BALSAMO Giuseppe
alias Alessandro Cagliostro
di Carlo Francovich
Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica
BALSAMO, Giuseppe, alias Alessandro Cagliostro. - Nacque a
Palermo il 2 giugno 1743 dal mercante Pietro Balsamo e da
Felicita Bracconieri, entrambi di modeste condizioni economiche,
anche se nobili di famiglia come alcuni autori affermano (Haven,
Maruzzi). Sembra comunque accertato che di nobile famiglia fosse
la madre, imparentata con i Cagliostro, da cui in seguito il B.
avrebbe derivato il nome che lo rese famoso.
Morto il padre pochi giorni dopo la sua nascita, fu affidato
alle cure di uno zio materno, che se ne sbarazzò appena
possibile, sistemandolo nel seminario di S. Rocco a Palermo, e
inviandolo poi (1756) come novizio presso il convento dei
Fatebenefratelli di Caltagirone, ove fu affidato alla custodia
del fratello speziale, dal quale probabilmente apprese alcune
nozioni di chimica e di medicina.
Nel 1768 il B. si trova a Roma, dove sposa una bellissima
fanciulla, Lorenza Feliciani, figlia di un fonditore, che
abitava nel vicolo delle Cripte. Peraltro dal 1756 al 1768 non
si hanno notizie documentate del Balsamo.
Le uniche fonti d'informazione in proposito sono il
Compendio della vita e delle gesta di G. B., redatto nel
1791 da monsignor Giuseppe Barberi, fiscale generale del Santo
Uffizio, ma che nel processo contro il conte di Cagliostro ebbe
il delicato compito di fungere da segretario della Congregazione
giudicante. Quanto egli afferma è in parte suffragato dai
manoscritti, residuati gesuitici del Santo Uffizio, riguardanti
il processo e conservati presso la Biblioteca Nazionale di Roma.
Il Compendio, però,anche se scritto con la obbiettiva serietà di
un magistrato, fu redatto come giustificazione di fronte
all'opinione pubblica europea del processo e della grave
sentenza pronunziata. Dall'altra parte abbiamo le molteplici e
mirabolanti dichiarazioni del conte di Cagliostro e,
soprattutto, l'autodifesa al famoso processo della collana della
regina. All'una o all'altra di queste fonti si appoggiano i
detrattori del Balsamo o gli apologeti del Cagliostro.
Secondo il Compendio il B., abbandonato il convento, dove ne
aveva combinate d'ogni colore, si recò a Palermo, esercitandosi
in vari delitti d'empietà, partecipando a risse, falsificando
biglietti di teatro e testamenti, commettendo furti e truffe.
Tra queste sarebbe famosa quella commessa a danno di un certo
Marano gioielliere, vittima del B. per la sua credulità nelle
arti magiche. Dopo questa truffa egli dovette lasciare Palermo e
- secondo quanto afferma il Compendio - "girò varie parti del
mondo".
Secondo quanto invece sostenne il conte di Cagliostro al
processo della collana nel 1786, egli sarebbe nato da genitori a
lui sconosciuti e in una località ignota; avrebbe trascorso
l'infanzia alla Mecca; quindi, sotto la guida di un certo
Altotas, sapientissimo botanico e fisico, avrebbe percorso
l'Egitto apprendendo le verità segrete possedute da quei
sacerdoti. A Malta poi avrebbe aiutato nelle sue ricerche
alchimistiche il gran maestro dell'Ordine, Pinto d'Alfonseca,
trasferendosi in seguito a Napoli e, dopo un ulteriore soggiorno
in Sicilia, a Roma.
Secondo il Compendio,anche dopo il matrimonio il B. si dedicò
alle solite falsificazioni, tanto da correre il rischio d'essere
arrestato e forse anche d'essere condannato a morte. Pertanto
fuggì con un complice, il sedicente conte Agliata, e la moglie
in un cordiale ménage à trois. I due coniugi, rimasti soli a
Bergamo, avrebbero raggiunto Barcellona, Madrid, e infine
Lisbona, vivendo di truffe e di falsi, cui ora si sarebbero
aggiunte le arti seduttrici di Lorenza, incoraggiata dal marito
a una lucrosa prostituzione.
Nell'estate del 1771 la coppia si reca a Londra, dove - dopo
esser ricorso alle solite mistificazioni - il B. viene a sua
volta truffato da un conterraneo e finisce in prigione per
debiti. Fu costretto per vivere a lavorare come decoratore, ma
sembra che tale arte fosse da lui esercitata con poco successo.
Alla fine dell'anno successivo la coppia si reca a Parigi, dove
Lorenza abbandona il marito per un certo avvocato Duplessis e
finisce nel gennaio 1773 a Santa Pelagia, la prigione delle
donne di malaffare. Poi i due si riconciliano e, dopo un viaggio
per il Belgio e la Germania, fanno ritorno a Palermo e a Napoli
(1775), ove li raggiunge un fratello di Lorenza, che si
accompagna per un certo tempo alla coppia nelle successive
peregrinazioni.
