1. - Ma chi era Zarathustra e che sappiamo o possiamo sapere di lui?
Gli scrittori greci e latini, in minor misura i più antichi, in maggiore i più recenti, in particolare quelli del Medio Evo, e con questi gli orientali, zoroastriani e musulmani, anch'essi dei tempi più tardivi, hanno spacciato sul conto di questo antico e oscuro personaggio le notizie più strane e meravigliose. L'Avesta, invece, mostra saperne ben poco; almeno, ne dice ben poco. Noi non riferiremo qui tante favole quante se ne leggono in quei libri. Non hanno fondamento alcuno di verità; e però chi volesse averne notizia precisa, potrà consultare il libro di un dottissimo americano, del professore Guglielmo Jackson, che, raccoltevi e ordinatevi accuratamente insieme tutte le testimonianze antiche e recenti, orientali e occidentali, intese di ricavarne il racconto della vita e della carriera di profeta e di legislatore. Ammette egli, come ammettiamo anche noi, che Zarathustra sia personaggio storico; e però altro lavoro non gli resta che di vagliare, di esaminare, di confrontare le testimonianze infinite che vanno, in Oriente, dall'Avesta alle ultime compilazioni dei Parsi, e, in Occidente, vanno da Platone agli ultimi cronisti e teologi del Medio Evo.
In tutto questo non possiamo seguirlo noi; e però ci appagheremo di riferir soltanto e brevemente quella parte della tradizione orientale che è la più ammissibile e credibile, lasciando, s'intende, gl'infiniti miracoli che vanno attribuiti al gran profeta e le notizie tutte di poco conto. L'Avesta dice che Zarathustra era figlio di Pourushaspa, che nacque presso il fiume Daregia, nell'Airyana-vaegia, cioè nell'Iran, nel paese iranico, e propriamente nella Media, cioè nell'Iran occidentale. Era soprannominato Spitama, soprannome o cognome indubbiamente di famiglia. L'età del viver suo e della predicazione, poiché senza alcun dubbio egli recò nell'Iran una fede e una legge novella, cade con ogni probabilità, come altrove abbiamo notato, tra il V e il VI secolo avanti l'Era nostra; e un monarca che si chiamava Vistaspa, da non confondersi col Vistaspa o Istaspe padre di Dario, fu uno dei primi suoi discepoli. Di qual gente e di qual paese fosse signore cotesto Vistaspa, non è ben certo, perchè il dirlo e crederlo re d'un regno di Battriana nell'Oriente dell'Iran, come fino ad ora si è creduto da molti, si è trovato di recente essere errore manifesta. Un regno di Battriana a sei secoli avanti l'Era nostra, non è stato mai. Ma Zarathustra, pur avendo convertito alla sua religione e il re e la corte, anche coi molti e mirabili prodigi che si racconta seppe fare, trovò non pochi nemici e non pochi ostacoli. La predicazione sua fu cagione, inoltre, di una accanita guerra con un re di nome Aregiataspa, che aveva signoria nel Turan, cioè nell'Asia settentrionale, e che, dopo ch'ebbe invano esortato il re Vistaspa a rinnegare la nuova fede, gli mosse incontro con le armi. In un assalto che il nemico re diede alla città di Bakhdhi, che è la Baktra o Battriana degli Antichi, Zarathustra rimase ucciso nella strage comune.
2. - Questo poco soltanto possiam dire con una tal quale certezza, e questo poco è facilmente credibile. Tutto il resto è favola. Sennonché, nella scarsa tradizione riferita di sopra, è necessario rilevare due punti che sono importanti, e uno tocca la provenienza di Zarathustra, l'altro tocca il modo secondo cui la tradizione ce lo rappresenta. Quanto alla provenienza, risulta quasi certo ch'egli mosse da una regione che era ad Occidente dell'Iran, o almeno dalla parte più occidentale, d'intorno al lago Urmia, cioè da una regione iranica più prossima a genti semitiche e loro contigua, se pure non venne addirittura, come qualcuno anche ha quasi sospettato, da paese semitico. Tutto ciò consuonerebbe con la dottrina del monoteismo, che i profeti ebrei, precisamente nell'età in cui si suppone abbia vissuto Zarathustra, altamente predicavano e inculcavano. E non sarebbe stato egli stesso un semita venuto a predicare in paese iranico e ad imporvi l'alta dottrina monoteistica del suo paese? Il nome stesso onde va designato, che suona Zarathustra nell'Avesta, Zoroastro presso i classici, e Zerdust nell'idioma persiano recente, non ha plausibile etimologia nella lingua iranica, antica o moderna, e la forse parvenza di essere di origine straniera. Resta che, secondo la supposizione nostra, se ne possa rinvenire quando mai l'origine in qualcuna delle lingue semitiche.
