Analisi del
simbolismo esoterico nella Cappella Sansevero
Il documento che segue è
opera d'ingegno del Professor Giancarlo Elia Valori Honorable de l’Academie
des Sciences de l’Institut de Frances ed è qui esposto con la sua sua
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La Cappella Sansevero,
lo abbiamo già notato, è una macchina teurgica. Ovvero, è un
sistema di simboli omogenei che è finalizzato al richiamo, nel
visitatore-iniziato e nel fedele, di energie psichiche di elevato
livello, tali da generare nel fedele e nell'Iniziato un vero e
proprio cambiamento di stato che, si badi bene, non è solo
psicologico, dato che la psiche è in gran parte l'anima “appetitiva”
passiva o sensibile, ma anche fisico.
La Religione, tutte le
religioni, sono in gran parte tecniche del Risveglio e della
Rinascita Spirituale, che è collegata, sia pure in modo diverso
nelle varie tradizioni della Sapienza Originaria alla
Resurrezione del Corpo, debitamente “purificato” dalla memoria
della vita terrena e dai suoi inevitabili danni all'Essenza, e alla
Sua identificazione con il Principio, con l'Inizio del Tempo che è
senza Tempo né Durata.
Se Cristo non fosse
Risorto, vana sarebbe la nostra fede, dice San Paolo, e Cristo
stesso non dice “Io ho fondato una nuova Regola per la Salvezza, una
nuova tecnologia per il passaggio delle anime ad uno stadio
superiore” ma afferma di essere Egli stesso, nel Corpo e nell'Anima
di Figlio di Dio la Via, la Verità, la Vita. Cristo Risorto è
la Via per tutte le Resurrezioni, ed è il Suo amore, non la semplice
applicazione di una regola, di una “tecnologia sapienziale”, a
garantire la Salvezza al credente. Senza Amore per Lui, senza la
Passione per la Sua vita terrena e la Sua Parola, non vi è salvezza
possibile, non è possibile quindi il Ritorno dell'anima a Dio che
l'ha creata all'Inizio del Tempo e di tutti i Tempi.
Ecco quindi spiegati i
tratti più comuni dei templi, siano essi cristiani e cattolici o
ortodossi e islamici, e perfino induisti e buddhisti. L'oscurità
relativa, che è l'oscurità della vita terrena, tutta giocata
sull'”anima acquisitiva” e sulla dimensione sensoriale, è il simbolo
della vita comune, profana.
La posizione del Tempio
è essenziale, poiché determina la collocazione di esso sulle linee
invisibili della Comunicazione tra Visibile e Invisibile così come è
necessaria, per stretti motivi teurgici, la dedicazione del Tempio
ad un Santo, ad una Santa, a una figurazione specifica
dell'Altissimo.
Il Santo è il tutore
della Chiesa, così come il proprietario o l'affittuario è il
conduttore di una casa. E la tutela dalle influenze pericolose e
negative, che ogni luogo alberga, e che sono lo strumento di cui si
serve il maligno per rovesciare, a nostra insaputa, la direzione
della preghiera e la sequenza dei passaggi di stato dalla vita
comune alla Vita Beata, in attesa del distacco, che il Corano
predice “facile” per le anime sante, dello Spirito dal Corpo, quando
verrà il momento del Ritorno all'Origine e al Tempo senza Tempo.
La Luce si concentra
verso il Centro del Sacro, così come, metaforicamente, l'Iniziato e
il fedele sono condotti, dall'universo omogeneo dei simboli del
Tempio, a concentrare i loro tentativi di elevazione e di
rafforzamento della forza spirituale verso il Centro della loro
Vita, che il Centro della Vita e della Verità, che non è una
sensazione, uno stato euforico di accrescimento della conoscenza, ma
una lenta e sicura concezione dell'Arrivo alla Fonte del Sapere che,
come ci ha insegnato Gesù Cristo, non è una dottrina ma uno Stato
generato dall'Amore. Se vi amerete come Io
ho amato voi...
Un
Tempio e una Chiesa, se sono tali, sono strumenti per l'esaltazione
dell'amore di Dio e delle creature, che viene indotto
dall'unitarietà dei simboli e dal particolare clima, generato
dall'Invisibile, che permea tutto il Tempio.
Il Simbolo, anche se non
è compreso da chi lo guarda, catalizza positivamente le forze
psichiche e spirituali dell'osservatore e lo aiuta a passare ad un
“altro stato”.
Le Chiese senza simboli,
i templi nudi, le iconoclastie del nostro tempo sono una epifania
dell'abbandono di Dio da parte dell'uomo, non una
spiritualizzazione dei simboli, che sono già attivi esotericamente
per loro conto.
Se manca Dio, il Suo
posto viene sempre preso dal “nemico”, il maligno, secondo la
teologia degli Esercizi di Sant'Ignazio di Loyola, e Raimondo
di Sangro aveva studiato dai Gesuiti, a Roma.
