Nascita e realtà di Cagliostro

"Per la possanza dei suoi poteri è più contemporaneo di quanto si possa immaginare"
© Raffaele De Chirico


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Quanti sono mai coloro che di proposito la storia ha diffamati perché anticipatori e non negatori di verità e di umano progresso?
Fra i tanti ce n'è uno che una tradizione storica e abitudinaria ricalca sempre con una ben precisa etichetta senza mai concedergli attenuanti.
Il suo nome accoppiato è sempre a qualunque cosa di ambiguo accade nel mondo.
Ripetere di lui quello che don Abbondio disse di Carneade è proprio impossibile perché il nome del conte di Cagliostro, del celebre avventuriero, del gabbamondo, dell'Anticristo è così universalmente noto che non è possibile sbagliare.
Il suo nome ha sempre significato l'equivoco, il falsario, l'indovino.
Qualunque citazione lo riguardi conferma tale affermazione dalla più semplice enciclopedia alla più completa, come la Treccani, sigilla tale giudizio.
Allora se tale è l'opinione unanime degli storici che cosa si può aggiungere di più su quest'uomo che non sia già stato detto? Se è vero che la sua complessa personalità si presta ad ogni possibile deformazione è anche vero che coloro che lo hanno definito uno psicopatico, un luetico, minato nel fisico, hanno dimostrato di possedere una scarsa preparazione storica giacché non esiste alcun documento stilato da un medico che attesti il suo stato di salute prima e dopo la sua lunga prigionia nella Fortezza di San Leo.
Se romanzieri come Dumas, poeti come Goethe e Schiller, scrittori come Haven, scultori come Houdon, musicisti come Strauss jr., filosofi come Croce hanno cercato di capire la sua poliedrica anima bisogna almeno ammettere che la sua realtà è un po' diversa da quella che comunemente si è abituati a conoscere.
Anche un gigante, seppellito vivo nel feroce pozzetto di San Leo, avrebbe perso la ragione e sarebbe impazzito: e invece così non fu durante i 4 anni, 4 mesi e 6 giorni in cui Cagliostro rimase rinchiuso.
Lo sostenne un qualche cosa di superiore ai comuni valori umani, che ha nome Fede, che lo guidò nei suoi passi fino all'insospettata fuga dalla fortezza di San Leo.
Per veramente comprendere chi realmente fu il conte di Cagliostro e quale fu la sua nobile missione che svolse nella sua irripetibile epoca, l'unico elemento valido per demolire le menzogne e le calunnie accumulate su di lui è la documentazione storica, densa, ineccepibile, che però bisogna saper trovare in quell'immenso serbatoio di memorialisti che fu il suo secolo.
Sembra, per esempio, che della sua nascita si conosca poco e invece non è così. Basta leggere i resoconti legali dei processi verbali, giacenti negli archivi di Francia, scritti in occasione del processo della collana e precisamente l'interrogatorio subito alla Bastiglia dal conte di Cagliostro il 30 gennaio 1786, per conoscere la sua età e quindi il suo anno di nascita.
Egli infatti dichiara di avere 38 anni e alla domanda dove era nato risponde testualmente: “Non voglio precisarvelo, posso essere nato a Medina o a Malta, vi dico solo che sono di nobile origine e che ho perso i miei genitori quando avevo appena tre mesi”.
Questi indizi sono sufficienti per conoscere il vero anno di nascita, suffragato poi anche da ulteriori prove, che non corrisponde al 1743 come comunemente si scrive nelle sue biografie, ma al 1748, ottenuto dalla differenza fra l'anno 1786 (anno dell'interrogatorio) e l'età dichiarata di anni 38.
Una differenza di cinque anni appena, bastevoli per cominciare ad affermare la prima alterazione fatta dagli storici.
Ma non basta, risulta, da pubblicazioni molto attendibili del suo tempo, che saltano fuori due Balsamo, uno vero e l'altro falsificato.
Lo stesso Cagliostro del resto nella "Lettera al popolo inglese" lo ammette senza indugio.
Se allora ai suoi tempi era ammessa l'esistenza reale dei due Balsamo cioè di Giuseppe Balsamo e di Alessandro Cagliostro in due persone distinte, come fu poi possibile identificarli in uno?
