Premessa
Il Cantico dei Cantici, è un libretto di appena otto capitoli, che, in apparenza non presenta particolari problemi di interpretazione, trattando esso dell'amore di due giovani, un amore autentico e senza riserve. Ma come testo ispirato e canonico pone non pochi problemi, spesso ardui ed insolubili relativi all'autore, all'età di composizione, all'interpretazione, alla canonicità e al significato arcano o evidente. In questo libretto non appare mai il nome di Dio, non vi è nessun riferimento a realtà religiose ebraiche (il tempio, l'alleanza, la legge, la storia ebraica, il sacerdozio, la regalità); qua e là compaiono solo alcuni nomi geografici palestinesi e nulla di più.
NOME In ebraico il titolo di questo libro suona letteralmente "Cantico dei Cantici", forma superlativa che sta per "cantico per eccellenza". Questo titolo è conosciuto sin dalle più antiche versioni; solo nella versione siriaca porta anche un secondo titolo: Sapienza delle Sapienze di Salomone.
POSTO NEL CANONE Nel Canone ebraico il Cantico è messo nella terza grande divisione, nei "Ketubim" o Agiografi. Esso è elencato come primo dei cinque libri che venivano e vengono letti nelle Sinagoghe in varie circostanze dell'anno. Il Cantico ottenne il primo posto perchè veniva letto all'inizio dell'anno liturgico, il mese di Nisan, in primavera, l'ottavo giorno di Pasqua; seguivano nell'ordine il libro di Rut (Pentecoste), Lamentazioni (il nono giorno di Ab, in ricordo della distruzione di Gerusalemme), l’Ecclesiaste (festa dei Tabernacoli), Ester (festa di Purim). L'importanza di questo dato non è da sopravvalutare se si considera che l'introduzione del Cantico nella liturgia sinagogale è sicuramente di epoca post-talmudica e non va oltre il V secolo dopo Cristo. Nella versione greca e latina il Cantico è collocato fra i libri sapienziali attribuiti a re Salomone, ordinariamente dopo l'Ecclesiaste e prima della Sapienza.
CANONICITÀ Nel 90 d.C., nel sinodo rabbinico di Jamnia, il Canone ebraico dei libri sacri fu sottoposto ad un accurato esame per accertare che in essi non vi fossero se non libri che la tradizione ebraica avesse ritenuti ispirati da Dio.
I Farisei Sammaiti nutrivano più di una riserva sulla canonicità non solo del Cantico, ma anche di altri libri come i Proverbi, l'Ecclesiaste, Ester ed Ezechiele. Contro i Farisei, la corrente hilleliana, capitanata da Rabbi Aqiba (morto nel 135 d.C.) difese strenuamente la divina origine e in particolare per il Cantico appoggiandosi alla ininterrotta tradizione dei padri: "Nessuno in Israele ha mai contestato ché il Cantico contamina le mani; perché tutto il mondo non vale quanto il giorno nel quale è stato dato a Israele il Cantico dei Cantici; tutti gli Scritti, in realtà sono santi, ma il Cantico dei Cantici è il più santo dei santi". Ciò premesso bisogna anche ricordare che da parte di alcuni studiosi si è voluto ché la discussione sul Cantico partisse dal fatto ché il suo contenuto poteva creare difficoltà se non fosse interpretato allegoricamente: in altre parole essi pensano ché il Cantico fosse stato ammesso nel Canone e in esso confermato a Jamnia soltanto perché veniva letto in senso allegorico e non letterale. Essi trovano un argomento a sostegno della loro tesi nella sentenza di Rabbi Aqiba ché pronunciò un anatema contro coloro che usavano il Cantico in modo indegno: "Chi canterella il Cantico nelle bettole o lo tratta come un canto profano non avrà parte in quel mondo (futuro)" Dalla citata sentenza si è voluto trarre anche la conseguenza che Rabbi Aqiba