La Realizzazione del sé secondo i Misteri di Mithra • Julius Evola 1926 • Esiste un livello da cui risulta per evidenza immediata che i miti misteriosofici sono, essenzialmente, trascrizioni allusive di una serie di stati di coscienza lungo la via della auto-realizzazione. Le varie gesta e le varie vicende degli eroi mitici non sono finzioni poetiche, ma delle realtà - sono atti ben determinati dell'essere interiore che lampeggiano uniformemente in chiunque volga verso la direzione dell'iniziazione, verso la direzione, cioè, di un compimento di là dallo stato umano di esistenza. Non si tratta affatto di idee allegorizzate, ma di esperienze: l'interpretazione allegorico filosofica dei miti è soltanto essa allegoria, e non meno esteriore di quella naturalistica e antropomorfica. Ciò comporta che in tanto si può giungere a cogliere qualcosa di essenziale in tali materie, in quanto di codeste esperienze si sappia già qualcosa per canto proprio. Altrimenti la porta resta inesorabilmente chiusa. Ciò valga anche per quel po' che ora vogliamo dire intorno al senso interno del mito di Mithra (1). I misteri mithriaci ci portano in seno alla grande tradizione magica occidentale - ad un mondo che è tutto di affermazione, tutto di luce e di grandezza, di una spiritualità che è regalità e di una regalità che è spiritualità ad un mondo in cui tutto ciò che è fuga dal reale, ascesi, mortificazione in umiltà e devozione, pallida rinuncia e astrazione contemplativa, non trova più alcun posto. É la via dell'azione, della potenza solare, della spirituale denominazione, opposta sia all'àtono sognante universalismo orientale, che al sentimentalismo e al moralismo cristiano. Soltanto ad un uomo « - è detto - è dato procedere su una tale via: dalla forza taurina, ogni donna non saprebbe che esser arsa e spezzata» - lo splendore dell'Hvarenô, «dell'aureola radiante e gloriosa mithriaca, non fiorisce che da una tensione spaventevole, non corona che l'aquila - l'animale che ha saputo fissare il Sole». Simbolo di colui che volge lungo una tale via, Mithra dal mito viene concepito come l'originaria luce celeste che si manifesta come un «Dio nascente dalla pietra» (theòs ek pètras, to petrogenòs Mithra). É sulla riva di un fiume che egli si svincola dall'oscuro minerale, vibrando in alto una lama e una falce che già lo avevano assistito nel grembo materno. Nascita miracolosa, avvertita soltanto da pastori «nascosti sull'alto dei monti». Noi qui abbiamo un sistema di simboli concernenti ciò che si può chiamare la fase di iniziazione in senso stretto. Quella luce celeste che era vita degli uomini e che gli uomini non hanno compresa (Ev. Giov. I, 4-5), si riaccende in colui che, strappandosi dal Dio della Terra, resistendo all'impeto delle acque, ha la sua prima nascita in ispirito. Una attività torbida, sconvolta, voraginosa, un andare cieco, una brama radicale che spinge sempre più in là in destino di rinascite sempre diverse nella lor identica inconsistenza e caducità, una vita che ha fuori di sé il proprio principio e tratta da questo e da quello va in eterna vicenda di sete e di disgusto - tale è il principio che regge la vita degli umani, tale è la materia da cui essi traggono l'effimero loro essere, le loro luci, le loro certezze. A questa vitalità selvaggia e sconvolta, generatrice e divoratrice delle sue forze in radicale contingenza, nota in Oriente come tanha (buddismo), samsâra (upanishad), mâyâ-çaíti (tantra), in Occidente come Jaldabaot, principio lunare o serpentino, Venere terrestre, Anima e Luce astrale, corrisponde il simbolo delle acque sul lembo delle quali nasce Mithra. Un iniziato è uno che, salvato dalle acque (cfr. la connessione di questo simbolo alla leggenda di Mosè), cammina sulle acque (donde il senso esoterico del noto prodigio cristico) - un Io cioè che ha saputo assumere la totalità della vita di brama e di deficienza che urge in lui per potergli resistere, per potergli dire