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Ermete - I Misteri d'Egitto


Dopo l'India con il fascino dei suoi poemi sublimi, dai Veda al Mahabàrata e al Ramayana, ecco l'Egitto, l'altro filone essenziale della dottrina esoterica dei Misteri, con il fascino egualmente sublime e suggestivo della sua Sfinge delle sue Piramidi, dei suoi colossali monumenti sacri.


«Come Manù e Buddha, - dice Schuré. - Ermete è nome generico, che designa ad un tempo un uomo, una casta e un dio. Quale uomo Ermete è il primo ed il grande iniziatore dell'Egitto; quale casta, è il sacerdozio depositario delle occulte tradizioni; quale dio, è il pianeta
Mercurio, assimilato con la sua sfera ad una categoria, di spiriti iniziatori ed egli presiede così alla ragione sopraterrestre della celestiale iniziazione».
 

La dottrina del Fuoco-Principio e del Verbo-Luce, racchiusa nel libro «Visione di Ermete» è  «vetta e centro» dell'iniziazione egiziana.
Nei 42 libri attribuiti dall'antichità - o meglio dagli egiziani - a questo grande, risuonano con fermezza gli accenti del monoteismo e del trinitarismo, echeggiano principi comuni all'esoterismo
misterico di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Anche nell'opera religiosa di Ermete, come quella di Krishna, sono scaturire, secondo lo Schuré, dense ed importanti conseguenze storiche e politiche.

Si deve ad essa, alla base morale, religiosa e civile che ne ha ricevuto il mondo egiziano, se questo ha potuto resistere per millenni alla pressione barbara degli Assiri e dei Babilonesi, eregendosi a baluardo della ciciltà originaria dei bianchi, dello spirito e del genio solare.


Storicamente, l'azione riformatrice di Ermete e la conseguente rigenerazione civile del suo popolo, si riconnettono alla crisi determinata dall'invasione degli Hicksos ed ha per centro Tebe, o piuttosto i templi favolosi di Tebe.

Nei segreti di questi templi, lo Schuré, ci conduce, facendoci ripercorrere la strada percorsa dagli iniziati ai misteri dell'antico Egitto.
Il neofita, che batteva, alle porte del gran tempio, entrato nel santuario, cominciava col trascorrervi una settimana fra digiuni, ammonimenti, silenzio, abluzioni e preghiere. Le prove, attraverso le quali si riceveva il primo grado d'iniziazione, avevano soprattutto valore, in quanto servivano a dare la misura della forza morale e della fede dell'aspirante. Questi, lasciato solo dai neocori (assistenti) all'ingresso di un corridoio sotterraneo, con una piccola lampada accesa in mano, doveva procedere carponi - più precisamente strisciando sulle ginocchia - nelle tenebre più misteriose, fra voci paurose, di cui una gridava dal fondo: Qui periscono i pazzi, che hanno agognato la scienza e il potere: parole che, per effetto di acustica, sette volte ripeteva l'eco sempre più lontana.
Poi, uscito finalmente e penosamente dall'orrido buio, un mago, il pastoforo (guardiano dei simboli sacri), sorridendo, guidava il neofita lungo una galleria, spiegandogli le sacre pitture sotto ciascuna delle quali si trovava una lettera e un numero.
 

«I ventidue simboli rappresentavano i ventidue primi arcani e, costituivano l'alfabeto della scienza occulta, ossia i principi assoluti, le chiavi universali, che, applicate dalla volontà, divengono sorgente di ogni saggezza e di ogni potenza. Questi principi si fissavano nella memoria mediante la loro corrispondenza con le lettere della lingua sacra e con i numeri che si legano a queste lettere, poiché ogni lettera ed ogni numero di questa lingua esprimono una legge ternaria, che si riflette nel mondo divino, nel mondo intellettuale e nel mondo fisico».


