Secondo Dialogo

Interlocutori: Dicsono Arelio, Teofilo, Gervasio, Poliinnio.

 

•Dicasana•Di grazia, maestro Poliinnio, e tu, Gervasio, non interrompete oltre i nostri discorsi.

•Poliinnio•Fiat.
 

•Gervasio•Se costui, che è il magister, parla, senza dubio io non posso tacere.
 

•Dicasana•Sì che dite, Teofilo, che ogni cosa, che non è primo principio e prima causa, ha principio ed ha causa?
 

•Teofilo•Senza dubio e senza controversia alcuna.
 

•Dicasana•Credete per questo, che chi conosce le cose causate e principiate, conosca la causa e principio?
 

•Teofilo•Non facilmente la causa prossima e principio prossimo, difficilissimamente, anco in vestigio, la causa principio primo.
 

•Dicasana•Or come intendete che le cose, che hanno causa e principio primo e prossimo, siano veramente conosciute, se, secondo la raggione della causa efficiente (la quale è una di quelle che concorreno alla real cognizione de le cose), sono occolte?
 

•Teofilo•Lascio che è facil cosa ordinare la dottrina demostrativa, ma il demostrare è difficile; agevolissima cosa è ordinare le cause, circostanze e metodi di dottrine; ma poi malamente gli nostri metodici e analitici metteno in esecuzione i loro organi, principii di metodi ed arti de le arti.
 

•Gervasio•Come quei che san far sì belle spade, ma non le sanno adoperare.
 

•Poliinnio•Ferme.
 

•Gervasio•Fermàti te siano gli occhi, che mai le possi aprire.
 

•Teofilo•Dico però che non si richiede dal filosofo naturale che ammeni tutte le cause e principii; ma le fisiche sole, e di queste le principali e proprie. Benché dunque, perché dependeno dal primo principio e causa, si dicano aver quella causa e quel principio, tuttavolta non è sì necessaria relazione, che da la cognizione de l'uno s'inferisca la cognizione de l'altro. E però non si richiede che vengano ordinati in una medesma disciplina.
 

•Dicasana•Come questo?
 

•Teofilo•Perché dalla cognizione di tutte cose dependenti non possiamo inferire altra notizia del primo principio e causa che per modo men efficace che di vestigio, essendo che il tutto deriva dalla sua volontà o bontà, la quale è principio della sua operazione, da cui procede l'universale effetto. Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali, in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede il ritratto di Elena, non vede Apelle, ma vede lo effetto de l'operazione che proviene da la bontà de l'ingegno d'Apelle, il che tutto è uno effetto degli accidenti e circostanze de la sustanza di quell'uomo, il quale, quanto al suo essere assoluto, non è conosciuto punto.
 

•Dicasana•Tanto che conoscere l'universo, è come conoscer nulla dello essere e sustanza del primo principio, perché è come conoscere gli accidenti degli accidenti.
 

•Teofilo•Cossì; ma non vorei che v'imaginaste ch'io intenda in Dio essere accidenti, o che possa esser conosciuto come per suoi accidenti.
 

•Dicasana•Non vi attribuisco sì duro ingegno; e so che altro è dire essere accidenti, altro essere suoi accidenti, altro essere come suoi accidenti ogni cosa che è estranea dalla natura divina. Nell'ultimo modo di dire credo che intendete essere gli effetti della divina operazione; li quali, quantunque siano la sustanza de le cose, anzi e l'istesse sustanze naturali, tuttavolta sono come accidenti remotissimi, per farne toccare la cognizione appreensiva della divina soprannaturale essenza.
 

•Teofilo•Voi dite bene.
 

•Dicasana•Ecco dunque, che della divina sustanza, sì per essere infinita sì per essere lontanissima da quelli effetti che sono l'ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non possiamo conoscer nulla, se non per modo di vestigio, come dicono i platonici, di remoto effetto, come dicono i peripatetici, di indumenti, come dicono i cabalisti, di spalli o posteriori, come dicono i thalmutisti, di spechio, ombra ed enigma, come dicono gli apocaliptici.
 