NO, infrangerne la legge ed organizzarsi di là da essa - là dove per gli esseri del mondo sublunare (espressione, anche questa, simbolica - v. d. degli esseri che stanno sotto il principio umido, che ne sono dominati) non vi saprebbe essere che morte, annichilimento, riassorbimento. Dunque: è come un lasciare una sponda - su di essa si svolge la vita degli uomini con tutte le sue miserie e le sue grandezze - affrontare la corrente che sempre più si fa travolgente sino al limite del filone centrale (fase di preparazione, lasciata, in massima, alla sola iniziativa dell'iniziando), passare questo limite e volger quindi verso l'altra sponda. Su di questa avviene la nascita di un nuovo essere - dell'essere spirituale, di Mithra, il Fanciullo divino. La pietra, che gli è da matrice, è un simbolo per il corpo. Il corpo è il substrato della brama cosmica, è ciò che soggiace al principio umido; e alle acque soggiace dunque anche l'insieme di quegli stati edi quelle facoltà degli uomini - siano pur esse chiamate spirituali o meno - che in un substrato corporeo hanno la loro condizione o l'imprescindibile lor correlato. Iniziarsi, è svincolarsi dalla pietra, è realizzare uno stato di coscienza non più condizionato dalla connessione al veicolo corporeo. Le varie vicende a cui ora, seguendo il mito, alluderemo, sono del pari esperienze extracorporee, realizzate in uno stato speciale provocato da pratiche, su cui qui non è il caso di fermarsi. Pertanto all'espressione Théos ek pètras, nella tradizione magica si connette un secondo significato. Nel precipitarsi di ciò che è luce celeste « nella prigione della tenebrosa terra non si ha soltanto un processo degradativo, negativo: un tale precipitarsi è anche un individuarsi, un attuarsi. L'organizzazione corporea è segno di un certo nucleo di potenza qualificata, e l'iniziazione magica non consiste nel disciogliere un tale nucleo nell'indistinta fluttuazione della vita universale, sibbene nel potenziarlo, nell'integrarlo, nel portarlo non indietro, ma innanzi. Per essa lo spirito non è un altro, ma qualcosa di immanente, qualcosa che va tratto dal fondo della stessa concreta realtà umana (la pietra) che non per grazia ma per natura è divina. Donde l'espressione di pietra generatrice (correlativa alla materia della Grande Opera) e l'attributo di petrogenòs (nato da pietra) data all'Uomo-dio, Mithra non scende dal Cielo, si trae invece dalla Terra. Quanto alla nudità del fanciullo divino, essa è un simbolo complementare a quello del salvarsi dalle acque e dal trarsi fuor dalla pietra e, connesso agli altri del gittar via le vesti e del lavarsi, è ricorrentissimo nell'esoterica di ogni luogo e di ogni tempo. L'esser nudo equivale all'esser puro, e puro qui significa esser da sé, sussistere in una sufficienza distaccata da tutto. Con particolare riferimento alla volontà, la volontà impura è la volontà preoccupata, è quella che non si determina che in funzione di questo e di quello - oggetto, scopo, ragione o passione che sia, in genere: di un perché - in quanto non è capace di andare innanzi da sé, di volersi in e per sé stessa, in pura iniziativa. Questa seconda pura forma, - sarebbe il nishakâma-íarma opposta dagli Indiani al sakâmakarma o azione voluta per i suoi frutti - in Occidente è compresa sotto il simbolo della Vergine; della Vergine che tiene sotto il suo piede il Serpente e la Luna (due simboli per le acque) e che per immacolata concezione dà alla luce il fanciullo divino. Da una tale purificata volontà, da una tale volontà svincolata, fatta soltanto di atto epperò vergine, chiusa ad ogni altro, scaturisce infatti l'autozoon, quella vita che, essendo da sé stessa, sussiste di là dalla contingenza della natura mortale. Il rituale mithriaco parla appunto di un sussistere della potenza dell'anima in pura purità - che crea un nuovo nucleo di là dalle acque, che accresce in un nuovo ente il mondo di là dall'umano, di là da spazio e tempo. Tale