Terzo Dialogo

Interlocutori: Dicsono Arelio, Teofilo, Gervasio, Poliinnio.

 

•Gervasio•È pur gionta l'ora, e costoro non son venuti. Poi che non ho altro pensiero che mi tire, voglio prender spasso di udir raggionar costoro, da' quali oltre che posso imparar qualche tratto di scacco di filosofia, ho pur un bel passatempo circa que' grilli che ballano in quel cervello eteroclito di Poliinnio pedante. Il quale, mentre dice che vuol giudicar chi dice bene, chi discorre meglio, chi fa delle incongruità ed errori in filosofia, quando poi è tempo de dir la sua parte, e non sapendo che porgere, viene a sfilzarti da dentro il manico della sua ventosa pedantaria una insalatina di proverbiuzzi, di frase per latino o greco, che non fanno mai a proposito di quel ch'altri dicono: onde, senza troppa difficultà, non è cieco che non possa vedere quanto lui sia pazzo per lettera, mentre degli altri son savii per volgare. Or eccolo in fede mia, come sen viene che par che nel movere di passi ancora sappia caminar per lettera. Ben venga il dominus magister.
 

•Poliinnio•Quel magister non mi cale: poscia che in questa devia ed enorme etade, viene attribuito non più ai miei pari che ad qualsivoglia barbitonsore, cerdone e castrator di porci, però ne vien consultato: nolite vocari Rabi.
 

•Gervasio•Come dunque volete ch'io vi dica? Piacevi il reverendissimo?
 

•Poliinnio•Illud est presbiterale et clericum.
 

•Gervasio•Vi vien voglia de l'illustrissimo?
 

•Poliinnio•Cedant arma togae: questo è da equestri eziandio, come da purpurati.
 

•Gervasio•La maestà cesarea, anh?
 

•Poliinnio•Quae Caesaris Caesari.
 

•Gervasio•Prendetevi dunque il domine, deh! , toglietevi il gravitonante, il divum pater!... - Venemo a noi; perché siete tutti cossì tardi?
 

•Poliinnio•Cossì credo che gli altri sono impliciti in qualche altro affare, come io, per non tralasciar questo giorno senza linea, sono versato circa la contemplazion del tipo del globo detto volgarmente il mappamondo.
 

•Gervasio•Che avete a far col mappamondo?
 

•Poliinnio•Contemplo le parti de la terra, climi, provinze e regioni; de quali tutte ho trascorse con l'ideal raggione, molte cogli passi ancora.
 

•Gervasio•Vorei che discorressi alquanto dentro di te medesmo; perché questo mi par che più te importi, e di questo credo che manco ti curi.
 

•Poliinnio•Absit verbo invidia; perché con questo molto più efficacemente vengo a conoscere me medesmo.
 

•Gervasio•E come mel persuaderai?
 

•Poliinnio•Per quel che dalla contemplazione del megacosmo facilmente, necessaria deductione facta a simili, si può pervenire alla cognizione del microcosmo, di cui le particole alle parti di quello corrispondeno.
 

•Gervasio•Sì che trovaremo dentro voi la Luna, il Mercurio e altri astri? la Francia, la Spagna, l'Italia, l'Inghilterra, il Calicutto e altri paesi?
 

•Poliinnio•Quidni? per quamdam analogiam.
 

•Gervasio•Per quamdam analogiam io credo che siate un gran monarca; ma, se fuste una donna, vi dimandarei se vi è per alloggiare un putello, o di porvi in conserva una di quelle piante che disse Diogene.
 

•Poliinnio•Ah, ah, quodanmodo facete. Ma questa petizione non quadra ad un savio ed erudito.
 

•Gervasio•S'io fusse erudito, e mi istimasse savio, non verrei qua ad imparar insieme con voi.
 

•Poliinnio•Voi sì, ma io non vegno per imparare, perché nunc meum est docere; mea quoque interest eos qui docere volunt iudicare; però vegno per altro fine che per quel che dovete voi venire, a cui conviene l'essere tirone, isagogico e discepolo.
 

•Gervasio•Per qual fine?
 

•Poliinnio•Per giudicare dico.
 

•Gervasio•Invero, a' pari vostri più che ad altri sta bene di far giudicio de le scienze e dottrine; perché voi siete que' soli a' quali la liberalità de le stelle e la munificenza del fato ha conceduto il poter trarre il succhio da le paroli.
 

•Poliinnio•E consequentemente dai sensi ancora i quali sono congionti alle paroli.
 

•Gervasio•Come al corpo l'anima.
 

•Poliinnio•Le qual paroli, essendo ben comprese, fanno ben considerar ancor il senso: però dalla cognizion de le lingue (nelle quali io, più che altro che sia in questa città, sono exercitato e non mi stimo men dotto di qualunque sia che tegna ludo di Minerva aperto) procede la cognizione di scienza qualsivoglia.
 

•Gervasio•Dunque, tutti que' che intendeno la lingua italiana, comprenderanno la filosofia del Nolano?
 

•Poliinnio•Sì, ma vi bisogna anco qualch'altra prattica e giudizio.
 

•Gervasio•Alcun tempo io pensava che questa prattica fusse il principale; perché un che non sa greco, può intender tutto il senso d'Aristotele e conoscere molti errori in quello, come apertamente si vede che questa idolatria, che versava circa l'autorità di quel filosofo (quanto a le cose naturali principalmente), è a fatto abolita appresso tutti che comprendeno i sensi che apporta questa altra setta; ed uno che non sa né di greco, né di arabico, e forse né di latino, come il Paracelso, può aver meglio conosciuta la natura di medicamenti e medicina che Galeno, Avicenna e tutti che si fanno udir con la lingua romana. Le filosofie e leggi non vanno in perdizione per penuria d'interpreti di paroli, ma di que' che profondano ne' sentimenti.
 

•Poliinnio•Cossì dunque vieni a computar un par mio nel numero della stolta moltitudine?
 