Quanto poi al modo con cui la tradizione ce lo rappresenta, si può dire anche qui con certezza ch'essa lo atteggia non solo come riformatore, ma anche come tale che, avendo ricevuto dalla Divinità l'alto ufficio di bandire ad un popolo, ad una gente, una nuova dottrina, santamente e costantemente, fino alla morte, adempie quell'ufficio. Il qual tratto è interamente simile a quello dei profeti o riformatori o legislatori semiti, e n'é, anzi, l'essenziale e il formale, laddove i grandi legislatori o fondatori di religioni d'origine non semitica sono ben diversamente tratteggiati e dalla storia e dalla tradizione. Non sono messaggeri di alcuna divinità, sì bene si levano di per sé stessi e dalla loro mente e dalla loro anima ricavano la dottrina loro e questa vanno predicando non in nome della Divinità, sì bene in loro nome, come appunto, a sei secoli avanti l'Era volgare, fece Buddha in India predicando la sua religione, o meglio la sua filosofia che, tra l'altro, era anche atea. Questo di Buddha, se non erriamo, è il tipo del riformatore o legislatore ariano o indoeuropeo, mentre Zarathustra é legislatore, é fondatore di tipo semitico, vale a dire del tipo stesso di Mosé e di Samuele, d'Isaia e di Geremia presso gli Ebrei, fino a Maometto, al profeta degli Arabi, che asseriva d'esser stato il suggello di tutti i profeti del tempo antico. Tutto adunque, in Zarathustra, accenna ad un carattere semitico che s'intravede quasi non dubbio nella figura sua tradizionale, nell'ufficio suo, nell'opera. E c'é anche una tradizione musulmana che lo dice discepolo di Geremia. Noi non ammetteremo tanto, ma noteremo soltanto che, se anche tale tradizione é falsa in sé, può esser nata tuttavia da un lontano e incerto sentore dell'origine o provenienza semitica di lui, e ci permetteremo anche di osservare che, se Zarathustra era del secolo VI avanti l'Era nostra, era appunto contemporaneo di quel profeta.
3. - Riassumendo le cose dette fin qui, sembra che il cammino percorso, per così dire, dal Zoroastrismo per formarsi e divenire quale ora lo troviamo nell'Avesta, sia il seguente. Religione primitiva delle stirpi iraniche dovette essere un culto naturalistico, politeistico, affine al vedico, portato con sé dalle stirpi stesse fino dalla sede originaria comune ad esse stirpi indoeuropee.
Le divinità ch'erano oggetto di quel culto, rappresentavano, s'intende, e personificavano le forze e i fenomeni della natura, e formavano un bene ordinato Olimpo. Sopravvenne dal di fuori, recata da un profeta o legislatore, Zarathustra, una dottrina essenzialmente opposta, monoteistica; ma l'importata dottrina suscitò opposizioni, destò contrasti, trovò ostacoli, dei quali si lagna il riformatore stesso. L'insegnamento primo e genuino, diremo anche personale, di lui, deve rinvenirsi soltanto negl'inni o canti che la tradizione unanime, con venerazione grande, gli attribuisce. L'Avesta allora, come è ovvio intendere, non c'era ancora. Ma intanto, vivente ancora Zarathustra o poco dopo di lui, ecco che, per toglier via i contrasti e gli ostacoli e per accordar la nuova dottrina con le troppo radicate credenze nazionali (non diremo volgari), si dovette ricorrere a quel compromesso di cui sopra abbiam detto, sottomettendo al monoteismo insegnato e bandito dal nuovo profeta, il vecchio politeismo. Ne nacque così un nuovo Olimpo che diremo teologico, con a capo Ahura Mazdao, con soggetti a lui gli antichi Dei. Soltanto poterono esservi aggiunte, come pare, alcune divinità nuove, mere astrazioni, dovute alla speculazione dei teologi e dei filosofi, quali, per esempio, Vohumanah, cioè l'Intenzione buona, Ras-nu, cioè la Rettitudine, e altre simili, lontane certamente dai concetti schiettamente naturalistici del vecchio culto.
Il dualismo, quantunque già in germe nei primi canti zoroastriani, venne svolgendosi lentamente di mano in mano, e mise capo al Vendîdâd, al libro inteso a preservare la creazione buona di Ahura Mazdao dalla contaminazione rea di Anra Mainyu. Ma il libro, già l'abbiam detto, è opera di più tarda età, lavoro ulteriore di sacerdoti zoroastriani svolgenti a forza di speculare, nelle loro scuole, la dottrina del fondatore, quando già in una regione particolare dell'Iran s'era formata una sede fissa, ora si direbbe o focolare o centro, della religione. Quella regione particolare dovette essere la parte occidentale dell'Iran, la Media, anzi propriamente la città che ora diciamo Rey, detta Ragha nell'Avesta e Raga nelle iscrizioni cuneiformi persiane. In Ragha adunque, sede del Zarathustrotema, cioè del successore di Zarathustra, laddove era anche il collegio dei Magi, seguaci di lui, fu data la forma definitiva alla religione, fu messo insieme l'Avesta, se non tutto, nella sua maggior parte certamente, sino a farne quella varia e vasta enciclopedia del sapere quale esso era da principio, e di cui a noi altro non é pervenuta che una parte ben piccola. Fu quella la sede del Zoroastrismo dualistico; del monoteistico derivante da Zarathustra la prima sede fu la corte del re Vistaspa, forse nella parte opposta dell'Iran, nella orientale, non però precisamente in Battriana, come pare che oggi si debba escludere in modo quasi assoluto.