miracolosa nascita è avvertita soltanto da pastori nascosti - abbiamo detto - sulla montagna, simbolo alludente a quelle superiori entità spirituali che invisibilmente comandano e dirigono le grandi correnti delle acque, cioè le forze storiche e sociali, le tradizioni, le credenze, l'insieme psichico collettivo da cui - a mò di gregge - sono dominati gli esseri passivi del mondo sublunare. Anche la Montagna è simbolica, simbolica di un particolare stato di coscienza metafisica che echeggia nei vari Sermoni della Montagna. Ma affinché il nuovo essere possa pervenire a virilità, deve procedere in nuove prove, prove aspre in cui vi può essere vittoria così come vi può essere catastrofe. Superiore al mondo delle nature inferiori, Mithra deve conquistare la sua superiorità anche sul mondo delle nature spirituali che lo stato extracorporeo gli dischiude. Di là delle acque - continua il mito - un vento furioso investe e flagella la sua nudità, mentre sente sorgergli d'intorno la presenza di potenze terribili. Ma egli volge dritto verso un albero, ne spicca e mangia i frutti mentre delle foglie si fa un vestimento ed allora si erge in piedi, pronto a misurarsi con i signori di quel mondo meraviglioso in cui è penetrato. Noi abbiamo dunque una serie di particolari atti di coscienza attratti, per così dire, dalla nudità, dall'elemento di volontà allo stato libero realizzato. Il vento allude ad una esperienza tanto caratteristica, quanta difficile a comunicarsi. Se ne può dare una suggestione al modo seguente. Ouando si dice: Io amo, io odio. etc., ci si presume una proprietà affatto fantastica. I sentimenti, nella loro essenza, sono qualcosa di universale, di cosmico, che si attua nei vari esseri allo stesso modo che il fuoco quando i determinismi della combustione siano presenti. Non si dovrebbe dire: Io amo, sibbene, l'amore ama in me e la volgare personalità effettivamente non è nulla più che un risultato dell'intreccio dinamico di tali forze non-individuali, e priva, come risultato, di un vero essere a sé, in alcun modo può attribuirsele. Quando sotto l'ignis essentiae - che è il fuoco dell'iniziazione come anche la vampa della morte (2) - questo composto si dissolve (è la fase che gli alchimisti chiamano putrefazione, calcinazione. mortificazione, ecc., fase che appunto discioglie dalla pietra), e pur sussiste qualcosa, una identità di coscienza (il grano d'Oro incorruttibile, lo chiamano gli alchimisti), ad un tale elemento dette potenze di sentimento si liberano dal loro mondo fenomenico, particolare e psicologico secondo cui gli uomini le sperimentano e si rivelano nella loro vera natura di forze cosmiche. Ma di contro ad esse ora ci si trova così impotenti, quanto lo è un essere fisico di contro agli elementi scatenati della natura - oceano, folgore, cataclisma. Nella sua nudità l'iniziato è percorso da queste forze in esasperate risuonanze che ne riprendono e trasportano sino al più profondo l'essere interiore - e non può far nulla, deve restar fermo, senza un movimento, senza una reazione, ché da essa egli sarebbe subito travolto. Ciò per il vento, vento nel cui grembo, secondo l'ermetica Tabula smaragdina, è portato il Telesma, il principio destinato a raccogliere in sé le potenze di tutte le cose, inferiori e superiori. Questa prova - è ciò che alcune scuole esoteriche cristiane nascondono sotto il simbolo della flagellazione - costituisce a Mithra una durezza, una forza di infrangibilità senza la quale la nuova esperienza che lo attende gli riuscirebbe fatale. Questa prova chiede nulla meno che un capovolgimento nell'affermativo di ciò che è il mito biblico del peccato originale. L'Io osa far violenza all'albero della vita, spogliarlo, cibarsi dei suoi frutti. Egli è abbastanza forte per strappare all'universale un quantum di potenza cosmica e di dominarla sotto il punto che ha saputo resistere all'acqua e al vento. É il senso come di un atto assoluto, di un lanciarsi