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La bellezza si trova soprattutto nella vista; ed è anche nell'udito, nella combinazione delle parole e nella musica di tutti i generi; infatti le melodie e i ritmi sono belli; ed è anche, risalendo dalla sensazione verso un dominio superiore, nelle occupazioni, nelle azioni e nelle maniere d'essere che sono belle; e ancora c'è bellezza nella scienza e nella virtù. C'è una bellezza anteriore a questa? Ecco il tema di cui adesso tratteremo.....
Il documento che
presentiamo, ai nostri Ospiti, per studio e considerazioni è
estratto dalle "Enneadi" di Plotino edizioni Laterza (1944)
Sulla
Bellezza
Enneade I,6
I. La bellezza si trova soprattutto nella vista;
ed è anche nell'udito, nella combinazione delle
parole e nella musica di tutti i generi; infatti
le melodie e i ritmi sono belli; ed è anche,
risalendo dalla sensazione verso un dominio
superiore, nelle occupazioni, nelle azioni e
nelle maniere d'essere che sono belle; e ancora
c'è bellezza nella scienza e nella virtù. C'è
una bellezza anteriore a questa? Ecco il tema di
cui adesso tratteremo. Che cosa fa in modo che
la vista possa percepire la bellezza nei corpi e
l'udito nei suoni? Perché tutto ciò che è
intimamente legato all'anima è bello? Ed è di
una sola e identica bellezza che tutte le cose
belle sono belle, oppure c'è una bellezza che è
propria dei corpi e ce n'è un'altra per gli
altri esseri? E che cosa sono queste differenti
bellezze o, meglio, che cos'è la bellezza? Certi
esseri, come i corpi, sono belli non per la loro
stessa essenza, ma per partecipazione; altri
sono belli in se stessi, come la virtù. E questo
è evidente: infatti gli stessi corpi a volte
sono belli, a volte non lo sono, come se
l'essere del corpo fosse differente dall'essere
della bellezza. Che cos'è questa bellezza che è
presente nei corpi? Questa è la prima cosa da
ricercare. Che cos'è dunque che attira lo
sguardo di chi osserva, e fa volgere il capo, e
fa provare la gioia della contemplazione? Se noi
scopriamo che cos'è questa bellezza dei corpi,
forse potremo servircene come di una scala per
contemplare le altre bellezze. Tutti, per così
dire, affermano che la bellezza visibile nasce
dalla simmetria delle parti, l'una in rapporto
all'altra, e ciascuna in rapporto all'insieme; a
questa simmetria si aggiunge la bellezza del
colore; dunque la bellezza di tutti gli esseri è
la loro simmetria e la loro misura; per chi
pensa così, l'essere bello non sarà un essere
semplice, ma soltanto e necessariamente un
essere composto; l'insieme di questo essere sarà
bello e ciascuna parte non sarà bella in sé, ma
solo nella sua armonia con le altre. Però, se
l'insieme è bello, bisogna pure che le parti
siano belle anch'esse; certo, una bella cosa non
può essere fatta di parti brutte: tutto ciò che
la compone deve esser bello. E ancora: se fosse
vera questa opinione, i colori belli, come la
luce del Sole, sarebbero al di fuori della
bellezza, perché sono semplici e non derivano
affatto la loro bellezza dall'armonia delle
parti. E l'oro, come mai è bello? E le luci che
vediamo nella notte che cosa le rende belle? La
stessa cosa per i suoni: svanirebbe la bellezza
di un suono semplice, mentre spesso ciascuno dei
suoni che compongono un brano musicale è bello
anche da solo. E quando si vede lo stesso viso,
con le proporzioni che restano identiche, ma un
po' appare bello, un po' brutto, come si fa a
non riconoscere che la bellezza che è nelle
proporzioni è cosa diversa dalle proporzioni
stesse, e che è per un'altra ragione che un viso
ben proporzionato è bello?
E se, passando alle belle occupazioni e ai
discorsi belli, si vuol ancora vedere nella
simmetria la causa della loro bellezza, che cosa
significa parlare di simmetria per le
occupazioni belle, per le leggi, per le
conoscenze o per le scienze? I teoremi sono
simmetrici gli uni agli altri: è questo che si
vuol dire? O che essi sono in accordo tra loro?
