20 Settembre 1870:
ore 5. I primi colpi dei cannoni sparati dalle batterie del
regio esercito italiano agli ordini del Generale Cadorna raggiungono
le mura aureliane ove sono attestati ansiosi, ma ad un tempo
rassegnati, gli zuavi pontifici. La superiorità degli italiani è
imponente: tale da scoraggiare qualsiasi tentativo di resistenza
appena abbozzato a Civitacastellana e semplicemente pensato a
Civitavecchia. Dovunque, da quando sono stati varcati i confini
dello Stato pontificio, il nemico si è praticamente volatilizzato e
la marcia di avvicinamento a Roma si è svolta senza incidenti di
rilievo. A soldati piuttosto euforici e consapevoli dell'importanza
storica dell'avvenimento di cui stavano per essere protagonisti si
contrapponevano peraltro popolazioni dall'atteggiamento
indifferente, quando non ostile, ancora incapaci di rendersi conto
se il nuovo padrone sarebbe stato migliore o peggiore del
precedente.
Soltanto alle porte di
Roma è possibile rendersi edotti della attesa spasmodica che regna
in città e della sostanziale indecisione che attanaglia l'animo del
Papa e dei suoi collaboratori.
Riesce alla fine a
prevalere la tesi della necessità della difesa ad oltranza: le
proposte di resa inviate dal Generale Cadorna vengono così respinte,
ma si comprende facilmente che al primo attacco serio la guarnigione
di Roma capitolerà essendo già stata garantita dagli italiani
l'intangibilità della città leonina ove il Papa ha ormai deciso di
rinchiudersi, a meno che non preferisca addirittura abbandonare
Roma: nel qual caso egli sarebbe stato liberissimo di salpare da
Civitavecchia, nel frattempo arresasi alla colonna comandata da Nino
Bixio. In città i cosiddetti «liberali» sperano ardentemente che le
truppe italiane pongano al più presto termine ad una attesa ormai
snervante, ma non osano sollevare la popolazione nel complesso
neghittosa e possibilista e, comunque, ancora sensibile alle paterne
minacce della polizia ed ai ceffi truci degli «zambitti», dei «caccialepri»
e dei gendarmi.
Constatata
l'impossibilità di un accordo, il Governo Lanza decide di lasciar
via libera al Generale Cadorna e alle sue truppe ormai impazienti.
All'alba del 20 settembre il sole, che doveva risplendere radioso
per tutta la memorabile giornata, si levava offuscato dal fumo delle
innumerevoli batterie disseminate intorno a Roma: la città era
bombardata da ogni lato, ma per meri fini strategici, poiché il
Generale Cadorna aveva deciso di attaccare le mure tra Porta Pia e
Porta Salaria, nel punto più lontano possibile dal Vaticano.
20 Settembre 1870:
Ore 8 - I cannoni italiani con tiri precisi hanno aperto e
continuano ad allargare una breccia nelle mura che confinano con la
Villa Bonaparte ed hanno pressoché ridotto al silenzio le batterie
pontificie di Porta Pia e di Porta Salaria.
20 Settembre 1870:
Ore 10 - sotto il fuoco della fucileria nemica il 21°, il 34°,
il 12° ed il 10° battaglione dei bersaglieri corrono all'assalto e
penetrano, attraverso la breccia, nei giardini di Villa Bonaparte
dove ben presto riducono al silenzio gli zuavi appostati dietro gli
alberi. Ma intanto il maggiore Pagliari, il luogotenente Paoletti,
il tenente Valenziani, quest'ultimo fulminato mentre rimette piede
nella sua Roma, rimangono sul terreno della breve ma dura battaglia
insieme ad una quarantina di altri valorosi.
20 Settembre 1870:
Ore 11 - le truppe italiane sciamano verso Termini, San Bernardo,
Piazza Barberini accolte da gente festante che, come per incanto,
sventola dalle finestre bandiere tricolori confezionate in tutta
fretta. In Vaticano la notizia della caduta di Porta Pia vince le
ultime esitazioni e Pio IX ordina al Conte di Carpegna di innalzare
la bandiera bianca. Dopodichè, rivolto al corpo diplomatico intorno
a lui raccolto, esclama: «Signori, siete testimoni che cedo alla
violenza, da questo momento il Papa è prigioniero del Re Vittorio
Emanuele!».