Se Dio si nasconde nei
dettagli, lo fa anche il maligno, ed occorre il “discernimento degli
spiriti”, continuo e quasi automatico di colui che abbia
sperimentato la spiritualità ignaziana per sedare fin dall'inizio
gli attacchi di guerrilla portati a Dio, nella nostra
coscienza, dal maligno. La Chiesa visibile evita che tali attacchi
siano frequenti, li sventa quando sono deboli, li rende più
difficili, crea la memoria del Sacro, carta geografica
dell'Iniziazione.
L'Uomo senza Dio è un
animale senza simboli, che degenera rapidamente in un animale
senza linguaggio. E' la lingua sacra che fonda la lingua naturale,
non il contrario, così come l'anima superiore fonda quella
appercettiva e sensibile-passiva.
Ma veniamo ora alla
struttura profonda e, quindi, all'ordine visibile della Cappella
Sansevero, che fu un vero e proprio opus vitae per Raimondo,
settimo Principe di Sansevero, e un impegno simbolico, esoterico e
finanche economico di straordinario rilievo anche per una famiglia
come quella dei Sangro.
I monumenti della
Cappella Sansevero sono diciotto, undici più sette, due numeri
sacri. L'undici è, come il ventidue, un numero maestro. L'Undici,
che era molto amato anche da Filippo Tommaso Marinetti, e i suoi
multipli annunciano il Pensiero Creativo e l'Anima Cristallo
un'anima naturalmente cristica, che si muove sui vari piani
dell'espressione e della Realizzazione del sé e del passaggio
dall'uomo a Dio.
Il numero sette esprime
l'universalità e l'equilibrio perfetto e rappresenta un ciclo di
azioni spirituali compiuto e vitale. E' il segno del perfezionamento
della natura umana, dato che questo numero congiunge il ternario
divino con il quaternario terrestre e il numero sette è il
simbolismo della mediazione tra umano e divino.
Al Centro, il “Cristo
Velato”, opera straordinaria del Sammartino che, si dice, fu
eseguita dallo scultore in uno stato di ipnosi causato dallo stesso
Principe di Sangro.
Il Cristo è velato
perché, simbolicamente, è ancora nel sepolcro e non ha irraggiato la
Sua Anima Universale nella Luce di Dio, che da quel momento della
Resurrezione sarà la Luce per tutti noi. Il velo è il simbolo del
cielo, è la tela del primo tempio tessuta da Maria, lo strapparsi
del velo, evidentissimo simbolismo, significa che la morte di Gesù
apre la via verso la Gerusalemme Celeste, memoria e modello di tutti
i templi ed il velo è il simbolo della stessa Carne di Cristo. Gesù
è il Sommo Sacerdote dei Beni Futuri per tutti gli uomini, la Sua
carne si fa velo, e il Velo è il modo in cui noi, in questa vita,
possiamo percepire Gesù Cristo e il Suo Messaggio.
Il Velo-carne di Cristo,
come peraltro quello della Madonna, che raccoglie simbolicamente
tutti gli uomini sotto un velo-cielo che riflette e trasporta quello
del Cielo Supremo, secondo i dettami del “Fedele d'Amore” e templare
Dante Alighieri, è originariamente il Velo
di Iside.
La “Natura ama
nascondersi”, dice Eraclito in un suo verso iniziatico, reso poi
comprensibile e noto ai pochi, veri filosofi da un testo di Giorgio
Colli.
La morte del Figlio, lo
dirà Novalis, è la distruzione di ogni finitezza per far risplendere
attraverso di Essa Dio come “nascita infinita”, ma è appunto il
Velo, il momento della finitezza lieve, che separa i due stati
dell'Essere e, contemporaneamente, li rende riconoscibili.
Ciò che è vero deve
venire temporaneamente nascosto, per rendere appieno la sua
potenzialità, ciò che è profondo ama la maschera, dirà
Friedrich Nietzsche, visitatore della Cappella Sansevero, in uno
famoso aforisma.
Il velo simbolizza ciò
che deve essere tenuto segreto, perché sapienza adatta ai pochi,
agli “uomini d'oro” di tradizione platonica.
Viene in mente il
Faust di Goethe, “misteriosa nel fulgente giorno/derubar la
natura non si lascia/ del velo in cui si asconde”.
E' Plutarco che narra
come sul piedistallo della statua di Iside, che sorgeva nella città
di Sais, era incisa questa iscrizione: “Io sono tutto ciò che è
stato, ciò che è e tutto ciò che sarà e nessuno giammai ha ancora
sollevato il mio velo”, il Velo di Iside rendeva il segno del
mistero profondo della vita, che nessuno può osare ri-velare o
scoprire, poiché è insondabile e infinito.
Nelle cerimonie
religiose romane era prescritto, prima di compiere qualsiasi rito
sacro, di velarsi il capo e di sciogliersi le cinture. Anche nella
tradizione tibetana, buddhista e induista, così come nella
simbologia sacra dell'Islam e della tradizione ebraica, gli abiti
sacri non devono avere giunture né cinture.