Quali furono i motivi che portarono a questa confusione?
La realtà è che Cagliostro, come si continua a credere, non nacque nel 1743 in Sicilia e nemmeno a Palermo, non dall'unione di Pietro Balsamo con Felicia Bracconieri ma dalla relazione extraconiugale di un Grande del Portogallo con una gran Dama di Corte. Per conoscere i suoi veri natali, giacché tutti i memorialisti escludono la possibilità di conciliare la modesta nascita palermitana con la sua raffinata educazione e con gli onori che tutti i potenti gli tributarono, compreso un Papa, è necessario scandagliare in profondità negli avvenimenti del suo tempo e precisamente bisogna riportarsi a quel grosso colpo che si identifica con la soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta il 21 luglio del 1773 sotto il pontificato di Clemente XIV, che emise la bolla ''Dominus et Redemptor noster" e che si concluse con l'arresto del Generale dei Gesuiti Lorenzo Ricci che finì i suoi giorni in Castel S. Angelo in preda alla più nera disperazione.
I protagonisti di quella vicenda furono tutti attori principali che tanto tormentarono la vita del conte di Cagliostro.
Bisogna portarsi anche al Trattato di Lisbona del 1668 che portando sul trono del Portogallo la dinastia di Braganza si concluse, dopo la morte di Re Giovanni V, con il riconoscimento da parte della Spagna della indipendenza portoghese, con la reggenza della di lui moglie Luisa de Guzman e con l'avvento sul trono del figlio Alfonso che i medici avevano diagnosticato rachitico e deficiente.
Avendo l'aristocrazia dichiarato decaduto Alfonso e proclamato Re il fratello Pedro, il Portogallo conobbe una prosperità che divenne poi addirittura opulenza per le immense ricchezze di oro provenienti dalla sua colonia brasiliana.
Morto il re Pedro gli successe il figlio Giovanni che resse intelligentemente le sorti del paese.
Giovanni V ossequioso verso la chiesa romana ebbe una vita privata incline a una certa dissolutezza.
Molto nota e sufficientemente documentata fu la sua relazione con la più affascinante Dama di corte, donna Eleonora, moglie del Vecchio Governatore delle Indie da cui ebbe un bimbo le cui tracce si leggono fra le righe di documenti privati inviati al Papa Lambertini, Benedetto XIV. Il re, che già aveva un figlio legittimo di nome Jose, pretendente al trono, nel timore che al bimbo, che amava teneramente, capitasse una disgrazia, giacché il marchese di Pombal, futuro Primo Ministro, aveva già tentato di farlo scomparire, decise "ancora sotto la poppa della nutrice" di inviarlo segretamente in Arabia, dove poteva contare su amici fidati, per poi farlo educare all'ombra della cattedra di S. Pietro premendogli che non fosse mai consegnato ai Gesuiti, per non apprendere massime di perversa morale.
Per poterlo allontanare in gran segreto dal Portogallo lo affidò non "a un cavalier di mondo e di disinvolture" ma a un religioso domenicano illuminato che possedeva il dono delle lingue, preoccupandosi di farlo imbarcare su una nave comandata da un capitano scaltro, capace di sapersene uscire da qualunque intrigo.
La scelta cadde sulla figura torva e mal composta del capitano Pietro Balsamo la cui avidità e scaltrezza nell'ottenere denaro furono elementi sufficienti per assumerlo al suo servizio.
Il Re Giovanni, rimasto privo di notizie dopo la partenza del bimbo si rivolse al Papa, il quale gli concesse per questo atto di ossequio nel momento in cui a causa dei Gesuiti tutti i re della terra gli erano particolarmente ostili, tramite il card. De Saldanha, il titolo di Rei fidelissimo.
Con la morte del re Giovanni avvenuta nel 1750 e con l'assunzione al trono del figlio legittimo don José, che nominò Primo Ministro il marchese di Pombal, gli avvenimenti del Portogallo precipitarono nella tragedia e nel potere assoluto del Primo Ministro.
Da quel momento le vicende del bimbo affidato al precettore staccato ormai dalla patria finirono con il seguire un altro corso.
