni spiritualistiche cioè che l'amore del corpo distrugge l'essenza dell'uomo cioè l'anima.

Gli elementi greci non costituiscono il fondo della concezione ermetica: sono sfumature che non fanno mutare la fisionomia ieratica egiziana di questi scritti.

Quel che è assai più notevole è la loro straordinaria somiglianza con la filosofia dei brahmani. Raffrontando i libri ermetici col Bhagavad-Gita, si trovano le stesse idee manifestate quasi con le stesse parole. E non potremmo in alcun modo spiegarci tali analogie - mancando ogni prova positiva di relazioni tra l'India e l'Egitto - se non ammettessimo che le idee espresse nel Poimandres siano di origine antichissima, fedeli espressioni di quei principii che si ritrovano identici in tutte le religioni idealistiche.

E la stessa sorprendente somiglianza riscontriamo tra il Poimandres e il Vangelo di San Giovanni, per quel che riguarda il Verbo. Nel Poimandres è detto:
"Questa luce sono io, l'Intelligenza, il tuo Dio che precede la natura umida uscita dalle tenebre, ed il Verbo luminoso che emana dall'Intelligenza è il figlio di Dio". E nel Vangelo di San Giovanni: "Nel principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio".

Ed anche, nel Poimandres: "Il Verbo di Dio si sollevò bentosto dagli elementi inferiori nella pura creazione della natura e si unì al pensiero creatore". E in San Giovanni: "Per mezzo di lui (del Verbo) furon fatte tutte le cose: e senza di lui nulla fu fatto di ciò che è stato fatto".

Da ciò il Ménard crede di poter asserire che le due opere siano quasi contemporanee. E, data l'identità dei concetti, quest'asserzione potrebbe sembrar giusta. Sennonché, sopra uno dei muri del tempio di File e sulla porta di Medinet Abou, quattordici secoli avanti, una mano egizia aveva scritto: "E' lui il sole (cioè il Verbo) che ha fatto tutto ciò che esiste e nulla è stato fatto senza di lui"parole quasi identiche a quelle di San Giovanni e del Poimandres.

Bisogna dunque credere che San Giovanni abbia attinto dagli scritti ermetici - depositari degli antichi principii - quello spirito si simbolismo pel quale egli si lascia tanto indietro gli altri evangeli. E non sembrerà ardita quast'affermazione se si pensi che San Giovanni dev'essere assai posteriore all'autore ignoto del Poimandres perché quivi il Verbo è ancora considerato in astratto, laddove nel Vangelo di San Giovanni è espressa l'idea dell'incarnazione del Verbo, dando luogo così alla definitiva concezione della seconda persona della trinità in senso cristiano.

Per queste ragioni possiamo ritenere il Poimandres come il più fedele interprete dell'antica e misteriosa religione degli egizi. La sua importanza maggiore è qui; la parte di pensiero greco che contiene è piccola cosa, ma costituisce il tramite mediante il quale lo spirito antichissimo egizio influì - assai più di quel che non sembri - sulla formazione del pensiero cristiano.
G. Bonanni

Nota
I libri di Ermete Trismegisto furono da un monaco portati dalla Macedonia a Cosimo dei Medici che ne volle una traduzione latina da Marsilio Ficino. Questa però, più che traduzione, è un'imperfetta interpretazione, in senso cristiano, del testo greco allora scorrettissimo. Su questa interpretazione latina di Marsilio eseguì una versione italiana - ora rarissima - assai lontana, com'è naturale, dall'originale, il Benci nel '500. Ho creduto, perciò, utile di presentare una traduzione italiana fedele e letterale fatta sull'eccellente testo critico greco, anch'esso rarissimo "HERMETIS TRIESMEGISTI, Poemander. Ad fidem codicum manu scriptorum recognovit Gustavus Parthey. Berolini prostat in libraria Fr. Nicolai 1854".

 

Indice

Introduzione Ermete Trismegisto Il Discorso Universale Il discorso Sacro Della Monade

Il Dio invisibile è visibile Il Bene è solo in Dio Il Male Nulla muore Il Pensiero

  La Chiave   Dell'Intelligenza comune Dell'Ordine e del Silenzio Della Saggezza