di là da sé che crea un vuoto in cui immediatamente si precipita una potenza che avvolge, di una veste di fiamma, la nudità capace di un simile ardire. Ciò, in varie tradizioni, è chiamato la proiezione del Fuoco, atto eminentemente positivo che attrae un negativo, una discesa femminile (3) che si fa la veste di potere del nucleo; il quale in ciò acquista un organo di manifestazione e di proiezione che è così necessario per sussistere nel sovrasensibile, quanto il veicolo fisico per la vita sensibile. Pertanto il potere che si precipita ha bisogno di un centro, e chi non sa offrirglielo avendolo evocato, ne è travolto. La caduta si riferisce precisamente a questo punto. É il venir meno all'atto onde si è fatta violenza al Regno dei Cieli e al Fato, onde ci si è appropriati della Vita, è l'essere presi da un terrore, da cui immediatamente si è travolti e spezzati (4). Tale la catastrofe, la possibilità negativa. Ma altri sono invece sufficienti al proprio atto. Essi infrangono la maledizione, assumono su sé il potere, lo mantengono, lo dominano. Lungi dal cadere, essi allora rinascono in potenza, nella forza forte delle forze, nell'incorruttibile Destra. Mithra è fra essi: non solo non soggiace alla legge, ma dal suo atto trae la forza di volgersi contro colui che l'impone, per a lui imporre la propria. Qui il carattere specifico delle iniziazioni magiche risulta in modo particolarmente distinto. Effettivamente vi è tutto un gruppo di scuole che più che esoteriche potremmo chiamare mistiche, le quali tendono essenzialmente a risolvere l'individuale in un non-individuale, (a) sia esso una indifferenziata infinità - quale il nirguna-brahman vedântino - sia esso un ordine o armonia trascendente. Disciogliere il centro dell'Io in questo non-individuale come un grano di sale in oceano di acqua, è la mira di tali tendenze, per le quali dunque qualsiasi concetto di affermazione, di lotta e subordinazione nel campo spirituale non ha alcun senso. Invece la tradizione magica in quanto tiene fermo - sia pure in un significato che non ha nulla a che fare con quello proprio all'ambito fisico e personale - il punto dell'individuo, di una centralità affermativa sussistente di là da ogni dissoluzione, concepisce il mondo dello spirito in modo affatto diverso. Un tale mondo le si rivela null'affatto come il regno dell'ordine idilliaco e dell'indifferenziata universalità, sibbene come un insieme di potenze allo stata libero, nude, voraginose, potenze beate e terribili ad un tempo, riprese in un gioco di tensioni, rispetto a cui tutto ciò che gli uomini conoscono come lotta non è che un pallido e cadaverico riflesso. Ognuna di tali entità in tanto è, in tanto mantiene la propria individualità, in quanto sa resistere alle altre, che tenderebbero ad attrarla ed organizzarla sotto di sé. Mondo alla stato libero, mondo non retto da alcun piano provvidenziale, da alcuna legge di ordine data a priori che le varie forze andrebbero semplicemente ad eseguire, chè invece ciò che sta prima sono questi poteri, ed ogni legge ed ogni ordine nulla più che un prodotto di organizzazione, nulla più che il segno di un potere più vasto che è riuscito a travolgere, riprendere ed unificare altri sotto di sé, riducendo così l'originario caos delle forze molteplici e lottanti. Diciamo pertanto che la lotta qui ha tutt'un altro carattere che quella propria al campo materiale: violenza distruttiva, odio, volontà nel senso, dirò così, muscolare del termine, non vi hanno alcun luogo. É invece come un mettersi faccia a faccia di presenze, un incontrarsi di gradi di essere, di quanta di intensità. Nessuna potenza vuole, in senso stretto, travolgere e dominare le altre, ma ciò procede in via naturale, in virtù del più alto grado di essere che gli è proprio, il quale è vortice voraginoso in cui irresistibilmente sono attratte, riprese e subordinate le potenze minori che con essa si mettano in rapporto. Vincere, cioè mantenere