Ma può esserci consenso e accordo anche tra
opinioni malvagie. Questa opinione: "la
temperanza è una stoltezza" è in pieno accordo
con quest'altra: "La giustizia è un'ingenuità
generosa". Tra l'una e l'altra c'è
corrispondenza e concordanza. In ultimo, la
virtù certamente rende bella l'anima, ed essa è
bella in modo più reale delle bellezze sensibili
di cui abbiamo prima parlato: ma in che senso
essa avrà delle parti simmetriche? Non ci sono
affatto parti simmetriche nella virtù, al modo
in cui le grandezze o i numeri sono simmetrici,
anche se è vero che l'anima contiene una
molteplicità di parti. Infatti, secondo quali
rapporti nasce la combinazione o la fusione
delle parti dell'anima e dei teoremi
scientifici? E l'intelligenza, che è isolata: in
che consisterà la sua bellezza?
II. Riprendiamo dunque il nostro discorso e
diciamo subito che cos'è la bellezza dei corpi.
É una qualità che diventa sensibile sin dalla
prima impressione; attraverso l'intuizione
l'anima la percepisce, la riconosce e l'accoglie
in sé, plasmandosi in qualche modo su di essa.
Quando invece ha l'intuizione di una cosa
brutta, l'anima si agita e la rifiuta,
respingendola come cosa che non si accorda con
lei e che le è estranea.
Ora, noi affermiamo che l'anima, per sua natura,
è affine all'essenza delle realtà superiori ed è
lieta contemplando gli esseri della sua stessa
natura, o almeno le loro tracce; attratta dalla
loro vista, le rapporta a se stessa e sale così
al ricordo di sé e di ciò che le appartiene.
Ebbene, quale somiglianza può esservi tra le
cose di quaggiù e quelle superiori? Se c'è
somiglianza, deve essere possibile osservarla.
Per quanto riguarda la bellezza, qual è la
natura delle une e delle altre? La nostra tesi è
che le cose sensibili sono belle perché
partecipano di un'idea. Infatti, tutto ciò che è
destinato a ricevere una forma e un'idea, ma non
l'ha ancora, è privo di qualsiasi bellezza ed è
estraneo alla ragione divina, perché non
partecipa né della sua razionalità né della sua
forma: è il brutto in assoluto. Ma brutto è
persino tutto ciò che è sé dominato dalla forma
e dalla ragione, ma non perfettamente: e questo
accade perché la materia non può essere plasmata
in modo perfetto secondo un'idea, ricevendo così
la forma.
Dunque l'idea si avvicina alla materia e pone
ordine tra le parti multiple, di cui una cosa è
fatta, combinandole insieme. L'idea le riconduce
a un tutto ordinato, e crea l'unità accordandole
loro, perché essa stessa è una, e l'essere che
prende da lei la forma deve dunque essere uno,
almeno nei limiti in cui può esserlo una cosa
composta da molte parti.
La bellezza prende così dimora in questo essere,
così ricondotto a unità, ed essa si dà sia a
tutte le sue singole parti sia all'insieme.
Quando poi la bellezza prende dimora in un
essere che è già uno ed omogeneo, allora essa
splende interamente: è come se la potenza della
natura, procedendo come fa l'uomo attraverso
l'arte, donasse la bellezza, nel primo caso, a
una casa tutta intera con tutte le sue parti,
nel secondo caso a una sola pietra. Così la
bellezza del corpo deriva dalla partecipazione
alla razionalità che proviene da Dio.
III. C'è nell'anima una facoltà che corrisponde
alla razionale bellezza di origine divina, e
dunque sa riconoscerla; è proprio questa la
facoltà che permette all'anima di giudicare le
cose che le sono affini, benché le altre facoltà
contribuiscano anch'esse. Forse l'anima
pronuncia questo giudizio commisurando la cosa
bella all'idea di bellezza che è in lei,
servendosi di questa idea come ci si serve di un
regolo per giudicare se una linea è diritta.