Poco dopo, a Marsiglia, il B. appare per la prima volta - a
quanto risulta - nella veste di taumaturgo e di conoscitore di
verità occulte apprese dai sacerdoti egizi. Promette, dietro
lauto compenso in denaro, a uno spasimante, ormai in là con gli
anni, di ridargli il vigore giovanile mediante l'attuazione
prolungata di certi riti magici; ma non realizzandosi il
miracolo, è costretto a fuggire in Spagna. Si reca
successivamente a Venezia, ad Alicante e infine a Cadice (1776),
dove pare che il cognato lo abbandonasse, non senza averlo a sua
volta defraudato.
In quello stesso anno, il B. - che fino a quel tempo aveva fatto
uso di vari nomi e titoli millantati: conte di Fenix, conte
Harat, marchese Pellegrini, marchese D'Anna, marchese Balsam,
principe di Santa Croce - ritorna a Londra per la seconda volta
e adotta il nome di conte Alessandro di Cagliostro, ufficiale al
servizio del re di Prussia. Nello stesso tempo la moglie aveva
cambiato il nome di Lorenza in quello più celestiale di Serafina.
A partire dal secondo soggiorno londinese (1776-77) la vicenda
del B., divenuto Cagliostro, può seguirsi su una documentazione
ufficiale, sulla memorialistica dei contemporanei e non sulla
narrazione desunta da libelli diffamatori o comunque scritti da
avversari e denigratori. Tale soggiorno non fu soltanto
caratterizzato da un ennesimo arresto e processo per truffa, ma
anche dall'ammissione di Cagliostro e di Lorenza nella loggia
massonica "La Speranza", una delle meno note, che raccoglieva
soprattutto elementi stranieri e borghesi. Da questo momento
l'attività dell'avventuriero siciliano comincia a svolgersi in
seno alla massoneria, che gli conferisce un nuovo prestigio,
indicandogli nuove vie e nuove conoscenze per meglio affermarsi
nella società del sec. XVIII.
Giovò soprattutto al Cagliostro l'affermarsi in Europa di
particolari gruppi latomistici a sfondo prevalentemente mistico.
Accanto all'ormai tradizionale massoneria inglese, che affermava
le idee di tolleranza religiosa e di libertà intellettuale, si
era sviluppata in Francia prima, e in Germania poi, una
massoneria degli "alti gradi", erede e detentrice, secondo
quanto affermava, dei segreti degli antichi cavalieri templari.
I Rosacroce indagavano i segreti alchimistici; i massoni
mistici, sulla traccia di Swedenborg, cercavano mediante la
teurgia di stabilire un contatto con gli spiriti celesti e
dell'oltretomba. Esisteva infine anche una massoneria anarchica
e atea - gli Illuminati di Baviera - che mirava a trasformare in
una formulazione egualitaria le aspirazioni politiche e il
fermento intellettuale del secolo.
Questo mondo di rapporti segreti, avvolto di mistero e immerso
talvolta nelle pratiche occultistiche, che, già prima del
Cagliostro, aveva favorito le sorti di più d'un avventuriero e
ciarlatano (basti pensare al Conte di Saint Germain!) costituì
un'ottima base per la sua successiva attività. Fondandosi, come
sembra, su un vecchio manoscritto inglese da lui scovato presso
un libraio di Londra, costituì una nuova setta massonica: la
massoneria di "rito egiziano", di carattere mistico, che
prometteva agli adepti, dopo una serie di iniziazioni e di
pratiche rituali, la rigenerazione del corpo e dell'anima.
Potevano farne parte gli uomini e le donne che fossero già
iscritti alla massoneria ordinaria. Ne era a capo lo stesso
Cagliostro col titolo di "gran Cofto", mentre le sedute cui
erano ammesse le donne avevano come presidentessa la bella
Serafina, che per l'occasione assumeva il titolo di "regina di
Saba".
Ebbe inizio così per il Cagliostro una serie di successi morali
e materiali, variamente interpretati dai biografi; certo è che
tra il 1777 e il 1780, nel suo viaggio attraverso l'Europa
centrale e settentrionale, che lo portò dall'Aia a Berlino,
dalla Curlandia a Pietroburgo e in Polonia, egli ebbe modo di
mietere una serie di successi: a Pietroburgo sembra che facesse
credere di avere risuscitato un bambino morto. Tali successi non
solo coincisero con un tono di vita lussuosissimo, ma gli
procurarono anche l'intima amicizia di nobili e di scienziati,
tanto da essere accolto trionfalmente alla corte di Varsavia
dallo stesso sovrano (maggio 1780).
