"Non si è mai dato corpo che non sia materiale, e se i chimici avessero trovato il segreto di trarre ed estrarre tutta la materia dal corpo, ne sarebbero più pregiati che d’ogni altro segreto" G. F. Borri




Tra Qabalah e Alchimia

Le lettere che presentiamo, sul commercio cabalistico col mondo Elementare, per il loro carattere di narrazione fantastica e magica, abbisognano di qualche parola di commento.

La Chiave del Gabinetto, da cui stralciamo le lettere che presentiamo in questa sede, è quasi totalmente un plagio, se si eccettuano, probabilmente, le lettere a contenuto più propriamente alchemico che Borri non avrebbe avuto alcuno scopo di plagiare.

Come la voce curata da S. Rotta del Dizionario Biografico degli Italiani non manca di sottolineare, le prime due lettere della Chiave sono una versione pressoché letterale del Conte di Gabalì, mentre l’ultima è "... una traduzione fedele di De l’â me des Betes di A. Dilly, uscita a Lione nel 1676" (Dizionario Biografico degli Italiani cit., ed. Treccani).
Sia il Conte che La Chiave, sono dunque pervasi dallo stesso stile umoristico e sornione, stile che, se non fatichiamo ad attribuire al Montfaucon De Villars (figura di avventuriero, anch’egli pervaso in gioventù da ansie messianiche e riformatrici, invischiato in poco edificanti delitti familiari ed in poco chiare faccende di eredità, che gli valsero una condanna a morte dall’autorità civile, sentenza mai eseguita poiché il Montfaucon morirà assassinato in strada in circostanze misteriose) non ci pare nemmeno estranea ad un Borri che, con la sua figura straordinariamente complessa ed indecifrabile continua a distanza di secoli a far parlare di sé.

Il pretesto per l’esposizione delle dottrine magiche ed alchemiche, nelle epistole sugli elementari che presentiamo in questa sede, sono i colloqui tra il protagonista (l’autore, equilibrato e fedele sostenitore delle dottrine di Santa Madre Chiesa) ed un personaggio misterioso, gran cabalista, Danese nella Chiave, Tedesco nel Conte. Naturalmente, il buon protagonista tenta di convincere l’ineffabile "gabalista" ad abbandonare le sue assurde teorie e le sue diaboliche pratiche, ma il cabalista, dal canto suo sciorina all’interlocutore le più incredibili rivelazioni sulle entità elementari e sulle relazioni che i cabalisti hanno con esse, ed i più audaci concetti magici e cabalistici.


In realtà, per Montfaucon come per Borri, i rispettivi tedesco e danese sono degli alter ego, che, liberi dalle pastoie del controllo inquisitoriale, possono liberamente esporre dottrine e principi che in altra forma, con assunzione diretta di responsabilità dell’autore, potrebbero essere foriere di grossi guai. Le lettere ed il loro contenuto dialogico, sono dunque un pretesto per esporre dati tradizionali di una visione magica della realtà che, vogliamo sottolineare in queste note, era non priva di relazioni con parte dell’alchimia professata tra XV e XVII sec.

Concentriamoci dunque sulla Chiave e sul Borri


L’alchimia del Borri è inquadrata in una concezione magico-cabalistica della realtà, popolata di entità ultramondane ed immateriali, di Ondine, Salamandre e Gnomi, la cui amistà è parte del lavoro del filosofo naturale, il quale proprio dall’obbedienza di queste entità può ricavare conoscenza e potere. Senza tener conto della profondissima commistione di magia ed alchimia che anima le pagine del Borri (ma di tutta una tradizione di alchimisti) non si può correttamente interpretare l’universo e la cosmologia alchemica proposta. L’azione sulla materia, lo sguardo stesso dell’investigazione alchemica, risentono fortemente di tali caratteri.
Non si commetta l’errore di considerare che tale retaggio magico-cabalistico si sia esaurito proprio nei suoi residuali esponenti seicenteschi. Nel Settecento, il De Sangro, con interesse certamente non letterario, fu editore di una versione italiana del Conte di Gabalì, ed ancora nel ‘900 molte organizzazioni iniziatiche di stampo ermetico raccolgono la tradizione espressa nelle opere del grande Alchimista Milanese.