4. - Come si vede, procede molto incerta e dubbiosa l'esposizione nostra; ma l'argomento é irto di difficoltà e per molti punti che richiederebbero maggior luce, mancano i dati storici. Quello tuttavia che ora diremo cercando di tratteggiar meglio il Zoroastrismo, perché ricavato dall'Avesta stesso e dai libri tradizionali, sarà assai più certo e più fondato.
Il dualismo dell'Avesta è un dualismo strettamente e sottilmente logico, intravisto e riconosciuto in tutto quanto il creato, sia materiale, sia spirituale, in forza del quale esso creato, tutto l'Universo insomma nel suo complesso, agli occhi del fedele si mostra come diviso e scisso in due campi opposti, essenzialmente e naturalmente nemici, eternamente contrastantesi a vicenda fra loro. È la gran battaglia tra il bene e il male, battaglia cosmica, iniziata fin dal principio del mondo; e del bene è creatore Ahura Mazdao, e del male è creatore Anra Mainyu, increati ambedue. Tutto ciò che nell'Universo é buono, é bello, é onesto, é utile nel senso materiale e nel morale, é bella opera di Ahura Mazdao; tutto ciò che nell'Universo é malvagio, é brutto, é disonesto, nocivo nel senso materiale e nel morale, é rea opera di Anra Mainyu. Né ciò si dice da noi come per vaghezza soverchia di simmetria, perché appunto su di un ordine rigidamente e sottilmente simmetrico sta fondato questo così fatto dualismo. Alla luce, perciò, sta opposta nel creato la tenebra; alla verità, la menzogna; alla pietà, l'empietà; alla fede, il dubbio; alla vita, la morte; ad Ahura Mazdao, l'avversario suo Anra Mainyu. Che se potrà osservarsi che i concetti ora enumerati sono già essenzialmente fra loro opposti, e che, come tali, non solo fanno parte di qualunque altra fede o religione, ma anche appartengono all'ordine, si può dire, delle verità prime che l'uomo possa concepire, ciò é vero e sta bene. Ma il particolare del dualismo dell'Avesta consiste in questo soltanto ch'esso assegna alla creazione di Ahura Mazdao tutti i concetti e tutte le cose buone, e all'avversario suo tutti i concetti e tutte le cose ree. Qui sta il punto. Tutto, inoltre, nel creato é opposizione, anche nelle cose materiali, perché se il fuoco é creatura del dio buono, il dio malvagio e reo vi creò, per contaminarlo, il fumo e la cenere; e gli animali nocivi son pure creature di Anra Mainyu, e con essi le malattie tutte, gli escrementi e ogni sorta di brutture, anche i vermi e gl'insetti e tutto ciò che viene da essi, come, per esempio, il miele delle api e il prodotto del baco da seta. Né i due geni creatori stanno mai inerti; che, anzi, mentre Ahura Mazdao troneggia nella limpida plaga del cielo dove la luce é infinita, Anra Mainyu si tiene accovacciato, pronto sempre alle offese, nella regione delle tenebre infinite, donde muove all'assalto. L'opera sua perciò, oltre ad essere essenzialmente malvagia, é anche una specie di voluta contaminazione del bene creato dall'avversario, appunto come per esempio abbiam detto or ora che, se Ahura Mazdao creò il fuoco, egli v'indusse la cenere e il fumo. Questo particolare l'hanno inteso assai bene i teologi e i filosofi speculanti dell'Avesta secondo i quali l'opera di Ahura Mazdao é designata come una vera e propria creazione (dâmi, dâhi, dâman), e l'opera avversa di Anra Mainyu è chiamata opposizione (paityâra). Intanto, Anra Mainyu cerca con ogni mezzo di distruggere, di annientare l'opera di Ahura Mazdao, e là, nel fondo del freddo e tenebroso settentrione, sta la sede dei demoni da lui procreati, mentre sotto la plaga lucente del cielo meridionale, là dove è la via percorsa dal sole, si sta la sede felice dei beati.
5. - Ora, la teologia Avestaica stabilisce e riconosce due gerarchie nemiche, una celeste con a capo Ahura Mazdao, una infernale con a capo Anra Mainyu.