Seguiamo l'immagine poetica e la susseguente esemplificazione dello Schuré:
 

«Come il dito, toccando una corda nella lira, fa risuonare una nota della gamma e vibrare tutte le sue armoniche, lo spirito, che contempla tutte le virtualità di un numero e la voce, che pronunzia una lettera, essendo cosciente del suo valore, evocano una potenza che si ripercuote nei tre mondi. Perciò, la lettera A, che corrisponde al n. 1, esprime nel mondo divino l'Essere assoluto, dal quale emanano tutti gli esseri; nel mondo intellettuale l'unità, fonte e sintesi dei numeri; nel mondo fisico l'uomo, sommità degli esseri relativi, che, mediante l'espansione delle sue facoltà, si eleva nelle sfere concentriche dell'infinito. Presso gli egiziani, l'arcano 1 era rappresentato da un mago vestito di bianco, con lo scettro in mano e la fronte cinta da una corona d'oro. L'abito bianco significava purezza, lo scettro comando, la corona d'oro luce universale».
 

Poi il pastoforo apriva un uscio, che dava accesso in un'altra volta stretta e lunga, sul fondo della quale crepitava un'ardente fornace, che bisognava attraversare come un «campo di rose».
Alla prova del fuoco, seguiva la prova dall'acqua e finalmente la prova della tentazione della carne.
Ci piace dare un cenno di quest'ultima, che, forse, era la più forte, perché investiva direttamente la parte più materiale, e quindi più fragile, dell'uomo.
Vaghe armonie di musica languida carezzavano l'orecchio del neofita ancora tremante per le emozioni subite e n'estasiavano l'animo con mistici sospiri di dolci note, delizioso tintinnare di strumenti, occulti, fremiti soavi d'arpa e malinconiche nenie di flauti.
Al neofita pareva di sognare: e socchiudeva gli occhi attoniti, che alfine si posavano sulla meravigliosa donna di Nubia, dai veli purpurei e trasparenti, che, col suo sguardo languido e acceso, gli porgeva una coppa coronata di rose. Oh! quegli occhi neri, che brillavano stranamente, quelle labbra aperte e fulgide di roseo melograno maturo, che invitavano!
Sventurato chi soggiaceva al fascino della carne: sarebbe stato schiavo del tempio, sotto pena di morte. Felice, invece, chi, resistendo, sapeva respingere la tentazione e rovesciare la coppa: dodici neocori, recanti fiaccole accese, lo circondavano, per condurlo trionfalmente nel santuario di Iside, ove i magi, ordinati in emiciclo e vestiti di bianco, lo attendevano. Nel fondo del tempio sfarzosamente illuminato, sorgeva la statua colossale della Dea in metallo fuso, una rosa d'oro sul petto, un diadema a sette raggi e il figlio Oro sulle braccia.

 

Lo ierofante, vestito di porpora, riceveva il nuovo venuto di fronte alla Dea e gli faceva prestare il giuramento del silenzio e della sottomissione, sotto le più terribili imprecazioni e quindi, a nome di tutta l'assemblea, lo salutava fratello e futuro iniziato.
Davanti a tali augusti maestri, il discepolo d'Iside credeva di trovarsi in presenza degli dei. Divenuto più grande di se stesso, egli entrava per la prima volta nella sfera della verità; iniziava, poi, un lunghissimo periodo di studio e di tirocinio, durante il quale rafforzava il carattere e acquisiva un vasto complesso di nozioni, conoscendo via via tutto l'essenziale dello scibile del tempo suo, nelle forme immaginose e simboliche della scienza di allora, così strettamente intessuta di elementi religiosi e teosofici.
 

Al termine di questo periodo, una nuova prova, di carattere strettamente rituale, attendeva l'aspirante: disteso in un sarcofago, nella solitudine di una cripta, egli aveva la sensazione della morte e, attraverso apparizioni misteriose, la conoscenza della propria anima, come se appartenesse ad altra persona. Ma all'iniziazione vera e propria, o meglio alla rivelazione suprema della più alta e segreta dottrina dei misteri, il neo-adepto perveniva attraverso la narrazione e il commento della Visione di Ermete, fatti, nell'incanto della notte egiziana, dal capo del tempio; racconto profondamente simbolico e gnostico, che si tramandava oralmente da pontefice a pontefice e di cui traccia è rimasta nel primo dei libri di Ermete.
Sarebbe lungo riassumere il contenuto di questo racconto; ma vale la pena, per avere un'immediata sensazione dell'indole sua, leggerne un brano:
 

«Ermete rifletteva un dì sull'origine delle cose, quando s'addormentò e il suo corpo fu sorpreso da pesante torpore e sì irrigidì, mentre lo spirito suo saliva negli spazi.
Gli parve allora che lo chiamasse, per nome, un immenso essere d'indeterminata forma, ed atterrito gli chiese:

- Chi sei tu?