la propria autonomia, qui vuol dire resistere. Ciò che investe un ente e non riesce a travolgerlo, da esso è fatalmente travolto e ripreso nella sua legge. Non vi è divario in questo mondo materiato di tensione: non subordinare è essere subordinato. Si comprende allora il detto, che è legge dei cosiddetti maestri, non rivelarsi agli uomini; si comprende ciò che nel lato esteriore di sacerdoti dei misteri, di Re dei Boschi, la cui dignità non era confermata che dal trionfare su chiunque li sfidasse alla lotta o cercasse di sorprenderli, ha dato al Frazer la materia per la sua opera principale; si comprende ancora la strana affermazione, che il discepolo che riesce uccide il maestro, e, infine, il concetto orientale che gli dei sono i nemici dello yogin. Nella via lunare o isiaca è quistione di rendersi strumenti obbedienti delle superiori entità; nella via magica, solare ammonica è invece quistione di mantenere il proprio essere di fronte ad esse, ma ciò non è possibile che a patto di vincerle, di stappare loro il quantum di fato che esse reggono, per assumere su sé, come su di una più vasta consistenza, il peso e la responsabilità. Ecco dunque che si schiudono le porte e tutt'intorno lampeggia il regno di coloro che sono, delle potenze terribili che fissano il nuovo venuto, quasi pesi immani in imminenza di precipitazione. Di là da tutto, il Sole, l'Eone fiammeggiante: è un attimo estremo, che crea intorno a sé il silenzio, il deserto, il terrore delle grandi catastrofi e dei grandi sacrilegi. Mithra resiste, fissa il gran dio, non più prega; comanda, ed ecco che l'altro cede, ecco che chiede a lui investitura e patto di amicizia. In questo apice si chiude la prima grande fase dell'iniziazione: un essere si è creato più forte della natura, più forte degli dei, un essere che sta di là dallo stato di nascita e morte. * * * Si è già detto che quanto precede corrisponde ad una serie di realizzazioni avvenenti fuori dal corpo e o direttamente, ovvero per induzione nell'iniziando di particolari stati di coscienza da parte di persona che abbia potere a ciò (lo jerofante dei misteri), stati che gli pongono come un problema e una prova che egli deve risolvere con un determinato atto dell'essere spirituale. Ora nei misteri mithriaci si ha una realizzazione ulteriore, il cui correlato è il mito dell'uccisione del toro. Il compito è il seguente: riaffermare l'apice solare e regale, realizzato in sede extracorporea, sul corpo stesso, sull'oscura pietra lasciata già in tutta questa fase. É con la potenza selvaggia ed indomita della vita, simboleggiata dal toro, che ora Mithra deve mettersi in contatto a fine di soggiogarla. Si entra in un ordine di pratiche che investono il corpo stesso, che tendono a trasformare essenzialmente il rapporto con cui la radice profonda di questo sta, in via normale, all'Io. Qui non è il luogo di parlare dei metodi usati a questo scopo, metodi che vanno dall'assunzione esclusiva del fuoco di concentrazione mentale al congruo sfruttamento di traumi psichici, quali quelli propri, p.s., alla sofferenza e all'eccitazione sessuale. Le scuole indiane si incentrano particolarmente su pratiche appoggiate al respiro, e poiché il rituale pubblicato dal Dieterich ce le mostra altresì in atto nella teurgia mithriaca, su di esse daremo un cenno, pur avvertendo che si tratta di pratiche che riescono o affatto infruttuose, o estremamente pericolose per chi non si sia già fatto sufficiente alla serie di esperienze sopra descritta. Mithra guata il toro. Ecco che di colpo gli balza addosso e lo inforca, tenendosi fermo alle corna. Il quadrupede, preso il galoppo, ha un bel trasportare il suo cavaliere in una corsa furibonda: questi non lascia la presa e si lascia trasportare sospeso alle corna dell'animale che, ben presto spossato, deve lasciarsi prendere proprio nell'antro che aveva lasciato. Il Dio lo tiene fermo e, in nome del Sole, lo finisce con un colpo di pugnale. Abbiamo