L'esistenza a Palermo del figlio del capitano Balsamo di nome Giuseppe offrì al precettore la possibilità di dare uno stato civile al piccolo bimbo facendolo passare per figlio adottivo del capitano.
L'atto di battesimo che si trova tuttora nella chiesa metropolitana di Palermo, privo dell'atto di nascita, firmato dal maestro cappellano Giuseppe Palazzotto, è alla origine dei nomi e della pluralità del Balsamo.
Queste notizie, confermate anche da Goethe nell'incontro che ebbe a Palermo con l'avvocato Vivona, che aveva inviato a Parigi il dossier su Cagliostro da lui preparato, trovate anche nei documenti e nei manoscritti giacenti negli Archivi di Stato di varie nazioni, hanno consentito di ritrovare il filo tanto intricato di quel piccolo bastardino che una strana sorte aveva allontanato dalla sua patria e di affermare che Pietro Balsamo non è il vero padre di Alessandro conte di Cagliostro e che costui nacque nel 1748 non nel 1743, che invece è l'anno di nascita di Giuseppe Balsamo il vero figlio di Pietro Balsamo.
Se costui trascorse la sua prima giovinezza, abbandonato a sé stesso, nella più completa ignoranza, vivendo di imbrogli negli angiporti del quartiere della Loggia a Palermo, il giovane Acharat (questo era il nome che aveva dato il Precettore a Cagliostro) in altre terre e in altri lidi viveva la sua luminosa infanzia imparando ad adorare Dio e ad amare il prossimo.
Se il Sant'Uffizio lo definisce: "guasto di massime, che nulla crede, che sia senza religione, un ateista, una bestia, vituperoso e assai cattivo, temuto da molti in concetto di impostore e di birbo, bestiale e furioso, ciarlatano, briccone, eretico, deista e diffamatissimo in materia di religione", la baronessa Enrichetta d'Oberkirch, di religione protestante, che lo conobbe a Strasburgo in casa del card. De Rohan così scrisse di lui: "mai fisionomia più straordinaria si è offerta alla mia osservazione" .
"Egli aveva soprattutto uno sguardo di una profondità sovrannaturale, non saprei tradurre la espressione dei suoi occhi, in essi c'era la fiamma ed il ghiaccio perché attiravano e respingevano nello stesso tempo, imponevano e spiravano una curiosità insormontabile. Si possono eseguire di lui due ritratti diversi, simili tutti e due e nello stesso tempo dissimili il più possibile" .
"Portava sulla camicia, alla catena dell'orologio e alle dita diamanti di una grossezza e di una limpidezza meravigliosa, se non erano strass valevano certamente la taglia di un Re".
"Quel giorno resterà irrevocabilmente segnato nella mia memoria perché ho faticato a sfuggire a un fascino che difficilmente oggi sono in grado di capire ma che non possono certamente negare".
L'ignoranza zotica di Giuseppe Balsamo, palese in ogni suo atto, cozza terribilmente con la cultura di Cagliostro che gli permetteva di esprimersi correttamente in francese (vedi interrogatori del processo della collana) di scrivere bene in italiano (vedi la sua Memoria tradotta poi in francese dal suo avvocato Thilorier) di possedere molto bene il portoghese (che, come afferma il Bode, doveva essere certamente la lingua materna) di scrivere in arabo (come riferisce Clementino Vannetti) e di conoscere bene il latino come risulta dal processo di Roma.
Quindi; se tutto questo non può essere contestato perché pienamente documentato dagli scritti del suo tempo, come si deve credere allora a Mons. Barberi, autore per conto del Sant'Uffizio del Compendio sul conte di Cagliostro in cui mescolando di proposito la religione e l'ateismo con il cattolicesimo e l'eterodossia si propone volutamente di confondere il lettore sprovveduto, che finisce con l'accettare le sue conclusioni perché non riesce a scoprire l'inganno che serpeggia fra le righe, come un persuasore occulto?
Sorvolando sul famoso processo della collana, a tutti noto, svoltosi in Francia nella più assoluta libertà di parola, benché sotto un regime di monarchia assoluta, e riservandomi di parlare della meravigliosa vita segreta di Cagliostro come medico, come fondatore della Massoneria egiziana e come prigioniero (murato vivo) nella fortezza di S. Leo in Pesaro, da cui evase con una eccezionale fuga, mi limiterò a ricordare quanto di lui hanno scritto fra i tanti alcuni contemporanei, per conoscere la sua vita e le sue opere che sono un elemento fondamentale ed obiettivo, sempre trascurato dai suoi biografi, incapaci di rendersi conto della potenza dei sovrumani poteri posseduti dal conte di Cagliostro.
