Quarto Dialogo

Interlocutori: Dicsono Arelio, Teofilo, Gervasio, Poliinnio.

 

•Poliinnio•Et os vulvae nunquam dicit: sufficit id est, scilicet, videlicet, utpote, quod est dictu, materia (la qual viene significata per queste cose) recipiendis formis numquam expletur. Or, poi che altro non è in questo Liceo, vel potius Antiliceo, solus (ita, inquam, solus, ut minime omnium solus) deambulabo, et ipse mecum confabulabor. La materia, dunque, di peripatetici dal prencipe e dell'altigrado ingenio del gran Macedone moderatore, non minus che dal Platon divino e altri, or chaos, or hyle, or sylva, or massa, or potenzia, or aptitudine, or privationi admixtum, or peccati causa, or ad maleficium ordinata, or per se non ens, or per se non scibile, or per analogiam ad formam cognoscibile, or tabula rasa, or indepictum, or subiectum, or substratum, or substerniculum, or campus, or infinitum, or indeterminatum, or prope nihil, or neque quid, neque quale, neque quantum; tandem dopo aver molto con varie e diverse nomenclature (per definir questa natura) collimato, ab ipsis scopum ipsum attingentibus, femina vien detta; tandem, inquam (ut una complectantur omnia vocabula), a melius rem ipsam perpendentibus foemina dicitur. Et mehercle, non senza non mediocre caggione a questi del Palladio regno senatori ha piaciuto di collocare nel medesimo equilibrio queste due cose: materia e femina; poscia che da l'esperienza fatta del rigor di quelle son stati condotti a quella rabia e quella frenesia (or qua mi vien per filo un color retorico). Queste sono un chaos de irrazionalità, hyle di sceleraggini, selva di ribalderie, massa d'immundizie, aptitudine ad ogni perdizione (un altro color retorico, detto da alcuni complexio!). Dove era in potenza, non solum remota ma etiam propinqua, la destruzion di Troia? In una donna. Chi fu l'instrumento della destruzion della sansonica fortezza? di quello eroe, io dico, che con quella sua mascella d'asino che si trovava, dovenne trionfator invitto di filistei? Una donna. Chi domò a Capua l'empito e la forza del gran capitano e nemico perpetuo della republica romana, Annibale? Una donna! (Exclamatio!) Dimmi, o cytaredo profeta, la caggion della tua fragilità. - Quia in peccatis concepit me mater mea. -Come, o antico nostro protoplaste, essendo tu un paradisico ortolano e agricoltor de l'arbore de la vita, fuste maleficiato sì, che te con tutto il germe umano al baratro profondo della perdizion risospingesti? Mulier, quam dedit mihi: ipsa, ipsa me decepit. - Procul dubio, la forma non pecca e da nessuna forma proviene errore, se non per esser congionta alla materia. Cossì la forma, significata per il maschio, essendo posta in familiarità della materia e venuta in composizione o copulazion con quella, con queste parole, o pur con questa sentenza risponde alla natura naturante: Mulier, quam dedisti mihi, - idest, la materia, la quale mi hai dato consorte, - ipsa me decepit: hoc est, lei è caggione d'ogni mio peccato. Contempla, contempla, divino.ingegno, qualmente gli egregii filosofanti e de le viscere della natura discreti notomisti, per porne pienamente avante gli occhi la natura della materia, non han ritrovato più accomodato modo che con avertirci con questa proporzione, qual significa il stato delle cose naturali per la materia essere come l'economico, politico e civile per il femineo sesso. Aprite, aprite gli occhi, ecc. - Oh, veggio quel colosso di poltronaria, Gervasio, il quale interrompe della mia nervosa orazione il filo. Dubito che son stato da lui udito; ma che importa?
 

•Gervasio•Salve, magister doctorum optime!
 

•Poliinnio•Se non (tuo more) mi vuoi deludere tu quoque, salve!
 

•Gervasio•Vorrei saper che è quello che andavi solo ruminando?
 

•Poliinnio•Studiando nel mio museolo, in eum, qui apud Aristotelem est, locum incidi, del primo della Fisica in calce, dove, volendo elucidare che cosa fosse la prima materia, prende per specchio il sesso femminile; sesso, dico, ritroso, fragile, inconstante, molle, pusillo, infame, ignobile, vile, abietto, negletto, indegno, reprobo, sinistro, vituperoso, frigido, deforme, vacuo, vano, indiscreto, insano, perfido, neghittoso, putido, sozzo, ingrato, trunco, mutilo, imperfetto, incoato, insufficiente, preciso, amputato, attenuato, rugine, eruca, zizania, peste, morbo, morte,
Messo tra noi da la natura a Dio
Per una soma e per un greve fio.