Pur non concordando con gli apologeti del Cagliostro, è tuttavia
probabile che egli avesse nozioni di arte medica e farmaceutica.
Ciò risulta dalle sue ricette nonché dai due farmachi più
famosi, che, oltre al misterioso "elixir di lunga vita",
somministrato solo in casi eccezionali, consistevano nel "vino
egiziano", un eccitante afrodisiaco, e nelle "polveri
rinfrescanti", un decotto di erbe mediche. È inoltre probabile
che la sua forza di suggestione fosse rafforzata dalla
conoscenza di alcuni elementi del magnetismo animale (di cui
proprio in quegli anni Mesmer faceva i primi esperimenti fra
l'enorme meraviglia e costernazione del pubblico) e forse da
doti innate di ipnotizzatore. Del resto, la forza di suggestione
emanata dalla personalità del Cagliostro fu più o meno
generalmente riconosciuta anche da coloro che erano meno
disposti a lasciarsi truffare. Basti ricordare la descrizione
della sua persona fisica lasciataci dal letterato roveretano
Clementino Vannetti, che narrò la vicenda del Cagliostro nella
cittadina natale con spirito critico, non privo di un delicato
umorismo: "Aveva una fisionomia assai piacevole; di statura
mezzana, aveva la testa grossa, molta pinguedine. Ad onta della
sua grassezza, camminava, volteggiava con agilità. Aveva un bel
colorito, i capelli neri, gli occhi profondi e splendenti.
Quando parlava con la sua voce simpatica, levando gli occhi al
cielo e gestendo con vivacità, era simile a chi è invaso dal
divino afflato". E la baronessa d'Oberkirch nei suoi Mémoires: "Non
era assolutamente bello, ma giammai s'era offerta alla mia
osservazione una fisionomia più notevole: egli aveva soprattutto
uno sguardo d'una profondità quasi soprannaturale. Non saprei
rendere l'espressione dei suoi occhi; era nello stesso tempo del
fuoco e del gelo; attirava e respingeva; faceva paura e ispirava
una curiosità invincibile".
Il Cagliostro sapeva rafforzare il suo fascino personale
lasciando che intorno a lui si formasse un alone di leggende e
di mistero, facendo credere ad esempio - come il conte di
Saint-Germain - di essere vissuto in epoche remotissime; a chi
gli chiedeva notizie un po' meno vaghe sulla sua origine e sulla
sua persona, rispondeva laconicamente: "ego sum, qui sum!". Al
suo amico ed ammiratore Lavater, filosofo e mistico, che gli
domandò un giorno su che cosa si fondasse la sua arte medica,
rispose con uguale laconicità: "in verbis, in herbis, in
lapidibus".
Del resto, qualunque fosse l'entità delle sue nozioni
scientifiche, quando nel gennaio del 1781 giunse a Strasburgo,
egli operò alcune guarigioni autentiche, curando gratuitamente i
numerosi ammalati che affollavano la sua anticamera. In tal modo
si accaparrò non soltanto la stima e l'amicizia del già
ricordato Lavater o quella del banchiere svizzero Sarrasin, ma
godette dell'incondizionata ammirazione e devozione del
cardinale e principe di Rohan, grande elemosiniere del re di
Francia.
Ma a Strasburgo, come altrove, divenne presto l'oggetto degli
attacchi da parte dei medici laureati o patentati e forse fu
questo il motivo che lo indusse a lasciare la città. Così i due
coniugi, dopo aver peregrinato attraverso la Svizzera, giunsero
a Napoli. Soggiornarono per un anno a Bordeaux e quindi
sostarono a Lione.
Specialmente in questa città, che era in quel tempo il centro
europeo più importante della massoneria mistica, soprattutto per
l'opera svolta dagli "Elus Cohens", dal martinismo e da altri
regimi occultistici, il Cagliostro trovò un terreno fertile per
organizzare la massoneria egiziana. Dopo aver conquistato la
città con le sue arti di medico ed i suoi poteri di
chiaroveggente, istallò la "madre loggia" del rito egiziano, col
titolo "La Sagesse triomphante", in una sede splendida e con
l'adesione delle più importanti personalità cittadine. Ma anche
da Lione improvvisamente si allontanò per recarsi a Parigi, dove
giunse il 30 genn. 1785.