In realtà la Cabala del Borri è cosa ben distante dalla originaria tradizione ebraica da cui mutua il nome, ed è forse molto più vicina a sopravvivenze pagane di culti che nel XVII secolo dovevano forse essere ancora ben vivi nelle tradizioni folkoriche e della religiosità popolare di gran parte d’Europa.
Gershom Scholem, in un saggio dedicato ai rapporti tra alchimia e Qabalah (Alchimia e Qabalah, trad. di Marina Sartorio 1995, Einaudi) ben descrive il carattere della presunta cabala che emergeva dal complesso panorama degli scritti ermetici tra XVI e XVII secolo :
"Il nome della misteriosa disciplina [ ... ] divenne parola d’ordine di tutti i circoli interessati alla teosofia e all’occultismo nell’epoca del Rinascimento ed in quella successiva del Barocco. Divenne una specie di bandiera, dietro la quale - poiché non v’era da temere alcun controllo da parte dei pochi veri cultori della Qabalah - praticamente tutto poteva offrirsi al pubblico: da contenuti autenticamente ebraici a meditazioni solo vagamente ebraizzanti di profondi mistici cristiani fino agli ultimi prodotti da fiera della geomanzia e della cartomanzia. Il nome Qabalah, con il brivido reverenziale che incuteva, comprendeva tutto. Anche i più estranei elementi di folklore occidentale, anche le scienze del tempo in qualche modo orientate verso l’occultismo, come l’astrologia, l’alchimia, la magia naturale, diventavano Qabalah .....".
Tale considerazione è vera ancor oggi, se pensiamo al nome di cabala fonetica con cui alcuni alchimisti moderni (Fulcanelli ed allievi) designano il bellissimo gioco simbolico di etimi assonanti che utilizzano con tanta frequenza.

In effetti, la gabala di Borri ha poco o niente a che fare con la Qabalah ebraica. Non che questa fosse del tutto ignota e priva di esponenti italici, così come non ignota doveva essere l’alchimia nei circoli ebraici e cabalistici (un secolo prima, proprio la Milano di Borri aveva visto il fiorire di Mordecai De Nello, un famoso alchimista ebreo che viaggiò per mezza Europa).
Se si eccettua la credenza di fondo nella possibilità di accoppiarsi e procreare con entità incorporee (si pensi, nella tradizione ebraica, ai Lillim, i figli demoni che Lilith partorisce rubando il seme disperso dell’uomo) del resto comune a diverse tradizioni, il fondo che si scorge tra gli elementari di Borri è invece eminentemente magico.
L’universo di Borri è popolato di spiriti elementali che animano il fuoco, la terra, l’acqua e l’aria. Poco più di un secolo prima, il De occulta Philosophia di Cornelio Agrippa (testo di cui è possibile ritrovare più di una eco nella Chiave del Borri) dopo aver elencato oltre una trentina di diverse specie di demoni mondani ed elementari, si perita di affermare che "I platonici opinano esservi tante legioni di demoni di questo terzo genere per quante stelle esistano in cielo ...." (La Filosofia occulta o la Magia, trad. di A. Fidi, ed. Mediterranee).

D’altro canto, di questa gabala magica, che caratterizza opere come Il conte di Gabalì o La Chiave del Gabinetto, troviamo eco puntuale anche in scritti attribuiti a Paracelso, a tutti gli effetti considerato il padre dell’Alchimia rinascimentale. In effetti, Borri cita dichiaratamente Paracelso, e lo utilizza a piene mani. Allo scopo di identificare l’antecedente culturale più significativo dell’opera del Borri, ci soffermeremo brevemente sulle concezioni paracelsiane, citando testualmente uno scritto tratto dagli Scritti Alchemici e magici ( 1991 ed.Phoenix).

"Mi propongo d’intrattenervi sulle quattro specie d’esseri di natura spirituale, cioè le Ninfe, i Pigmei, i Silfi e le Salamandre; a queste quattro specie, per la verità, bisognerebbe aggiungere i Giganti e parecchie altre. Questi esseri, benché abbiano apparenza umana, non discendono affatto d’Adamo ........ Si accoppiano tuttavia all’uomo, e da questa unione nascono individui di razza umana". Nella visione paracelsiana vi sono due nature: una è quella umana, spessa, palpabile e sensibile, mortale, l’altra quella spirituale, impercettibile, eterna. Tra queste due vi è la natura intermedia, partecipe delle altre due, cui "... appartengono gli esseri che sono leggeri come gli spiriti e che generano come l’uomo ... volano come gli spiriti .... evacuano, bevono, hanno carne e ossa alla maniera degli uomini. L’uomo ha un’ anima, lo spirito non ne ha bisogno; le creature in questione non hanno affatto un’anima e tuttavia non sono simili agli spiriti: questi non muoiono, quelli muoiono ... Sono l’immagine grossolana dell’uomo come l’uomo è l’immagine grossolana di Dio"