E' proprio il Velo del
Tempio di Gerusalemme che, alla morte del Cristo, si squarcia e
svela quindi la presenza reale di Dio, che prima della Venuta aveva
bisogno di essere coperto ma indicata,
appunto, da un Velo.
Coprirsi con il velo,
nei misteri eleusini, significa rendersi invisibile al mondo,
preparare la propria rinascita ad una Vita migliore e pressoché
sconosciuta.
E' la fase tipica di
tutte le iniziazioni, l'abbandono sul terreno e la copertura del
proprio corpo con un velo, tra quattro (il quaternario) sorgenti di
poca luce.
Il Cristo Velato, il
Primo Iniziato e la Sorgente di ogni iniziazione, sorge nella
Cappella di Santa Maria della Pietà, indicazione essenziale per
capire come il Luogo sia protetto dalla Vergine che ascolta e
intercede per tutti i Suoi figli, e la Cappella fu costruita da
Giovan Francesco di Sangro nel 1590 per onorare la Madonna che,
ascoltando le sue preghiere, lo aveva guarito da una grave malattia.
Malattia del corpo, malattia dello spirito...il velo del
corpo che, guarito, illumina il velo-Corpo del Cristo che diviene
Luce....il Cristo Velato doveva, inizialmente, essere posto nella
cripta sottostante la Cappella Sansevero, nel luogo dove ora si
mostrano i due corpi, un maschio e una femmina in fase di parto
(simbolismo evidente) ma la scultura era così bella e significativa
che Raimondo decise di portarla alla visione simbolica dei
visitatori e Iniziati, dalla sola esperienza estetica, della sua
Cappella.
Il Cristo Morto, morto
per noi, Morto per le nostre anime ancora racchiuse
nell'oscurità del peccato-Ignoranza, potremmo dire, viene reso
dal Sammartino nell'atto dell'iniziale Resurrezione, è il Corpo di
Gesù che, muovendosi verso la Sua destinazione alla Luce, rende
impalpabile il velo, che è carne ormai inutile per il Risorto, e lo
rende quasi una illusione per gli occhi, una simbologia immediata
della Trasformazione finale, forse anche alchemica, del Corpo di Dio
nella Sua Vera Luce.
Tutto nel Cristo Velato
è visibile, il Velo ormai non esiste quasi più, è solo il simbolo
della ormai brevissima permanenza terrena del Risorto, si vedono le
vene ancora palpitanti, i fori dei chiodi, gli strumenti della
tortura al Figlio di Dio che è anche, secondo il profeta Daniele,
“Figlio dell'Uomo” e tutta l'opera, e anche qui il simbolo è
evidentissimo, è scolpita in un solo pezzo di marmo paglierino.
Nell'archivio notarile
di Napoli è stato rinvenuto il contratto tra il Sammartino, che pure
operava su un bozzetto già realizzato del Corradini, deceduto prima
di compiere l'Opera, nel quale lo scultore si impegnava con Raimondo
di Sangro a procurare un marmo per realizzare la Sindone, e di non
svelare a nessuno la tecnica escogitata dal Principe di Sansevero
per realizzare il Velo. In un documento dell'Archivio di Stato, poi,
scoperto dalla giornalista Clara Miccinelli, si descrive la tecnica
di costruzione del velo:
“calce viva nuova 10
libbre - si legge nel testo - acqua barili quattro, carbone
di frassino. Copri la grata della fornace con i carboni accesi a
fiamma di brace, con ausilio di mantici a basso vento”. “Cala
il modello da covrire -prosegue il registo di archivio - in
una vasca ammattonata, indi covrilo con velo sottilissimo di spezial
tessuto bagnato con acqua e calcina. Modella le forme e gitta
lentamente l'acqua e la calcina misturate. Per l'esecuzione soffia
leve coi mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il
liquido composito. Per quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua
e la calcina. Con la macchina preparata alla bisogna leva il modello
e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore lavori di
acconcia arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il
Sembiante del modello Trasparire”.
Non abbiamo ripetuto
l'esperimento ma, si immagina, che al di là di qualche oscurità
testuale e di una certa vaghezza nelle misure e nelle tecniche la
tecnologia possa avere un qualche successo, anche oggi.
Certo, perduto il nesso
tra arte e artigianato, tra ideazione e realizzazione, tra oggetto
d'arte e tecnica, come accade oggi nella teoria (stavamo per
scrivere “ideologia”) dell'arte figurativa e non, la tecnica di
costruzione dell'oggetto artistico non ha più molta importanza, dato
che oggi si intende privilegiare il linguaggio dell'opera,
come se il contesto espressivo di un oggetto d'arte fosse il suo
unico fine.
E' come se la logica del
linguaggio dantesco esprimesse tutta la simbologia e il
significato mistico-esoterico della Commedia dell'Alighieri.
Si comprende facilmente quanto questo sia impossibile, ma oggi i
miracoli del maligno operanti nell'arte attuale mettono a rovescio
tutti i processi che apparivano come naturali, logici, efficaci.