Quale importanza il Cagliostro avesse assunto nel mondo della
massoneria mistica ed alchimistica lo si vide in quei giorni,
allorché fu invitato a partecipare al convegno dei "Philalèthes":
una setta massonica che fin dal 1784 aveva cercato di
organizzare un convegno allo scopo di riunire tutti i seguaci
delle ricerche esoteriche, e nel contempo di risolvere l'arduo
problema delle origini e dei fini della Libera Muratoria. A tale
scopo era stato inviato un lungo questionario ai maggiorenti
massonici, ma s'intende come le aspettative più fervide si
indirizzassero verso la persona del Cagliostro, il quale
tuttavia pretese atti così umilianti di incondizionata
sottomissione al suo "rito egiziano", che, nonostante ogni buona
volontà da parte dei "Philalèthes", l'invito non poté avere
seguito. Tale atteggiamento finì per screditarlo anche di fronte
a quei massoni che fino a quel momento avevano avuto
un'incondizionata fiducia in lui. Nondimeno nell'agosto dei
1785, in uno scenario solenne, tra una folla di nobili, di dame,
di pubblicisti, di ecclesiastici e di militari, tra cui non
mancava l'amico e protettore cardinale di Rohan, si celebrava la
fondazione della loggia egiziana "Isis", cui erano ammessi tanto
gli uomini che le donne: le assemblee di queste ultime avevano
come gran maestra l'ancora giovane e bella Serafina, che godette
in quel tempo di una popolarità immensa, pari forse a quella del
marito.
Ma proprio mentre, al colmo della gloria, il Cagliostro si
dedicava con successo all'attività medica ed esoterica, fu, a
sua insaputa, coinvolto nel più celebre processo dell'epoca,
nell'"affaire du collier de la reine", entrando così di
colpo in una delle maggiori vicende scandalistiche del tempo.
La storia è nota. Il cardinale di Rohan, famoso per vita galante
e prodigalità, fu raggirato da un'avventuriera, la signora de La
Motte, allora in rapporto di amicizia con la regina Maria
Antonietta. Essa fece credere al cardinale, innamorato non
corrisposto dalla regina, che questa avrebbe gradito le sue
attenzioni, se egli avesse garantito presso i gioiellieri della
corte il pagamento dì una magnifica collana di diamanti, che la
regina avrebbe successivamente pagato a scadenze fisse. Il
cardinale ritirò la collana e la consegnò alla de La Motte, che
naturalmente la rivendette ad altri. L'inganno fu scoperto
quando i gioiellieri non videro giungere le rate del pagamento e
il cardinale non si vide ammesso ai favori della regina. La de
La Motte, arrestata assieme al cardinale, riversò la colpa di
tutta la faccenda sull'innocente Cagliostro, cui in tutta la
storia si poteva solo imputare d'aver dato al cardinale l'unico
consiglio sensato, allorché si scoprì l'imbroglio: confessare
tutto al sovrano ed evitare in tal modo lo scandalo pubblico.
Quando il Cagliostro e sua moglie furono rinchiusi nella
Bastiglia, l'ingiustizia palese indignò l'opinione pubblica e lo
scandalo assunse una caratterizzazione politica: esso servì agli
avversari del potere assoluto per screditare la monarchia e
rivelò sin da allora l'antipatia dei Francesi per la regina
austriaca.
Nel solenne processo che si tenne davanti al Parlamento di
Parigi, durante il quale il Cagliostro ebbe modo di pronunciare
la sua difesa, coronata da un entusiastico applauso dei
presenti, si poté constatare l'innocenza sua e la buona fede del
cardinale. Entrambi furono assolti (Serafina era già stata
liberata in precedenza). Una folla imponente accompagnò allora
il Cagliostro dalla Bastiglia fino a casa. La sua fama e la sua
popolarità non avevano mai raggiunto punte così clamorose.
Se tuttavia il Parlamento proclamò la innocenza del Cagliostro,
il potere esecutivo nella persona del de Breteuil, ministro
della real casa, decretò l'esilio al "Gran Cofto", che riparò in
Inghilterra. Di qui scrisse la famosa Lettera al popolo
francese,ove accusava il barone de Breteuil di averlo
perseguitato e di continuare a perseguitarlo, pronunciava una
requisitoria spietata contro i sistemi giudiziari francesi e
concludeva infine con una profezia, annunciando la caduta della
Bastiglia, la convocazione degli Stati generali, l'abolizione
delle lettres de cachet e l'avvento al trono di un re saggio
(probabile allusione al duca di Chartres, il futuro Filippo
Egalité, gran maestro della massoneria francese).
Queste asserzioni contribuirono a schierare il Cagliostro nel
campo della politica militante, mentre il governo francese,
costretto a difendersi, provvedeva ad opporgli un libellista
abilissimo e famoso in quel tempo, Théveneau de Morande. Questi,
con l'aiuto della polizia e dei diplomatici francesi, riuscì a
stabilire l'identità fra Giuseppe Balsamo" Alessandro
Cagliostro, fra Serafina e Lorenza Feliciani, ricostruendo fra
l'altro le vicende dei due precedenti soggiorni londinesi.