Consta la prima dei sette Amesa Spenta, o Imsaspandi, cioè dei sette Santi immortali, tra i quali è compreso alla sua volta lo stesso Ahura Mazdao, e di un'infinita schiera di Geni, cioè di esseri buoni e benefici, protettori degli uomini, designati dall'Avesta col nome di Yazata, che vuol dire i Venerabili. Consta l'altra di Anra Mainyu stesso e di infiniti esseri malvagi ed essenzialmente rei, di demoni, che si chiamano Daêvi o Devi, nemici d'ogni bene, intenti continuamente a contaminarlo e a disperderlo. Notisi intanto e come di passaggio che i Daêvi del Zoroastrismo altro non sono in origine che. i Devi della corrispondente, anzi affine mitologia e teologia indiana. Sennonché i Devi indiani sono divinità buone, protettrici amiche dell'uomo, laddove i Daêvi iranici sono esseri maligni, veri geni del male. Ciò dipende probabilmente dal fatto che una qualche scissura religiosa, come ragionevolmente si può supporre, turbò la società o la vita ariana o indoiranica prima della scambievole separazione, ovvero da ciò, che antichi concetti religiosi dovettero man mano cambiarsi e alterarsi profondamente per cagioni che é assai difficile, per non dire impossibile, rintracciare.
6. - Ahura Mazdao intanto, il cui nome nella seconda parte, se l'interpretazione é giusta, vuol dire quei che grandemente sa, nell'Avesta é considerato come l'essere supremo, creatore primo d'ogni cosa buona, e come tale solennemente proclamato. Ha tutti gli attributi d'un Dio altissimo, perché é onnisciente, sapientissimo, custode e difensore delle creature sue, inaccessibile all'inganno perché tutto vede e sa, creatore della luce, degli uomini e della così detta giovenca primeva che é, come si vedrà, il simbolo vivente della forza e della virtù produttiva della natura. Il trono di lui sta nel più alto cielo, ed egli vi siede attorniato dalle milizie celesti. Quest'ultimo concetto é comune, si può dire, a quasi tutte le religioni; ma gli attributi ora enumerati sono di natura filosofica e teologica, tali che accostano esso Ahura Mazdao al dio semitico, al Yahveh in particolare degli Ebrei, mentre lo discostano da ogni altro dio indoeuropeo al quale, di solito, vanno accompagnati sempre, o quasi, attributi antropomorfici. Anche con tutto questo, l'astratta natura del loro Dio supremo non impedì agl'Irani di rappresentarlo con la scultura. Fra gli altri attributi che l'Avesta ne va enumerando, c'è anche quello di assai ben conformato, e gli Achemenidi lo vollero rappresentato sui loro monumenti sepolcrali con tiara e ali da sparviere, reggendo in pugno un simbolico anello, l'anello della potestà. La faccia, virilmente barbuta, spira certa dolcezza e bontà. Come abbiam notato altrove, questo modo di rappresentar la divinità, venne agl'Irani dai Babilonesi.
Ma di concetto assai più astrattamente teologico e filosofico sono i sette Santi immortali. Nel tratteggiarne la figura, se si può dir figura di cosa tanto astratta, dovette aver lavorato soltanto una mente sacerdotale e speculativa, perché, veramente, in ben altra maniera la fantasia del popolo si immagina e foggia le figure dei suoi Dei. Dopo Ahura Mazdao il primo di essi é Vohu-manah, cioè il buon Pensiero, la buona Intenzione. Vengono poi in ordine Asa-vahista, cioè la miglior Rettitudine; Ksathra-vairya, cioè il più eletto Governo; Spenta-Armaiti, la santa Pietà, che é il Genio femminile della terra; in fine, Haurvatat, l'Integrità, e Ameretat, l'Immortalità. Non siamo certi d'aver tradotto con la dovuta precisione cotesti nomi; ma i significati dati sono approssimativamente quelli di altri interpreti autorevoli, compreso lo stesso Plutarco che tutti li riferisce. Comunque sia, osserveremo che nessuno degli antichi e primitivi Dei del vecchio Olimpo iranico fu posta tra questi Santi, e se ne intende il perché. La lor natura particolare, mitica, antropomorfica, avrebbe discordato troppo dalla natura astratta di queste altre divinità. Vi fu tuttavia chi volle trovare il prototipo dei Santi immortali nei sette Aditya dell'Olimpo vedico, che sono i figli di Aditi, della dea del firmamento o dello spazio infinito; ma la congettura non ebbe seguito. Altri pensò a cercarne l'origine nell'angelologia del Talmud; ma é noto che in quest'ampia e vasta opera tradizionale del Giudaismo molte cose si trovano prese a prestito da altre nazioni, anche dall'iranica, cosicché dovrebbe inferirsene, forse con maggior probabilità, tutto l'opposto. Ad ogni modo, i Santi immortali dell'Avesta sono come angeli o arcangeli, ministri di Ahura Mazdao, esecutori attenti e passivi dei comandi di lui. Risalgono indubbiamente al Zoroastrismo più antico, trovandosene frequente menzione nelle Gâtha. Plutarco poi, che li ricorda e descrive, attingeva probabilmente a Teopompo, scrittore assai più antico, generalmente assai bene informato.