Da quel momento Roma
non era più la capitale dello Stato Pontificio e si preparava, tra
luminarie, parate militari e festeggiamenti, a divenire capitale
d'Italia, così come l'avevano desiderata Cavour, Mazzini, Garibaldi.
Il potere temporale
della Chiesa, originato dalla falsa donazione di Costantino e
rafforzatosi durante il corso dei secoli, vede suggellare la sua
fine con l'atto di capitolazione di Roma firmato da Primerano e da
Cadorna per l'esercito italiano e da Rivalta e Kanzler per quello
pontificio.
Tuttavia Mazzini,
rinchiuso per ordine di Lanza nella fortezza di Gaeta, e Garibaldi,
sotto sorveglianza speciale a Caprera, non poterono assaporare la
gioia di ricalcare le strade di Roma insieme ai bersaglieri di Porta
Pia: la ragion di stato aveva imposto la fine dei furori eroici
rivoluzionari perché Roma doveva essere annessa all'Italia da un
Governo sovrano e non dai superstiti della Repubblica Romana. Un
ciclo storico si concludeva: l'Italia, raggiunta la sua completa
unità, si avviava verso i destini di Nazione laica e moderna; la
Chiesa, amputata dell'ormai insostenibile peso di un potere non più
giovevole, si volgeva dattorno alla ricerca di una più duratura
sfera di influenza già del resto delineatasi nel mero campo
spirituale.
20 Settembre 1970
- Il programma dei festeggiamenti predisposto in fretta e con scarso
entusiasmo da un Governo in maggioranza democristiano ed assillato
dai mille problemi ancora insoluti della ribollente realtà italiana,
prevede festeggiamenti, raduni di bersaglieri, fanfare e la solenne
commemorazione dell'avvenimento da parte del Presidente della
Repubblica innanzi alle Camere riunite, a tutti i Sindaci d'Italia e
alla presenza del Card. Dell'Acqua, Vescovo vicario di Roma, assiso
nella poltrona d'onore.
Un secolo di storia è
trascorso ed il significato della presa di Roma non è più così
presente nell'animo degli italiani come lo era in quello dei nostri
padri o dei più anziani. L'intervallo di quattro generazioni ed il
susseguirsi frenetico di tanti avvenimenti, punteggiati e scanditi
dalle due guerre mondiali, ha in certo senso mummificato ed
isterilito il ricordo di giornate così memorabili per il nostro
popolo. Dobbiamo confessarlo: oggi il 20 settembre lascia i più
quasi indifferenti.
Ma ci sembra che, in
definitiva, questa scarsa sensibilità attuale derivi da un lato dal
naturale esaurirsi della carica emotiva che un avvenimento, anche
tra i più esaltanti, suscita in noi; dall'altro, dalla
consapevolezza che ormai il processo di unificazione della nostra
Nazione, già in corso ma rafforzato dall'evento del XX Settembre, è
ormai da tempo compiuto irreversibilmente.
È indubbio che la
presa di Roma produsse contrasti tra gli italiani sia prima che
dopo, ma le ripercussioni politiche furono notevoli e durature
soprattutto in quanto connesse ad un vivo turbamento delle coscienze
dei cattolici, incapaci dapprima di scindere la figura del Papa in
quella di pastore supremo di anime e nell'altra di capo di uno Stato
terreno ben radicato in questo mondo; in seguito, timorosi della
possibile mortificazione della missione spirituale, affidata da
Cristo al suo vicario, da parte di uno Stato troppo laico ed
insubordinato.
L'atteggiamento miope
di Pio IX e della Curia verso lo Stato italiano ritardò
indubbiamente l'integrazione dei cattolici nella vita attiva del
Paese, ma ben presto il Papato ebbe modo di riconquistare un
prestigio forse ancora maggiore di quello attribuitogli dal potere
temporale. L'anticlericalismo talora pittoresco ed esagerato fu
lentamente scalzato dall'ingresso nell'agone politico della numerosa
ed agguerrita massa dei cattolici, organizzati presto nel partito
popolare, su cui esercitavano profonda influenza le direttive
dell'episcopato e della curia, ancorché molti esponenti di tale
partito avessero ben chiara la separazione che deve esistere tra le
cose celesti e quelle terrene. Essi fecero tesoro della prova
negativa data dalla pervicace imposizione di una sovranità
pontificia e cercarono invece di condizionare la vita dello Stato
laico dal di dentro e contribuendo ad ammorbidirne l'atteggiamento
verso la Chiesa e ponendo i loro uomini di punta nei posti di
comando più importanti per la vita del Paese.