La polemica, dibattuta sulle gazzette, tra il Théveneau e il
Cagliostro durò a lungo con fasi alterne, sostenuta da
quest'ultimo non senza abilità e non senza successo fino a
quando non si risolse a partire da Londra, dove lasciò
momentaneamente la moglie, per cercare un rifugio più tranquillo
in Svizzera, presso gli amici Lavater e Sarrasin. Durante la sua
assenza, Théveneau, profittando delle incertezze di Serafina,
che forse avvertiva il prossimo declino del marito, riuscì a
strapparle alcune dichiarazioni compromettenti e a farle
chiedere lo scioglimento del vincolo coniugale. Il Cagliostro
però giunse in tempo per richiamare la moglie presso di sé
convincendola a ritrattare, davanti a un notaio di Bienne, le
precedenti affermazioni.
Ricominciano quindi le sue peregrinazioni: Aix in Savoia,
Torino, Genova, Rovereto, Trento, sempre alternando la attività
di medico con quella di organizzatore di logge massoniche. Il
soggiorno a Rovereto ispirò a Clementino Vannetti quel curioso
libretto, scritto nel latino della vulgata,intitolato Liber
memorialis de Caleostro quum esset Roboreti, parodia dei Vangeli
e perciò detto anche il
"Vangelo
di Cagliostro", che a molti contemporanei parve opera
sconveniente e profanatrice.
A Trento, dove giunse nell'autunno del 1788, entrò subito nelle
grazie del principe vescovo Pietro Vigilio Thun, non si sa se
sorprendendo la buona fede del prelato, o in virtù di un
contatto massonico come taluno suppone. Certo è che, dopo aver
svolto con risultati non eccessivamente brillanti l'arte
taumaturgica a Trento, egli iniziò le pratiche per un ritorno a
Roma, spinto probabilmente a ciò dalla moglie, desiderosa di
rivedere i propri familiari. Il vescovo di Trento operò in modo
da facilitare tale ritorno, raccomandandolo alle autorità
ecclesiastiche e chiedendo per lui un salvacondotto che fu
concesso con una formula piuttosto prudente.
Fu così che nel maggio del 1789, mentre in Francia stava per
scoppiare la grande rivoluzione e tutta l'Europa avvertiva il
vacillare delle vecchie strutture statali, il Cagliostro giunse
a Roma, scaduto alquanto nella sua fama di taumaturgo, e
guardato con sospetto dalle autorità di polizia, che vedevano in
lui un attivo esponente della massoneria e un pericoloso
agitatore politico.
In un periodo che vedeva la riscossa dei ceti conservatori
contro il razionalismo illuministico e le sue conseguenze nel
campo culturale e politico (in Baviera nel 1786 si era
solennemente condannata la setta degli "illuminati" di Weishaupt),
il Cagliostro, che aveva profetizzato la caduta della Bastiglia,
colpendo gli abusi della monarchia per diritto divino, non
poteva non creare preoccupazione e sospetti. A Roma la
massoneria, nonostante le condanne di Clemente XII (1738) e di
Benedetto XIV (1751), operava da tempo, reclutando i suoi adepti
soprattutto nelle numerose colonie di stranieri. Quando vi
giunse il Cagliostro era particolarmente attiva la loggia degli
"Amici Sinceri", che aveva sede nella casa del pittore francese
Agostino Belle. Cagliostro, non potendo esercitare liberamente
l'arte del medico ed essendo d'altra parte scaduta la sua fama
di taumaturgo, cercò di trovare una fonte di guadagno nei
travagli massonici, tentando di entrare in contatto con i liberi
muratori di Roma. Ma sembra che costoro non ne volessero sapere,
considerandolo, sì, con grande curiosità, ma nello stesso tempo
anche con molta diffidenza, quasi fosse un volgare truffatore.
Nondimeno egli riuscì ad attirare dalla sua alcune personalità
di rilievo, come il cardinale di Bernis ambasciatore di Francia,
la principessa Lambertini, nipote di Benedetto XIV, e il di
Loras, balì dell'Ordine di Malta.
Egli tentò d'insediare anche a Roma una loggia del "rito
egiziano", e a tal fine organizzò una riunione, proprio a Villa
Malta, il 16 sett. 1789, cui intervennero numerosi esponenti del
clero e della nobiltà romana.
Nella riunione, presenziata dall'ambasciatore di Francia, il
Cagliostro espose i principi della massoneria egiziana, ricorse
alle arti di chiaroveggente preannunciando la distruzione della
Bastiglia, che dei resto era già avvenuta, e la marcia delle
donne su Versailles, che doveva ancora avere luogo, se deve
prestarsi fede alla data citata. Ma nonostante queste e altre
imprese mirabolanti, riferite dall'abate Benedetti, che
partecipò alla seduta, egli non riscosse gran numero di adesioni
fra i presenti. Solo due furono i massoni che aderirono al "rito
egiziano": il marchese Vivaldi, che al momento degli arresti
riuscirà a mettersi in salvo, e un curioso tipo di frate
cappuccino, il padre Francesco Giuseppe da San Maurizio, al
secolo Giacinto Antonio Roulier, cittadino svizzero, che al
momento dell'arresto fu trovato in possesso di opere politiche
compromettenti.