Per il Grande Teofrasto "... ogni creatura è appropriata all’elemento nel quale è immersa; gli Ondini, concepiti per vivere nell’acqua, si stupiscono di vederci vivere nell’aria....Nello stesso modo gli Gnomi traversano senza alcuna difficoltà le rocce più dense, come noi traversiamo l’aria, perché la terra è il loro caos ..." Poiché più sottili di noi, Ondine, Silfi e Salamandre possono tollerare il nostro ambiente, mentre noi moriamo nel loro. D’altro canto, niente impedisce agli Gnomi di passeggiare per i nostri boschi, mentre noi moriremmo soffocati dalle spesse rocce che costituiscono il loro ambiente naturale. Paracelso continua dicendo che " ... questi esseri potrebbero avere rapporti carnali con gli uomini e averne figli. Questi bambini sono di razza umana perché il padre, essendo uomo e discendendo d’Adamo, gli dona un’anima che li rende simili a lui ed eterni. E credo che la femmina che riceve quest’anima con il seme è come la donna, riscattata dal Cristo. Noi non giungiamo al regno divino se non in quanto comunichiamo con Dio. Lo stesso, questa femmina non acquisisce un anima fintanto che non conosce un uomo [ ... ] ecco dunque ancora una ragione dell’apparizione di questi esseri: cercano il nostro amore per elevarsi, come i pagani ricercano il battesimo per acquisire un’anima e rinascere con il Cristo".

 Dopo averci comunicato che gli gnomi, tra le altre cose, hanno a disposizione molto denaro, disponendo dell’oro sotterraneo, Paracelso ritorna sui rapporti tra elementari e uomini, e ci dice che se un uomo tradisce una Ninfa senza il suo permesso, questa riappare e lo uccide.
Tali elementari, nell’economia della creazione, hanno un ruolo preciso: "... Dio ha fatto questi esseri per dare delle guardie alle sue creazioni. É così che gli Gnomi sorvegliano i tesori della terra, metalli e altri; gl’impediscono di vedere la luce prima del tempo fissato......Le Salamandre sorvegliano i tesori delle regioni ignee, i Silfi i tesori che portano i venti, gli ondini quelli che si trovano nell’acqua. É nella regione ignea che sono fabbricati, a cura delle Salamandre, tutti i tesori, per essere in seguito sparsi e mantenuti in altri luoghi."

Con ciò, abbiamo rintracciato a pieno diritto il riferimento dei dati tradizionali utlizzati da Borri e del Montfaucon de Villars. Ci rimane da inquadrare il modo in cui tali dati si fondevano con l’universo mitico e la ricerca interiore dell’alchimia, il rapporto complesso che lega l’apparenza superstiziosa della gabala di Borri al cammino eroico di rigenerazione che deve compiere l’alchimista. In poche righe, a questo proposito, un altro grande alchimista ed ermetista italiano, Cesare Della Riviera, ci offre una interessante chiave di lettura. Nel Mondo Magico de gli Heroi (1605), che citiamo nella versione curata da Evola, nell’ambito della realizzazione magico-alchemica compiuta dall’heroe il Della Riviera accenna alla percezione spirituale degli aspetti occulti della natura: "Parimenti rossa è la Terra magica, e rosso ne è altresì il sangue, come si disse altrove. Questo sangue è la pinguedine, cioè il limo terreo di cui Iddio, nostro primo padre ci compose, e del quale consta il nostro piccolo Mondo. Quanto poi alle varie forme che si celano in questo, esse sono la tanto ammirata invisibilità dei maghi. Nondimeno è verissimo che la vera e santa Magia sarebbe in parte inferiore a quella falsa e diabolica, se essa non giungesse a rendere visibili le suddette forme [ ... ] Ma poiché ogni dono che venga dall’alto dal Padre dei Lumi è - come attesta il glorioso Giacomo - perfetto [ ... ] come tale esso potrà rivelare perfettamente le varie forme contenute che si mostrano non come prestigiose e apparenti, ma come reali, consistenti e palpabili ...."
Per ottenere ciò, l’eroe dovrà faticare assai più che non utilizzando la magia diabolica e falsa, che si serve però di demoni fraudolenti.