riprovava l'uso profano del Cantico non solo perchè negava l'ispirazione, ma anche perchè lo interpretava letteralmente. In realtà gli Hilleliani non insorsero contro gli Sciammaiti portando argomenti per sfatare l'interpretazione letterale (riprovata da Rabbi Aqiba) ma solo per confermare la santità del Cantico. Infatti se gli Hilleliani fossero stati persuasi che le difficoltà degli Sciammaiti provenivano da un falso modo di leggere il Cantico e che tale falso modo era contro la tradizione, avrebbero avuto buon gioco e non si sarebbero lasciata sfuggire l'occasione di opporre ai loro avversari due argomenti invece di uno solo. Il primo sarebbe stato: voi leggete il Cantico in maniera errata (non tradizionale e quindi lo considerate un libro profano); il secondo: tutta la tradizione ritiene che il Cantico contamina le mani e quindi deve essere considerato un testo sacro. Ma del primo argomento non c'è traccia nei testi ché riferiscono la discussione, il che potrebbe far sorgere più di un dubbio circa una antica e costante lettura allegorica del Cantico in seno all'ebraismo. In conclusione quindi, con quanto precede, non si vuole confutare l'interpretazione allegorica del Cantico, ma si vuole chiarire ché essa non va confusa con la canonicità, cioè dalla interpretazione allegorica del Cantico (suggerita da rabbi Aqiba) non si deve dedurre la necessità di questa interpretazione affinché il Cantico possa entrare nel Canone.
INTERPRETAZIONE Si è già accennato ché l'argomento del Cantico sembra semplice, eppure la sua interpretazione è una "crux interpretum". Fare una storia anche non particolareggiata dell'esegesi del Cantico è impresa disperata, ove si consideri che nessun rabbino o scrittore cristiano abbia omesso di dire la sua su questo libretto. Pertanto possiamo tentare una classificazione degli studi sul Cantico secondo le grandi linee alle quali si è ispirata questa o quella corrente interpretativa. Avremo quindi:
a) Interpretazione liturgica, cultuale o mitologica Secondo questa interpretazione Il Cantico sarebbe una raccolta di inni, in onore degli dei della fecondità, da cantarsi a primavera, come accompagnamento di particolari liturgie.
b) Interpretazione naturale o naturalistica Il Cantico non sarebbe altro che una raccolta di canti d'amore che hanno il solo senso di celebrare esclusivamente l'amore umano, talora in modo violentemente erotico ed oscuro tra uomo e donna.
c) Interpretazione tipica Il Cantico è stato composto volutamente per significare due realtà: l'amore umano fra uomo e donna o entro i confini della storia (Salomone e la principessa egizia diventata sua moglie) o della realtà quotidiana (gli amori di due giovani ebrei) o della immaginazione (una parabola nuziale) e l'amore di Jahweh verso Israele e quindi, dopo la rilettura cristiana, di Cristo verso la Chiesa o il popolo cristiano.
d) Interpretazione allegorica Il Cantico ha un solo significato voluto direttamente dall'autore: l'amore di Dio verso Israele espresso con parole che non poggiano sopra un significato proprio ma solo metaforico e figurativo. La differenza fra l'interpretazione tipica e quella allegorica sta dunque nel fatto che per la prima i termini riguardanti i personaggi, le loro bellezze e attrattive fisiche hanno un loro significato quello cioè che indicano nel linguaggio comune, al quale se ne aggiunge uno ad essi estraneo. Nell'interpretazione allegorica i termini devono essere presi in senso puramente traslato, metaforico, senza alcuno dei significati ché hanno nel linguaggio di tutti i giorni.