 

•Gervasio•Io so che voi dite questo più per esercitarvi ne l'arte oratoria e dimostrar quanto siate copioso ed eloquente, che abbiate tal sentimento che dimostrate per le paroli. Perché è cosa ordinaria a voi, signori umanisti, che vi chiamate professori de le buone lettere, quando vi ritrovate pieni di que' concetti che non possete ritenere, non andate a scaricarli altrove che sopra le povere donne; come quando qualch'altra còlera vi preme, venete ad isfogarla sopra il primo delinquente di vostri scolari. Ma guardatevi, signori Orfei, dal furioso sdegno de le donne tresse.
 

•Poliinnio•Poliinnio son io, no' sono Orfeo.
 

•Gervasio•Dunque, non biasimate le donne da dovero?
 

•Poliinnio•Minime, minime quidem. Io parlo da dovero, e non intendo altrimente, che come dico; perché non fo (sophistarum more) professione di dimostrar ch'il bianco è nero.
 

•Gervasio•Perché dunque vi tingete la barba? .
 

•Poliinnio•Ma ingenue loquor; e dico, che un uomo senza donna è simile a una de le intelligenze; è, dico, uno eroe, un semideo, qui non duxit uxorem.
 

•Gervasio•Ed è simile ad un'ostreca e ad un fungo ancora, ed è un tartufo.
 

•Poliinnio•Onde divinamente disse il lirico poeta: Credite, Pisones, melius nil caelibe vita.
 
E se vuoi saperne la caggione, odi Secondo filosofo: "La femina", dice egli, "è uno impedimento di quiete, danno.continuo, guerra cotidiana, priggione di vita, tempesta di casa, naufragio de l'uomo". Ben lo confirmò quel Biscaino che, fatto impaziente e messo in còlera per una orribil fortuna e furia del mare, con un torvo e colerico viso, rivoltato all'onde: - Oh mare, mare, disse, ch'io ti potesse maritare! - volendo inferire che la femina è la tempesta de le tempeste. Perciò Protagora, dimandato perché avesse data ad un suo nemico la figlia, rispose che non possea fargli peggio che dargli moglie. Oltre, non mi farà mentire un buon uomo francese, al quale (come a tutti gli altri che pativano pericolosissima tempesta di mare) essendo comandato da Cicala, padron de la nave, di buttare le cose più gravi al mare, lui per la prima vi gittò la moglie.
 

•Gervasio•Voi non riferite per il contrario tanti altri esempi di coloro che si son stimati fortunatissimi per le sue donne? tra' quali (per non mandarvi troppo lontano) ecco, sotto questo medesmo tetto, il signor di Mauvissiero incorso in una, non solamente dotata di non mediocre corporal beltade che gli avvela e ammanta l'alma, ma oltre, che col triumvirato di molto discreto giudizio, accorta modestia e onestissima cortesia, d'indissolubil nodo tien avvinto l'animo del suo consorte, ed è potente a cattivarsi chiunque la conosce. Che dirai de la generosa figlia, che a pena un lustro e un anno ha visto il sole, e per le lingue non potrai giudicare s'ella è da Italia o da Francia o da Inghilterra, per la mano circa gli musici istrumenti non potrai capire s'ella è corporea o incorporea sustanza, per la matura bontà di costumi dubitarai s'ella è discesa dal cielo o pur è sortita da la terra? Ognun vede che in quella, non meno per la formazion di sì bel corpo è concorso il sangue de l'uno e l'altro parente, ch'alla fabrica del spirto singulare le virtù dell'animo eroico di que' medesimi.
 

•Poliinnio•Rara avis come la Maria da Boshtel; rara avis come la Maria da Castelnovo.
 

•Gervasio•Quel raro che dite de le femine, medesimo si può dire de' maschi.
 

•Poliinnio•In fine, per ritornare al proposito, la donna non è altro che una materia. Se non sapete che cosa è donna, per non saper che cosa è materia, studiate alquanto gli peripatetici che, con insegnarvi che cosa è materia, te insegnaranno che cosa è donna.
 

•Gervasio•Vedo bene che, per aver voi un cervello peripatetico, apprendeste poco o nulla di quel che ieri disse il Teofilo circa l'essenza e potenza della materia.
 

•Poliinnio•De l'altro sia che si vuole; io sto sul punto del biasimar l'appetito de l'una e de l'altra, il quale è caggion d'ogni male, passione, difetto, ruina, corrozione. Non credete che, se la materia si contentasse de la forma presente, nulla alterazione o passione arrebe domìno sopra di noi, non moriremmo, sarrebom incorrottibili ed eterni?
 

•Gervasio•E se la si fosse contentata di quella forma, che avea cinquanta anni addietro, che direste? sareste tu, Poliinnio? Se si fusse fermata sotto quella di quaranta anni passati, sareste sì adultero.., dico, sì adulto, sì.perfetto, sì dotto? Come dunque ti piace, che le altre forme abbiano ceduto a questa, cossì è in volontà de la natura, che ordina l'universo, che tutte le forme cedano a tutte. Lascio che è maggior dignità di questa nostra sustanza di farsi ogni cosa, ricevendo tutte le forme, che, ritenendone una sola, essere parziale. Cossì, al suo possibile, ha la similitudine di chi è tutto in tutto.
 