L'avvento del
fascismo, bisognoso di appoggi notevoli per rafforzare la dittatura
già bagnata dal sangue degli oppositori, suggellò la penetrazione
vittoriosa delle schiere cattoliche, e ancor oggi i Patti
Lateranensi, non potuti abrogare neppure nell'atmosfera innovatrice
della Costituente, testimoniano il radicale mutamento dei rapporti
di forza tra laici e cattolici, avvantaggiati questi ultimi dalla
progressiva evoluzione del pensiero della Chiesa in materia di
rapporti con lo Stato specie dopo il pontificato giovanneo ed il
Concilio Vaticano II°
Non diremmo con ciò
che lo spirito laico del popolo italiano sia stato vinto: i
risultati elettorali che attribuiscono ai partiti diversi da quello
democristiano una percentuale piuttosto elevata dovrebbero
rassicurare, ma non rassicura invece la incostanza con cui tali
partiti, spinti dalle esigenze più disparate, sostengono una linea
di condotta sicuramente e genuinamente laica.
Troppi italiani sono
assopiti nella convinzione che le cannonate di Porta Pia abbiano
definitivamente sepolto il guelfismo e non percepiscono perciò i
pericoli della risorgente confusione tra le cose temporali e quelle
spirituali.
La nota dominante
delle celebrazioni del Centenario della presa di Roma fu quella
della conciliazione e del ringraziamento per la ritrovata unità
degli italiani nell'assicurare il progresso della Nazione; il nostro
spirito massonico ci porta a sottoscrivere in pieno tale
affermazione, ma, in nome dei principi che hanno sempre ispirato
l'azione dei veri uomini liberi, essa dovrà da noi essere intesa
come accettazione del contributo fattivo e disinteressato di
chiunque alla realizzazione del bene e della pace universale.
Dovrà tuttavia essere
nostra vigile cura che un male inteso spirito di tolleranza non ci
induca da un lato ad accogliere tra le nostre fila lupi ammantati
della pelle dell'agnello e dall'altro ad accettare le offerte di
aiuto di coloro che, in maniera tutt'altro che disinteressata,
ritengono ancor utile la enorme forza morale che scaturisce dalle
nostre luminose tradizioni e dall'opera dei migliori tra noi.
Il Massone degno di
questo nome è un instancabile ricercatore della verità ed un
contestatore di privilegi, di camarille, di avvilenti compromessi:
egli è insomma il puro antagonista di un sistema che ha prosperato
per secoli sull'ignoranza, sui privilegi, sui compromessi e,
purtroppo, anche sugli autodafé.
Anche in questa epoca
in cui da tutte le parti ed a tutti i livelli si sentono esaltare la
libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, la giustizia, la tolleranza,
il compito del massone rimane sempre quello di porsi al disopra
della mischia, delle fazioni, delle passioni per cercare, con animo
sereno, di interpretare e dare nuovo e fruttifero contenuto, in
armonia con i tempi che mutano vertiginosamente, ai principi
immortali che ispirarono Mazzini a proclamare Dio e Popolo come i
parametri guida del pensiero e dell'azione dell'Uomo libero inserito
in una moderna società regolata dalla netta separazione tra potere
spirituale e potere temporale, espressa mirabilmente nel cavourriano
«libera Chiesa in libero Stato».
VIRGILIO GAITO
Indice
La Porta Pia
Il XX Settembre e il GOI
Il XX Settembre solennità civile
Il "Paese Sera del 20 Settembre 1870
Come accadde
L'anno che segui Porta Pia
Genesi e Conseguenze del XX settembre
Il Vero Trinomio
Come venne ricordato il 20 Settembre nei 30 anni
successivi
Il I° Manifesto Commemorativo
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