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L'anima del cosmo sensibile è congiunta al suo corpo per sempre e inscindibilmente: poiché l'Universo è una totalità, essa né vi discende né se ne separa, ma gli conferisce una vita perenne e una infinita durata. Perciò il mondo non ha avuto principio né mai avrà fine. Ma le anime individuali, in quanto costituiscono cicli definiti di vita chiusi dentro una nascita e una morte e sono congiunte per un certo tempo a una porzione di corporeità, rappresentano «episodi» diversi della vita universale e molteplici destini, ognuno dei quali non è apparenza fugace e insignificante, ma ha il suo fondamento metafisico nell'essere eterno e nella serie delle vite antecedenti cariche di morali responsabilità....
Il documento che
presentiamo, ai nostri Ospiti, per studio e considerazioni è tratto da "Plotino" Grazanti 1945.
Il
Destino dell'Anima
L'anima del cosmo sensibile è congiunta al suo
corpo per sempre e inscindibilmente: poiché
l'Universo è una totalità, essa né vi discende
né se ne separa, ma gli conferisce una vita
perenne e una infinita durata. Perciò il mondo
non ha avuto principio né mai avrà fine. Ma le
anime individuali, in quanto costituiscono cicli
definiti di vita chiusi dentro una nascita e una
morte e sono congiunte per un certo tempo a una
porzione di corporeità, rappresentano «episodi»
diversi della vita universale e molteplici
destini, ognuno dei quali non è apparenza fugace
e insignificante, ma ha il suo fondamento
metafisico nell'essere eterno e nella serie
delle vite antecedenti cariche di morali
responsabilità. Soltanto l'anima individuale
discende nel suo corpo; ma tale discesa non è
dovuta a una colpa o a un caso irrazionale,
bensì alla necessità cosmica che governa con la
sua legge la gerarchia degli esseri e il
processo della divina generazione. Il pensiero
platonico a questo proposito, ancora involuto
nelle narrazioni mitiche del Fedro e del Timeo e
oscillante tra posizioni speculativamente
immature, trova finalmente nella struttura
metafisica della dottrina plotiniana il suo
sbocco definitivo. La vita dell'anima nel corpo
per Platone significava quasi sempre un fenomeno
eccezionale e pressoché anormale e contronatura,
mentre in Aristotele era semplicemente
l'espressione di un normale processo fisiologico
e biologico estraneo a qualsiasi superiore meta
sovrasensibile e a qualsiasi significato
escatologico: in Plotino essa, se da un lato
vuol significare l'attuazione di una legge
cosmica per la quale la vita si disperde
necessariamente nella molteplicità spaziale e
corporea, dall'altro rivela insieme l'attuazione
di una profonda legge morale che nelle vicende
della generazione terrena compie, per vie
segrete e lontane dalla consapevolezza dei
singoli, l'opera di una eterna Giustizia.
Il male non è realtà sostanziale ma è privazione
che accompagna il mondo fenomenico, opera
dell'anima. Ciò significa, in altri termini, che
il male non inerisce all'anima e che l'anima non
è malvagia in se stessa. Se l'irrazionale sembra
turbare il divino ordine dell'universo, se il
mondo appare agli occhi nostri come il teatro di
drammi sanguinosi, di guerre e di odi infiniti,
e la discordia essere veramente la legge del
nostro mondo sensibile, è vero però che l'anima,
che appartiene all'ordine delle realtà
ipostatiche, è radicata nell'essere, da cui
deriva e a cui tende. Ma il male è non-essere.
Non l'anima è nel corpo, ma il corpo è
nell'anima e per l'anima, di cui rivela l'intima
potenza demiurgica nello spazio e nel tempo; e
l'anima, se da un lato discende nel suo corpo
con la sua potenza inferiore, dall'altro rimane
in immediato contatto con l'Essere e lo Spirito.