•Poliinnio•Mi cominci a riuscir dotto, uscendo fuor del tuo ordinario naturale. Applica ora, se puoi, a simili, apportando la dignità che si ritrova ne la femina.
 

•Gervasio•Farollo facilissimamente. Oh, ecco il Teofilo.
 

•Poliinnio•E il Dicsone•Un'altra volta dunque. De iis hactenus.
 

•Teofilo•Non vedemo, che de' peripatetici, come di platonici anco, divideno la sustanza per la differenza di corporale e incorporale? Come dunque queste differenze si reducono alla potenza di medesimo geno, cossì bisogna che le forme sieno di due sorte; perché alcune sono trascendenti, cioè superiori al geno, che si chiamano principii, come entità, unità, uno, cosa, qualche cosa, e altri simili; altre son di certo geno distinte da altro geno, come sustanzialità, accidentalità. Quelle che sono de la prima maniera, non distingueno la materia e non fanno altra e altra potenza di quella; ma, come termini universalissimi che comprendono tanto le corporali, quanto le incorporali sustanze, significano quella universalissima, comunissima e una de l'une e l'altre. Appresso, "che cosa ne impedisce", disse Avicebron, "che, sì come, prima che riconosciamo la materia de le forme accidentali, che è il composto, riconoscemo la materia della forma sustanziale, che è parte di quello; cossì, prima che conosciamo la materia che è contratta ad esser sotto le forme corporali, vegnamo a conoscere una potenza, la quale sia distinguibile per la forma di natura corporea e de incorporea, dissolubile e non dissolubile?". Ancora, se tutto quel che è (cominciando da l'ente summo e supremo) ave un certo ordine e fa una dependenza, una scala nella quale si monta da le cose composte alle semplici, da queste alle semplicissime e assolutissime per mezzi proporzionali e copulativi e partecipativi de la natura de l'uno e l'altro estremo e, secondo la raggione propria, neutri, non è ordine, dove non è certa participazione, non è participazione dove non si trova certa colligazione, non è colligazione senza qualche partecipazione. È dunque necessario che de tutte cose che sono sussistenti, sia uno principio di subsistenza. Giongi a questo, che la raggione medesima non può fare che, avanti qualsivoglia cosa distinguibile, non presuppona una cosa indistinta (parlo di quelle cose, che sono, perché ente e non ente non intendo aver distinzione reale, ma vocale e nominale solamente). Questa cosa indistinta è una raggione comune, a cui si aggionge la differenza e forma distintiva. E certamente non si può negare che, sì come ogni sensibile presuppone il soggetto della sensibilità, cossì ogni intelligibile il soggetto della intelligibilità. Bisogna dunque che sia una cosa che risponde alla raggione comune de l'uno e l'altro soggetto; perché ogni essenzia necessariamente è fondata sopra qualche essere, eccetto che quella prima, che è il medesimo con il suo essere, perché la sua potenzia è il suo atto, perché è tutto quel che può essere, come fu detto ieri. Oltre, se la materia (secondo gli adversari medesimi) non è corpo e precede, secondo la sua natura, l'essere corporale, che dunque la può fare tanto aliena da le sustanze dette incorporee? E non mancano di peripatetici che dicono: sicome nelle corporee sustanze si trova un certo che di formale e divino, cossì nelle divine convien che sia un che di materiale, a fine che le cose inferiori s'accomodino alle superiori e l'ordine de l'une dipenda da l'ordine de l'altre. E li teologi, benché alcuni di quelli siano nodriti ne l'aristotelica dottrina, non mi denno però esser molesti in questo, se accettano esser più debitori alla lor Scrittura che alla filosofia e natural raggione. "Non mi adorare", disse un de' loro angeli al patriarca Jacob, "perché son tuo fratello". Or se costui che parla com'essi intendeno, è una sostanza intellettuale e affirma col suo dire, che quell'uomo e lui convegnano nella realità d'un soggetto, stante qualsivoglia differenza formale, resta che li filosofi abbiano un oraculo di questi teologi per testimonio.
 

•Dicasana•So che questo è detto da voi con riverenza; perché sapete che non vi conviene di mendicar raggioni da tai luoghi che son fuori de la nostra messe.
 

•Teofilo•Voi dite bene e vero; ma io non allego quello per raggione e confirmazione, ma per fuggir scrupolo, quanto posso; perché non meno temo apparere, che essere contrario alla teologia.
 

•Dicasana•Sempre da' discreti teologi ne saranno admesse le raggioni naturali, quantunque discorrano, pur che non determinino contra l'autorità divina, ma si sottomettano a quella.
 

•Teofilo•Tali sono e saranno sempre le mie.
 

•Dicasana•Bene, dunque seguite.
 