Dato il fallimento della riunione e anche per i frequenti
dissensi con la moglie, che sembrava presa da improvvisi
scrupoli religiosi, il Cagliostro pensò a un ritorno a Parigi,
donde giungevano notizie sempre più drammatiche sulla sconfitta
di quel milieu che lo aveva perseguitato. Scrisse pertanto un
memoriale diretto all'Assemblea nazionale francese, con il
quale, dopo aver ricordato le passate persecuzioni, chiedeva di
rientrare in Francia, mettendosi a completa disposizione del
nuovo governo. Ma la petizione non ebbe risposta.
Frattanto Lorenza minacciava di accusare nuovamente il marito di
fronte a un tribunale, consigliata in questo dai parenti con i
quali aveva ristabilito rapporti frequenti. Il frate cappuccino,
innalzato dal Cagliostro alla carica di segretario, avrebbe
dovuto sorvegliarla, ma, divenutone l'amante, non riuscì a
impedire che ella fornisse a un sacerdote in sede di confessione
importanti elementi di accusa contro il marito confermati del
resto dagli altri membri della famiglia Feliciani e dai
coimputati desiderosi di scagionarsi.
È chiaro che l'accusa di Lorenza offrì soltanto pretesto per
procedere al Santo Uffizio che già da tempo, preoccupato degli
avvenimenti internazionali, sorvegliava l'attività del
Cagliostro e dei massoni residenti a Roma. L'arresto e il
processo del Cagliostro dovevano essere, secondo gli
intendimenti romani, il processo contro le mene politiche e
antireligiose della massoneria. Il Sant'Uffizio redasse un
particolareggiato rapporto sulla sua attività a Pio VI, che,
udito il parere di alcuni cardinali inquisitori generali, ordinò
il 27 dic. 1789 l'arresto del Cagliostro, della moglie Lorenza,
del cappuccino e una perquisizione in casa del pittore Belle.
Il Cagliostro fu rinchiuso in Castel S. Angelo sotto severa
custodia e con un eccezionale apparato di sicurezza; il
cappuccino fu tradotto alle carceri di Ara Coeli; mentre Lorenza
fu rinchiusa nel convento di S. Apollonia in Trastevere. Fu
subito dato inizio all'istruttoria. Il collegio giudicante venne
costituito da personaggi di chiara fama e dotato dei più ampi
poteri d'inchiesta. La presidenza fu affidata al cardinale
Zelada, segretario di Stato; fra i giudici il cardinale
Antonelli, prefetto di Propaganda; segretario della commissione
era monsignor Giuseppe Barberi, il fiscale generale di Stato.
L'istruttoria andò per le lunghe e il primo interrogatorio
processuale si ebbe l'8 maggio 1790. Anche il collegio di difesa
fu costituito da due prelati, dall'ordinario avvocato dei rei
presso il tribunale della S. Inquisizione e dall'avvocato dei
poveri. Se onesta ed abile fu la difesa degli avvocati, - il
comportamento del Cagliostro durante il processo si dimostrò
piuttosto contraddittorio, rivelando il declino della tanto
decantata astuzia e intelligenza attribuita al "Gran Cofto".
Era infatti chiaro che il S. Uffizio tendeva a inquadrare la sua
figura nell'ambito dell'attività massonica: purtroppo, egli
facilitò tale impresa, confermando addirittura di essere stato
un emissario degli "Illuminati". Questo non sembra corrispondere
a verità: basta pensare alla diffidenza con cui gli Illuminati,
legati a una precisa azione politica, guardarono sempre ai sogni
alchimistici di Cagliostro. Anzi nel carteggio di Friedrich
Münter, il teologo luterano che nel 1786 era venuto in Italia,
soggiornando a lungo a Roma per organizzare le logge illuminate,
si trova una lettera del 26 genn. 1790 diretta all'amico
cardinale Stefano Borgia, nella quale egli afferma
espressamente: "se si crede a Roma che Cagliostro sia un
libero muratore o riconosciuto tale dalle logge legittime, si fa
uno sbaglio. Egli è riconosciuto dappertutto tale, quale è, cioè
un impostore periculoso...". E inoltre: "... mi rincresce
che la S. Sede abbia voluto fare inquisizione contro i liberi
muratori stessi". Concludeva scongiurando il cardinale in
nome della "santa memoria di Benedetto XIV, di fare quel che
potrà affinché non restino infelici uomini, che non hanno
commesso verun delitto e che sono buoni cittadini e debbono
essere li nemici di ogni impostura...".