•Gervasio•Non vogliano gli Dei, perché so che con la cognizione e studio de le lingue (il che è una cosa rara e singulare) non sol voi, ma tutti vostri pari sete valorosissimi circa il far giudicio delle dottrine, dopo aver crivellati i sentimenti di color che ne si fanno in.campo.
 

•Poliinnio•Perché voi dite il verissimo, facilmente posso persuadermi che non lo dite senza raggione: per tanto, come non vi è difficile, non vi fia grave di apportarla.
 

•Gervasio•Dirò (referendomi pur sempre alla censura de la prudenza e letteratura vostra) è proverbio comune che quei che son fuor del gioco, ne intendeno più che quei che vi son dentro; come que' che sono nel spettacolo, possono meglio giudicar de li atti, che quelli personaggi che sono in scena; e della musica può far meglior saggio un che non è de la capella o del conserto; similmente appare nel gioco de le carte, scacchi, scrima ed altri simili. Cossì voi altri signor pedanti, per esser esclusi e fuor d'ogni atto di scienza e filosofia, e per non aver, e giamai aver avuto participazione con Aristotele, Platone e altri simili, possete meglio giudicarli e condannar con la vostra sufficienza grammatticale e presunzion del vostro naturale, che il Nolano che si ritrova nel medesmo teatro, nella medesma familiarità e domestichezza, tanto che facilmente le combatte dopo aver conosciuti i loro interiori e più profondi sentimenti. Voi dico per esser extra ogni profession di galantuomini e pelegrini ingegni, meglio le possete giudicare.
 

•Poliinnio•Io non saprei cossì di repente rispondere a questo impudentissimo. Vox faucibus haesit.
 

•Gervasio•Però i pari vostri sono sì presuntuosi, come non son gli altri che vi hanno il piè dentro; e pertanto io vi assicuro, che degnamente vi usurpate l'ufficio di approvar questo, riprovar quello, glosar quell'altro, far qua una concordia e collazione, là una appendice.
 

•Poliinnio•Questo ignorantissimo, da quel che io son perito nelle buone lettere umane, vuol inferir che sono ignorante in filosofia.
 

•Gervasio•Dottissimo, messer Poliimnio; io vo' dire che, se voi aveste tutte le lingue, che son (come dicono i nostri predicatori) settantadue....,
 

•Poliinnio•- cum dimidia.
 

•Gervasio•- per questo non solamente non siegue che siate atto a far giudizio di filosofi, ma oltre non potreste togliere di essere il più gran goffo animale che viva in viso umano: e anco non è che impedisca che uno ch'abbia a pena una de le lingue, ancor bastarda, sia il più sapiente e dotto di tutto il mondo. Or considerate quel profitto ch'han fatto doi cotali, de' quali è un francese arcipedante, c'ha fatte le Scole sopra le arte liberali e l'Animadversioni contra Aristotele; e un altro sterco di pedanti, italiano, che ha imbrattati tanti quinterni con le sue Discussioni peripatetiche. Facilmente ognun vede ch'il primo molto eloquentemente mostra esser poco savio; il secondo, semplicemente parlando, mostra aver molto del bestiale e asino. Del primo possiamo pur dire che intese Aristotele; ma che l'intese male; e se l'avesse inteso bene, arebbe forse avuto ingegno di far onorata guerra contra lui, come ha fatto il giudiciosissimo Telesio consentino. Del secondo non possiamo dir che l'abbia inteso né male né bene; ma che l'abbia letto e riletto, cucito, scucito e conferito con mill'altri greci autori, amici e nemici di quello; e al fine fatta una grandissima fatica, non solo senza profitto alcuno, ma etiam con un grandissimo sprofitto, di sorte che chi vuol vedere in quanta pazzia e presuntuosa vanità può precipitar e profondare un abito pedantesco, veda quel sol libro, prima che se ne perda la somenza. Ma ecco presenti il Teofilo col Dicsono.
 

•Poliinnio•Adeste felices, domini: la presenzia vostra è causa che la mia excandescenzia non venga ad exaggerar fulminee sentenze contra i vani propositi c'ha tenuti questo garrulo frugiperda.
 

•Gervasio•Ed a me tolta materia di giocarmi circa la maestà di questo reverendissimo gufo.
 

•Dicasana•Ogni cosa va bene se non v'adirate.
 

•Gervasio•Io, quel che dico, lo dico con gioco, perché amo il signor maestro.
 

•Poliinnio•Ego quoque quod irascor, non serio irascor, quia Gervasium non odi.
 

•Dicasana•Bene: dunque, lasciatemi discorrer con Teofilo.
 

•Teofilo•Democrito dunque e gli epicurei, i quali, quel che non è corpo, dicono esser nulla, per conseguenza vogliono la materia sola essere la sustanza de le cose; ed anco quella essere la natura divina, come disse un certo arabo, chiamato Avicebron, come mostra in un libro intitolato Fonte di vita. Questi medesmi, insieme con cirenaici, cinici e stoici, vogliono le forme non essere altro che certe accidentali disposizioni de la materia. E io molto tempo son stato assai aderente a questo parere, solo per questo che ha fondamenti più corrispondenti alla natura che quei di Aristotele; ma, dopo aver più maturamente considerato, avendo risguardo a più cose, troviamo che è necessario conoscere nella natura doi geni di sustanza, l'uno che è forma e l'altro che è materia; perché è necessario che sia un atto sustanzialissimo, nel quale è la potenza attiva di tutto, ed ancora una potenza e un soggetto nel quale non sia minor potenza passiva di tutto: in quello è potestà di fare, in questo è potestà di esser fatto.
 

•Dicasana•È cosa manifesta ad ognuno che ben misura, che non è possibile che quello sempre possa far il tutto senza che sempre sia chi può esser fatto il tutto. Come l'anima del mondo (dico ogni forma), la quale è individua, può essere figuratrice, senza il soggetto delle dimensioni o quantità, che è la materia? E la materia come può essere figurata? Forse da se stessa? Appare che potremo dire, che la materia vien figurata da se stessa, se noi vogliamo considerar l'universo corpo formato esser materia, chiamarlo materia; come un animale, con tutte le sue facultà, chiamaremo materia, distinguendolo, non da la forma, ma dal solo efficiente.
 

