| Edipo e Siegfried Edipo ha ucciso suo padre: ha rotto il cinta di cui si circonda l'individualità, ma per proiettarla in impulso istintivo. La domanda della Sfinge non lo ferma. Come Siegfried, non crede a nessuno ostacolo. - Chi può risolvere un problema qualunque esso sia, se non l'uomo? Edipo trova, quindi, la soluzione dell'enigma. L'evocazione del potere superiore inerente all'uomo è sufficiente a rovesciare la Sfinge. Ma questa soluzione incosciente, irragionevole, è disastrosa per la sua brutalità. Edipo ha distrutto improvvisamente l'ordine ristretto fondato sull'individuale; ora frantuma l'ordine generale dell'universo. Senza dubbio si libera dalle leggi della natura che tritano senza pietà l'uomo sensibile; ma lo fa sconnettendo il sistema dell'universo, invece di assumerne la direzione. Va a regnare, certamente, ma per capriccio e senza conoscenza. Esso allontana il pericolo visibile, immediato; e ciò è sufficiente ai popoli a corta vista; eccolo re. Come Bonaparte che personifica la Rivoluzione e acclamato come un liberatore. Ma distruggendo l'ordine cosmico, Edipo ne risveglia i fermenti ed i virus che faranno imperversare la peste. - Come certi progressi scientifici o sociali accettati e messi in pratica senza misura che divengono le cause dei peggiori flagelli. Si può equiparare l'abbattimento della Sfinge a quelle distruzioni di animali nocivi che ci preservano dai microbi assai più terribili di loro. E collocandosi da un punto di vista più elevato, si può dire, con Eliphas Lévi, che il mostro è divenuto più terribile "ora che è passato dal campo della forma in quello dell'idea".
Edipo rappresenta la volontà del conquistatore che crede di piegare i popoli alle sue leggi senza preoccuparsi delle usanze, delle tradizioni e delle condizioni della vita sociale; fa pensare a quei innovatori che vogliono stabilire un ordine fittizio nella civiltà a dispetto delle esigenze climateriche, biologiche, estetiche e morali.
Edipo non è un tiranno; ma l'ordine che stabilisce è fondato, sulla sua sola volontà individuale; produce l'isolamento dell'uomo in seno alla natura; lo preserva dal pericolo immediato, e lo lascia senza difesa contro gli innumerevoli nemici sconosciuti.
Tutto altro è Siegfried. Corregge l'individualità senza distruggerla. Ma cade in un altro eccesso, indizio di un'evoluzione molto superiore; la subordinazione eccessiva dell'individuale all'universale. Vediamo quindi perché la sintesi di questi due principi ancora non è possibile.
Wotan non è, come Laius, il re della vita puramente sensibile, appoggiandosi sull'inerzia della materia. Ne sa più di Edipo, perché ha sottomesso la natura alle sue leggi; l'ordine che ha stabilito è fondato sull'intellettualità. Gli mancava la saggezza e per acquistarla non ha temuto di sacrificare un occhio; ma questo slancio generoso non ha potuto sostituire la preparazione interiore. Ha soltanto una saggezza incompleta, una ragione acquisita a spese dell'intuizione. Cieco di un occhio, vede soltanto in superficie. Per afferrare il rilievo, gli occorre muoversi. Conosce alternativamente la tesi e l'antitesi dell'antinomia: il finito con la voce razionale e tagliente di Fricka; l'indefinito con il volo nebulodo delle Walkyrie, donne che gli hanno dato Erda. Ma non afferra la sintesi che intuitivamente e per opposizione con la tesi e l'antitesi tramite il suo desiderio vivente, Brunnhild.
La sua saggezza è preveggente e non sovrana. Ancora, per salvaguardare i principi superiori, ricorre a mezzi temporali: il potere ed il prestigio. Costruisce, quindi, il Walhalla. - Errore che fa decadere i principi sostituendo la forza ed il fascino alla luce della verità! Manca a Wotan la quintessenza. Essa fu l'oro del Reno, l'efficacia di una saggezza pienamente identificata. Ora, la quintessenza è stata incantata dal mago nero, Albéric che cerca in lei uno strumento di tirannide. Ed è là un pericolo temibile come l'artiglio della Sfinge. Il timore di questo pericolo ed il desiderio di conservare il potere supremo rende Wotan complice del furto.
Avvertito da Erda, si guarda dal mantenere questa forza alterata, ma al posto di ristabilire l'ordine turbato, approfitta del turbamento. Questo compromesso che non soffre la vera saggezza, lo trascina irrimediabilmente alla sua rovina. Allora il conflitto tra la ragione e l'intuizione divengono acuti. La saggezza non è più per lui che l'implacabile necessità razionale; il suo desiderio gli sfugge; e, il sentimento che trabocca annulla gli effetti della sua volontà.
Preso nell'antinomia che non può risolvere, Wotan si rassegna a questa scissione. Crede dover attaccarsi alla legge di conservazione. Si oppone alla legge di progresso che va a sviluppare Brunnhild. Il progresso, scisso dalla saggezza e consegnato alla pura intuizione, non potrà realizzarsi che su delle rovine. La conservazione non avrà luogo che al prezzo dell'intorpidimento e del decadimento. Così Wotan, rinunciando ad operare la sintesi, spera che la sua rovina sia il termine della crisi portata dal progresso. Si rassegna a sostenere la tesi col desiderio di essere vinto, ma soltanto perché occorre assicurare l'efficacia stessa del progresso frenandolo. Ciò spiega il suo atteggiamento di fronte a Siegmund, a Brunnhild e a Siegfried.
Come lo si constata, mentre Laius ed Edipo si oppongono come due stati contrari esclusivi l'uno dell'altro ma nel quale entrambi subordinano l'universale all'individuale, Wotan e Siegfried si oppongono facendo predominare l'universale e conseguentemente in una modalità meno radicale. Al posto di essere antagonisti uno dell'altro, si proseguono l'un l'altro. La loro opposizione è dominata dall'unità razionale. L'antinomia è sulla via della soluzione.
L'insuccesso emerge, qui, dalla predominanza eccessiva dell'universale. Non è più il disastro determinato dall'egoismo; è lo scioglimento che libera delle pastoie. Siegfried e Brunnhild sono la generosità stessa. Si strappano dai loro sublimi abbracci per compiere la loro missione. E Siegfried è perso dalla sua eccessiva fiducia. È l'ardente entusiasta agli occhi del quale lo scaltro l'egoista farà luccicare l'utopia. Sotto l'istigazione di Hagen, Siegfried berrà un filtro, dimenticando subito Brunnhild. Perde l'equilibrio razionale, stregato dalla finzione (Gutrune) da cui non ha saputo guardarsi.
Brunnhild, invece, è trascinata con un altro eccesso del principio universale. L'anello d'oro è divenuto il suo anello nuziale; è il simbolo dell'amore di Siegfried, ed è per questo che non vuole separarsene. È legata alla forma, all'espressione dell'idea. A questa forma puramente relativa, attribuisce un valore assoluto. Occorrerà dunque che la coppia sublime sia sacrificata; la crisi finale libererà la natura dalle leggi antiquate per rendergli la sua gioventù, e lo slancio d'amore sarà l'energia destinata all'opera futura.
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