Ma come può la bellezza delle cose sensibili
accordarsi con la bellezza dell'idea, che è
anteriore ad ogni corpo? è lo stesso che
chiedersi come l'architetto, che ha costruito la
casa reale lasciandosi guidare dall'idea di casa
che aveva nella sua mente, può valutare che
questa casa reale è bella. Può farlo perché
l'essere esteriore della casa - se si fa
astrazione dalle pietre - non è che l'idea
interiore che si è sì suddivisa nella massa
esteriore della materia, ma continua a
manifestare, pur nella molteplicità, il suo
essere indivisibile.
Dunque quando percepiamo nei corpi un'idea che
plasma e domina la natura materiale - di per sé
informe e per nulla affine all'idea - e ci
rendiamo conto che c'è nelle cose sensibili una
forma che si distingue perché subordina a sé
tutte le altre, allora noi percepiamo d'un sol
colpo la sparsa molteplicità della materia,
riportandola e riducendola all'unità interiore e
indivisibile dell'io che vive in noi. Così
percepiamo la forma delle cose sensibili perché
è adatta e intonata a noi, e la accettiamo come
affine alla nostra unità interiore. Allo stesso
modo un uomo onesto percepisce la dolcezza che
osserva sul volto di un giovane come un segno di
virtù che si accorda con la sua stessa vera
virtù, che è quella interiore.
La bellezza di un colore, che è qualcosa di
semplice, nasce da una forma che domina
l'oscurità della materia e dalla presenza nel
colore di una luce incorporea, che è ragione e
idea. Per questo più degli altri corpi, il fuoco
è bello in se stesso: paragonato agli altri
elementi che compongono la materia, ha quasi il
rango dell'idea. Infatti ha in natura la
posizione più alta, è il più leggero tra tutti i
corpi, al punto da essere quasi immateriale.
Rimane sempre puro, perché non accoglie in sé
gli altri elementi che compongono la materia,
mentre tutti gli altri accolgono in se stessi in
fuoco: essi, infatti, possono riscaldarsi,
mentre il fuoco non può raffreddarsi. Solo il
fuoco per sua natura possiede i colori e da lui
le altre cose ricevono la forma e il colore. Il
fuoco brilla di luce chiara simile a un'idea. Le
cose a lui inferiori quando si allontanano dalla
sua luce cessano di essere belle, perché esse
non partecipano interamente dell'idea del
colore.
Vi sono poi le armonie musicali impercettibili
ai sensi che danno vita alle armonie sensibili.
Per merito loro l'anima diventa capace di
intuire la bellezza, grazie all'identità che
esse introducono in un soggetto differente. Ne
segue che le armonie sensibili derivano da
rapporti numerici che non sono affatto rapporti
qualsiasi, ma sono subordinati all'azione
sovrana di una forma.
Ho detto così abbastanza sulle bellezze
sensibili, immagini e ombre che, in fuga dal
loro mondo, vengono nella materia, la ordinano e
le danno l'aspetto che tanto ci commuove.
IV. Quanto alle realtà belle di grado più
elevato, non ci è dato di percepirle attraverso
le sensazioni, ma la nostra anima le vede e sa
giudicarle belle anche senza l'aiuto degli
organi di senso. Ma per far questo dobbiamo
elevare il nostro spirito e raggiungere lo stato
della contemplazione, dopo aver lasciato in
basso il mondo delle sensazioni. Non si può dir
nulla sulla bellezza delle cose sensibili senza
averle viste e riconosciute come belle (se si è,
per esempio, ciechi dalla nascita); allo stesso
modo, non si può dire se una maniera di
comportarsi è bella se non si vive dentro di sé
con amore questa bellezza; e così è per le
scienze e le altre realtà simili. Dobbiamo
divenire capaci di vedere come è bello il volto
della giustizia e della temperanza: non sono
così belle né la stella del mattino né la stella
della sera.
Solo un'anima capace di contemplazione sa
intuire questo genere così elevato di bellezza.
E l'intuizione dà gioia, dà commozione e stupore
in modo ben più forte che nel caso precedente,
perché adesso l'anima contempla la realtà che ha
il carattere della verità. L'anima, nel
contemplare le realtà belle, prova grandi
emozioni: lo stupore, la dolce tensione dello
spirito, il desiderio, l'amore, la deliziosa
eccitazione. Ed è possibile provare queste
emozioni (e l'anima le prova di fatto) anche
contemplando le cose belle visibili solo allo
spirito: tutte le anime le provano, ma
soprattutto quelle più sensibili al richiamo
dell'amore.