•Teofilo•Nessuno vi può impedire che non vi serviate del nome di materia secondo il vostro modo, come a molte sette ha medesmamente raggione di molte significazioni. Ma questo modo di considerar che voi dite, so che no' potrà star bene se non a un mecanico o medico che sta su la prattica, come a colui che divide l'universo corpo in mercurio, sale e solfro; il che dire non tanto viene a mostrar un divino ingegno di medico quanto potrebe mostrare un stoltissimo che volesse chiamarsi filosofo; il cui fine non è de venir solo a quella distinzion di principii, che fisicamente si fa per la separazione che procede dalla virtù del fuoco, ma anco a quella distinzion de principii, alla quale non arriva efficiente alcuno materiale, perché l'anima, inseparabile dal solfro, dal mercurio e dal sale, è principio formale; quale non è soggetto a qualità materiali, ma è al tutto signor della materia, non è tocco dall'opra di chimici la cui divisione si termina alle tre dette cose, e che conoscono un'altra specie d'anima che questa del mondo, e che noi doviamo diffinire.
 

•Dicasana•Dite eccellentemente; e questa considerazione molto mi contenta, perché veggio alcuni tanto poco accorti che non distingueno le cause della natura assolutamente, secondo tutto l'ambito de lor essere, che son considerate da' filosofi, e de quelle prese in un modo limitato e appropriato; perché il primo modo è soverchio e vano a' medici, in quanto che son medici, il secondo è mozzo e diminuto a' filosofi, in quanto che son filosofi.
 

•Teofilo•Avete toccato quel punto nel quale è lodato Paracelso, ch'ha trattata la filosofia medicinale, e biasimato Galeno in quanto ha apportata la medicina filosofale, per far una mistura fastidiosa e una tela tanto imbrogliata, che al fine renda un poco exquisito medico e molto confuso filosofo. Ma questo sia detto con qualche rispetto; perché non ho avuto ocio per esaminare tutte le parti di quell'uomo.
 

•Gervasio•Di grazia, Teofilo, prima fatemi questo piacere a me, che non sono tanto prattico in filosofia: dechiaratemi che cosa intendete per questo nome materia, e che cosa è quello che è materia nelle cose naturali.
 

•Teofilo•Tutti quelli che vogliono distinguere la materia e considerarla da per sé, senza la forma, ricorreno alla similitudine de l'arte. Cossì fanno i pitagorici, cossì i platonici, cossì i peripatetici. Vedete una specie di arte, come del lignaiolo, la quale per tutte le sue forme e tutti suoi lavori ha per soggetto il legno; come il ferraio il ferro, il sarto il panno. Tutte queste arti in una propria materia fanno diversi ritratti, ordini e figure, de le quali nessuna è propria e naturale a quella. Cossì la natura, a cui è simile l'arte, bisogna che de le sue operazioni abbia una materia; perché non è possibile che sia agente alcuno che, se vuol far qualche cosa, non abbia di che farla; o se vuol oprare, non abia che oprare. È dunque una specie di soggetto, del qual, col quale e nel quale la natura effettua la sua operazione, il suo lavoro; e il quale è da lei formato di tante forme che ne presentano a gli occhi della considerazione tanta varietà di specie. E sì come il legno da sé non ha nessuna forma artificiale, ma tutte può avere per operazione del legnaiolo; cossì la materia, di cui parliamo, da per sé e in sua natura non ha forma alcuna naturale, ma tutte le può aver per operazione dell'agente attivo principio di natura. Questa materia naturale non è cossì sensibile come la materia artificiale, perché la materia della natura non ha forma alcuna assolutamente; ma la materia dell'arte è una cosa formata già della natura, poscia che l'arte non può oprare se non nella superficie delle cose formate da la natura come legno, ferro, pietra, lana e cose simili; ma la natura opra dal centro, per dir cossì, del suo soggetto o materia, che è al tutto informe. Però molti sono i soggetti de le arti, ed uno è il soggetto della natura; perché quelli, per essere diversamente formati dalla natura, sono differenti e varii; questo, per non essere alcunamente formato, è al tutto indifferente, atteso che ogni differenza e diversità procede da la forma.
 

•Gervasio•Tanto che le cose formate della natura sono materia de l'arte, e una cosa informe sola è materia della natura?
 

•Teofilo•Cossì è.
 

•Gervasio•È possibile che sì come vedemo e conoscemo chiaramente gli soggetti de le arti, possiamo similmente conoscere il soggetto de la natura?
 

•Teofilo•Assai bene, ma con diversi principii di cognizione; perché sì come non col medesmo senso conoscemo gli colori e gli suoni, cossì non con il medesmo occhio veggiamo il soggetto de le arti e il soggetto della natura.
 

•Gervasio•Volete dire, che noi con gli occhi sensitivi veggiamo quello, e con l'occhio della raggione questo.
 

•Teofilo•Bene.
 

•Gervasio•Or piacciavi formar questa raggione.
 

•Teofilo•Volentieri. Quella relazione e riguardo che ha la forma de l'arte alla sua materia, medesma (secondo la debita proporzione) ha la forma della natura alla sua materia. Sì come dunque ne l'arte, variandosi in infinito (se possibil fosse) le forme, è sempre una materia medesima che persevera sotto quelle; come, appresso, la forma de l'arbore è una forma di tronco, poi di trave, poi di tavola, poi di scanno, poi di scabello, poi di cascia, poi di pettine e cossì va discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimente nella natura, variandosi in infinito e succedendo l'una a l'altra le forme, è sempre una materia medesma.
 

•Gervasio•Come si può saldar questa similitudine?
 

•Teofilo•Non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e cossì oltre, per venire a tutte forme naturali?
 

•Gervasio•Facilmente il veggio.
 

