La Lettera apologetica del
Quipu
Per il Testo Integrale del 1750
Dalla
stamperia privata del principe di Sansevero uscì all’inizio del
1751 – ma il frontespizio reca la data dell’anno precedente – un
libro che destò meraviglia e sconcerto, tanto per
l’eccezionalità tipografica quanto per il caleidoscopico
contenuto. Ne era autore lo stesso Raimondo di Sangro, che lo
pubblicò con l’approvazione della Crusca e il suo nome da
accademico, intitolandolo Lettera Apologetica dell’Esercitato
Accademico della Crusca contenente la Difesa del libro
intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione
de’ Quipu scritta alla Duchessa di S**** e dalla medesima fatta
pubblicare (Napoli 1750).
Formalmente, la Lettera di Sansevero si presentava come una
divertita apologia dell’efficacia di un antico sistema
comunicativo in uso presso gli Incas del Perù, indirizzata a una
duchessa amica, e composta traendo occasione dalla recente
uscita, a Parigi, delle Lettres d’une péruvienne (1747) di
Françoise de Graffigny, un romanzo epistolare di gusto
esotizzante la cui protagonista, a detta dell’autrice, aveva
redatto con i quipu alcune delle sue missive. In realtà, i nodi
fatti con cordicelle variamente colorate, denominati appunto
quipu, di cui la civiltà precolombiana si era servita per
registrare conti o avvenimenti, costituivano per Raimondo di
Sangro il pretesto per toccare ben altri argomenti.
In quest’opera dalla struttura complessa – fitta di note,
rimandi, citazioni – Sansevero propagandava il verbo panteistico
rielaborato attraverso le opere di John Toland, la necessità del
libero pensiero, teorie poco ortodosse sull’origine del mondo,
dell’uomo e della scrittura, l’ostilità all’ingerenza della
Chiesa e all’introduzione del Tribunale dell’Inquisizione nel
Regno di Napoli. Non solo: i suoi contemporanei crederono di
trovare espressi tra le righe della Lettera Apologetica gli
intenti civili e i fermenti innovativi della Massoneria, rinvii
alla tradizione cabalistica, perfino messaggi esoterici
veicolati attraverso un “maligno gergo”. Citando Bayle, d’Argens,
Swift, Pope, Voltaire, deisti inglesi ed esponenti del
cosiddetto Illuminismo radicale, di Sangro si collocava
inequivocabilmente nel solco della cultura europea
antitradizionale.
Quanto alla veste tipografica, il frontespizio della Apologetica
presenta una particolarità impensabile per l’epoca: è infatti
stampato in quattro colori e con una sola pressione di torchio,
grazie a una tecnica perfezionata dal di Sangro, che volle così
dare a tutti un saggio di questa sua – come la definì Lorenzo
Giustiniani nel 1793 – “nuova sorprendente invenzione”. Al testo
sono poi allegate tre bellissime tavole pieghevoli: nella
prima, il principe elabora graficamente i segni principali, o
“Parole Maestre”, dell’antica lingua incaica, quali Dio, Notte,
Acqua, Sole e altri; nella seconda traduce addirittura in quipu
una canzoncina peruviana; nell’ultima dimostra magistralmente la
possibilità di traslitterare in quipu gli alfabeti latino,
italiano, francese, spagnolo, tedesco e inglese.
Non bastò però il pregio della stampa a distrarre i censori
romani della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti, che
condannarono l’opera il 29 febbraio 1752 in quanto infetta da
“atra peste”, e confermarono la proibizione nel 1754, dopo che
l’autore aveva cercato – con l’invio di una Supplica al
pontefice – di giustificare le tesi espresse nell’Apologetica,
sostenendo fossero state scritte all’insegna dell’ironia. La
reazione al libro non venne solo dalla Santa Sede: anche i
gesuiti Pasquale De Mattei e Innocenzo Molinari lo attaccarono
duramente, ritenendolo “una sentina di tutte l’eresie”. Così,
con la pubblicazione della Lettera Apologetica, andò
consolidandosi e diffondendosi la fama da intellettuale
eterodosso di Raimondo di Sangro, che lo accompagnò tutta la
vita, e lo avrebbe accompagnato per sempre
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Raimondo di Sangro G:.M:.
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