Il Conte di Cagliostro per la possanza dei suoi poteri è più contemporaneo di quanto si possa immaginare. Se nel suo tempo si parlò di magia per spiegare perché in un'ora riuscì ad ottenere da Retaux de Villette la completa confessione del processo della collana, che i giudici in tanti interrogatori non erano stati capaci di ottenere, oggi la moderna psicologia dà una spiegazione scientifica affermando che egli, con il suo pensiero, lanciò una corrente di energia, una potenza di azione nell'infinito mare della vita che, abbracciando e svegliando quell'anima dal torpore, la metteva in contatto con l'Universo intero. Tutta la sua magia è racchiusa in questo dialogo di pensiero che attraversando lo spazio giunge fino a Dio.
Il suo segreto, la sua forza erano la sola grazia del Mistero che tutto compenetra e governa nel suo perfetto Amore e nella Unità piena dello spirito.
L'appellativo di stregone, affibbiatogli da qualche biografo, oggi che la teoria atomica scandaglia la materia fin nelle parti più minime, non ha più motivo di essere perché vuoto di significato.
Queste affermazioni ci consentono di comprendere come mai il conte di Cagliostro, seppellito vivo nel duro pozzo della fortezza di San Leo adriatico, isolato perciò nel senso più assoluto; potesse guidare in un luogo così introvabile e inaccessibile gli amici francesi che lo cercavano, trasmettendo le sue onde-pensiero nell'etere e sintonizzandosi animicamente con loro, come lo dimostra la lettera del 5 agosto 1791 del governatore di Macerata, inviata al cardinale Legato Doria, esistente nel Carteggio dell'Archivio di Stato di Pesaro catalogata al N. 8721, convalidata anche dal N. 57 del 20 luglio 1791 dalla Gazzetta Ufficiale stampata in Assisi che così testualmente si esprime: ''Capitarono attualmente al Castello di San Leo tre francesi i quali fecero le maggiori premure per parlare con il conte di Cagliostro. Il Comandante rispose di non poterli compiacere in alcuna maniera ma quelli sempre più insistevano".
Resta da chiedere perché ci si vuole ostinare a chiamare ancora eretico, ciarlatano, gabbamondo, stregone un uomo che seppe mettere in moto delle forze che nel suo tempo non si potevano immaginare nemmeno lontanamente e che, avendole scoperte, oggi le adoperiamo con tanta facilità.
Miracolo, allora, stregoneria? No! Niente di tutto questo.
Il Conte di Cagliostro conoscendo che l'Energia non è altro che lo scintillio di tutto ciò che è radiazione potenziale del Pensiero Infinito messa nell'orbita umana a sua confusione, si sforzò di fare comprendere quanto grandi siano le meraviglie che tutti possiamo percepire perché, fatti a immagine e somiglianza di Dio, siamo la più perfetta delle Sue creature.
Senza voler fare atto di sottomissione ad alcuna credenza o ad alcun dogma, necessita ammettere che se si continua a considerare diabolica l'opera del Conte di Cagliostro sullo stesso piano devono essere anche valutate le ricerche, le opere e le scoperte di uomini del calibro di Dalton, di Roëngten, dei coniugi Curie, di Einstein, di E. Fermi e di tanti altri uomini che, con le loro superbe anticipazioni, tanto hanno contribuito allo sviluppo della moderna civiltà.
La Luce, che portava in sé il Conte di Cagliostro, scompigliò le tenebre degli Abissi e le due ragioni del Cielo e della Terra si trovarono di fronte e dovettero misurarsi.
La battaglia decisiva fra le Forze del Bene e del Male stava per iniziarsi nella rupestre Fortezza di San Leo dove il conte di Cagliostro nell'aprile del 1791 venne murato vivo per 4 anni, 4 mesi e 5 giorni e da dove evase perche la Fortezza non lo strinse definitivamente fra le sue braccia feroci.

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