•Teofilo•Bisogna dunque che sia una medesima cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione, non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo l'essere embrione; dopo che era embrione, riceva l'essere uomo, facendosi omo; come quella formata dalla natura, che è soggetto de la arte, da quel che era arbore, è tavola, e riceve esser tavola; da quel che era tavola, riceve l'esser porta, ed è porta.
 

•Gervasio•Or l'ho capito molto bene. Ma questo soggetto della natura mi par che non possa esser corpo, né di certa qualità; perché questo, che va strafugendo or sotto una forma ed essere naturale, or sotto un'altra forma ed essere, non si dimostra corporalmente, come il legno o pietra, che sempre si fan veder quel che sono materialmente, o soggettivamente pongansi pure sotto qual forma si voglia.
 

•Teofilo•Voi dite bene.
 

•Gervasio•Or che farò quando mi avverrà di conferir questo pensiero con qualche pertinace, il quale non voglia credere che sia cossì una sola materia sotto tutte le formazioni della natura, come è una sotto tutte le formazioni di ciascuna arte? Perché questa che si vede con gli occhi, non si può negare; quella che si vede con la raggione sola, si può negare.
 

•Teofilo•Mandatelo via, o non gli rispondete.
 

•Gervasio•Ma se lui sarà importuno in dimandarne evidenza, e sarà qualche persona di rispetto, il quale non si possa più tosto mandar via che mandarmi via, e che abbia per ingiuria ch'io non li risponda?
 

•Teofilo•Che farai, se un cieco semideo, degno di qualsivoglia onor e rispetto, sarà protervo, importuno e pertinace a voler aver cognizione e dimandar evidenza di colori, di' pure, de le figure esteriori di cose naturali, come è dire: quale è la forma de l'arbore? quale è la forma de monti? di stella? oltre, quale è la forma de la statua, de la veste? e cossì di altre cose arteficiali, le quali a quei che vedeno son tanto manifeste?
 

•Gervasio•Io li risponderei che, se lui avesse occhi, non ne dimandarebe evidenza, ma le potrebe veder da per lui; ma, essendo cieco, è anco impossibile che altri gli le dimostri.
 

•Teofilo•Similmente potrai dire a costoro, che, se avessero intelletto, non ne dimanderebono altra evidenza; ma la potrebono veder da per essi.
 

•Gervasio•Di questa risposta quelli si vergognarebono, e altri la stimarebono troppa cinica.
 

•Teofilo•Dunque, li direte più copertamente cossì: -Illustrissimo signor mio; - o: - Sacrata Maestà, come alcune cose non possono essere evidenti se non con le mani e il toccare, altre se non con l'udito, altre non, eccetto che con il gusto; altre non, eccetto che con gli occhi: cossì questa materia di cose naturali non può essere evidente se non con l'intelletto.
 

•Gervasio•Quello, forse, intendendo il tratto per non esser tanto oscuro né coperto me dirà: - Tu sei quello che non hai intelletto: io ne ho più che quanti tuoi pari si ritroveno.
 

•Teofilo•Tu non lo crederai più che se un cieco ti dicesse, che tu sei un cieco e che lui vede più che quanti pensano veder come tu ti pensi.
 

•Dicasana•Assai è detto in dimostrar più evidentemente, che mai abbia udito, quel che significa il nome materia, e quello che si deve intender materia nelle cose naturali. Cossì il Timeo Pitagorico il quale, dalla trasmutazione dall'uno elemento nell'altro, insegna ritrovar la materia che è occolta, e che non si può conoscere, eccetto che con certa analogia. "Dove era la forma della terra", dice lui, "appresso appare la forma de l'acqua", e qua non si può dire che una forma riceva l'altra; perché un contrario non accetta né riceve l'altro, cioè il secco non riceve l'umido o pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è soggetto dell'uno e l'altro contrario, e non è contraria ad alcuno. Adunque, se non è da pensar che la terra sia andata in niente, è da stimare che qualche cosa che era nella terra, è rimasta ed è ne l'acqua: la qual cosa per la medesima raggione, quando l'acqua sarà trasmutata in aria (per quel che la virtù del calore la viene ad estenuare in fumo o vapore), rimarrà e sarà ne l'aria.
 

•Teofilo•Da questo si può conchiudere (ancor a lor dispetto) che nessuna cosa si anichila e perde l'essere, eccetto che la forma accidentale esteriore e materiale. Però tanto la materia quanto la forma sustanziale di che si voglia cosa naturale, che è l'anima, sono indissolubili ed adnihilabili, perdendo l'essere al tutto e per tutto; tali per certo non possono essere tutte le forme sustanziali de' peripatetici e altri simili, che consisteno non in altro che in certa complessione e ordine di accidenti; e tutto quello che sapranno nominar fuor che la lor materia prima, non è altro che accidente, complessione, abito di qualità, principio di definizione, quiddità. Laonde alcuni cucullati suttili metafisici tra quelli, volendo piuttosto iscusare che accusare la insufficienza del suo nume Aristotele, hanno trovata la umanità, la bovinità, la olività, per forme sustanziali specifiche; questa umanità, come socreità, questa bovinità, questa cavallinità essere la sustanza numerale; il che tutto han fatto per donarne una forma sustanziale, la quale merite nome di sustanza, come la materia ha nome ed essere di substanza. Ma però non han profittato giamai nulla; perché, se gli dimandate per ordine: - In che consiste l'essere sustanziale di Socrate? -risponderanno: - Nella socreità. Se oltre dimandate: - Che intendete per socreità? - Risponderanno: - La propria forma sustanziale e la propria materia di Socrate.