Evidentemente il Cagliostro, più che in una difesa logica e
persuasiva, fidava negli atti di sottomissione alla Chiesa e
nelle molteplici prove di ravvedimento date durante la sua
carcerazione in Castel S. Angelo, confessando, rinnegando i
propri errori e facendo varie pratiche di devozione e di
penitenza. Ma tutto questo gli giovò ben poco.
Il 7 apr. 1791 fu pronunziata la sentenza, con la quale si
affermava il B. "detto conte di Cagliostro essere caduto in
tutte le pene (morte esemplare) minacciate dai Sacri Canoni e
dalle leggi, tanto civili che municipali, contro eretici
formali, contro maghi e contro Liberi Muratori". La pena gli
fu commutata dal papa in carcere perpetuo, senza speranza di
grazia. Il padre Francesco Giuseppe da San Maurizio fu
condannato a dieci annidi carcere. Lorenza fu assolta dal
tribunale, ma venne rinchiusa per misura disciplinare nel
convento di S. Apollonia in Trastevere. Il 4 maggio successivo,
in piazza della Minerva a Roma, fra il solito tripudiare della
folla, vennero bruciati gli strumenti massonici e i libri
sequestrati al Cagliostro.
Si avvicinava la sua tragica fine. Rinchiuso il 21 apr. 1791 nel
forte di San Leo, oggi in provincia di Pesaro, in un locale
senz'aria e senza luce, dove le più semplici norme igieniche
erano volutamente ignorate, sotto una sorveglianza continua e
ossessionante, egli cominciò lentamente a dare segni di follia.
Da questo momento cominciarono le bastonature quasi periodiche,
che finirono per fargli perdere completamente la ragione. Mentre
lo percuotevano, i suoi urli angosciati e deliranti erano uditi
fino nel paese sottostante. Di tutti questi particolari il
governatore di San Leo informava con rapporti periodici il
cardinale legato di Urbino, che inoltrava le informazioni alla
segreteria di Stato a Roma, dove la sorte del Cagliostro veniva
seguita con interesse non privo di una certa trepidanza. Ma il
26 ag. 1795, pochi mesi prima che arrivassero a San Leo le
truppe liberatrici francesi, egli morì, pare, in seguito a un
colpo apoplettico. "Secundum duritiem mentis et impoenitens
cor, nullo dato poenitentiae signo, illamentatus moritur",
dice l'atto di morte. Fu quindi sepolto in terra sconsacrata e
il suo corpo non fu più ritrovato.
Tale fu il destino dell'avventuriero siciliano, che, dotato
d'intelligenza non comune, s'impose all'attenzione di tutta
l'Europa sfruttando mirabilmente l'ansia del secolo verso tutto
ciò che rasentasse il mistero. Poiché non va dimenticato che
l'epoca dei "lumi" e del movimento razionalista alimentava nel
fondo una corrente irrazionale e vagamente spiritualista che
trovò uno sfogo non solo nel profetismo teosofico, ma si rivelò
nella passione per le scienze occulte, per lo spiritismo
incipiente, per l'alchimia, per l'astrologia, per la teurgia,
accompagnata dalla degenerazione mondana della volgarizzazione
scientifica.
Tra il 1777 e il 1786 gli ammiratori del Cagliostro
intrecciarono, da un capo all'altro dell'Europa, una fitta
corrispondenza con espressioni di devozione incondizionata, come
risulta dalle lettere di Lavater a Sarrasin, da quelle del
guardasigilli Mirosmesnil o del conte di Lamberg, del cardinale
di Rohan e del duca di Curlandia. Ma il successo del Cagliostro
non si limitò alle classi dirigenti; la folla, abbagliata dalla
sua opulenza misteriosa e più ancora dalla fama delle sue cure
praticate gratuitamente ai poveri, lo applaudì, sostò alle porte
del suo alloggio gridando al miracolo. Durante il famoso
processo del collier, egli riuscì a interpretare le inquietudini
del secolo, rispecchiando in sé il generale scetticismo verso la
tradizione e la ansiosa attesa di un futuro migliore e diverso.
Sembra quasi che egli fosse inconsciamente preso dalle nuove
idee, dal senso generale di rivolta, al quale forse lo avevano
portato i disagi sofferti nel passato, nonché il ricordo delle
sopraffazioni subite, degli abusi esercitati dai potenti e da
autorità incontrollate. Comunque, egli era mosso non da una
ragione politica, ma da un impulso istintivo e finì per essere
coinvolto in un giuoco più grande di lui. L'inserirsi della
massoneria negli avvenimenti che portarono alla grande
rivoluzione, servì a conferirgli una personalità politica che
certamente non ebbe e che amaramente dovette scontare. La vita
avventurosa e contraddittoria, la morte tragica e dolorosa,
contribuirono a creare nei posteri un mito che sopravvisse nella
letteratura romantica e nella successiva polemica anticlericale.