•Teofilo•Anzi di più: perché non veggiamo perfettamente questo universo di cui la sustanza e il principale è tanto difficile ad essere compreso, avviene che assai con minor raggione noi conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto, che Apelle per le sue formate statue possa esser conosciuto; perché queste le possiamo veder tutte ed essaminar parte per parte, ma non già il grande e infinito effetto della divina potenza. Però quella similitudine deve essere intesa senza proporzional comparazione.
 

•Dicasana•Cossì è, e cossì la intendo.
 

•Teofilo•Sarà dunque bene d'astenerci da parlar di sì alta materia.
 

•Dicasana•Io lo consento, perché basta moralmente e teologalmente conoscere il primo principio in quanto che i superni numi hanno revelato e gli uomini divini dechiarato. Oltre che, non solo qualsivoglia legge e teologia, ma ancora tutte riformate filosofie conchiudeno esser cosa da profano e turbulento spirto il voler precipitarsi a dimandar raggione e voler definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra intelligenza.
 

•Teofilo•Bene. Ma non tanto son degni di riprensione costoro, quanto son degnissimi di lode quelli che si forzano alla cognizione di questo principio e causa, per apprendere la sua grandezza quanto fia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi magnifici astri e lampeggianti corpi, che son tanti abitati mondi e grandi animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non molto dissimili a questo che ne contiene; i quali, essendo impossibile ch'abbiano l'essere da per sé, atteso che sono composti e dissolubili (benché non per questo siano degni d'esserno disciolti, come è stato ben detto nel Timeo, è necessario che conoscano principio e causa, e consequentemente con la grandezza del suo essere, vivere ed oprare: monstrano e predicano in uno spacio infinito, con voci innumerabili, la infinita eccellenza e maestà del suo primo principio e causa. Lasciando dunque, come voi dite, quella considerazione per quanto è superiore ad ogni senso e intelletto, consideriamo del principio e causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessa o pur riluce ne l'ambito e grembo di quella. Voi dunque dimandatemi per ordine, se volete ch'io per ordine vi risponda.
 

•Dicasana•Cossì farò. Ma primamente, perché usate dir causa e principio, vorei saper se questi son tolti da voi come nomi sinonimi?
 

•Teofilo•Non.
 

•Dicasana•Or dunque, che differenza è tra l'uno e l'altro termino?
 

•Teofilo•Rispondo, che, quando diciamo Dio primo principio e prima causa, intendiamo una medesma cosa con diverse raggioni; quando diciamo nella natura principii e cause, diciamo diverse cose con sue diverse raggioni. Diciamo Dio primo principio, in quanto tutte cose sono dopo lui, secondo certo ordine di priore e posteriore, o secondo la natura, o secondo la durazione, o secondo la dignità. Diciamo Dio prima causa, in quanto che le cose tutte son da lui distinte come lo effetto da l'efficiente, la cosa prodotta dal producente. E queste due raggioni son differenti, perché non ogni cosa, che è priore e più degna, è causa di quello ch'è posteriore e men degno; e non ogni cosa che è causa, è priore e più degna di quello che è causato, come è ben chiaro a chi ben discorre.
 

•Dicasana•Or dite in proposito naturale, che differenza è tra causa e principio?
 

•Teofilo•Benché alle volte l'uno si usurpa per l'altro, nulladimeno, parlando propriamente, non ogni cosa che è principio, è causa, perché il punto è principio della linea, ma non è causa di quella; l'instante è principio dell'operazione; il termine onde è principio del moto e non causa del moto; le premisse son principio dell'argumentazione, non son causa di quella. Però principio è più general termino che causa.
 

•Dicasana•Dunque, strengendo questi doi termini a certe proprie significazioni, secondo la consuetudine di quei che parlano più riformatamente, credo che vogliate che principio sia quello che intrinsecamente concorre alla constituzione della cosa e rimane nell'effetto, come dicono la materia e forma, che rimangono nel composto, o pur gli elementi da' quali la cosa viene a comporsi e ne' quali va a risolversi. Causa chiami quella che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l'essere fuor de la composizione, come è l'efficiente e il fine, al qual è ordinata la cosa prodotta.
 