Ed è così anche per la bellezza dei corpi: tutti
la vedono, ma non tutti ne sentono egualmente il
fascino. Coloro che lo sentono di più, ebbene
quelli dobbiamo davvero dire che sono sensibili
all'amore.
V. Bisogna quindi chiarire che cos'è l'amore per
le cose non sensibili. Che emozioni provate
quando sentite che un'azione è bella? Che
sentimenti provate di fronte al carattere di una
persona bella, alle abitudini di vita moderate,
e più in generale alla virtù e alla bellezza
dell'anima? E vedendo la vostra stessa bellezza
interiore, che cosa provate? Che cos'è questa
follia, questa emozione, questo desiderio di
stare raccolti in voi stessi quasi non aveste un
corpo? Perché è questo che prova chi vive
davvero l'amore nella propria anima.
E qual è l'oggetto dell'amore? Non certo una
forma, un colore, una grandezza: è invece
l'anima che non ha colore, ma splende di
invisibile luce, illuminata dalla temperanza e
dalle altre virtù. Così l'amore vi colpisce
tutte le volte che vedete in voi stessi o
contemplate in altri la grandezza d'animo, la
correttezza del carattere, la purezza dei
costumi, il coraggio su un volto
dall'espressione ferma, la gravità, il rispetto
di sé che è il segno di un'anima calma, serena
ed impassibile. Su tutto questo splende la luce
dell'intelligenza, che è di natura divina.
Dunque, per tutte queste cose noi proviamo
inclinazione e amore: ma in che senso le diciamo
belle? Non c'è dubbio infatti che lo siano, e
chiunque le contempli affermerà che esse sono la
vera realtà. Ma di che natura sono queste
realtà? Nella loro essenza sono belle, non c'è
dubbio, ma la ragione desidera ancora sapere che
cosa esse siano e perché esse fanno sì che
l'anima che le possiede faccia innamorare le
altre di sé. Che cos'è dunque che come una luce
splende su tutte le virtù? Vogliamo, per
ragionar per contrari, procedere per opposizioni
e domandarci cos'è la bruttezza? Forse sarà
utile per comprendere l'oggetto delle nostre
ricerche sapere che cos'è la bruttezza e perché
essa si manifesta.
Sia dunque un'anima brutta, intemperante e
ingiusta. Essa è piena di un gran numero di
desideri e delle più profonde inquietudini,
paurosa per vigliaccheria, invidiosa per
grettezza. Quest'anima pensa bene, ma non pensa
che a oggetti mortali e bassi: sempre tortuosa,
incline ai piaceri impuri, vive la vita delle
passioni del corpo e trova il suo piacere solo
nella bruttezza. Non diremo allora che la sua
bruttezza è sopravvenuta dall'esterno su
quest'anima come una malattia che la offende, la
rende impura e ne fa un impasto confuso di mali?
Così la sua vita e le sue sensazioni hanno
perduto la loro purezza: l'anima conduce una
vita oscurata dall'impurità del male, una vita
contaminata dai germi della morte. Essa non è
più capace di vedere ciò che un'anima deve
vedere: non le è più consentito di raccogliersi
in se stessa perché essa è continuamente
attirata nella regione dell'esteriorità,
inferiore e carica di oscurità. Impura, travolta
da ogni lato per l'attrazione delle cose
sensibili, essa è mescolata con molti caratteri
del corpo. Poiché essa ha accolto in sé la forma
della materia, differente da lei, ne è rimasta
contaminata, e la sua stessa natura è rimasta
inquinata da ciò che è inferiore.
É come se un uomo immerso nel fango di un
pantano non mostrasse più la sua bellezza, ma di
lui si vedesse soltanto il fango di cui è
coperto. La bruttezza è sopravvenuta su di lui
per l'aggiunta di un elemento estraneo e sarà
una bella impresa riacquistare la sua bellezza:
dovrà pulirsi e lavarsi bene e solo così tornerà
ad essere quel che egli era.
Abbiamo dunque ragione di dire che la bruttezza
dell'anima deriva da questo mescolarsi impuro
con il corpo e dalle inclinazioni verso la
materia. La bruttezza per l'anima è il non
essere in sé pura, come per l'oro è di essere
mescolato a terra: se si toglie questa terra,
l'oro rimane ed è bello perché depurato dalle
scorie di altre materie e puro in se stesso.