già detto che il toro rappresenta la forza elementare della vita: esso si identifica al Drago Verde alchemico, alla kundalinî tantrica, al Dragone taoistico. In rapporto alle pratiche respiratorie, è il prâna, cioè il respiro assunto nel suo lato sottile e luminoso che sta al soffio materiale come anima a corpo. Questa vita per sua natura è sfuggente, incoercibile: è l'inquieto mercurio, il volatile, l'uccello (l'uccello hamsah dei testi indiani, ove ham e sah sono appunto i suoni di inspiro ed espiro) che l'iniziato deve cavalcare e fissare. Un cenno di pratica è il seguente: Assumere a fondo la funzione del respiro, perdervisi tutto secondo un perdersi che ad un tempo sia un volerla assolutamente. Poi, con intrepidezza, lasciarsi andare, sprofondarsi. Il Dragone spicca il volo. Il respiro secondo le scienze iniziatiche ha quattro aspetti: uno materiale (sthûla) connesso allo stato di veglia e alle facoltà cerebro-psicologiche; uno sottile luminoso (sûkshma) connesso allo stato di sogno e al sistema nervoso, uno causante igneo (kàrana) connesso alla stato di sonno profondo e al sistema sanguigno, ed infine un ultimo, dai testi indiani detto turiya (il quarto) connesso ad uno stato speciale manifestantesi in forma di stato catalettico o di morte apparente, al sistema osseo e alla funzione di generazione. Mithra che, afferrato il toro, si lascia trasportare nella corsa senza lasciare la presa, è simbolico dell'Io che nello sprofondare attraversa questi stadi superando i » punti neutri « che li separano, a partire dal primo dei quali l'uomo volgare perde invece coscienza (nell'addormentarsi). Il toro si arrende quando vi è tanta intrepidezza e sottile forza di sussistere, da spingere lo sprofondamento sino al quarto stadio (5): là la radice della vita animale è afferrata, fermata, il mercurio fissato, congelato - ed avviene l'uccisione del toro: per un ultimo gesto essa è tratta via da ogni appoggio, sospesa, spezzata, arsa. Ma ecco che in questo punto supremo si opera una trasformazione miracolosa. Dal profondo erompe fulmineamente una vita fiammeggiante, divina, vorticosa. Essa irrompe per tutto il corpo lampeggiando e tutto lo trasfigura, tutto lo ricrea ab imo in un ente di pura attività, in una gloria, in uno splendore immortale. É il radiante, l'augoeides, l'Hvarenô, il vajra, il Do-rje, nomi diversi di diverse tradizioni d'Oriente e d'Occidente per una unica cosa: questa natura fatta di diamante e di folgore irresistibile, risoluzione immortale della privazione mortale. Non sgorga dunque sangue dalla ferita del toro, ma grana, pane di vita in fons perennis che il deserto d'intorno popola del miracolo di tutta una nuova vegetazione. Tuttavia resta ancora un ostacolo: delle frotte di animali immondi si lanciano sul toro morente a berne il sangue e morderne i genitali, così che la fonte di vita ne sia avvelenata. É l'ultimo episodio, il cui significato è il seguente: la forza prodigiosa, sovrumana, la kundalinî svegliata al punto dell'uccisione dell'animale, si è detto che immediatamente inonda tutti i principi e le funzioni che reggono l'essere corporeo. Ora quando il processo non sia stato condotto così che tutti questi elementi risultino già purificati, organizzati e dominati in unità, avviene che essi si scatenano ed assorbono e trasformano in loro favore quella superiore potenza che doveva invece trasformarli in funzioni di un corpo spirituale. Ne segue cioè una terribile ricaduta, uno sprigionarsi, una tempesta indomabile di forze della vita animale ed emotiva straordinariamente esaltate. Tale l'oscurarsi del cielo e la procella e il diluvio che, in testi alchemici e taoistici, è detto poter seguire il bere quel latte di Vergine che è il sangue del Dragone; tale, altresì, nel mito mithriaco, l'accorsa degli animali immondi sul cadavere del toro. Esperienza che difficilmente saprebbe venir eliminata del tutto, in ciò si ha l'ultima prova. Ma ecco che, di là da