Perciò il corpo è per lei strumento e fatale
necessità: in quanto il corpo è da lei e in lei,
essa lo domina o plasmandolo inconsciamente
attraverso le ragioni seminali o subordinandolo
consciamente alle superiori esigenze di una
norma ideale; in quanto è l'ultimo riflesso di
un processo necessario, l'anima lo trova accanto
a sé e di fronte a sé come un'ombra fatale che
lo accompagna e in cui ritrova l'espressione
della sua individualità caduca, emergente dal
nulla e destinata a piombare nel nulla.
Ma tra l'anima e il corpo non c'è affinità, come
non c'è tra la luce e le tenebre, tra l'essere e
il non-essere; l'anima individuale, dice
Plotino, è sorella dell'anima universale: è
portata cioè a trascendere la sua circoscritta
vita corporea per vivere, in una serie
indefinita di esistenze, una vita sempre più
vasta e comprensiva, ed è capace di formarsi una
coscienza cosmica e di sperimentare il senso
panico della realtà infinita che da ogni parte
la circonda. Ma non si limita a questo
l'affinità dell'anima. Poiché l'Uno e lo Spirito
sono onnipresenti non meno dell'Anima
universale, l'anima individuale può tendere ad
essi poiché li trova nella sua individualità
allo stato latente, come le condizioni assolute
della sua esistenza e come i fini della sua
azione e del suo pensiero.
Tale è dunque la posizione dell'anima
individuale tra i due limiti estremi della
realtà. Da un lato l'Uno inconoscibile, Potenza
assoluta che sopraffà il pensiero con la sua
infinità e che il pensiero può sperimentare in
un atto ineffabile rinnegando le sue capacità
razionali; dall'altro la materia, tenebroso e
irrazionale fondo delle esistenze, indefinibile
non-essere, da cui emergono le cose determinate
e particolari che sono misteriosi destini senza
una causa palese e una funzione positiva. Tra
queste due «irrazionalità» vive ed oscilla
l'anima, ed ognuno dei due limiti estremi segna
la morte del suo pensiero: da un lato è lo
«scacco» del suo desiderio di conoscenza,
dall'altro è il gorgo del nulla. Le posizioni
speculative di Jaspers e di Heidegger sembrano
precorse insieme dal sistema plotiniano: ed in
effetti non sarebbe privo di interesse indagare
questi remoti accenni. Ma la compresenza in
Plotino delle due posizioni, nella fondamentale
struttura del sistema, è insieme l'anticipata
confutazione dell'«angoscia» esistenzialistica
nelle sue estreme conclusioni. Tra questi due
limiti infatti l'anima conosce l'Essere, le
eterne immobili essenze delle cose, le eterne
inderogabili leggi del nostro mondo. Entro
questo trasparente e luminoso cosmo noetico
l'anima possiede una inconcutibile certezza
contro cui s'infrange ogni scettico assalto.
Eppure, se questa è vera conoscenza, obbiettiva
e universale, dell'essere, se qui la sapienza
sembra essere immoto possesso, non ora si ferma
l'itinerarium dell'anima. Il Reale nel suo
originario fondamento non è concepito in termini
di conoscenza, di oggetto e soggetto, ma come
assoluta unità e bene interiore che intendere
non può chi non lo prova; né d'altra parte il
pensiero, definito, come vedremo, quale
desiderio, trova pace fino a che non abbia
superato le definizioni e le discriminazioni
logiche della sua attività razionale e non si
neghi in una mistica Oscurità che non ha nome.
Scacco del pensiero, dunque? Sì, ma purché non
si dimentichi che lo stesso pensiero è invocato
a preparare il suo stesso fallimento per
riconoscere e al di là di sé e dentro di sé il
trionfo della Vita infinita e delle eterne
Forze, come razionalità gaudiosa. Il pensiero
tace, non perché atterrito al cospetto di una
tenebrosa Potenza, sorda ed ostile, ma perché
acquietato in una pace profonda, dove il parlare
è vano.