 

Or lasciamo star questa sustanza che è la materia, e ditemi: - Che è la sustanza come forma? - Rispondeno alcuni: - La sua anima. -Dimandate: - Che cosa è questa anima? - Se diranno una entelechia e perfezione di corpo che può vivere, considera che questo è uno accidente. Se diranno che è un principio di vita, senso, vegetazione e intelletto, considerate che, benché quel principio sia qualche sustanzia fundamentalmente considerato, come noi lo consideriamo, tuttavolta costui non lo pone avanti se non come accidente; perché esser principio di questo o di quello non dice raggione sustanziale e assoluta, ma una raggione accidentale e respettiva a quello che è principiato; come non dice il mio essere e sustanza quello che proferisce lo che io fo o posso fare; ma sì bene quel che dice lo che io sono, come io e absolutamente considerato. Vedete dunque come trattano questa forma sustanziale che è l'anima; la quale, se pur per sorte è stata conosciuta da essi per sustanza, giamai però l'hanno nominata né considerata come sustanza. Questa confusione molto più evidentemente la possete vedere, se dimandate a costoro la forma sustanziale d'una cosa inanimata in che consista, come la forma sustanziale del legno. Fingeranno que' che son più sottili: nella ligneità. Or togliete via quella materia, la quale è comune al ferro, al legno e la pietra, e dite: - Quale resta forma sustanziale del ferro? Giamai ve diranno altro che accidenti. E questi sono tra' principii d'individuazione e danno la particularità, perché la materia non è contraibile alla particularità se non per qualche forma; e questa forma, per esser principio constitutivo d'una sustanza, vogliono che sia sustanziale, ma poi non la potranno mostrare fisicamente se non accidentale. E al fine, quando aranno fatto tutto, per quel che possono, hanno una forma sustanziale, sì, ma non naturale, ma logica; e cossì, al fine, quale logica intenzione viene ad esser posta principio di cose naturali.
 

•Dicasana•Aristotile non si avvedde di questo?
 

•Teofilo•Credo che se ne avvedde certissimo; ma non vi pòtte rimediare; però disse che l'ultime differenze sono innominabili ed ignote.
 

•Dicasana•Cossì mi pare che apertamente confesse la sua ignoranza; e però giudicarei ancor io esser meglio di abbracciar que' principii di filosofia, li quali in questa importante dimanda non allegano ignoranza, come fa Pitagora, Empedocle e il tuo Nolano, le opinioni de' quali ieri toccaste.
 

•Teofilo•Questo vuole il Nolano, che è uno intelletto che dà l'essere a ogni cosa, chiamato da' pitagorici e il Timeo datore de le forme; una anima e principio formale, che si fa e informa ogni cosa, chiamata da' medesmi fonte de le forme; una materia, della quale vien fatta e formata ogni cosa, chiamata da tutti ricetto de le forme.
 

•Dicasana•Questa dottrina (perché par che non gli manca cosa alcuna) molto mi aggrada. E veramente è cosa necessaria, che, come possiamo ponere un principio materiale costante ed eterno, poniamo un similmente principio formale. Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano dalla materia e novamente vegnono nella materia; onde par realmente nessuna cosa esser costante, ferma, eterna e degna di aver esistimazione di principio, eccetto che la materia. Oltre che le forme non hanno l'essere senza la materia, in quella si generano e corrompono, dal seno di quella esceno ed in quello si accogliono: però la materia la qual sempre rimane medesima e feconda, deve aver la principal prorogativa d'esser conosciuta sol principio substanziale, e quello che è, e che sempre rimane; e le forme tutte insieme non intenderle, se non come che sono disposizioni varie della materia, che sen vanno e vegnono, altre cessano e se rinnovano, onde non hanno riputazione tutte di principio. Però si son trovati di quelli che, avendo ben considerata la raggione delle forme naturali, come ha possuto aversi da Aristotele ed altri simili, hanno concluso al fine che quelle non son che accidenti e circostanze della materia; e però prerogativa di atto e di perfezione doverse referire alla materia, e non a cose, de quali veramente possiamo dire che esse non sono sustanza né natura, ma cose della sustanza e della natura, la quale dicono essere la materia; che appresso quelli è un principio necessario, eterno e divino, come a quel moro Avicebron, che la chiama Dio che è in tutte le cose.
 

•Teofilo•A questo errore son stati ammenati quelli da non conoscere altra forma che l'accidentale; e questo moro, benché dalla dottrina peripatetica, nella quale era nutrito, avesse accettata la forma sustanziale, tuttavolta, considerandola come cosa corrottibile, non solo mutabile circa la materia, e come quella che è parturita e non parturisce, fondata e non fonda, è rigettata, e non rigetta, la dispreggiò e la tenne a vile in comparazione della materia stabile, eterna, progenitrice, madre. E certo questo avviene a quelli che non conoscono quello che conosciamo noi.
 

•Dicasana•Questo è stato molto ben considerato; ma è tempo che dalla digressione ritorniamo al nostro proposito. Sappiamo ora distinguere la materia dalla forma, tanto dalla forma accidentale (sia come la si voglia) quanto dalla sustanziale; quel che resta a vedere è la natura e realità sua. Ma prima vorrei saper se, per la grande unione che ha questa anima del mondo e forma universale con la materia, si potesse patire quell'altro modo e maniera di filosofare di quei che non separano l'atto dalla raggion della materia, e la intendono cosa divina, e non pura e informe talmente che lei medesma non si forme e vesta.
 

•Teofilo•Non facilmente, perché niente assolutamente opera in se medesimo, e sempre è qualche distinzion tra quello che è agente, e quello che è fatto, o circa il quale è l'azione e operazione, laonde è bene nel corpo della natura distinguere la materia da l'anima, e in questa distinguere quella raggione delle specie. Onde diciamo in questo corpo tre cose: prima, l'intelletto universale, indito nelle cose; secondo, l'anima vivificatrice del tutto; terzo, il soggetto. Ma non per questo negaremo esser filosofo colui che prenda nel geno di suo filosofare questo corpo formato o, come vogliam dire, questo animale razionale, e comincie a prendere per primi principii in qualche modo i membri di questo corpo, come dire aria, terra, fuoco; over eterea regione e astro; over spirito e corpo; o pur vacuo e pieno: intendendo però il vacuo non come il prese Aristotele; o pur in altro modo conveniente. Non mi parrà però quella filosofia degna di essere rigettata, massime quando, sopra a qualsivoglia fundamento che ella presuppona, o forma d'edificio che si propona, venga ad effettuare la perfezione della scienzia speculativa e cognizione di cose naturali, come invero è stato fatto da molti più antichi filosofi. Perché è cosa da ambizioso e cervello presuntuoso, vano e invidioso voler persuadere ad altri, che non sia che una sola via di investigare e venire alla cognizione della natura; ed è cosa da pazzo e uomo senza discorso donarlo ad intendere a se medesimo. Benché dunque la via più costante e ferma, e più contemplativa e distinta, e il modo di considerar più alto deve sempre esser preferito, onorato e procurato più; non per tanto è da biasimar quell'altro modo il quale non è senza buon frutto, benché quello non sia il medesmo arbore.
 