7. - Schiera di spiriti santi e benigni, ma d'importanza e dignità minore, sono gli Yazata o Geni, che a centinaia e a migliaia occupano tutto quanto il creato spirituale e corporale. Anche Diogene Laerzio dice che, secondo le credenze persiane, tutta l'aria intorno n'è piena e ingombra. Ma i principali ne sono soli ventiquattro, ai quali, insieme ai sette Santi immortali, essendo consacrato un giorno del mese, avviene che ogni giorno dei trenta o trentuno si trova sotto la protezione di uno di essi, appunto come si fa da noi coi nostri calendari. Loro ufficio è quello di eseguire, come angeli o ministri, gli ordini di Ahura Mazdao, di favorire, di proteggere gli uomini pii tutti, di difendere le creature tutte contro gli assalti di Anra Mainyu e dei suoi demoni. Si dividono in spirituali e in corporali o terreni; ma capo e duce e signore di tutti, massimo dei primi, è sempre Ahura Mazdao.
Secondo però la loro natura, possiamo suddividerli anche in altra maniera. Alcuni di essi procedono dall'antica e primitiva religione naturalistica, sono, anzi, gli antichi e primitivi Dei della nazione; altri sono dovuti alla speculazione sacerdotale e teologica, e sono, perciò, altrettante personificazioni di concetti astratti, come anche i Santi immortali. Questa divisione può dirsi storica, perché suggerita dalla storia stessa del Zoroastrismo. Alla prima schiera, intanto, appartengono il Fuoco, le Acque, il Sole, la Luna, la stella Sirio, ai quali la speculazione posteriore, per cancellarne il carattere mitico, ha aggiunto per ciascuno un Genio custode. Vale a dire che, mentre a principio il Fuoco stesso, per esempio, anche materialmente inteso, era il Genio divino in sé e per sé, ora vi si colloca accanto, come custode e protettore, un Genio del fuoco. Così a poco a poco, come del resto in altre religioni, l'essere divino si stacca dal fenomeno naturale che rappresenta, e si va personificando. Appartengono all'altra schiera, tra gli altri, Sraosa che é il Genio dell'obbedienza; Daena, il Genio della religione; Verethraghna, il Genio della vittoria; Rasnu, il Genio della giustizia, le Fravasi, di cui diremo a suo luogo.
8. - Il Fuoco é il primo, adunque, dei Geni buoni, tanto elevato e alto e santo nella coscienza degli Irani da far sì che questi ne furono detti, sebbene erroneamente, gli adoratori. Essi, invece, lo considerano come il maggior simbolo di Ahura Mazdao, figlio, anzi, di lui, degnissimo perciò di lode e di venerazione. Si aveva grandissima cura di mantenerlo sempre acceso, di alimentarlo con legne aride. Ardeva di consueto nello spazio aperto davanti alla casa, e l'ingenua fantasia popolare, come si legge nell'inno che gli é consacrato, immaginava che esso, quasi chiedendo soccorso ad un amico, mirasse alle mani dei passanti spiando se mai gli recassero alimento di legne. Ogni giorno, all'alba prima, egli desta il domestico gallo perché col suo canto metta in fuga dalle palpebre dei viventi il demone femminile del sonno, detto la Busyasta dalle lunghe mani; e poi, ad alta voce, chiede al capo di casa legne secche e copiose.
Son queste le idee primitive, popolari, che si connettono all'essenza del dio nel senso naturalistico. Alla speculazione appartiene invece il concetto, mentovato or ora, che fa del dio Fuoco un figlio di Ahura Mazdao, e v'appartiene quest'altro delle diverse epifanie o manifestazioni sue che sono cinque. Cinque fuochi diversi, cioè forme o parvenze varie del dio, distingue il Zoroastrismo, che sono: quello che é occulto nel seno della terra; il calore del corpo umano; quello che é nascosto nelle legne e in ogni materia combustibile; il lampo e il fulmine; la luce che investe e avvolge Ahura Mazdao e tutte le creature celesti. Facciam grazia ai lettori dei cinque nome propri, alquanto strani per noi, e soggiungiamo che altra manifestazione o epifania divina del Fuoco é quel nimbo o aureola luminosa che circonda il capo dei monarchi irani dei tempi eroici e dei sacerdoti zoroastriani, simile all'aureola dei nostri Santi. Quel nimbo, quell'aureola é il visibile segno della maestà reale, e però, secondo le idee strettamente legittimistiche degl'Irani, soli quei personaggi che ne andavano fregiati, potevano essere assunti al trono. Così, nella saga epica, un figlio del re Nevder, il valoroso, ma alquanto vanitoso principe Tus, non poté succedere al padre perché ne andava privo. Così, secondo l'Avesta, in un passo che riferiremo tradotto, il nemico maggiore degl'Irani, Franrasyan re dei Turani, privo della maestà reale, affannosamente per tre volte le corse dietro mentre essa, in forma di un mitico augello, s'involava da lui.