Altrettanto è l'atteggiamento dell'anima di
fronte all'estremo limite dell'assoluta
negatività. Le apparenze fenomeniche che
emergono dal vuoto tenebroso spazio non hanno
consistenza che agli occhi nostri e non esistono
pel pensiero che conosce soltanto ciò che è
intelligibile e invisibile e puro. La conoscenza
essenziale lascia fuori di sé tutto quel fondo
esistenziale che sembra venire dal nulla e
ritornare nel nulla, come un assurdo residuo che
è ma non dovrebbe essere. E in realtà, il
pensiero non può sentirsi che sgomento di fronte
alla morte inesorabile che annienta ad ogni
istante la vita e le individualità nate per
avere un loro nome soltanto per breve tempo. Ma
anche qui la luce dell'essere e dello spirito, a
cui l'anima è, con la sua parte superiore,
eternamente intesa, impedisce questa tremenda
disperazione. La certezza razionale con cui
l'anima possiede l'essere che è Valore e Verità,
come le rende impossibile di concepire
l'Assoluto in termini di inumana irrazionalità,
essendo l'Uno fonte di quell'Ordine razionale da
cui essa prende coscientemente le mosse, così la
tiene lontana dalla disperazione di fronte
all'inesorabile divenire delle cose, poiché essa
sa che di quell'Ordine razionale le cose
transitorie sono immagini e simboli, ultimi
deboli chiarori di una Luce inestinguibile.
L'ipostasi del Noûs (che è Essere e Razionalità
eterna) a cui l'anima è eternamente sospesa, le
vieta qualsiasi follia metafisica: poiché se in
un punto solo del reale si è manifestata la luce
dell'Idea razionale, non può più il pensiero
sconfessarla, ma dovrà da quella risalire al
Principio, concependolo come generatore di ogni
razionalità e perciò non opposto ad essa anche
se inafferrabile e impensabile; e da quella,
ancora, discendere alle apparenze fenomeniche
considerandole sue manifestazioni transeunti,
non essendo possibile che dal razionale derivi
l'irrazionale, dall'essere il nulla. Ciò non
toglie che l'anima oscilli fra due estremi che
non sono due idee, ma due sentimenti: il gaudio
ineffabile e l'angoscia senza nome. Ma il gaudio
è per chi sia arrivato, attraverso il Noûs, alla
sommità della Vita; l'angoscia per chi, oblioso
della propria intelligenza, sia rimasto attonito
a mirare fuori di sé la vicenda delle esistenze
come se essa fosse l'unica realtà. Nel
sentimento, non in un'idea, l'anima tocca il
fondo di se stessa e si congiunge con se stessa;
nel sentimento è la risonanza profonda dei
limiti raggiunti nella più completa tensione del
suo desiderio; e solo in esso l'anima coglie e
vive l'incomunicabile estremo senso della sua
vita.
Tra i due limiti della realtà l'anima può dunque
oscillare compendiando in sé tutto l'Universo e
rendendo possibile la continuità e le relazioni
tra le ipostasi che, in sede puramente
metafisica, sembravano pregiudicate. Perciò
l'anima individuale è definita coi termini del
più esplicito dinamismo: essa non è intuizione
immediata del Vero, ma perenne discorsività che
procede faticosamente di cosa in cosa, di
pensiero in pensiero, di ragionamento in
ragionamento; il suo stesso pensiero è definito
come desiderio e ansia di conoscenza e di unità
interiore, e quindi come tensione che non si
appaga in nessuna determinata conquista; essa è
amore, eros, che incessantemente si sacrifica
per ritrovarsi nella cosa amata e che in una
perenne vicenda di umani contrasti cerca di
adeguarsi all'eterno Oggetto della sua
devozione. Il suo movimento è duplice: essa può
rivolgersi alla realtà inferiore, apparente e
transitoria, e può elevarsi a superiori altezze,
allo Spirito, all'Uno. Può, in altre parole,
obliarsi per disperdere il suo sguardo interiore
verso l'esteriorità, dove le forme sensibili
incantano e inabissano l'incauto nei vortici di
un divenire inesorabile; e può, vincendo
l'incantesimo, raccogliersi in se stessa,
ritornare alle sue profondità e lì attingere
l'Assoluto che è unità e pace silenziosa.