•Teofilo•Plotino ancora dice nel libro De la materia, che, "se nel mondo intelligibile è moltitudine e pluralità di specie, è necessario che vi sia qualche cosa comune, oltre la proprietà e differenza di ciascuna di quelle: quello che è comune, tien luogo di materia, quello che è proprio e fa distinzione, tien luogo di forma". Gionge che, "se questo è a imitazion di quello, la composizion di questo è a imitazion della composizion di quello. Oltre, quel mondo, se non ha diversità, non ha ordine; se non ha ordine, non ha bellezza e ornamento; tutto questo è circa la materia". Per il che il mondo superiore non solamente deve esser stimato per tutto indivisibile, ma anco per alcune sue condizioni divisibile e distinto: la cui divisione e distinzione non può esser capita senza qualche soggetta materia. E benché dichi che tutta quella moltitudine conviene in uno ente impartibile e fuor di qualsivoglia dimensione, quello dirò essere la materia, nel quale si uniscono tante forme. Quello, prima che sia conceputo per vario e multiforme, era in concetto uniforme, e prima che in concetto formato, era in quello informe.
 

•Dicasana•Benché in quel ch'avete detto con brevità, abbiate apportate molte e forte raggioni per venire a conchiudere che una sia la materia, una la potenza per la quale tutto quel che è, è in atto; e non con minor raggione conviene alle sustanze incorporee che alle corporali, essendo che non altrimente quelle han l'essere per lo possere essere, che queste per lo posser essere hanno l'essere, e che oltre, per altre potenti raggioni (a chi potentemente le considera e comprende) avete dimostrato; tuttavia (se non per la perfezione della dottrina, per la chiarezza di quella) vorei che in qualch'altro modo specificaste: come ne le cose eccellentissime, quali sono le incorporee, si trova cosa informe e indefinita? come può ivi essere raggione di medesima materia e che, per advenimento della forma e atto, medesimamente non si dicono corpi? come, dove non è mutazione, generazione né corrozione alcuna, volete che sia materia, la quale mai è stata posta per altro fine? come potremo dire la natura intelligibile esser semplice, e dir che in quella sia materia e atto? Questo non lo dimando per me, al quale la verità è manifesta, ma forse per altri, che possono essere più morosi e difficili, come, per esempio, maestro Poliinnio e Gervasio.
 

•Poliinnio•Cedo.
 

•Gervasio•Accepto, e vi ringrazio, Dicsone, perché considerate la necessità di quei che non hanno ardire di dimandare, come comporta la civiltà de le mense oltramontane; ove, a quei che siedono gli secondi non lice stender le dita fuor del proprio quadretto o tondo, ma conviene aspettar che gli sia posto in mano, a fin che non prenda boccone, che non sia pagato col suo "gran mercé".
 

•Teofilo•Dirò per risoluzion del tutto, che, sì come l'uomo, secondo la natura propria de l'uomo, è differente dal leone, secondo la natura propria del leone; ma, secondo la natura comone de l'animale, de la sustanza corporea e altre simili, sono indifferenti e la medesima cosa; similmente, secondo la propria raggione, è differente la materia di cose corporali dalla de cose incorporee. Tutto dunque lo che apportate de lo esser causa costitutiva di natura corporea, de l'esser soggetto de trasmutazioni de tutte sorti e de l'esser parte di composti, conviene a questa materia per la raggione propria. Perché la medesima materia (voglio dir più chiaro) il medesimo che può esser fatto o pur può essere, o è fatto, è per mezzo de le dimensioni ed extensioni del suggetto, e quelle qualitadi che hanno l'essere nel quanto; e questo si chiama sustanza corporale e suppone materia corporale; o è fatto (se pur ha l'essere di novo) ed è senza quelle dimensioni, extensione e qualità; e questo si dice sustanza incorporea, e suppone similmente detta materia. Cossì ad una potenza attiva tanto di cose corporali quanto di cose incorporee, over ad un essere tanto corporeo quanto incorporeo, corrisponde una potenza passiva tanto corporea quanto incorporea, e un posser esser tanto corporeo quanto incorporeo. Se dunque vogliamo dir composizione tanto ne l'una quanto ne l'altra natura, la doviamo intendere in una ed un'altra maniera; e considerar che se dice nelle cose eterne una materia sempre sotto un atto, e che nelle cose variabili sempre contiene or uno or un altro; in quelle la materia ha, una volta, sempre ed insieme tutto quel che può avere, ed è tutto quel che può essere; ma questa in più volte, in tempi diversi, e certe successioni.
 

•Dicasana•Alcuni, quantunque concedano essere materia nelle cose incorporee, la intendono però secondo una raggione molto diversa.
 