Nello stesso modo, isolata dai desideri che
provengono dal corpo, con cui essa aveva legami
troppo stretti, liberata dalle altre passioni,
purificata da tutte le scorie della materia,
l'anima rimane pura in se stessa, deposte tutte
le brutte impurità che le provenivano da una
natura diversa dalla sua.
VI. É proprio come dice un vecchio detto: la
temperanza, il coraggio, tutte le virtù e la
prudenza stessa sono delle purificazioni. É per
questo che gli iniziati ai Misteri dicono con
parole velate che l'anima non purificata persino
nell'Ade vivrà in un pantano, perché l'essere
impuro ama il fango a causa dei suoi vizi, come
i porci il cui corpo è impuro.
In che consisterà dunque la vera temperanza se
non nel non unirsi ai piaceri del corpo, ma a
fuggirli come impuri? Essi non permettono
all'anima di rimanere pura. Il coraggio
consisterà nel non temere la morte. Ora la morte
è la separazione dell'anima dal corpo. Non
temerà questa separazione quell'anima che è
vissuta isolata dal corpo. La grandezza d'animo
nasce dal disprezzo delle cose che passano. La
prudenza è il pensiero stesso che si allontana
da tutto ciò che passa e conduce l'anima verso
l'alto.
L'anima, una volta purificata, diviene dunque
una pura forma, pura razionalità. Essa diviene
pura realtà intellettuale, liberata da ogni
scoria di materia. Così appartiene interamente
alla sfera di ciò che è divino, là dove è la
sorgente della bellezza: da lì, infatti,
proviene tutto ciò che è bello. Dunque l'anima
restituita alla pura intelleggibilità torna ad
essere bella. Ma l'intelligenza e ciò che ne
deriva è per l'anima una bellezza propria e non
le deriva dall'esterno, perché l'anima pura è
adesso realmente se stessa.
Per questo si dice - e con ragione - che il bene
e la bellezza dell'anima consistono nel rendersi
simile a Dio, perché da Dio deriva la bellezza e
tutto ciò che costituisce l'essenza della vera
realtà. Ma la bellezza è realtà autentica, la
bruttezza è una natura differente da questa
realtà. La bruttezza e il male, quanto alla loro
origine, sono la stessa cosa, così come sono la
stessa cosa il buono e il bello. Il bene e la
bellezza si identificano.
Bisogna dunque ricercare con mezzi analoghi il
bello e il buono, il brutto e il cattivo.
Bisogna anzitutto fissare il principio che la
bellezza è il bene e da questo bene
l'intelligenza deriva immediatamente la sua
bellezza. E l'anima è bella per l'intelligenza:
le altre bellezze, delle azioni e dei costumi,
derivano dal fatto che l'anima imprime in esse
la sua forma. L'anima poi produce tutto ciò che
chiamiamo corpo, ed essendo un essere di natura
divina - frammento della bellezza divina - essa
rende belle tutte le cose con cui entra in
contatto e che domina, almeno nei limiti in cui
ad esse è consentito partecipare della bellezza.
VII. Bisogna dunque risalire verso il Bene, che
è ciò a cui tende ogni anima. Chi l'ha visto, sa
cosa voglio dire, e in che senso esso è bello.
Come Bene, è desiderato e il desiderio tende
verso di lui; ma lo si raggiunge solo risalendo
verso la regione superiore, piegandosi verso di
lui e spogliandosi dei vestiti indossati nella
discesa. Nello stesso modo chi sale ai santuari
dei templi deve purificarsi, deporre i suoi
vecchi abiti e avanzare nudo; e infine,
abbandonato lungo questa salita tutto ciò che è
estraneo a Dio, può guardare da solo a solo nel
suo isolamento, nella sua semplicità e purezza,
l'Essere da cui tutto dipende, verso cui tutto
guarda, perché è l'essere, la vita e il
pensiero; perché è causa della vita,
dell'intelligenza e dell'essere.