Ma i due movimenti non hanno la stessa forza: il
movimento verso la realtà inferiore è istintivo
e fatale, perché le cose fenomeniche ed esterne
sono il primo dato immediato che si presenta
all'anima, e l'anima è portata a credere ad esse
per quella stessa legge cosmica che regola il
processo discendente della divina generazione.
La realtà superiore, al contrario, non è un dato
immediato; e benché essa sia presente nel fondo
oscuro dell'anima come sua potenzialità
indefinita, è necessario che l'anima, con un
atto di libertà, consideri come realtà inferiore
e relativa quella che prima aveva ritenuto per
unica vera e, vincendo eroicamente il fascino
del sensibile, creda più fortemente
all'invisibile e se ne crei un'intima
persuasione.
Perciò se discendere è per l'anima, come per
l'Uno, necessità indimostrabile e indeducibile,
il salire, che per l'Uno non ha significato, è
per l'anima individuale opera di libertà e
insieme di liberazione. Ma esser liberi non vuol
dire affermare il proprio arbitrio costruttore e
possedere la velleità di edificare un mondo
soggettivo sopra convenzioni e capricci
personali: chi costruisce tali mondi arbitrari
può illudersi di essere libero in quanto può
credere di porsi al di fuori e al di sopra della
realtà, mentre in effetti è vittima della sua
potenza inferiore che lo incalza non fuori, ma
verso i margini estremi della Vita universale:
poiché nulla può uscire dai confini dell'essere.
Esser liberi vuol dire realizzare il proprio
destino, e cioè ritrovare se stessi e
ricongiungersi con se stessi non fuori
dell'Assoluto, ma in esso e con esso. La libertà
non contraddice alla Necessità metafisica, ma si
identifica ad essa: perciò l'uomo è veramente se
stesso, e cioè libero, soltanto quando abbia
saputo eliminare da sé ciò che prima lo
estraniava all'Assoluto nel quale vive e
respira. Altra libertà non è permessa all'anima.
Noi concepiamo nell'Uno una illimitata potenza
creatrice; ma non possiamo concepire altrettanto
di noi stessi, perché noi non siamo l'Assoluto.
Perciò la libertà ha significato soltanto se
essa non sia sospesa sulla assoluta mancanza di
valori trascendentali, ma sia condizionata dalle
reali ipostasi (lo Spirito, l'Uno), nella cui
libera accettazione da parte dell'anima si
compie la sua sorte divina. Così si riconsacra
definitivamente in Plotino il peculiare
atteggiamento teoretico del genio ellenico, che
nella scoperta e nella contemplazione di un
Cosmo ideale celebrava se stesso e il suo vanto
migliore.
Ora, le vie dell'anima sono numerose, come
molteplici sono i piani della realtà: in esse si
esprime la ricchezza inesauribile della Vita
universale e insieme per l'anima la possibile
scelta di un destino tra destini innumerevoli: o
la vita avvolta nei piaceri, intesa agli
incantamenti delle belle forme caduche,
trascinata da un oscuro istinto alla generazione
di nuovi individui destinati alla morte; o il
sogno di potenza e di gloria, che si illude di
placare l'infinito desiderio interiore
scatenando guerre sanguinose e calpestando ogni
diritto umano; o l'ansia di fissare per sempre
nei marmi, nei ritmi o nei colori fugaci
fantasmi di bellezza; o la dedizione a una
scienza e il disinteressato amore della verità e
delle segrete leggi che reggono il cosmo; o
l'aspirazione a una divina purezza da conseguire
attraverso le pratiche misteriche e le più
dolorose rinunce. In ogni destino, per quanto
inferiore, freme l'innato desiderio dell'Uno,
che è la condizione prima del pensiero e
dell'azione; in ogni destino l'anima rivela con
quanta razionale chiarezza abbia saputo rendersi
consapevole di quel desiderio; ed ogni destino
si inquadra nel piano della Giustizia e
dell'Ordine universale, in quanto è castigo o
premio di vite anteriori e porta con sé, a prova
della sua imperfezione, una irrequietezza che
non dà pace e urge l'anima verso altri piani di
vita fino a che non abbia raggiunto quella
perfetta libertà spirituale che è possesso
dell'Assoluto.