Dopo aver descritto le metamorfosi magiche che la materia subisce sotto gli occhi dell’eroe ermetico, Della Riviera continua : "Finalmente nel nostro Mondo magico non solo si manifestano le specie corporee, ma si rendono visibili anche quelle incorporee. Il detto mondo viene formato dall’eroe secondo l’ordine che segue.
Dalla materia prima, vale a dire dalla prima terra magica, egli trae con mirabile artificio spagirico e con sottile arte pironomica tutte le specie elementali e corruttibili: il Mondo elementare. Da questo vengon poi tratte con esattissima diligenza le specie celesti e incorruttibili [ ... ] formate tutte le specie elementari e celesti si viene per ultimo alla formazione delle altre, interamente perfette, che, [ ... ] posson dirsi specie intellettuali e menti magiche disciolte.
"

Il contatto palpabile con le specie elementari è dunque parte del procedimento alchemico, frutto di un "mirabile artificio spagirico" e "sottile arte pironomica", percezione spirituale interna all’itinerario individuale di quella separazione dei misti che è alla base della grande opera.
Silfi, gnomi, ondine e salamandre sono dunque precipitati simbolici, ipostasi individuate dell’essenza degli elementi che l’alchimista- mago purifica, prodotti reali dell’opera ermetica, del contatto dell’artefice con la materia prima. Essi sono palpabili come palpabile è il mercurio fissato dall’azione ignea dello zolfo alchemico, come palpabile è lo splendore invisibile che guida l’artista verso la pietra, come palpabile effettivamente è, per l’alchimista, la fitta rete di correlazioni ed analogie che unisce il visibile all’invisibile, il solido all’etereo.

In chiusura di questa breve parentesi dedicata a scoprire il ruolo delle bellissime Ondine tra le storte e gli alambicchi del controverso alchimista milanese, vogliamo chiudere con parole tratte da un articolo datato 1957 (ora disponibile in versione italiana sul sito ZENIT), firmato da un moderno alchimista, Eugene Canseliet, ed uscito nel n° 11\12 de La Tour Saint Jaques :
"... Più precisamente la Magia e l’Alchimia formano con l’Astrologia i tre rami nati dal tronco centrale, ossia dalla scienza Universale, emanazione reale dell’indivisibile Verità. Se le immaginiamo disposte a tridente, la magia corrisponde all’asta mediana [ ... ] La Magia, dobbiamo insistere, è all’origine dell’alchimia e dell’astrologia e presiede obbligatoriamente a tutte le loro operazioni, poiché essa ne costituisce il motore essenziale ed imponderabile ...".


E di recente, ancora, per coloro che dovessero pensare che le Ninfe e le Salamandre siano reperti di ermetisti di un tempo lontano, una Ninfa guidava con dolcezza i lavori di Cyliani nell’Hermes Devoilé. Di questa Ninfa alchemica, nella traduzione di Stefano Andreani (apparsa in appendice a Alchimia: appunti per una semiologia del sacro-1976 ERI) riportiamo infine il saluto con cui si diparte dall’affranto Cyliani :
"... Mi gettai ai suoi piedi per ringraziarla di un simile beneficio ed umilmente ringraziai anche l’Eterno di avermi fatto superare tanti pericoli.
Poi ella mi disse addio, aggiungendo: Non mi dimenticare !
Disparve, e la sua fuga mi fece provare una pena talmente grande che mi svegliai ...
"

Al di là di queste forte connotazione magico-cabalistica, l’alchimia vera e propria desumibile dalle opere del Borri non presenta particolarità specifiche, riportando fedelmente il precipitato di ideologie e tradizioni tipico dell’alchimia seicentesca.


Le lettere sono presentate nella versione conforme a quella pubblicata tra il 1910 ed il 1911 sulla rivista Commentarium per le accademie ermetiche (S.P.H.C.I.) diretta dall’ermetista napoletano G. Kremmerz. 

Massimo Marra

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Tra fornelli e Salamandre Amstelodamo 15.02.1662 Turino 22.08.1662 Amstelodamo 09.03.1665

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