•Dicasana•Dunque, approvate il studio de diverse filosofie?
 

•Teofilo•Assai, a chi ha copia di tempo ed ingegno: ad altri approvo il studio della megliore, se gli Dei vogliono che la addovine.
 

•Dicasana•Son certo però che non approvate tutte le filosofie, ma le buone e le megliori.
 

•Teofilo•Cossì è. Come anco in diversi ordini di medicare, non riprovo quello che si fa magicamente per applicazion di radici, appension di pietre e murmurazione d'incanti, s'il rigor di teologi mi lascia parlar come puro naturale. Approvo quello che si fa fisicamente e procede per apotecarie ricette, con le quali si perseguita o fugge la còlera, il sangue, la flemma e la melancolia. Accetto quello altro che si fa chimicamente, che abstrae le quinte essenze e, per opera del fuoco, da tutti que' composti fa volar il mercurio, subsidere il sale e lampeggiar o disolar il solfro. Ma però, in proposito di medicina, non voglio determinare tra tanti buoni modi qual sia il megliore, perché l'epilettico, sopra il quale han perso il tempo il fisico ed il chimista, se vien curato dal mago, approvarà non senza raggione più questo che quello e quell'altro medico. Similmente discorri per l'altre specie: de quali nessuna verrà ad essere men buona che l'altra, se cossì l'una come le altre viene ad effettuar il fine che si propone. Nel particolar poi è meglior questo medico che mi sanarà, che gli altri che m'uccidano o mi tormentino.
 

•Gervasio•Onde avviene che son tanto nemiche fra lor queste sette di medici?
 

•Teofilo•Dall'avarizia, dall'invidia, dall'ambizione e dall'ignoranza. Comunmente a pena intendono il proprio metodo di medicare; tanto si manca che possano aver raggione di quel d'altrui. Oltre che la maggior parte, non possendo alzarsi all'onor e guadagno con proprie virtù, studia di preferirsi con abbassar gli altri, mostrando di dispreggiar quello che non può acquistare. Ma di questi l'ottimo e vero è quello che non è sì fisico, che non sia anco chimico e matematico. Or, per venir al proposito, tra le specie della filosofia, quella è la meglior, che più comoda e altamente effettua la perfezion de l'intelletto umano, ed è più corrispondente alla verità della natura, e quanto sia possibile cooperatori di quella o divinando (dico per ordine naturale e raggione di vicissitudine, non per animale istinto come fanno le bestie e que' che gli son simili; non per ispirazione di buoni o mali demoni, come fanno i profeti; non per melancolico entusiasmo, come i poeti e altri contemplativi), o ordinando leggi e riformando costumi, o medicando, o pur conoscendo e vivendo una vita più beata e più divina. Eccovi dunque come non è sorte di filosofia, che sia stata ordinata da regolato sentimento, la quale non contegna in sé qualche buona proprietà che non è contenuta da le altre. Il simile intendo della medicina, che da tai principii deriva, quali presupponeno non imperfetto abito di filosofia; come l'operazion del piede o della mano, quella de l'occhio. Però è detto che non può aver buono principio di medicina chi non ha buon termine di filosofia.
 

•Dicasana•Molto mi piacete, e molto vi lodo; che, sì come non sète cossì plebeio come Aristotele, non sète anco cossì ingiurioso e ambizioso come lui; il quale l'opinioni di tutti altri filosofi con gli lor modi di filosofare volse che fussero a fatto dispreggiate.
 

•Teofilo•Benché, de quanti filosofi sono, io non conosca più fondato su l'imaginazioni e rimosso dalla natura che lui; e se pur qualche volta dice cose eccellenti, son conosciute che non dependeno da principii suoi, e però sempre son proposizioni tolte da altri filosofi; come ne veggiamo molte divine nel libro Della generazione, Meteora, De animali e Piante.
 

•Dicasana•Tornando dunque al nostro proposito: volete che della materia, senza errore e incorrere contradizione, se possa definire diversamente?
 

•Teofilo•Vero, come del medesmo oggetto possono esser giodici diversi sensi, e la medesma cosa si può insinuar diversamente. Oltre che (come è stato toccato) la considerazione di una cosa si può prendere da diversi capi. Hanno dette molte cose buone gli epicurei, benché non s'inalzassero sopra la qualità materiale. Molte cose excellenti ha date a conoscere Eraclito, benché non salisse sopra l'anima. Non manca Anassagora di far profitto nella natura, perché non solamente entro a quella, ma fuori e sopra forse, conoscer voglia un intelletto, il quale medesmo da Socrate, Platone, Trimegisto e nostri teologi è chiamato Dio. Cossì nientemanco bene può promovere a scuoprir gli arcani della natura uno che comincia dalla raggione esperimentale di semplici (chiamati da loro), che quelli che cominciano dalla teoria razionale. E di costoro, non meno chi da complessioni che chi da umori, e questo non più che colui che descende da' sensibili elementi, o, più da alto, quelli assoluti, o da la materia una, di tutti più alto e più distinto principio. Perché talvolta chi fa più lungo camino, non farà però sì buono peregrinaggio, massime se il suo fine non è tanto la contemplazione quanto l'operazione. Circa il modo poi di filosofare, non men comodo sarà di esplicar le forme come da un implicato che distinguerle come da un caos, che distribuirle come da una fonte ideale, che cacciarle in atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso abisso; perché ogni fundamento è buono, se viene approvato per l'edificio, ogni seme è convenevole se gli arbori e frutti sono desiderabili.
 