9. - Le Acque son tutte personificate nella dea Ardvi Sura Anahita, che, conosciuta dai Greci sotto il nome di Anaitis, fu da loro identificata ad Artemide. É divinità d'importanza grandissima in paese, quale é l'iranico, scarso d'acque e perciò arido e sterile e pur dato all'agricoltura. Il suo culto sembra di origine assira, ed era ampiamente sparso per tutta l'Asia anteriore, esercitato in Babilonia, in Susa, in Ecbatana, in Damasco, in Sardi. L'Avesta poi, come si vedrà nell'inno che esso le consacra, con manifesta compiacenza la descrive e adorna. La sua mitica dimora sta sulla vetta del monte Hukairya, ed essa, generosamente liberale, manda le acque sue, dette con primitiva e robusta immagine le sue veloci puledre, ad irrigare e a fecondare attorno le regioni tutte del mondo. È vestita di pelli di fiere, porta in capo un diadema d'oro e in pugno un fascio di sacre verbene; va montata su d'un carro tratto da quattro candidi destrieri, e le statuette che la rappresentano, state già rinvenute negli scavi di Susa, ne fanno una donna formosa, con mamme rigonfie, simbolo della copia e dell'abbondanza. Appunto per fecondar la terra essa, un giorno, fu creata da Ahura Mazdao. Ma essa è altresì fecondatrice benefica degli esseri viventi, e alle donne che la invocano, concede un parto felice.
Accanto a lei sta un'altra divinità delle acque, divinità maschile, che l'Avesta chiama Apam-napat, cioè, secondo la più probabile accezione, il discendente (il nipote), ovvero il figlio delle acque. È un dio misterioso, designato come tale che ha molte spose e possiede veloci cavalli. Abita nel mitico lago Vourukasa, nelle cui acque egli custodisce e guarda la regia maestà, che é l'aureola luminosa cingente il capo ai monarchi del tempo antico.
È detto inoltre creator degli uomini, nel qual tratto particolare si deve riconoscere o che il dio fa per i maschi, concedendo loro viril vigore, ciò che la dea femminile delle acque, Anahita, fa per le femmine, ovvero che abbiam qui un antico e primordiale concetto naturalistico, rimasto superstite dopo che fu introdotto il culto monoteistico di Ahura Mazdao, tra i principali attributi del quale sta pur quello di essere l'unico creatore degli esseri tutti. Tanto é antico questo dio delle acque, ch'esso si trova ricordato con lo stesso nome e onorato d'inni anche nel Rigveda come incarnazione del dio del fuoco, Agni, del fuoco in particolare che si sprigiona dalle nuvole acquose, cioè del fulmine.
10. - I1 Sole, antichissima divinità indoeuropea, e di tutte, si può dire, le nazioni del mondo, é bellamente raffigurato dall'Avesta come tale che guida per le regioni celesti veloci cavalli, che purifica l'aria, la terra, le acque tutte quando al mattino spunta luminoso all'Oriente, e mette in fuga i demoni maligni di Anra Mainyu. È qualificato di splendido, d'immortale, detto, inoltre, l'occhio di Ahura Mazdao stesso.
Associato a lui e congiunto a lui sta Mithra, il dio della luce che rallegra i cieli e la terra. Come antica divinità naturalistica, esso è il Genio salutare del tempo che va dallo spuntar del sole al mezzogiorno. Dinanzi al sole, a cui più tardi fu identificato, spunta Mithra la mattina dal mitico monte Hara-berezaiti che è ai confini della terra, e che è la sua dimora, dove non sono mai né tenebre né notti, dove non spira mai alcun vento, né caldo né rigido. Non va soggetto al sonno, e però vede e ascolta tutto, é onnisciente, e nulla in cielo o in terra può sottrarsi a lui. È armato di clava, e con essa, ben fusa e ben ferrata, va sgominando le schiere dei demoni e di tutti quelli che lo rinnegano, le cui armi sono scagliate invano da loro contro di lui. È detto altresì possessore e signore di vasti pascoli, intendendosi per pascoli gli spazi celesti ovvero le ampie distese della terra ch'egli contempla dall'alto. I crisantemi, di vivido color rosso, gli erano sacri.