Nella Cappella
Sansevero, poi, quasi tutte le statue sono femminili e manifestano
le varie virtù dell'animo umano, quelle virtutes tramite le
quali, da sole, si può accedere dall'”anima concupiscibile” alla
esperienza dell'Idea e alla sua percezione extra-sensoriale.
In Seneca e in
Posidonio, per esempio, l'allegoria diviene il linguaggio per
riportare la mente dell'uomo all'età dell'oro dei primi Saggi, i
re-filosofi che governavano la società prima della caduta, originata
dalla penetrazione nel tessuto sociale dei “vizi”, delle “passioni
del corpo che ottundono quelle dell'anima”.
Le
passions de l'Âme
sono,
ricordiamolo, una tematica specifica di Cartesio, il suo ultimissimo
testo, quel Cartesio che pure si inoltrò verso Loreto e la sua Santa
Casa in devoto pellegrinaggio.
Furono i poeti, secondo
Posidonio, dotati come erano di un vasto sapere, la polimathia,
a riportare per immagini e metafore l'antico sapere
dell'età dell'oro ai loro contemporanei, che ne erano ormai privi.
Il mito platonico dell'età dell'oro, peraltro, soprattutto nella
lezione che ne danno Posidonio e gli Stoici, è una fase destinata a
ripetersi ciclicamente nella storia dell'umanità. Nella fase di
Crono, “il dio stesso che guida questo universo nel suo procedere e
lo accompagna nella sua rivoluzione” ma quando il dio Crono verifica
che i periodi storici hanno raggiunto la loro misura (la “pienezza
dei tempi”, si direbbe nella teologia paolina e apocalittica) il dio
lascia libero il cosmo ed esso allora gira liberamente, muovendosi
però in senso inverso alla dymamis precedente. In assenza
della guida del dio, allora, l'armonia si rompe e il mondo decade
perchè si introduce in esso un principio di disordine e di
assenza di forma, che è proprio ciò che la poesia e l'allegoria,
in particolar modo, fanno rientrare nel cosmo e nell'uomo, per
riportare l'ordine aureo perduto.
Potremmo quindi dire che
la Cappella Sansevero, sul piano esoterico e storico,
riproduce la storia della Salvezza elaborando la
tradizione biblica e evangelica in termini platonico-stoici.
Tutte le statue della
Cappella lanciano un messaggio tramite gli oggetti che tengono in
mano o si trovano ai loro piedi, secondo la tradizione sia poetica
che figurativa della Allegoria barocca.
La prossimità
degli oggetti come indicazione del
significato profondo del Tutto in cui sono posti.
La gestione dei simboli
della Cappella diviene comprensibile con la lettura della
“Simbologia” del Ripa, di cui Raimondo di Sangro finanziò una
edizione.
Sono da notare i libri
(segno del testo visibile della Natura e della Sapienza) aperti o
chiusi, con evidentissima differenza simbolica, i compassi, noti
nella Massoneria ma di antichissima presenza nella simbologia dei
Costruttori delle Cattedrali45.
Il quadrato si fa col
cerchio e il cerchio lo si disegna con il compasso, simboli
rispettivamente della Materia-Personalità e dello Spirito, dell'Uomo
Inverato e “perfetto”, nel senso etimologico e ritualmente
massonico.
Le cornucopie i fiori e
i caducei sono presenti in tutta la Cappella, e indicano i simboli
della concordia e dell'abbondanza (la cornucopia è collegata,
tramite il mito di Amaltea, alla costellazione del capricorno) e,
per quanto riguarda il caduceo, verga con due serpenti attorcigliati
e simmetrici in atto di baciarsi, esso è un simbolo di pace usato da
Mercurio per sedare le liti.
Una Cappella che è anche
un locus massonico, di quella Massoneria ben più profonda
dell'umanitarismo laico al quale ci ha abituato l'Iniziazione
moderna, dopo che la Rivoluzione del 1789 ha rotto i ponti della
Sapienza Iniziatica e coperto, ri-velato la Tradizione dalla
quale essa stessa prende origine ma, lo ricordiamo, essa è davvero,
e in toto, una cappella cristiana.
Ogni simbolo ha un
doppio significato, che è insieme quello del nesso tra Sapienza
degli antiqui e Conoscenza dei Moderni (si ricordi qui uno
dei tòpoi della nascita della filosofia “illuministica”, la
Querelle des Anciens et des modernes) e di
collegamento tra la Sophia dell'Iniziazione Eterna e del
Cristianesimo, nella sua versione Cattolica e Romana.
Fu lo stesso Raimondo di
Sangro a impedire agli eredi di modificare in alcuna parte la
struttura della Cappella, e questa è una evidente conferma del
nostro assunto.
Ma qual'è il messaggio
unitario e corale della Cappella Sansevero, il senso profondo e
unico della sua struttura e dei suoi simboli che, come tutti i
simboli, rimandano sempre ad altro?