Questo mito - che affascinò gli scrittori del secolo scorso, e
basti per tutti citare Volfango Goethe e Alessandro Dumas - in
realtà era già nato mentre egli era ancora in vita. Tanto che
appena si sparse la notizia della sua morte si diffuse la
leggenda che fosse evaso dal carcere e che continuasse ad
aggirarsi per il mondo in una ennesima incarnazione. La
scomparsa del suo cadavere avvalorò probabilmente tale favola.
Del resto, anche del frate cappuccino e della moglie non si
ebbero più notizie. Può essere che i susseguenti avvenimenti
politici, l'arrivo dei Francesi a Roma, li abbiano restituiti
alla vita civile, ma nulla sappiamo di loro. Anche le loro
tombe, come quella dei Cagliostro, sono rimaste sconosciute.
Fonti e Bibl.: Le fonti documentarie più importanti sono quelle
raccolte in occasione del processo romano (1790-91). Dato che
tali documenti non sono accessibili, la fonte archivistica più
importante rimane per ora la
Raccolta di scritture legali riguardanti il processo di G. B.
detto Alessandro conte di Cagliostro e di
P. Francesco Giuseppe da S. Maurizio Cappuccino, innanzi al
Tribunale del S. Uffizio di Roma, nella Biblioteca Nazionale
Centrale di Roma, fondo Vittorio Emanuele,ms. 245, I-XXXV. Circa
- il processo per l'affaire du collier e il soggiorno nella
prigione della Bastiglia (1785-86), i documenti si trovano a
Parigi (Archives Nationales, X B 1417, F 4445B-4450B, Y 11514;
Archives du Ministère des Affaires Etrangères, France 1786.
Mémoires et Documents, I, 400; Biblìothèque Nazionale, mss.,
Nouvelles acquisitions francaises 22899; Bibliothèque de l'Arsenal,
Papìers de la Bastille, 12457, 12517). Altri documenti
manoscritti, riguardanti l'itinerario del B., si possono
consultare a Genova (Biblioteca civica Berio) e a Trento
(Biblioteca comunale). Per la detenzione del B. nella fortezza
di San Leo e intorno alla sua morte si hanno docc. a Pesaro
(Biblioteca Oliveriana, Carteggio sulla persona di G. B.
denominato il conte di Cagliostro, relegato nella fortezza di S.
Leo per ordine della Santità di Nostro Signore Pio VI, 2 voll.,
nn. 8718-8719; Carteggio sulla persona di G. B. denominato il
conte Cagliostro, relegato nella fortezza di S. Leo ed ivi morto
in agosto 1795, n. 8721).
Vastissima è la bibliografia sul
B., dato che libri e articoli nei quali si parlava di lui
cominciarono a uscire mentre egli era ancora vivo. Rimandiamo
per una più ampia informazione ai repertori bibliografici di
alcune opere essenziali.
-
Per gli opuscoli del sec.
XVIII, per gli articoli e i libri apparsi in epoca
successiva in lingua straniera, cfr. M. Haven, Le maître
ínconnu, Paris 1912.
-
Per i rapporti tra il B. e la
massoneria, cfr. P. Maruzzi, Ilvangelo di C. il Gran Cofto,
traduzione letterale del testo latino preceduto da uno
studio storico-critico e da una bibliografia, Todi 1914.
-
Per una bibliografia
complessiva, esauriente soprattutto per le opere italiane,
cfr. E. Petraccone, Cagliostro nella storia e nella
leggenda, nuova ediz., a cura di B. Brunelli, Milano 1936.
-
Oltre alle tre opere suddette,
hanno un'importanza fondamentale negli studi cagliostreschi:
Compendio della vita e delle gesta di G. B. denominato il
Conte Cagliostro che si è estratto dal processo di lui
formato in Roma l'anno 1790, ecc., Roma 1791 (opera di mons.
G. Barberi, segretario della Congregazione giudicante nel
processo romano);
-
H. d'Alméras, Les romans de l'histoire:
Cagliostro, la Franc-Maçonnerie et l'occultisme au XVIII
siècle, Paris 1904;
-
W. R. H. Trowbridge,
Cagliostro, the splendour and misery of a master of magie,
London 1912;
-
B. Cassinelli, Cagliostro
dinnanzi al Sant'Uffizio (1789-91), Roma 1930;
-
C. Photiadès Les vies du Comte
de Cagliostro,Paris 1935, (l'opera più completa
sull'avventuriero siciliano);
-
B. Pincherle, Specifici e
ricette del conte di Cagliostro, in La medicina
internazionale, dicembre 1933 e gennaio 1934;
-
Cagliostro, in Il giardino
d'Esculapio, luglio 1943;
-
N. Matteini, Il conte di
Cagliostro: prigionia e morte nella fortezza di San Leo,
Bologna 1960.
|