Nel rispetto etico e morale, Mithra é considerato come custode geloso dei patti che i mortali concludono fra loro, mallevadore della giustizia e della fede reciproca, punitore dei traditori e dei fedifraghi; e Senofonte attesta che i Persiani solevano appunto giurare nel suo nome. Gli stanno accanto, perciò, due divinità, Rasnu e Sraosa, le due personificazioni della giustizia e della obbedienza. Per queste qualità morali sopra tutto, fu poi condotto a far parte della gerarchia celeste, e però fu detto che esso é stato creato da Ahura Mazdao, fatto da lui a sua immagine, e da lui eletto e proclamato suo primo sacerdote, arbitro, inoltre, nelle decisioni nei giudizi tutti che toccano la legge divina. Sono suoi avversari principali Anra Mainyu e Aesma, il demone dell'ira, e Busyasta, il demone femminile del sonno, e Asto-vidotus, il demone orribile che fa scempio delle ossa dei morti. Il suo culto si sparse non meno in Occidente che in Oriente. Ma del culto occidentale, giunto fino a Roma dove ebbe templi e altari, mescolandosi col culto di altre divinità, non é questo il luogo di parlare.
11 - Alla Luna come divinità celeste l'Avesta consacra un breve ma grazioso inno che noi a suo luogo riferiremo tradotto. È adorata e invocata accanto al Sole, e il fedele ne nota e osserva con meraviglia il crescere e lo scemare alterno. Zarathustra stesso, in uno dei suoi inni più belli inteso a domandare ad Ahura Mazdao il perché e il come di tante case di quaggiù, chiede curiosamente come avvenga quel succedersi in cielo delle fasi lunari. Con concetto poi che é difficile da intendersi, la Luna contiene in sé e custodisce i germi dei bestiami tutti, datrice inoltre alla terra di luce e di acque fecondatrici.
12. - Gli altri corpi celesti sono tutti schierati, secondo l'Avesta, intorno a Sirio, che ne é come il duce, custode, inoltre, delle regioni orientali del cielo, ed essi ne sono i satelliti. È considerato come l'astro benefico, detto anche il maestoso, il rilucente, che dona le acque alla terra e ne feconda le contrade fatte inaridire dal suo maggiore avversario, Apaosa, il demone della siccità. Contro Apaosa, in forma di destriero fulvo, ingaggia una terribile battaglia, alla fine della quale, ripresa più volte, egli, sconfitto il nemico, libera le acque che precipitano dal cielo e scorrono spumose a fecondar la terra. Altro suo avversario é una Pairika (é questa una genia di esseri malvagi di cui diremo poi) detta la Duzyairya, che é la dea malvagia in cui va personificata l'annata rea o la carestia. Passiam sotto silenzio i pochi nomi di astri che l'Avesta va ricordando, e non tocchiamo la questione, ancora non bene definita, se gl'Irani abbiano ricevuto dai Babilonesi alcun che intorno al culto di essi.
13. - Di tra le divinità teologiche o filosofiche o speculative, ecco farcisi innanzi forse la più degna di venerazione per i fedeli, Sraosa. Questo dio, che si rappresenta come giovane di vago aspetto, armato di clava, è la personificazione dell'obbedienza ad Ahura Mazdao e alla sua legge, e nella tradizione posteriore, come si vede nel poema di Firdusi, è l'angelo che reca agli uomini in terra i comandi di lui. Molti e magnifici attributi gli dà l'Avesta; ma il più singolare é ch'esso vi è detto la persona stessa della parola divina, e ch'egli armato va di simboliche armi che sono certe preghiere inserite nell'Avesta stesso con le quali esso atterra e sgomina i demoni. Insegnò per il primo la legge divina; protegge e alimenta i poveri, custodisce il mondo e accompagna Mithra nelle sue molte imprese per gli spazi celesti, insonne come Mithra e vigile come lui. Ogni mattina, allo spuntar dell'alba, desta il gallo perchè col suo canto scacci dagli occhi dei viventi addormentati il demone del sonno. Una tradizione posteriore che non si trova nell'Avesta, lo pone anche tra i giudici dei morti.
14. - Schiera di esseri divini molto singolari é quella delle così dette Fravasi, dovute ad un'idea, ad un concetto solamente iranico. Ogni uomo ha la Fravasi, già creata fin dal principio da Ahura Mazdao e dimorante in cielo fin dal principio, mandata poi in terra accanto all'anima dell'uomo quand'esso nasce o é concepito. Le Fravasi poi sono come il tipo ideale che Ahura Mazdao, creando, aveva in mente, il tipo divino di ciascun essere intelligente, il genio superiore che lo ispira e che veglia su di lui. L'Avesta, intanto, ne esalta la potenza proclamandole a volta a volta e buone e forti, sante e pure, valide nel difendere la santità e purità delle cose create. Esse poi come tali spandono ed estendono per tutto, ovunque, la loro opera benefica e salutare. Ahura Mazdao stesso poté, aiutato soltanto dalla loro maestà e dal loro splendore, secondo l'espressione dell'Avesta, proteggere la dea delle acque Anahita e la terra, su cui scorrono le acque e crescono e prosperano le piante. Difendono e proteggono i bambini pur nell'alvo materno contro le insidie del demone Asto-vidotus; presiedono alla giusta spartizione fra gli uomini dei beni terreni; bestiami e armenti percorrono liberamente, per loro grazia, la terra, e il sole e la luna e le stelle, soltanto per esse, rinvengono la loro via. Custodiscono le acque del lago Vourukasa, e però deve invocarle il buon agricoltore in paese, quale é appunto l'iranico, tanto scarso d'acque. Ma deve invocarle per la vittoria anche il pio guerriero perché esse, con Mithra, con Rasnu, con Vayu, che é il genio del vento, combattono costantemente contro le schiere del male. La derivazione del loro nome, ad onta d'ogni congettura fattane, rimane tuttora oscura.