•Dicasana•Or, per venire al nostro scopo, piacciavi apportar la distinta dottrina di questo principio.
 

•Teofilo•Certo, questo principio, che è detto materia, può essere considerato in doi modi: prima, come una potenza; secondo, come un soggetto. In quanto che presa nella medesima significazione che potenza, non è cosa nella quale, in certo modo e secondo la propria raggione, non possa ritrovarse; e gli pitagorici, platonici, stoici e altri non meno l'han posta nel mondo intelligibile che nel sensibile. E noi, non la intendendo appunto come quelli la intesero, ma con una raggione più alta e più esplicata, in questo modo raggionamo della potenza over possibilità. La potenza comunmente si distingue in attiva, per la quale il soggetto di quella può operare; e in passiva, per la quale o può essere, o può ricevere, o può avere, o può essere soggetto di efficiente in qualche maniera. De la potenza attiva non raggionando al presente, dico che la potenza che significa in modo passivo (benché non sempre sia passiva) si può considerare o relativamente o vero assolutamente. E cossì non è cosa di cui si può dir l'essere, della quale non si dica il posser essere. E questa sì fattamente risponde alla potenza attiva, che l'una non è senza l'altra in modo alcuno; onde se sempre è stata la potenza di fare, di produre, di creare, sempre è stata la potenza di esser fatto, produto e creato; perché l'una potenza implica l'altra; voglio dir, con esser posta, lei pone necessariamente l'altra. La qual potenza, perché non dice imbecillità in quello di cui si dice, ma piuttosto confirma la virtù ed efficacia, anzi al fine si trova che è tutt'uno ed a fatto la medesma cosa con la potenza attiva, non è filosofo né teologo che dubiti di attribuirla al primo principio sopranaturale. Perché la possibilità assoluta per la quale le cose che sono in atto, possono essere, non è prima che la attualità, né tampoco poi che quella. Oltre, il possere essere è con lo essere in atto, e non precede quello; perché, se quel che può essere, facesse se stesso, sarebe prima che fusse fatto. Or contempla il primo e ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe tutto se non potesse essere tutto; in lui dunque l'atto e la potenza son la medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose, le quali, quantunque sono quello che possono essere, potrebono però non esser forse, e certamente altro, o altrimente che quel che sono; perché nessuna altra cosa è tutto quel che può essere. Lo uomo è quel che può essere, ma non è tutto quel che può essere. La pietra non è tutto quello che può essere, perché non è calci, non è vase, non è polve, non è erba. Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell'esser suo comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere qualsivoglia altra cosa che è e può essere. Ogni altra cosa non è cossì. Però la potenza non è equale a l'atto, perché non è atto assoluto ma limitato; oltre che la potenza sempre è limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere specificato e particolare; e se pur guarda ad ogni forma ed atto, questo è per mezzo di certe disposizioni e con certa successione di uno essere dopo l'altro. Ogni potenza dunque ed atto, che nel principio è come complicato, unito e uno, nelle altre cose è esplicato, disperso e moltiplicato. Lo universo, che è il grande simulacro, la grande imagine e l'unigenita natura, è ancor esso tutto quel che può essere, per le medesime specie e membri principali e continenza di tutta la materia, alla quale non si aggionge e dalla quale non si manca, di tutta e unica forma; ma non già è tutto quel che può essere per le medesime differenze, modi, proprietà ed individui. Però non è altro che un'ombra del primo atto e prima potenza, e pertanto in esso la potenza e l'atto non è assolutamente la medesima cosa, perché nessuna parte sua è tutto quello che può essere. Oltre che in quel modo specifico che abbiamo detto, l'universo è tutto quel che può essere, secondo un modo esplicato, disperso, distinto. Il principio suo è unitamente e indifferentemente; perché tutto è tutto e il medesmo semplicissimamente, senza differenza e distinzione.
 

•Dicasana•Che dirai della morte, della corrozione, di vizii, di diffetti, di mostri? Volete che questi ancora abiano luogo in quello che è il tutto, che può essere ed è in atto tutto quello che è in potenza?
 