In conclusione possiamo ricordare che mentre l'interpretazione del Targum, del Talmud e di tutti i maestri ebrei attraverso i secoli, considera la "sposa" la nazione Israelitica e lo "sposo", "il diletto" Jahweh, oggi il pensiero esegetico ebraico non continua più la linea tradizionale, perchè interpreta il Cantico puramente e semplicemente come canti d'amore tra due giovani ebrei (Così il Castelli, il Gordon, il Luzzatto ed altri moderni studiosi ebrei citati dal Lattes nel suo commento al Cantico - Roma 1965)
Le note introduttive ché precedono, sono abbastanza indicative delle difficoltà che si presentano a chi intende affrontare lo studio del Cantico dei Cantici. La difficoltà maggiore probabilmente sta nell'effettuare la scelta della "chiave" di lettura e poi tentare di proseguire nella interpretazione. Ciò premesso, ricordato che il Cantico non fornisce alcuna chiave per l'interpretazione, debbono ritenersi valide ed accettabili anche le conclusioni dei citati moderni studiosi ebraici (e non solo di essi, ma di tutta la moderna esegesi) secondo i quali, come testualmente dice il Lattes "... si tratta di idilli d'amore, di canti che esprimono con semplicità, naturalezza, calore, la passione ché spinge l'uno verso l'altro due giovani di sesso diverso". È pur vero che in tal caso riesce difficile spiegarsi come il Cantico sia finito nel canone, ma, d'altra parte non è difficile pensare ad una rappresentazione sacrale dell'Eros. Inoltre, in questo contesto possiamo ricordare che esistono tecniche particolari che, attraverso l'unione sessuale dell'uomo e della donna, mirano ad ottenere una rottura estatica, mistica o iniziatica di livello.
Anche nell'esoterismo ebraico (soprattutto nel Chassidismo) vi sono idee che si rifanno a queste tradizioni segrete, appartenenti a varie civiltà le cui fonti di informazione sono scarsamente trapelate. Idee del genere debbono aver avuto attinenza con un originario insegnamento iniziatico, la divulgazione del quale finì però col condurre ad abusi e deviazioni (come e accaduto in epoca piuttosto recente nel Sabbatismo e nelle dottrine esposte da Jakob Franck). Del resto la dottrina cabalistica può non aver ignorato pratiche basate sulla fisiologia mistica e iperfisica: infatti secondo la dottrina stessa nel corpo umano sono presenti le "Sephiroth" (cioè i principi metafisici) disposte come un albero a tre colonne, che si uniscono in corrispondenza al principio maschile e a quello femminile, al Padre e alla Madre, allo Sposo e alla Sposa, alla Destra e alla Sinistra, nella linea centrale che comprende Keter (Corona) Tiphereth (Bellezza), Yesod (Base, Fondamento) e Malkout (Regno). Su questo torneremo in seguito e cercheremo anche di capire, per quanto è nelle nostre possibilità, che intende lo Zohar (I, 55b quando dice: "Il Santo - che egli sia benedetto - non elegge domicilio dove il maschio e la femmina non sono uniti". E, ancora, che cosa significa il detto talmudico (B'rachoth 57b: "Tre cose hanno in sé qualcosa dell'aldilà: Il Sole, il Sabbah e l'unione sessuale." E, per finire, Zohar (III, 81a): "Il Re (dio) cerca solo ciò ché gli corrisponde. Perciò, il Santo - che Egli sia benedetto - risiede in colui che (come Lui) è uno. Quando l'uomo in perfetta sacrità, realizza l'uno, Egli (Dio) è in quest'uno. E quand'è ché l'uomo viene chiamato uno? Quando uomo e donna sono congiunti sessualmente. Vieni e vedi! Nel punto in cui l'essere umano come maschio e femmina si trova unito, badando a che i pensieri siano santi, egli è perfetto e senza macchia e viene chiamato uno. L'uomo deve dunque far sì ché' la donna gioisca in quel momento, onde sia con lui un unico volere ed entrambi uniti debbono portare la mente a quella cosa. Così ci è stato insegnato: Chi non ha preso una donna è come se fosse solo una metà (Jebamoth 83). Se però uomo e donna si uniscono, se divengono uno, corpo e anima, allora l'essere umano viene chiamato uno e il Santo - che Egli sia benedetto - prende dimora in quest'uno e genera per lui uno spirito santo."
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L'immagine utilizzata per questa sezione è del Maestro Franco Gracco |