Se lo si vede, quest'Essere, quale amore e quale
desiderio sentirà l'anima che vorrà unirsi a
lui! E quale emozione accompagnerà questo
piacere! Infatti colui che non l'ha ancora
visto, può tendere verso di lui come verso un
bene: ma colui che l'ha visto, lo amerà per la
sua bellezza, sarà colmo di commozione e di
piacere, di gioioso stupore, di amore pieno e
desiderio ardente. Dimenticherà gli altri amori
e disprezzerà le pretese bellezze da cui prima
era attratto.
É questo che provano tutti coloro che hanno
conosciuto le forme divine o demoniche e non
ammettono ormai la bellezza degli altri corpi.
Questo crediamo che essi provino, se hanno visto
il bello in sé in tutta la sua purezza, non il
bello che è appesantito dal corpo e dalla
materia, ma quello che - puro - è al di sopra
della terra e del cielo. Tutte le altre bellezze
sono acquisite, non pure, ma frutto di un misto,
non originarie: tutte vengono dal puro bello in
sé.
Se dunque si vede il bello in sé - che dona la
bellezza ad ogni cosa pur restando puro in se
stesso e senza ricevere nulla dall'esterno - non
si resterà forse in questa contemplazione
godendo in lui? Quale bellezza ci mancherà
ancora?
É questa infatti la vera e originaria bellezza
che rende belli coloro che la amano e degni di
essere a loro volta amati. É qui per l'anima la
più grande e suprema battaglia, per la quale
essa concentra tutti i suoi sforzi, per non
restare senza la più alta delle visioni. Se
l'anima raggiunge questa meta, allora è felice
grazie a questa visione della bellezza; se non
la raggiunge, è davvero infelice. Infatti chi
non sa godere della bellezza del colore e dei
corpi belli non è più infelice di chi non ha
potere, o di chi non ha fatto carriera, o non è
un re. Infelice è colui che non incontra affatto
la bellezza, e lui solo. Per incontrarla,
bisogna lasciare la dove sono i regni e il
potere dell'intera terra, del mare e del cielo,
se grazie a questo abbandono ci si può volgere
nella direzione che permette di vederla.
VIII. Qual è dunque il modo per ottenere questa
visione? Quale il mezzo? Come potremo
contemplare questa bellezza immensa che resta in
qualche modo protetta nell'interiorità del suo
santuario e che non si mostra all'esterno perché
i profani possano vederla? Suvvia, chi può vada
dunque e la segua fin nella sua intimità:
abbandonata la visione sensibile, che è propria
degli occhi, non dobbiamo rivolgerci più verso
lo splendore dei corpi che pure prima ammiravamo
tanto. Infatti, se pur osserviamo la bellezza
dei corpi, non dobbiamo rivolgerle la nostra
attenzione, ma sapere che essa è un'immagine,
una traccia, un'ombra: dobbiamo invece
rivolgerci verso quella bellezza di cui la
bellezza dei corpi è immagine. Chi infatti si
rivolge alla bellezza sensibile per conoscerla
come se essa fosse in sé reale, sarà simile
all'uomo che volle vedere la sua immagine bella
riflessa sull'acqua (come la favola, credo,
lascia ben intendere). E così cadde nell'acqua
profonda, e sparì. Allo stesso modo capita a chi
si lascia attrarre dalla bellezza dei corpi e
non l'abbandona; non sarà però il suo corpo a
cadere nelle profondità oscure e funeste per
l'intelligenza, ma la sua anima: egli vivrà con
le ombre, cieco abitante dell'Ade.
Rifugiamoci dunque presso la nostra cara patria:
ecco il vero consiglio che dobbiamo darci. Ma
come potremo rifugiarci là? Per quale sentiero
risalire alla nostra meta? Faremo come Ulisse,
che fuggì - dicono - dalla maga Circe e da
Calipso: egli non volle rimanere presso di loro,
malgrado il piacere degli occhi e tutte le
bellezze sensibili di cui poteva godere presso
di loro.
La nostra patria è il luogo da cui siamo venuti,
e nostro padre è là. Cosa sono dunque questo
viaggio e questa fuga? Non lo compiremo con i
nostri piedi, perché non si tratta di passare da
una terra a un'altra. Non si tratta di preparare
dei cavalli o una nave, ma di distogliere lo
sguardo dalle realtà sensibili e, chiusi gli
occhi dinnanzi ad esse, cambiare questa maniera
di guardare con un'altra. Si tratta quindi di
risvegliare in noi un'altra facoltà, che tutti
possediamo, ma ben pochi usano.