•Teofilo•Sia quantosivoglia diversità secondo la raggion propria, per la quale l'una descende a l'esser corporale e l'altra non, l'una riceve qualità sensibili e l'altra non, e non par che possa esser raggione comune a quella materia a cui ripugna la quantità ed esser suggetto delle qualitadi che hanno l'essere nelle demensioni, e la natura a cui non ripugna l'una né l'altra, anzi l'una e l'altra è una medesima, e che (come è più volte detto) tutta la differenza depende dalla contrazione a l'essere corporea e non essere corporea. Come nell'essere animale ogni sensitivo è uno; ma, contraendo quel geno a certe specie, ripugna a l'uomo l'esser leone, e a questo animale l'esser quell'altro. E aggiungo a questo, se 'l ti piace, perché mi direste, che quello che giamai è, deve essere stimato più tosto impossibile e contra natura che naturale; e però, giamai trovandosi quella materia dimensionata, deve stimarsi che la corporeità gli sia contra natura; e se questo è cossì non è verisimile che sia una natura comune a l'una e l'altra, prima che l'una se intenda esser contratta a l'esser corporea, aggiungo, dico, che non meno possiamo attribuir a quella materia la necessità de tutti gli atti dimensionali che, come voi vorreste, la impossibilità. Quella materia per esser attualmente tutto quello che può essere, ha tutte le misure, ha tutte le specie di figure e di dimensioni; e perché le ave tutte, non ne ha nessuna, perché quello che è tante cose diverse, bisogna che non sia alcuna di quelle particolari. Conviene a quello che è tutto, che escluda ogni essere particolare.
 

•Dicasana•Vuoi dunque che la materia sia atto? Vuoi ancora che la materia nelle cose incorporee coincida con l'atto?
 

•Teofilo•Come il posser essere coincide con l'essere.
 

•Dicasana•Non differisce dunque da la forma?
 

•Teofilo•Niente nell'absoluta potenza ed atto absoluto. Il quale però è nell'estremo della purità, simplicità, indivisibilità e unità, perché è assolutamente tutto: che se avesse certe dimensioni, certo essere, certa figura, certa proprietà, certa differenza, non sarebbe absoluto, non sarebbe tutto.
 

•Dicasana•Ogni cosa dunque, che comprenda qualsivoglia geno, è individua?
 

•Teofilo•Cossì è; perché la forma, che comprende tutte le qualità, non è alcuna di quelle; lo che ha tutte le figure, non ha alcuna di quelle; lo che ha tutto lo essere sensibile, però non si sente. Più altamente individuo è quello che ha tutto l'essere naturale, più altamente lo che ha tutto lo essere intellettuale, altissimamente quello che ha tutto lo essere che può essere.
 

•Dicasana•In similitudine di questa scala de lo essere volete che sia la scala del posser essere? e volete che, come ascende la raggione formale, così ascenda la raggione materiale?
 

•Teofilo•È vero.
 

•Dicasana•Profonda e altamente prendete questa definizione di materia e potenza.
 

•Teofilo•Vero.
 

•Dicasana•Ma questa verità non potrà esser capita da tutti, perché è pur arduo a capire il modo con cui s'abbiano tutte le specie di dimensioni e nulla di quelle, aver tutto l'esser formale e non aver nessuno essere forma.
 

•Teofilo•Intendete voi come può essere?
 

•Dicasana•Credo che sì; perché capisco bene che l'atto per esser tutto, bisogna che non sia qualche cosa.
 

•Poliinnio•Non potest esse idem totum et aliquid; ego quoque illud capio.
 

•Teofilo•Dunque, potrete capir a proposito che, se volessimo ponere la dimensionabilità per raggione della materia, tal raggione non ripugnarebe a nessuna sorte di materia; ma che viene a differire una materia da l'altra, solo per essere absoluta da le dimensioni ed esser contratta alle dimensioni. Con essere absoluta, è sopra tutte e le comprende tutte; con esser contratta, viene compresa da alcune ed è sotto alcune.
 

•Dicasana•Ben dite che la materia secondo sé non ha certe demensioni, e però se intende indivisibile, e riceve le dimensioni secondo la raggione de la forma che riceve. Altre dimensioni ha sotto la forma umana, altre sotto la cavallina, altre sotto l'olivo, altre sotto il mirto; dunque, prima che sia sotto qualsivoglia di queste forme, ave in facultà tutte quelle dimensioni, cossì come ha potenza di ricevere tutte quelle forme.
 

•Poliinnio•Dicunt tamen propterea quod nullas habet dimensiones.
 

•Dicasana•E noi diciamo che ideo habet nullas, ut omnes habeat.
 

•Gervasio•Perché volete più tosto che le includa tutte, che le escluda tutte?
 

•Dicasana•Perché non viene a ricevere le dimensioni come di fuora, ma a mandarle e cacciarle come dal seno.
 