Forse la chiave della
logica iniziatica della Cappella Sansevero è da vedere nella
selezione e nella sequenza delle sculture, in numero di dodici (gli
Apostoli, le Costellazioni.....) che hanno i nomi delle virtù e
degli “Stati dell'animo”, delle Passions de
l'Âme
di cui
si occupava Cartesio poco prima di morire, lo abbiamo visto.
Il Disinganno, la
Pudicizia, il Decoro, la Liberalità, l'Educazione, la Sincerità, la
Soavità del Giogo Maritale, il Dominio di sé Stesso, lo Zelo della
Religione, l'Amor Divino, la Mestizia, l'Angelo. Sono tutte,
rispettivamente, affezioni dell'Anima, caratteri umani e divini
insieme, tratti della storia della vita terrena e del lungo
passaggio verso l'Iniziazione precedente
alla Morte.
Sia gli “stadi” della
Religione Cattolica che quelli dell'Iniziazione sono qui enumerati,
in forma di stazioni di una nuova Via Crucis, un passaggio e
un viaggio dall'anima concupiscibile e materiale alla Illuminazione
dell'Angelo, che appare alla Fine dei Tempi e alla fine del proprio
tempo terreno, quando il Sapiente diviene alter Christus,
nella luce dello Spazio mistico liberato dal passaggio, una volta
per tutte, del Risorto.
Il Disinganno, la
Pudicizia, lo stesso Cristo Velato potrebbero avere il significato
di una ricerca autonoma e libera, come nella tradizione Massonica
attuale, verso la Verità, senza gli intermediarii di una Tradizione
visibile, vetusta e ormai adatta ai più, non ai pochi, agli “uomini
d'oro” di quelli che Nietsche chiamava i “tempi ultimi”.
Per alcuni, la Pudicizia
e il Disinganno ritrarrebbero rispettivamente la madre e il padre
del Principe, e quindi il Cristo Velato sarebbe lo stesso
Raimondo di Sangro, alla presenza delle nobili prosapie
familiari, entrambe perdute tragicamente nella vita terrena.
Se Raimondo è il Cristo,
si capisce perché il Risorto non sia né raffigurato come
semplicemente morto, in attesa della Transustaziazione (che è anche
quella della Particola Consacrata) né apertamente raggiante nella
Luce dell'Eterno, di cui è parte fin dall'Inizio dei Giorni. E
quindi rimane il Velo, Velo-Carne, passaggio inevitabile
dell'Iniziato alla Vita Eterna e, simultaneamente, alla Vera Vita
della Sophia, della Scienza della Tradizione.
La scultura del
Disinganno, fase primaria della Via Crucis a doppio significato,
cristiano e massonico, raffigura un uomo che si libera da una
rete, simbolismo della realtà visibile e ingannevole, appunto, e
che viene recuperata nel simbolo del “dio che lega i demoni” come ci
narra Eliade, si tratta di un uomo parzialmente chiuso nella rete
del peccato, ovvero della credenza alla realtà sensibile e
immediata.
Ripa rappresenta
l'Inganno con un dio che ha una rete in mano, e quindi Raimondo, al
contrario, fa scolpire il Disinganno con l'imago di un uomo
che si libera con forza da una rete.
Il primo livello di
lettura, indicato nella iscrizione ai piedi della statua, ci ricorda
che la statua ritrae il padre di Raimondo. La sua storia è nota:
dopo una vita di peccati e dissolutezze, il genitore del Settimo
Principe di Sangro si pentì dei suoi peccati rinunciando al titolo
nobiliare, agli averi e trascorrendo gli ultimi anni della propria
vita come abate della stessa Cappella Sansevero.La storia della
Iniziazione è quindi la sequenza, nella Chiesa dei Sangro, della
storia familiare.
Per contrappasso, e qui
siamo al “doppio livello” della lettura simbolica, il Disinganno
diviene anagogicamente una Virtù, il Dispregio del Mondo, il
classico contemptus Mundi, a favore di una Via dello Spirito.
Sul piano simbolico, nel
Disinganno quindi non c'è solo il volto dello scultore Queirolo, che
lo elaborò, ma anche quello dello stesso Raimondo di Sangro.
La Pudicizia rappresenta
una donna nuda ricoperta da un velo marmoreo finissimo,
probabilmente simile a quello del Cristo Velato al Centro della
Cappella.
La Donna, che in
nessun caso può essere una figura collegabile alla Santa Vergine,
e nemmeno a Iside o alla “Pistis Sophia” dei riti eleusini, ha
in mano una lapide spezzata, un cammino sapienziale interrotto, la
stessa storia familiare dei Sangro spezzata dalla crisi del padre di
Raimondo, la Tradizione Spezzata che non si è più ricongiunta, per
le sue invisibili Vie, alla Sapienza dei Contemporanei.