•Teofilo•Assai bene.
 

•Dicasana•Or poi che siamo risoluti de la differenza di queste cose, prima desidero che riportiate la vostra intenzione circa le cause, e poi circa gli principii. E quanto alle cause, prima vorei saper della efficiente prima; della formale che dite esser congionta all'efficiente; oltre, della finale, la quale se intende motrice di questa.
 

•Teofilo•Assai mi piace il vostro ordine di proponere. Or, quanto alla causa effettrice, dico l'efficiente fisico universale essere l'intelletto universale, che è la prima e principal facultà de l'anima del mondo, la quale è forma universale di quello.
 

•Dicasana•Mi parete essere non tanto conforme all'opinione di Empedocle, quanto più sicuro, più distinto e più esplicato; oltre, per quanto la soprascritta mi fa vedere, più profondo. Però ne farete cosa grata di venire alla dechiarazion del tutto per il minuto, cominciando dal dire che cosa sia questo intelletto universale.
 

•Teofilo•L'intelletto universale è l'intima, più reale e propria facultà e parte potenziale de l'anima del mondo. Questo è uno medesmo, che empie il tutto, illumina l'universo e indrizza la natura a produre le sue specie come si conviene; e cossì ha rispetto alla produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione di specie razionali. Questo è chiamato da' pitagorici motore ed esagitator de l'universo, come esplicò il Poeta, che disse: totamque infusa per artus Mens agitat molem, et toto se corpore miscet.
 

Questo è nomato da' platonici fabro del mondo. Questo fabro, dicono, procede dal mondo superiore, il quale è a fatto uno, a questo mondo sensibile, che è diviso in molti; ove non solamente la amicizia, ma anco la discordia, per la distanza de le parti, vi regna. Questo intelletto, infondendo e porgendo qualche cosa del suo nella materia, mantenendosi lui quieto e inmobile, produce il tutto. È detto da' maghi fecondissimo de semi, o pur seminatore; perché lui è quello che impregna la materia di tutte forme e, secondo la raggione e condizion di quelle, la viene a figurare, formare, intessere con tanti ordini mirabili, li quali non possono attribuirsi al caso, né ad altro principio che non sa distinguere e ordinare. Orfeo lo chiama occhio del mondo, per ciò che il vede entro e fuor tutte le cose naturali, a fine che tutto non solo intrinseca, ma anco estrinsecamente venga a prodursi e mantenersi nella propria simmetria. Da Empedocle è chiamato distintore, come quello che mai si stanca nell'esplicare le forme confuse nel seno della materia e di suscitar la generazione de l'una dalla corrozion de l'altra cosa. Plotino lo dice padre e progenitore, perché questo distribuisce gli semi nel campo della natura, ed è il prossimo dispensator de le forme. Da noi si chiama artefice interno, perché forma la materia e la figura da dentro, come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori, gli frutti; e da dentro, a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e frutti alle brance, da le brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla radice. Similmente negli animali spiegando il suo lavore dal seme prima, e dal centro del cuore a li membri esterni, e da quelli al fine complicando verso il cuore l'esplicate facultadi, fa come già venesse a ringlomerare le già distese fila. Or, se credemo non essere senza discorso e intelletto prodotta quell'opra come morta, che noi sappiamo fengere con certo ordine e imitazione ne la superficie della materia, quando, scorticando e scalpellando un legno, facciamo apparir l'effige d'un cavallo; quanto credere dobbiamo esser maggior quel intelletto artefice, che da l'intrinseco della seminal materia risalda l'ossa, stende le cartilagini, incava le arterie, inspira i pori, intesse le fibre, ramifica gli nervi, e con sì mirabile magistero dispone il tutto? Quanto, dico, più grande artefice è questo, il quale non è attaccato ad una sola parte de la materia, ma opra continuamente tutto in tutto? Son tre sorte de intelletto; il divino che è tutto, questo mundano che fa tutto, gli altri particolari che si fanno tutto; perché bisogna che tra gli estremi se ritrove questo mezzo, il quale è vera causa efficiente, non tanto estrinseca come anco intrinseca, de tutte cose naturali.
 