•Teofilo•Dice molto bene. Oltre che è consueto modo di parlare di peripatetici ancora, che dicono tutto l'atto dimensionale e tutte forme uscire e venir fuori dalla potenza de la materia. Questo intende in parte Averroe, il qual, quantunque arabo e ignorante di lingua greca, nella dottrina peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe più inteso, se non fusse stato cossì additto al suo nume Aristotele. Dice lui che la materia ne l'essenzia sua comprende le dimensioni interminate; volendo accennare che quelle pervegnono a terminarsi ora con questa figura e dimensioni, ora con quella e quell'altra, quelle e quell'altri, secondo il cangiar di forme naturali. Per il qual senso si vede che la materia le manda come da sé e non le riceve come di fuora. Questo in parte intese ancor Plotino, prencipe nella setta di Platone. Costui, facendo differenza tra la materia di cose superiori e inferiori, dice che quella è insieme tutto, ed essendo che possiede tutto, non ha in che mutarsi; ma questa, con certa vicissitudine per le parti, si fa tutto, e a tempi e tempi si fa cosa e cosa: però sempre sotto diversità, alterazione e moto. Cossì dunque mai è informe quella materia, come né anco questa, benché differentemente quella e questa; quella ne l'istante de l'eternità, questa negl'istanti del tempo; quella insieme, questa successivamente; quella esplicatamente, questa complicatamente; quella come molti, questa come uno; quella per ciascuno e cosa per cosa, questa come tutto e ogni cosa.
 

•Dicasana•Tanto che non solamente secondo gli vostri principii, ma, oltre, secondo gli principii de l'altrui modi di filosofare, volete inferire che la materia non è quel prope nihil, quella potenza pura, nuda, senza atto, senza virtù e perfezione.
 

•Teofilo•Cossì è. La dico privata de le forme e senza quelle, non come il ghiaccio è senza calore, il profondo è privato di luce, ma come la pregnante è senza la sua prole, la quale la manda e la riscuote da sé; e come in questo emispero la terra, la notte, è senza luce, la quale con il suo scuotersi è potente di racquistare.
 

•Dicasana•Ecco che anco in queste cose inferiori, se non a fatto, molto viene a coincidere l'atto con la potenza.
 

•Teofilo•Lascio giudicar a voi.
 

•Dicasana•E se questa potenza di sotto venesse ad esser una finalmente con quella di sopra, che sarrebe?
 

•Teofilo•Giudicate voi. Possete quindi montar al concetto, non dico del summo ed ottimo principio, escluso della nostra considerazione; ma de l'anima del mondo, come è atto di tutto e potenza di tutto, ed è tutta in tutto; onde al fine (dato che sieno innumerabili individui) ogni cosa è uno; e il conoscere questa unità è il scopo e termine di tutte le filosofie e contemplazioni naturali: lasciando ne' sua termini la più alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi non crede è impossibile e nulla.
 

•Dicasana•È vero; perché se vi monta per lume sopranaturale, non naturale.
 

•Teofilo•Questo non hanno quelli, che stimano ogni cosa esser corpo, o semplice, come lo etere, o composto, come li astri e cose astrali; e non cercano la divinità fuor de l'infinito mondo e le infinite cose, ma dentro questo e in quelle.
 

•Dicasana•In questo solo mi par differente il fedele teologo dal vero filosofo.
 

•Teofilo•Cossì credo ancor io. Credo che abbiate compreso quel che voglio dire.
 

•Dicasana•Assai bene, io mi penso. Di sorte che dal vostro dire inferisco che, quantunque non lasciamo montar la materia sopra le cose naturali e fermiamo il piede su la sua comune definizione che apporta la più volgare filosofia, trovaremo pure che la ritegna meglior prorogativa che quella riconosca; la quale al fine non li dona altro che la raggione de l'esser soggetto di forme e di potenza receptiva di forme naturali senza nome, senza definizione, senza termino alcuno, perché senza ogni attualità. Il che parve difficile ad alcuni cucullati, i quali, non volendo accusare ma iscusar questa dottrina, dicono aver solo l'atto entitativo, cioè differente da quello che non è semplicemente, e che non ha essere alcuno nella natura, come qualche chimera o cosa che si finga; perché questa materia in fine ha l'essere, e le basta questo, cossì, senza modo e dignità; la quale depende da l'attualità che è nulla. Ma voi dimandareste raggione ad Aristotele: - Perché vuoi tu, o principe di Peripatetici, più tosto che la materia sia nulla per aver nullo atto, che sia tutto, per aver tutti gli atti, o l'abbia confusi o confusissimi, come ti piace? Non sei tu quello che, sempre parlando del novo essere delle forme nella materia o della generazione de le cose, dici le forme procedere e sgombrare da l'interno de la materia, e mai fuste udito dire che per opera d'efficiente vengano da l'esterno, ma che quello le riscuota da dentro? Lascio che l'efficiente di queste cose, chiamato da te con un comun nome Natura, lo fai pur principio interno, e non esterno, come avviene ne le cose artificiali. Allora mi par che convegna dire che la non abbia in sé forma e atto alcuno, quando lo viene a ricevere di fuora; allora mi par che convegna dire che l'abbia tutte, quando si dice cacciarle tutte dal suo seno. Non sei tu quello che, se non costretto da la raggione, spinto però dalla consuetudine del dire, deffinendo la materia, la dici più tosto esser "quella cosa di cui ogni specie naturale si produce", che abbi mai detto esser "quello, in cui le cose si fanno", come converrebbe dire quando li atti non uscissero da quella, e per conseguenza non le avesse?
 