Il velo simbolizza
l'antica sapienza, che è quindi anche quella di Gesù Cristo,
velato in quanto erede perfetto della Tradizione unica e originaria,
mentre il velo della donna, eterno femminino, fase recettiva
anche dell'uomo in fase nel suo accedere alla Conoscenza, è il
velo-carne di ciò che è coperto, ancora invisibile ma che ha
la stessa forma della realtà invisibile, di cui è
la matrice originaria, nota a pochi.
Nella statua dell'Amor
Divino, si contempla un giovane, avvolto solo in parte da un manto
(è la Rivelazione che si mostra lentamente) che guarda verso il
cielo e offre all'Alto un cuore fiammeggiante.
Il cuore infiammato
d'amore per Dio è quasi un ovvietà, meno comune è il senso anagogico
del cor inflammatus che, poi si ritrova nella teologia
moderna come teorica del Sacro Cuore di Gesù, e che ha molti aspetti
tradizionali e iniziatici.
Il Sacro Cuore di Gesù è
collegato alla Sua apparizione del Giugno 1675 a Suor Alacoque,
nella quale Cristo squarcia il suo costato, che è ancora
velo-carne di una Essenza ormai invisibile, se non ai Santi, e
Le nostra il Suo Cuore, circondato da una corona di spine,
radiante, sovrastato da una Croce e aperto dalla lancia di
Longino, che Hitler, mago nero, cercava per ogni dove in Europa e
oltre tramite i suoi SS “iniziati” della
Ahnenerbe.
La luce che emana dal
Cuore di Cristo è simbolo di Dio, Egli è Luce, che squarcia
ogni velo, e lo stesso Cuore di Gesù è Dio, che soffre per
l'umanità. Anche nella teologia islamica si caratterizza l'Unico
come “luce su luce”, peraltro. Le fiamme sono invece l'amore umano
di Cristo, è l'amore per tutti gli uomini rappresentato dalla
Resurrezione del giovinetto (e infatti la statua della Cappella
mostra un giovinetto) che Gesù fa ritornare in vita, il figlio della
Vedova di Naim. Dal Cuore squarciato di Gesù sgorgano, nella
Teologia sacramentale delle Visioni del Sacro Cuore, i Sacramenti
stessi. Ma il cuore della Cappella Sansevero non appare
squarciato, esso è il cor aeternus che passa dalla
passione della contemplazione terrena, dalla Via della Sapienza,
alla Passione del Credente per Dio.
Il “Dominio di sé
stessi”, altra statua della serie delle Virtù nella Cappella
Sansevero, è dedicata alla memoria di Geronima Loffredo, nonna
paterna di Raimondo di Sangro.
Donna “mai abbattuta dal
destino ostile né troppo esaltata da quello propizio”, raffigura un
guerriero romano che tiene alla catena un leone ammansito, reso
inoffensivo dallo sguardo del militare, forte e calmo.
Il leone ammansito è,
nella simbologia biblica, il segno della Nuova Creazione,
Leone come teoforo, come indice della Seconda e definitiva Venuta.
Il tema del controllo
delle proprie passioni, è ben noto, un classico di tutta la
tradizione massonica settecentesca, nella quale il “controllo di sè”
è l'inizio della Via alla Sophia e caratterizza i gentilshommes
e gli “uomini dabbene”, i virtuosi.
Nelle tradizioni
alchemiche il cuore è la Porpora, “il cuore è nell'anima come un Re
in guerra”, dice il Sefer Yetsirah. Mentre il Leone, in
Alchimia, la “sapienza egiziana” che Raimondo conosceva dai lavori
del padre gesuita Athanasius Kircher, è collegato al colore rosso
fuoco.
La porpora è il colore
vero della Stella Polare, è il colore stesso della trasformazione
alchemica, si collega al raggio violetto della finale Trasformazione
di Stato, del Passaggio da una forma all'altra, superiore, di vita.
E la permette.
La statua della
“liberalità” è dedicata alla memoria di Giulia Gaetani dell'Aquila
di Aragona, moglie del quarto principe di Sansevero.
Nella mano sinistra la
donna, ritratta con gli stilemi tipici della bellezza spirituale
femminile, che non è una Via per il “passaggio di Stato”
ma per realizzare la perfezione in ogni Stato, la Sapienza è un
culto solare, mostra una cornucopia che versa oro e gioielli, e la
cornucopia, lo abbiamo già visto, è il corno di Amaltea, e specifico
simbolo solare, come la Dea delle Sementi era ritratta, nel Tempio
romano, con questo simbolo, unione di temi solari (l'abbondanza, la
crescita, etc. ) e figura lunare, la Donna.
Solo la Madonna non avrà
mai iconografie sapienziali collegate alla sola dimensione lunare
della imago femminile.
L'aquila, evidente
simbolo legato alla tradizione familiare della Donna, è simmetrica
alla cornucopia e richiama, nella simbologia tradizionale, l'Uccello
di Apollo e, in relazione con la cornucopia, è connessa ad alcune
immagini greche e egizie di Zeus, con il significato essoterico
dell'unione tra il comando del Dio e la successiva e inevitabile
abbondanza. Dietro a questa figura femminile, si intravede la
facciata di una piramide, che deve essere connessa visivamente alle
altre tre facce presenti nel Giogo Coniugale, nella
Sincerità e nella Educazione.