IX. Che cosa vedono dunque questi occhi
interiori? Appena risvegliati, certo non possono
sostenere la vista delle realtà luminose.
Bisogna abituare l'anima pian piano a osservare
dapprima le belle abitudini di vita, poi le
opere - e non intendo gli oggetti materiali
prodotti dal lavoro dell'artigiano, ma le azioni
degli uomini buoni. Subito dopo, bisogna
educarci a osservare l'anima di coloro che
compiono azioni belle. Come si fa a scrutare
dentro l'anima di un uomo buono per scoprire la
sua bellezza? Coraggio, ritorna in te stesso e
osservati: se non vedi ancora la bellezza nella
tua interiorità, fa come lo scultore di una
statua che deve diventare bella. Egli scalpella
il blocco di marmo, togliendone delle parti,
leviga, affina il marmo finché non avrà ottenuto
una statua dalle belle linee.
Anche tu, allora, togli il superfluo, raddrizza
ciò che è storto, lucida ciò che è opaco perché
sia brillante, e non cessare mai di scolpire la
tua statua, finché in essa non splenda il divino
splendore della virtù e alla tua vista interiore
appaia la temperanza assisa sul suo sacro trono.
La tua anima si è così trasformata? Ti vedi in
questo modo? Hai tu con te stesso un rapporto
puro, senza che alcun ostacolo si frapponga fra
te e te, senza che nulla di estraneo abbia
inquinato la tua purezza interiore? Sei tu,
interamente, divenuto splendente di pura luce?
Non una luce - dico - che si può misurare per
forma o dimensione, che può diminuire o
aumentare indefinitamente per grandezza, ma una
luce assolutamente al di là di ogni misura,
perché essa è superiore a ogni grandezza e a
ogni quantità?
Riesci adesso a vederti così? Tu stesso allora
sei divenuto pura visione, vivi presso te stesso
e, pur restando nel mondo di quaggiù, ti sei
innalzato interiormente. Allora, senza più
bisogno di guida, fissa il tuo sguardo e
osserva.
Il tuo occhio interiore ha dinnanzi a sé una
grande bellezza. Ma se cerchi di contemplarla
con occhio ammalato, o non pulito, o debole,
avrai troppo poca energia per vedere gli oggetti
più brillanti e non vedrai nulla, anche se sei
dinnanzi a un oggetto che può essere visto.
Bisogna che i tuoi occhi si rendano simili
all'oggetto da vedere, e gli siano pari, perché
solo così potranno fermarsi a contemplarlo. Mai
un occhio vedrà il Sole senza essere divenuto
simile al Sole, né un'anima contemplerà la
bellezza senza essere divenuta bella. Che
ciascun essere divenga simile a Dio e bello, se
vuol contemplare Dio e la bellezza. Innalzandosi
verso la luce, giungerà dapprima presso
l'intelligenza, e qui potrà osservare che tutte
le idee sono belle e si accorgerà che è lì la
bellezza, proprio nelle idee. Per esse, infatti,
che sono i prodotti e l'essenza stessa
dell'intelligenza, esiste ogni realtà bella. Ciò
che è al di là della bellezza, noi lo
identifichiamo come la natura del bene, e il
bello le è dinnanzi. Anzi, per usare una formula
d'insieme, si dirà che il primo principio è il
bello, ma - per fare una distinzione tra ciò che
è intelligibile - bisognerà distinguere il
bello, che è il luogo delle idee, dal Bene che è
al di là del bello e che ne è la sorgente e il
principio. Ovvero si comincerà col fare del
bello e del bene un solo e identico principio.
Ma, in ogni caso, il bello è nel regno delle
cose che possono essere colte con la mente.
L'ultimo dei grandi filosofi pagani
Il destino dell'Anima
La Dialettica
Il fondo tenebroso delle Esistenze
La struttura della Realtà
L'Uno è tutte le cose
La Via del Ritorno
L'esperienza Mistica
La Bellezza che redime
Sulla Bellezza
Le Tre Ipostasi originarie
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