•Poliinnio•Certe consuevit dicere Aristoteles cum suis potius formas educi de potentia materiae quam in illam induci, emergere potius ex ipsa quam in ipsam ingeri: ma io direi, che ha piaciuto ad Aristotele chiamar atto più tosto la esplicazione de la forma che la implicazione.
 

•Dicasana•E io dico che l'essere espresso, sensibile ed esplicato, non è principal raggione de l'attualità, ma è una cosa consequente ed effetto di quella; sì come il principal essere del legno e raggione di sua attualità non consiste ne l'essere letto, ma ne l'essere di tal sustanza e consistenza che può esser letto, scanno, trabe, idolo e ogni cosa di legno formata. Lascio che secondo più alta raggione della materia naturale si fanno tutte cose naturali, che della artificiale le arteficiali, perché l'arte della materia suscita le forme o per suttrazione, come quando de la pietra fa la statua, o per apposizione, come quando, giongendo pietra a pietra e legno e terra, forma la casa; ma la natura de la sua materia fa tutto per modo di separazione, di parto, di efflussione, come intesero i pitagorici, compreso Anassagora e Democrito, confirmorno i sapienti di Babilonia. Ai quali sottoscrisse anco Mosè, che, descrivendo la generazione delle cose comandata da l'efficiente universale, usa questo modo di dire: "Produca la terra li suoi animali, producano le acqui le anime viventi", quasi dicesse: producale la materia. Perché, secondo lui, il principio materiale de le cose è l'acqua; onde dice, che l'intelletto efficiente (chiamato da lui spirito) "covava sopra l'acqui": cioè, li dava virtù procreatrice, e da quelle produceva le specie naturali, le quali tutte poi son dette da lui, in sustanza, acqui. Onde parlando della separazione de' corpi inferiori e superiori, dice che "la mente separò le acqui da l'acqui", da mezzo de le quali induce esser comparuta l'arida. Tutti dunque per modo di separazione vogliono le cose essere da la materia, e non per modo di apposizione e recepzione. Dunque si de' più tosto dire che contiene le forme e che le includa, che pensare, che ne sia vota e le escluda. Quella, dunque, che esplica lo che tiene implicato, deve essere chiamata cosa divina e ottima parente, genetrice e madre di cose naturali, anzi la natura tutta in sustanza. Non dite e volete cossì, Teofilo?
 

•Teofilo•Certo.
 

•Dicasana•Anzi molto mi maraviglio, come non hanno i nostri Peripatetici continuata la similitudine de l'arte. La quale de molte materie che conosce e tratta, quella giudica esser megliore e più degna, la quale è meno soggetta alla corrozione ed è più costante alla durazione, e della quale possono esser prodotte più cose: però giudica l'oro esser più nobile che il legno, la pietra e il ferro, perché è meno soggetto a corrompersi; e ciò che può esser fatto di legno e di pietra, può farsi de oro, e molte altre cose di più, maggiori e megliori per la sua bellezza, costanza, trattabilità e nobiltà. Or che doviamo dire di quella materia, della quale si fa l'uomo, l'oro e tutte cose naturali? Non deve esser ella stimata più degna che la artificiale, e aver raggione di meglior attualità? - Perché, o Aristotile, quello che è fondamento e base de l'attualità, dico, di ciò che è in atto, e quello che tu dici esser sempre, durare in eterno, non vorai che sia più in atto, che le tue forme, che le tue entelechie, che vanno e vegnono, di sorte che, quando volessi cercare la permanenza di questo principio formale ancora....
 

•Poliinnio•Quia principia oportet semper manere.
 

•Dicasana•- e non possendo ricorrere alle fantastiche idee di Platone, come tue tanto nemiche, sarai costretto e necessitato a dire che queste forme specifiche o hanno la sua permanente attualità nella mano de l'efficiente; e cossì non puoi dire, perché quello è detto da te suscitatore e riscuotitore de le forme della potenza de la materia: o hanno la sua permanente attualità nel seno de la materia; e cossì ti fia necessario dire, perché tutte le forme che appaiono come nella sua superficie, che tu dici individuali e in atto, tanto quelle che furono quanto le che sono e saranno, son cose principiate, non sono principio. (E certo cossì credo essere nella superficie della materia la forma particolare, come lo accidente è nella superficie della sustanza composta. Onde minor raggione di attualità deve avere la forma espressa al rispetto della materia, come.minor raggione di attualità ha la forma accidentale in rispetto del composto).
 