La Piramide è la “Iside
Terrestre”, l'unità della natura visibile con quella invisibile, ed
è connessa nelle sue facce al Toro, al Leone, all' Aquila e
all'Uomo. I quattro animali della Visione di Ezechiele, che sono
pure i quattro elementi costitutivi del microcosmo e del macrocosmo,
acqua, terra, aria e fuoco.
La Sincerità è
dedicata alla moglie di Raimondo, Carlotta Caetani, e rappresenta
una figura femminile, sempre secondo i canoni settecenteschi della
“casta bellezza”, che tiene nella mano sinistra un cuore, non
radiante e non iconograficamente sacralizzato, e in quella destra un
caduceo. Il simbolismo di Mercurio è, insieme simbolo di pace e di
sedazione delle liti, ed è strumento di
conoscenza del cuore, se usato riguardo ai materiali dei sogni.
Al fondo si notano due
colombe, insieme a un putto, con i due volatili che simboleggiano
qui il passaggio alla albedo, il bianco candore del passaggio
della materia alchemica alla pietra filosofale. Le colombe sono
simbolo di “albedo” come il cigno, tema classico dell'iconografia
esoterica settecentesca. Qui, peraltro, i passaggi della Materia,
che poi diviene Spirito e infine Luce con il Cristo Velato, sono
anche passaggi spirituali, momenti di una Via Crucis
iniziatica che collega le varie “affezioni dell'anima” e Virtù tra
di loro, in un ritmo ascendente.
L'Educazione
rappresenta, secondo la tradizionale iconografia essoterica, una
donna che istruisce un giovinetto, con una iscrizione al basamento
che suona educatio et disciplina mores faciunt. La citazione
è da Seneca, nel suo Liber de Moribus.
La donna intenta ad
insegnare ad un bambino è tradizionalmente collegata all'Arcano n.8
dei Tarocchi, “La Giustizia”, e si avverte qui la tradizione
iconografica delle innumerevoli immagini della Madonna che parla con
il Figlio.
Il fanciullo tiene in
mano il De Officiis di Cicerone, testo classico nell'epoca
che oggi chiamiamo semplicemente “illuminista”.
Cicerone nel De
Officiiis richiama Panezio, teorico della “Vita attiva” e della
presenza costante dell'uomo dabbene nella vita politica e
cittadina.
Nella piramide facciale
sullo sfondo, alla sua cima, vi è un medaglione con i profili delle
ave di Raimondo, posto quindi in un luogo significativo. E' “il
corpo donde si parte”, per dirla con Leonardo da Vinci.
Lo Zelo della
Religione mostra un vecchio che porta la Luce della Verità con
una mano e con l'altra mostra la sferza per punire il sacrilegio. Il
vecchio è la fine e l'inizio di un ciclo di vita, è figura della
auctoritas legittima, ha sempre l'immagine del Profeta.
Le due donne mostrano
una fervida devozione, e si tratta di donne, non uomini, di figure
lunari che operano, per così dire, esotericamente “al coperto”, non
nel quadro di un rito solare. Seguire la Religione dei luoghi è,
molti lo hanno già detto parlando di questo gruppo scultoreo, una
delle principali norme degli Statuti di Anderson diffusi nella
Massoneria ormai “accettata” del Settecento.
Perché occorre accettare
con zelo la Religione dei luoghi in cui ci si trova e si evolve la
nostra formazione? Il motivo di ciò è che se questa Tradizione si è
manifestata nel luogo determinato, ciò implica che, sul piano dello
sviluppo della Iniziazione e del Progresso Sapienziale, ciò non
poteva non accadere. Niente è inutile o esornativo nella ricerca
della Via.
Nella statua che
rappresenta la Soavità del Gioco Coniugale, si mostra un
giogo piumato, evidente riferimento al piacere del matrimonio, e
però occorre correlare questa immagine al serpente piumato,
simbolo caldeo della personalità, lo Shiamash, che possiede
il Terzo Occhio, mentre il giogo è un simbolo universale (lo yoga
indiano è appunto un iugum) fedeltà alla Legge e alla
Tradizione, scritta e non scritta.
Il costrutto marmoreo
dedicato a Cecco di Sangro non ha soverchio bisogno di simboli e
miti, poiché rappresenta un fatto realmente accaduto: Cecco era uno
dei comandanti di Filippo II, che sgominò i nemici nascondendosi per
due giorni dentro una cassa.
Qui il simbolismo è
essoterico, il fatto d'arme storico, ad Amiens, e esoterico, poiché
il Maestro-Cecco di Sangro si rinchiude volontariamente, come
l'aspirante Maestro Massone, in una bara per poi uscirne fuori
consacrato al Grado e, in questo caso specifico, eroe e vincitore
dei nemici, che nel caso di Cecco sono esterni, non interni a lui.