15. - Ricordiam di passaggio il dio o genio della vittoria, Verethraghna, che l'Avesta dice essere stato creato da Ahura Mazdao, invocato dai guerrieri per conseguir la vittoria. È concetto astratto, ma serba alcuni tratti particolari che indurrebbero a crederlo anche una deità dell'antico e primitivo culto naturalistico, perché è rappresentato spesso come tale che si mostra agli uomini sotto l'aspetto di animali, specialmente sotto quello di un verro. Questi son tratti mitici e non teologici o filosofici; e, del resto, uno degli aggettivi più frequenti che il Rigveda dà al dio Indra, è quello anche di Vritrahan, che vuol dire il vittorioso, l'uccisore del mostro Vritra. Così questa divinità antica risale fino al tempo indoiranico e forse anche all'indoeuropeo. E nulla vogliam dire di Daena che è il Genio della legge divina, di Asi, che è il Genio femminile della purità e della benedizione, di Arstat, Genio della rettitudine, e di altre poche figure astratte, sbiadite e impersonali, il cui significato é già fatto chiaro dal loro nome stesso. Veniamo piuttosto al genio Haoma che nel culto zoroastriano ha importanza grandissima.
16. - E antica divinità indoiranica é il Genio della pianta che i botanici chiamano asclepias acida ovvero cynanchum viminale. Cresce, quest'erba, nei campi del Ghilan, intorno a Yezd, nel Mazenderan, e reca fiorellini gialli. Gli steli di essa, fatti disseccare, si pestano ne'mortai, donde poi con acqua si trae una specie di bevanda di sapore acre che il sacerdote celebrante va libando mentre recita le sacre preghiere. È questa l'offerta sacrificale, e l'uso ne rimonta fino ai tempi vedici perché appunto, nel Rigveda e in tutta quanta la letteratura liturgica dei Veda, si fa frequentissima menzione della bevanda detta il soma (é lo haoma iranico) di cui il dio Indra si abbevera per discender poi in battaglia contro i molti suoi nemici. Fin qui, Haoma é la bevanda sacrificale.
Ma c'é anche il bianco Haoma, detto il Gaokerena, che cresce e prospera, mitica pianta, in mezzo al mitico lago Vourukasa, in un luogo misterioso, custodito da un infinito numero di Fravasi e dal pesce Khar-mahi che ne allontana gli animali nocivi. E c'é, inoltre, l'Haoma divino, il genio della pianta stessa, al quale l'Avesta e con esso tutta la tradizione tributa onore grandissimo. Haoma fa prosperare gli esseri tutti terreni, tiene lontana la morte dai viventi, e a chi piamente lo prega concede favori e grazie, cioè salute, prosperità, abbondanza di beni, bella e forte figliolanza, giovani e fiorenti mariti alle fanciulle, forza e vigore ai cavalieri in guerra. Agli eroi antichi poi che santamente spremettero il succo della pianta a lui consacrata, concedette già in premio, come figli, altrettanti eroi gagliardi e valenti, le imprese dei quali saranno poi celebrate dall'epopea. L'epopea, anzi, racconta di lui come, un giorno, atterrasse e menasse avvinto dinanzi al re Husrava il nemico e debellato re Franrasyan che ad Husrava aveva ucciso il padre; e l'Avesta, mentre dice ch'esso apparve bellissimo di forme, un giorno, a Zarathustra recitante gl'inni sacri, soggiunge anche come tolse il regno ad un Keresani, protervo e tiranno signore, che voleva distruggere la fede e disfare il culto.
17. - Vexilla regis prodeunt Inferni, dice Dante, ed eccoci, anche noi, alle schiere infernali e al loro capo, Ama Mainyu. Si compongono di Daêvi o Devi che sono infiniti, sì che ne è tutta piena e ingombra l'aria all'in torno. Operano insieme a guisa di nembi o di stuoli infesti che si scatenano ai danni altrui, tutti serrati e compatti, congiunti in una volontà sola, quella del fare il male. L'Avesta non li tratteggia particolarmente, laddove l'epopea parla or di questo or di quello, e ne racconta e ne descrive le ree imprese.