Nel suo processo di liberazione l'anima
individuale ripercorre le varie tappe
ipostatiche della generazione divina: superando
l'angusto cerchio delle sue esperienze
particolari, essa vive della Vita dell'anima
universale e acquista la coscienza cosmica
avvertendosi collegata a tutti gli esseri
viventi; oltrepassando i limiti della animazione
universale, intuisce l'Essere eterno che non
muta e che fonda l'intelligibilità trasparente e
luminosa di ciò che vive; approfondendo
l'intuizione dello Spirito e scendendo al suo
intimo centro, essa raggiunge l'Uno come suprema
unità con se stessa. Così l'anima rifà in sé il
processo della divina generazione potenziando al
massimo la sua spiritualità vivente e dinamica:
tutto ciò che l'Uno è e che da lui irradia
necessariamente come lumen de lumine si ripete,
con processo inverso, nella varietà di
indefiniti destini, per opera delle singole
anime e della loro redentrice libertà. L'Uno
rivive nelle anime moltiplicata la sua potenza
generatrice...
E così, se la costruzione metafisica delle
ipostasi deve ora apparirci necessario
fondamento obbiettivo delle esigenze morali e
religiose, è facile comprendere come essa non
abbia un senso e una funzione se non nella vita
di un'anima e che perciò il nucleo essenziale
del sistema plotiniano va ricercato nell'anima
individuale e nel suo dramma interiore. L'Uno,
lo Spirito e l'Anima universale non hanno
storia: la loro vita si volve al di là del tempo
e dello spazio e beata gode di sé in eterno. Ma
alle anime individuali non è dato posare;
incalzate dal desiderio di vivere, errano esse
quaggiù avvolte dall'invisibile presenza del
Divino e dello Spirito, eppure agitate da
un'inconscia bramosia di beni apparenti, di
possesso e di piaceri. Donde vengono e dove
vanno? Esse non lo sanno ma dovranno saperlo: la
loro quotidiana esperienza, col suo incessante
ritmo di angosce e di gioie, di morali
esperienze e di conquiste intellettuali additerà
il cammino della redenzione. E sarà questa
l'unica vera storia, in cui si esprima il senso
autentico dell'esistenza, in cui i valori
abbiano un reale significato: la storia
dell'anima. Altra storia non esiste: non quella
delle nazioni e dei popoli, che sopraffà il
destino delle anime singole ed ha uno spirituale
significato solo se, inverandosi in ciascuna di
esse, contribuisca a farle ritrovare la sua
interiore libertà e la sua autonomia
incrollabile. La vera storia del mondo è la
storia invisibile che nessuno potrà mai
scrivere: storia di destini individuali che si
consumano nel silenzio delle coscienze e non
hanno altro giudice fuori della voce interiore.
Così l'eternità si instaura nel tempo, in quanto
le ipostasi eterne si realizzano nell'anima che
si redime; e il tempo si svolge nell'eternità,
in quanto l'anima si pone dentro la Legge
universale e ne esprime, anche esteriormente,
l'attuazione.
Questo dramma spirituale si svolge dentro
l'inquadratura ellenica del «tempo ciclico» e
dell'eterno ritorno; e ciò indubbiamente toglie
alla storia delle anime quella unicità e quella
irreversibilità che, solo, possono conferirle un
carattere assolutamente impegnativo e
irreparabile e che costituiranno il «tempo
storico» peculiare della concezione cristiana.
Ma in Plotino - mi sembra di poter decisamente
affermare - il tempo ciclico non è che un
fossile residuo della vecchia speculazione
naturalistica, simile a un vecchio scenario
inutile conservato per un inconscio rispetto del
passato, rimasto a servire da sfondo mitico al
vero dramma dell'anima.
L'ultimo dei grandi filosofi pagani
Il destino dell'Anima
La Dialettica
Il fondo tenebroso delle Esistenze
La struttura della Realtà
L'Uno è tutte le cose
La Via del Ritorno
L'esperienza Mistica
La Bellezza che redime
Sulla Bellezza
Le Tre Ipostasi originarie
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