•Teofilo•In vero poveramente si risolve Aristotele, che dice, insieme con tutti gli antichi filosofi, che li principii denno essere sempre permanenti; e poi quando cercamo nella sua dottrina dove abbia la sua perpetua permanenza la forma naturale, la quale va fluttuando nel dorso de la materia, non la trovaremo ne le stelle fisse, perché non descendeno da alto queste particulari che veggiamo; non ne gli sigilli ideali, separati da la materia, perché quelli per certo, se non son mostri, son peggio che mostri, voglio dire chimere e vane fantasie. Che dunque? Sono nel seno della materia. Che dunque? Ella è fonte de la attualità. Volete ch'io vi dica di vantaggio e vi faccia vedere in quanta assurdità sia incorso Aristotele? Dice lui la materia essere in potenza. Or dimandategli quando sarà in atto. Risponderà una gran moltitudine con esso lui: quando arà la forma. Or aggiungi e dimanda: che cosa è quella che ha l'essere di novo? Risponderanno a lor dispetto: il composto e non la materia; perché essa è sempre quella, non si rinova, non si muta. Come nelle cose artificiali, quando del legno è fatta la statua, non diciamo che al legno vegna nuovo essere, perché niente più o meno è legno ora che era prima; ma quello che riceve lo esser e l'attualità, è lo che di nuovo si produce, il composto, dico la statua. Come adunque a quello dite appartenere la potenza; che mai sarà in atto o arà l'atto? Non è dunque la materia in potenza di essere o la che può essere, perché lei sempre è medesima e inmutabile, ed è quella circa la quale e nella quale è la mutazione, più tosto che quella che si muta. Quello che si altera, si aumenta, si sminuisce, si muta di loco, si corrompe, sempre (secondo voi medesimi peripatetici) è il composto, mai la materia; perché dunque dite la materia or in potenza or in atto? Certo non è chi debba dubitare che, o per ricevere le forme o per mandarle da sé, quanto all'essenza e sustanza sua, essa non riceve maggior e minor attualità; e però non esser raggione, per la quale venga detta in potenza. La quale quadra a ciò che è in continuo moto circa quella, e non a lei che è in eterno stato ed è causa del stato più tosto; perché, se la forma, secondo l'essere fondamentale e specifico, è di semplice e invariabile essenza, non solo logicamente nel concetto e la raggione, ma anco fisicamente nella natura, bisognarà che sia nella perpetua facultà de la materia, la quale è una potenza indistinta da l'atto, come in molti modi ho esplicato quando della potenza ho tante volte discorso.
 

•Poliinnio•Quaeso, dite qualche cosa dello appetito della materia, a fin che prendiamo qualche risoluzione per certa alterazione tra me e Gervasio.
 

•Gervasio•Di grazia, fatelo, Teofilo, perché costui mi ha rotto il capo con la similitudine de la femina e la materia, e che la donna non si contenta meno di maschi che la materia di forme, e va discorrendo.
 

•Teofilo•Essendo che la materia non riceve cosa alcuna da la forma, perché volete che la appetisca? Se (come abbiamo.detto) ella manda dal suo seno le forme, e per consequenza le ha in sé, come volete che le appetisca? Non appetisce quelle forme, che giornalmente si cangiano nel suo dorso; perché ogni cosa ordinata appetisce quello dal che riceve perfezione. Che può dare una cosa corrottibile ad una cosa eterna? una cosa imperfetta, come è la forma de cose sensibili, la quale sempre è in moto, ad una cosa eterna? una cosa imperfetta, come è la forma de cose sensibili, la quale sempre è in moto, ad un'altra tanto perfetta che, se ben si contempla, è uno esser divino nelle cose, come forse volea dire David de Dinanto, male inteso da alcuni che riportano la sua opinione? Non la desidera per esser conservata da quella, perché la cosa corrottibile non conserva la cosa eterna; oltre che è manifesto, che la materia conserva la forma: onde tal forma più tosto deve desiderar la materia per perpetuarsi, perché, separandosi da quella, perde l'essere lei, e non quella che ha tutto ciò che aveva prima che lei si trovasse, e che può aver de le altre. Lascio che, quando si dà la causa de la corrozione, non si dice che la forma fugge la materia o che lascia la materia, ma più tosto che la materia rigetta quella forma per prender l'altra. Lascio a proposito che non abbiamo più raggion di dire che la materia appete le forme, che per il contrario le ha in odio (parlo di quelle che si generano e corrompono, perché il fonte de le forme, che è in sé, non può appetere, atteso che non si appete lo che si possiede), perché per tal raggione, per cui se dice appetere lo che tal volta riceve o produce, medesimamente, quando lo rigetta e toglie via, se può dir che l'abomina; anzi più potentemente abomina che appete, atteso che eternamente rigetta quella forma numerale che in breve tempo ritenne. Se dunque ricordarai questo, che quante ne prende tante ne rigetta, devi equalmente farmi lecito de dire che ella ha in fastidio, come io ti farò dire che ella ha in desio.
 

•Gervasio•Or ecco a terra non solamente gli castelli di Poliinnio, ma ancora di altri che di Poliinnio.
 

•Poliinnio•Parcius ista viris.....
 

•Dicasana•Abbiamo assai compreso per oggi; a rivederci domani!
 

•Teofilo•Dunque, adio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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