Famiglia e storia sono l'essoterismo di un cammino iniziatico, nella
Cappella Sansevero, che è anche ricostruzione della Massoneria
speculativa tradizionale e della sua ripetizione “illuminata” del
Cattolicesimo.
Cecco è ritratto
nell'atto di uscire dalla cassa con due ippogrifi ai lati.
L'ippogrifo simbolicamente riunisce le qualità dell'aquila e del
Icone, forza e saggezza, ed è la cavalcatura di Atlante, l'uomo o la
montagna di pietra.
Vi è anche un guerriero,
nel gruppo marmoreo, che brandisce la spada, un riferimento, secondo
le tradizioni interpretative della Cappella, al Guardiano del Tempio
Massonico che, durante i lavori, da mezzogiorno a mezzanotte, tiene
sguainata la spada per evitare ai profani l'entrata nell'Officina.
E' vero, ma il guardiano
è anche la figurazione delle antiche immagini sepolcrali nelle quali
un guardiano armato protegge il passaggio del Corpo ad un altro
Stato dell'Essere.
Il riferimento del
monumento a Cecco di Sangro è anche, secondo Benedetto Croce, alla
vulgata che voleva Raimondo di Sangro, mago e alchimista notorio, lo
abbiamo visto, poco prima della morte si fece rinchiudere in una
cassa a pezzi, per poi uscire “vivo e sano” ad un momento ben
preciso. Ma la famiglia aprì il casello prima del tempo, e Raimondo
sopravvisse solo pochi attimi alla sua “resurrezione” alchemica,
alla sua albedo lucente del corpo, che prefigura quella
dell'anima unita alla Luce Originaria.
Il monumento a Giovan
Francesco di Sangro, terzo principe di Sansevero morto, nel pieno
degli anni, durante una missione militare in Africa. L'eroico
antenato morì in scomunica, è bene notarlo.
Al comando della flotta
napoletana, prese Tunisi nel 15758.
Fu scomunicato perchè non voleva pagare alla Chiesa alcuni censi
relativi ai suoi terreni, che erano anticamente liberi dai doveri
ecclesiastici. Scomunicato e, suo malgrado, malgrado abbia fondato
la Cappella Sansevero, nemico dei diritti storici dei Vescovati
locali. Un riferimento alla Chiesa francescana, nei Di Sangro?
Probabile.
Il Monumento a Paolo di
Sangro è solo un ritratto, ma riguarda un avo che fu insignito, per
i suoi meriti amministrativi, del Toson d'Oro, e del titolo di
Granduca di Spagna. E' il nonno di Raimondo, ma certamente un
Iniziato.
La via per il Vello
d'oro, la “via umida” è simbolo della Via Brevis
dell'Iniziato, un “viaggio” di eccelsa cavalleria con
l'immagine di San Giorgio che combatte il drago all'ombra di una
palma.
Occidente in Oriente, il
Cavaliere come Iniziato che combatte in Oriente per il Vello d'oro,
dall'evidente simbolismo.
Sant'Oderisio, altra
figura monumentalizzata nella Cappella, è un antenato dei Di Sangro,
morto in santità nell'Abbazia di Montecassino poco dopo l'anno
Mille. Fu definito da Pietro Diacono
studiosus, studiosissime.
Gli altri eredi del
casato hanno monumenti bellissimi ma scarsamente rilevanti sul piano
della simbologia occulta, mentre Santa Rosalia, anch'Ella una Di
Sangro, in quanto figlia di Sinibaldo dei conti dei Marsi e di
Sangro.
Discendente di Carlo
Magno, la Santa di Palermo si rifuta ad un matrimonio con un nobile,
e si ritira, tra le prime sante a meditare in un romitaggio, in una
grotta sul monte Pellegrino, lontana anche dai già molti fedeli che
chiedono miracoli e benedizioni.Viene trovata morta dai pellegrini
il 4 settembre del 1165.
La Santa, dopo la sua
dipartita terrena, apparve poi a un povero saponaro, durante la
“peste nera” arrivata dalla Barberia, dall'attuale Tunisia,
terra di eroismi dei Di Sangro poco apprezzati dalla Chiesa. Il
saponaro viene trattenuto dal suicidio, che pensava di commettere
lanciandosi dall'Addaura, dall'apparizione di Santa Rosalia, che gli
indica il luogo della Sua morte.
Una Santa che parla di
una conversione dello spirito durante la peste nera di Palermo, che
cessa proprio con la sua apparizione al povero saponaro in vena di
suicidio. Era evidentemente una antenata, non solo carnale, di
Raimondo, settimo Principe di Sangro.
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La Cappella dei Sansevero
Analisi del simbolismo esoterico
Raimondo di Sangro
Principe dei Sansevero
Lettera Apologetica
Il Carteggio dell'accusa
Di Sangro:
la biografia come "Viaggio Alchemico"
La Sapienza Alchemica e Cabalista del Principe
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