MILINDAPAÑHA
LE DOMANDE DEL RE MILINDA
LIBRO II - Capitolo II

 

Mld:II.2.3 - Conoscenza e saggezza

 

Il re disse: “Colui che possiede conoscenza, Nagasena, possiede anche saggezza?”
“Sì, grande re.”

“Allora sono la stessa cosa?”
“Sì.”

“Allora egli sarebbe, con la sua conoscenza – che tu dici essere la stessa cosa della saggezza – ancora pieno di ignoranza o no?”
“Riguardo ad alcune cose, sì; riguardo ad altre, no.”

“E in cosa sarebbe ancora pieno di ignoranza?”
“Sarebbe ancora pieno di ignoranza in quelle parti dell’insegnamento che non ha imparato, in quei paesi che non ha ancora visto, e in quei nomi o termini che non ha ancora udito.”
“E in cosa non sarebbe pieno di ignoranza?”
“In ciò che è stato realizzato mediante la visione profonda – (la percezione) – dell’impermanenza di tutti gli esseri, della sofferenza inerente all’individualità, e dell’inesistenza di un’anima.”
“Allora cosa è successo alla sua ignoranza su quei punti?”
“Una volta sorta la conoscenza, in quel momento l’ignoranza scompare.”

“Datemi un esempio.”
“É come quando una lampada, una volta portata ed accesa da uomo in una stanza buia, l’oscurità scompare e la luce appare.”
“E cosa, Nagasena, è successo, d’altro canto, alla sua saggezza?”
“Quando la retta saggezza ha fatto ciò che doveva fare, allora la ragione cessa. Ma rimane ciò che è stato acquisito tramite essa – la conoscenza, cioè, dell’impermanenza di ogni essere, della sofferenza inerente all’individualità, e dell’inesistenza di un’anima.”

“Datemi un esempio, reverendo signore, di ciò che avete appena detto.”
“É come quando un uomo vuole, durante la notte, spedire una lettera, e dopo aver chiamato il suo segretario, fa accendere una lampada in modo da poter scrivere la lettera. Allora, quando tutto è stato fatto, egli spegne la lampada. Ma anche se la lampada è stata spenta lo scritto è ancora là. In questo modo la ragione cessa e la conoscenza rimane.”
“Datemi un altro esempio.”
“Nei distretti orientali i contadini hanno l’usanza di mettere cinque recipienti pieni d’acqua dietro ad ogni capanna in modo da spegnere ogni principio di incendio. Immaginate ora che la casa si fosse incendiata e loro avessero gettato quei cinque recipienti pieni d’acqua sulla capanna, e il fuoco fosse spento, penserebbero quei contadini a gettare ancora quei recipienti pieni d’acqua?”
“No, venerabile, i recipienti pieni d’acqua hanno già fatto ciò che dovevano. A cosa servono ormai (in quella occasione)?”
“I cinque recipienti pieni d’acqua sono i cinque organi del senso morale – fede, perseveranza nello sforzo, presenza mentale, meditazione e retta saggezza. I contadini sono il monaco dedito nello sforzo; il fuoco è la malvagità. Come il fuoco è spento dall’acqua nei cinque recipienti, così la malvagità è spento dai cinque organi del senso morale, e una volta spenta non sorge di nuovo.”

“Datemi un altro esempio.”
“É come un medico che si reca dal malato con cinque specie di droghe estratte da piante medicinali, e macinatele, gliele dà a bere, tanto che la malattia scompare. Penserebbe il medico di usare ancora quella medicina?”
“Certo che no, la medicina ha fatto ciò che doveva fare. A cosa serve ormai?”
“Proprio così, o re, quanto la malvagità è distrutta dai cinque poteri morali, allora la ragione cessa e la conoscenza rimane.”

“Datemi ancora un altro esempio.”
“É come un guerriero, nato per la guerra, che prende cinque giavellotti e va a combattere in battaglia per conquistare il nemico. Quando li ha lanciati ha vinto il nemico. Pertanto non c’è più bisogno di lanciare altri giavellotti.”

“Ben detto, Nagasena.”

 


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