- Io sono Osiride, l'Intelligenza sovrana, ed ogni cosa posso svelarti.

- Che vuoi tu?
- Contemplare la fonte degli esseri e conoscere Dio, Osiride divino

- Tu sarai soddisfatto.
Immediatamente Ermete si sentì inondato da una de deliziosa luce e, in quelle onde diafane, passarono le incantevoli  forme di tutti gli esseri; ma ad un tratto spaventevoli tenebre e tortuose forme piombarono su di lui ed egli fu immerso in un umido caos denso di fumo e di lugubre muggito. Un grido saliva dagli abissi; era il grido della luce, e subito un fuoco sottile si slanciò dalle umide profondità e raggiunse le altezze eteree. Ermete fu rapito con esso e si ritovò negli spazi. Il caos si districava nell'abisso, cori di astri echeggiavano sulla sua testa, il grido della luce riempiva l'infinito.
- Hai tu compreso ciò che vedesti? - domandò Osiride ad Ermete, avvinto nel suo sogno e sospeso fra terra e cielo.
- No - rispose Ermete.
- Ebbene, sappilo. Tu vedesti ciò che avviene nell'eternità. La luce, che vedesti prima, è la divina intelligenza, che contiene ogni cosa in potenzialità e racchiude i modelli di tutti gli esseri; le tenebre, nelle quali fosti, poi precipitato, rappresentano il mondo materiale, in cui vivono gli uomini della terra. Ma il fuoco, che hai visto erompere dalla profondità, è il Verbo divino: Dio è il Padre, il figlio è il Verbo, la loro unione è la Vita.
- Che senso meraviglioso è questo sviluppatosi in me, per cui non più con gli occhi del corpo, ma con quelli dello spirito io veggo ora le cose - domandò Ermete.
- Figlio della polvere - rispose Osiride - ora il Verbo è in te; ciò che intende, vede, agisce in te, è il Verbo stesso, il fuoco sacro, la parola creatrice!
- Poiché ciò avviene - replicò Ermete - fammi vedere la vita dei mondi, il cammino delle anime, d'onde viene ed ove torna l'uomo.
- Sia fatto secondo il tuo desiderio.
Ermete sentì appesantirsi come una pietra e, come un aerolito, precipitò attraverso gli spazi sulla vetta di, un monte. Era notte; cupa e nuda la terra; gravi come ferro le membra sue.
Leva lo sguardo e mira! - disse la voce di Osiride».
 

Cosi, attraverso questo linguaggio immaginoso e simbolico, l'aspirante aveva la rivelazione della dottrina del Verbo divino, o di quella sull'origine e il destino delle anime, sempre più lontane dalla loro nascita celeste, man mano che s'incarnano in nuovi corpi, minacciate dalla distruzione eterna, se perderanno ogni traccia ed ogni ricordo della divina scintilla, che le generò, ma capaci di giungere all'eterna contemplazione delle verità divine, se troveranno la forza di non tradire la loro primogenia natura.
Si aggiungevano i commenti del Pontefice, attraverso i quali l'aspirante coglieva il collegamento supremo di tutte le scienze prima studiate, ricevendo le nozioni più alte sulla natura di Dio e del mondo. Mito, simbolismo, poesia s'intrecciavano strettamente in questi racconti e in queste lezioni: teologia e teosofia, scienza di Dio e per mezzo di Dio, insegnamento morale e formazione del carattere, si completavano a vicenda in una compiuta e perfetta armonia interiore, specchio delle supreme armonie dell'universo.
L'aspirante era ormai «iniziato» nella forma più alta; lo slancio mistico e rigeneratore dei misteri lo aveva rinnovato; la conoscenza delle supreme verità lo aveva reso partecipe della divinità stessa.

L'insegnamento di Ermete, in una parola, era «penetrato» in lui, facendone veramente un «uomo nuovo».

 


Edoardo Schuré La dottrina esoterica di Edoardo Schuré I Grandi Iniziati Rama (Il Ciclo Ariano) Krishna (L'India e l'Iniziazione Braminica) Ermete (I Misteri d'Egitto) Mosé (La missione d'Israele) Orfeo (I Misteri Dionisiaci) Pitagora (I Misteri di Delfo) Platone (I Misteri Eleusini) Gesù (La missione di Cristo) Conclusione