•Teofilo•Queste cose non sono atto e potenza, ma sono difetto e impotenza, che si trovano nelle cose esplicate, perché non sono tutto quel che possono essere, e si forzano a quello che possono essere. Laonde, non possendo essere insieme e a un tratto tante cose, perdeno l'uno essere per aver l'altro: e qualche volta confondeno l'uno essere con l'altro, e talor sono diminuite, manche e stroppiate per l'incompassibilità di questo essere e di quello, e occupazion della materia in questo e quello. Or tornando al proposito, il primo principio assoluto è grandezza e magnitudine; ed è tal magnitudine e grandezza, che è tutto quel che può essere. Non è grande di tal grandezza che possa essere maggiore, né che possa esser minore, né che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non è tutto quel che può essere; però è grandezza massima, minima, infinita, impartibile e d'ogni misura. Non è maggiore, per esser minima; non è minima, per esser quella medesima massima; è oltre ogni equalità, perché è tutto quel che ella possa essere. Questo che dico della grandezza, intendi di tutto quel che si può dire: perché è similmente bontà che è ogni bontà che possa essere; è bellezza che è tutto il bello che può essere; e non è altro bello che sia tutto quello che può essere, se non questo uno. Uno è quello che è tutto e può esser tutto assolutamente. Nelle cose naturali oltre non veggiamo cosa alcuna che sia altro che quel che è in atto, secondo il quale è quel che può essere, per aver una specie di attualità; tuttavia né in quest'unico esser specifico giamai è tutto quel che può essere qualsivoglia particulare. Ecco il sole: non è tutto quello che può essere il sole, non è per tutto dove può essere il sole, perché, quando è oriente a la terra, non gli è occidente, né meridiano, né di altro aspetto. Or se vogliamo mostrar il modo con il quale Dio è sole, diremo (perché è tutto quel che può essere) che è insieme oriente, occidente, meridiano, merinoziale e di qualsivoglia di tutti punti de la convessitudine della terra; onde, se questo sole (o per sua revoluzione o per quella della terra) vogliamo intendere che si muova e muta loco, perché non è attualmente in un punto senza potenza di essere in tutti gli altri, e però ave attitudine ad esservi; se dunque è tutto quel che può essere e possiede tutto quello che è atto a possedere, sarà insieme per tutto ed in tutto; è si fattamente mobilissimo e velocissimo, che è anco stabilissimo e immobilissimo. Però tra gli divini discorsi troviamo che è detto stabile in eterno e velocissimo che discorre da fine a fine; perché se intende inmobile quello che in uno istante medesimo si parte dal punto di oriente ed è ritornato al punto di oriente, oltre che non meno si vede in oriente che in occidente e qualsivoglia altro punto del circuito suo; per il che non è più raggione che diciamo egli partirsi e tornare, esser partito e tornato, da quel punto a quel punto, che da qualsivoglia altro de infiniti al medesimo. Onde verrà esser tutto e sempre in tutto il circolo ed in qualsivoglia parte di quello; e per consequenza ogni punto individuo dell'eclittica contiene tutto il diametro del sole. E cossì viene uno individuo a contener il dividuo; il che non accade per la possibilità naturale, ma sopranaturale; voglio dire quando si supponesse che il sole fosse quello che è in atto tutto quel che può essere. La potestà sì assoluta non è solamente quel che può essere il sole, ma quel che è ogni cosa e quel che può essere ogni cosa: potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere de tutto l'essere; onde altamente è detto dal Revelatore: "Quel che è, me invia; Colui che è, dice cossì". Però quel che altrove è contrario ed opposito, in lui è uno e medesimo, ed ogni cosa in lui è medesima cossì discorri per le differenze di tempi e durazioni, come per le differenze di attualità e possibilità. Però lui non è cosa antica e non è cosa nuova; per il che ben disse il Revelatore: "primo e novissimo".
 

•Dicasana•Questo atto absolutissimo, che è medesimo che l'absolutissima potenza, non può esser compreso da l'intelletto, se non per modo di negazione: non può, dico, esser capito, né in quanto può esser tutto, né in quanto è tutto. Perché l'intelletto, quando vuole intendere, gli fia mestiero di formar la specie intelligibile, di assomigliarsi, di conmesurarsi ed ugualarsi a quella: ma questo è impossibile, perché l'intelletto mai è tanto che non possa essere maggiore; e quello per essere inmenso da tutti lati e modi non può esser più grande. Non è dunque occhio ch'approssimar si possa o ch'abbia accesso a tanto altissima luce e sì profondissimo abisso.
 

•Teofilo•La concidenzia di questo atto con l'assoluta potenza è stata molto apertamente descritta dal spirto divino dove dice: "Tenebrae non obscurabuntur a te. Nox sicut dies illuminabitur. Sicut tenebrae eius, ita et lumen eius". Conchiudendo, dunque, vedete quanta sia l'eccellenza della potenza, la quale, se vi piace chiamarla raggione di materia, che non hanno penetrato i filosofi volgari, la possete senza detraere alla divinità trattar più altamente, che Platone nella sua Politica e il Timeo. Costoro, per averno troppo alzata la raggione della materia, son stati scandalosi ad alcuni teologi. Questo è accaduto o perché quelli non si son bene dechiarati, o perché questi non hanno bene inteso, perché sempre prendeno il significato della materia secondo che è soggetto di cose naturali, solamente come nodriti nelle sentenze d'Aristotele; e non considerano che la materia è tale appresso gli altri, che è comune al mondo intelligibile e sensibile, come essi dicono, prendendo il significato secondo una equivocazione analoga. Però, prima che sieno condannate, denno essere ben bene essaminate le opinioni, e cossì distinguere i linguaggi come son distinti gli sentimenti; atteso che, benché tutti convegnano talvolta in una raggion comune della materia, sono differenti poi nella propria. E quanto appartiene al nostro proposito, è impossibile (tolto il nome della materia, e sie capzioso e malvaggio ingegno quanto si voglia) che si trove teologo che mi possa imputar impietà per quel che dico e intendo della coincidenza della potenza e atto, prendendo assolutamente l'uno e l'altro termino. Onde vorrei inferire che, - secondo tal proporzione quale è lecito dire, in questo simulacro di quell'atto e di quella potenza (per essere in atto specifico tutto quel tanto che è in specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che può essere), sie che si voglia quanto all'atto e potenza numerale, - viene ad aver una potenza la quale non è absoluta dall'atto, una anima non absoluta da l'animato, non dico il composto, ma il semplice: onde cossì de l'universo sia un primo principio che medesmo se intenda, non più distintamente materiale e formale, che possa inferirse dalla similitudine del predetto, potenza absoluta e atto. Onde non fia difficile o grave di accettar al fine che il tutto, secondo la sustanza, è uno, come forse intese Parmenide, ignobilmente trattato da Aristotele.
 

•Dicasana•Volete dunque che, benché descendendo per questa scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale, altra corporale, che in somma l'una e l'altra se riduca ad uno essere e una radice.
 

•Teofilo•Se vi par che si possa comportar da quei che non penetrano più che tanto.
 

•Dicasana•Facilissimamente, purché non t'inalzi sopra i termini della natura.
 

•Teofilo•Questo è già fatto. Se non avendo quel medesimo senso e modo di diffinire della divinità, il qual è comune, avemo un particolare, non però contrario né alieno da quello, ma più chiaro forse e più esplicato, secondo la raggione che non è sopra il nostro discorso, da la quale non vi promesi di astenermi.
 

•Dicasana•Assai è detto del principio materiale, secondo la raggione della possibilità o potenza; piacciavi domani di apparecchiarvi alla considerazion del medesimo, secondo la raggione dell'esser soggetto.
 

•Teofilo•Cossì farò.
 

•Gervasio•A rivederci.
 

•Poliinnio•Bonis avibus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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