essa, il cielo di nuovo si riapre, il miracolo si continua. Gli ultimi oscuri ostacoli sono travolti nella marea di luce e di suono che ascende vorticosa, accendendo ciò che dorme oscurato, sepolto, contratto sotto specie di organi corporei, in gesti, in folgorazioni di potenza, in illuminazioni cosmiche: è l'ascesa dell'uomo-dio nelle sfere celesti, nella gerarchia dei sette pianeti per cui tutta l'esteriorità delle cose di natura impallidisce, si estenua, si fa interiormente luminosa, arde infine. Tutto si anima, tutto si desta e rinasce da dentro tutto si fa simbolo, significato, luce, spirito di un corpo immenso, eterno, vertiginoso, in una pienezza che si dà a sé medesima e trabocca in esultanza. Di là dalla settima sfera, l'eccesso: ciò in cui non vi è più né un qui, né un non-qui, che è calma ed illuminazione e solitudine come in un oceano infinito. É il grado di Padre di là da quello dell'Aquila , il vertice, il substrato del mondo voraginoso, scatenato, fiammeggiante delle potenze. * * * Tale la via, tale la possibilità dell'uomo secondo la Sapienza mithriaca, secondo quella sapienza che contro il cristianesimo si disputò il retaggio dell'Occidente romano. Respinta e travolta nel piano più esteriore, l'efficienza della sapienza dei misteri si conservò in una occulta tradizione e in sottile, invisibile influenza operò sulle grandi correnti storiche d'Occidente. Ed oggi, di nuovo, di là dal mondo che la scienza ha liberato e la filosofia interiorato, riaffiora; riaffiora in conati ancora confusi, in esseri spezzati sotto una verità che, troppo forte per loro, altri sapranno assumere ed affermare; affiora in un Nietzsche, in un Weininger, in un Braum, affiora al limite dell'ultimo idealismo, affiora in noi - nella nostra volontà d'infinito, nel nostro solo valore: una vita solare e regale, una vita di luce, di libertà, di potenza. 1 - La materia del mito di Mithra l'abbiamo rigorosamente rilevata da F. CUMONT: Les mystères de Mithra, e Textes et Monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, 2 voll. - in connessione al rituale mithriaco pubblicato in tedesco da A. DIETRICH (Eine mithrasliturgie; Leipzig, 1903) e in inglese da G. R. S. MEAD (A mithriac Ritual; London a. Henares, 1907). 2 - L'iniziazione, si può dire, non consiste in altro che in una assunzione attiva di quel processo che negli esseri comuni produce la morte: è la potenza ti determinare la morte, passarle attraverso, riaffermarsi al di là da essa. In APULEIO (Met., II, 21) si trova appunto detto che «l'iniziazione viene celebrata guisa di una morte volontaria». 3 - Qui va fatto presente che nelle tradizioni iniziatiche la potenza in senso stretto (çakti) è intesa come una passività strumentale quindi come un negativo e un femminile rispetto a cui il positivo e il maschile è il motore immobile, colui che comanda senza muoversi, per atto di immateriale iniziativa, di pura determinazione spirituale. 4 - Per lo sviluppo del mito della caduta in connessione alla via di Dioniso, cf r. J. EVO1.A: L'individuo e il divenire del mondo, II, Roma 1926. a - Su questo argomento l'Autore si è nuovamente espresso ne «La maschera e il volto dello spiritualismo contemporaneo» (inizio del capitolo: Il neomisticismo), «La dottrina del risveglio» (capitolo: Determinazione delle vocazioni, nel punto in cui si afferma l'estraneità di agni forma di panteismo alla dottrina del Buddha) e ne «L'arco e la clava» (capitolo: Il mito di Oriente e di Occidente). Sulla realizzazione dello stato supremo ed incondizionato nella dottrina vedântina, cf r. R. Guénon: «L'uomo e il suo divenire secondo il Vedânta», capitolo: La liberazione finale. 5 - La «caverna» in cui il «toro» si rifugia alla fine della sua corsa, corrisponde all'alchemico «antro del mercurio» e consiste in un centro sottile del corpo posto in corrispondenza al plesso basale, chiamato dagli Orientali mûlâdhara e da essi connesso appunto al «tattva» della «terra». |