•Dicasana•Vi vorei veder distinguere come lo intendete causa estrinseca e come intrinseca.
 

•Teofilo•Lo chiamo causa estrinseca, perché, come efficiente, non è parte de li composti e cose produtte. È causa intrinseca, in quanto che non opra circa la materia e fuor di quella, ma, come è stato poco fa detto. Onde è causa estrinseca per l'esser suo distinto dalla sustanza ed essenza degli effetti, e perché l'essere suo non è come di cose generabili e corrottibili, benché verse circa quelle; è causa intrinseca quanto a l'atto della sua operazione.
 

•Dicasana•Mi par ch'abbiate a bastanza parlato della causa efficiente. Or vorei intendere che cosa è quella che volete sia la causa formale gionta all'efficiente: è forse la raggione ideale? Perché ogni agente che opra secondo la regola intellettuale, non procura effettuare se non secondo qualche intenzione; e questa non è senza apprensione di qualche cosa; e questa non è altro che la forma de la cosa che è da prodursi: e per tanto questo intelletto, che ha facultà di produre tutte le specie e cacciarle con sì bella architettura dalla potenza della materia a l'atto, bisogna che le preabbia tutte secondo certa raggion formale, senza la quale l'agente non potrebe procedere alla sua manifattura; come al statuario non è possibile d'essequir diverse statue senza aver precogitate diverse forme prima.
 

•Teofilo•Eccellentemente la intendete, perché voglio che siano considerate due sorte di forme: l'una, la quale è causa, non già efficiente, ma per la quale l'efficiente effettua; l'altra è principio, la quale da l'efficiente è suscitata da la materia.
 

•Dicasana•Il scopo e la causa finale, la qual si propone l'efficiente, è la perfezion dell'universo; la quale è che.in diverse parti della materia tutte le forme abbiano attuale esistenza: nel qual fine tanto si deletta e si compiace l'intelletto, che mai si stanca suscitando tutte sorte di forme da la materia, come par che voglia ancora Empedocle.
 

•Teofilo•Assai bene. E giongo a questo che, sicome questo efficiente è universale nell'universo ed è speciale e particulare nelle parti e membri di quello, cossì la sua forma e il suo fine.
 

•Dicasana•Or assai è detto delle cause; procediamo a raggionar de gli principii.
 

•Teofilo•Or, per venire a li principii constitutivi de le cose, prima raggionarò de la forma per esser medesma in certo modo con la già detta causa efficiente; per che l'intelletto che è una potenza de l'anima del mondo, è stato detto efficiente prossimo di tutte cose naturali.
 

•Dicasana•Ma come il medesmo soggetto può essere principio e causa di cose naturali? Come può aver raggione di parte intrinseca, e non di parte estrinseca?
 

•Teofilo•Dico che questo non è inconveniente, considerando che l'anima è nel corpo come nocchiero nella nave. Il qual nocchiero, in quanto vien mosso insieme con la nave, è parte di quella; considerato in quanto che la governa e muove, non se intende parte, ma come distinto efficiente. Cossì l'anima de l'universo, in quanto che anima e informa, viene ad esser parte intrinseca e formale di quello; ma, come che drizza e governa, non è parte, non ha raggione di principio, ma di causa. Questo ne accorda l'istesso Aristotele; il qual, quantunque neghi l'anima aver quella raggione verso il corpo, che ha il nocchiero alla nave, tuttavolta, considerandola secondo quella potenza con la quale intende e sape, non ardisce di nomarla atto e forma di corpo; ma, come uno efficiente, separato dalla materia secondo l'essere, dice che quello è cosa che viene di fuora, secondo la sua subsistenza, divisa dal composto.
 

•Dicasana•Approvo quel che dite, perché, se l'essere separata dal corpo alla potenza intellettiva de l'anima nostra conviene, e lo aver raggione di causa efficiente, molto più si deve affirmare dell'anima del mondo; Perché dice Plotino, scrivendo contra gli Gnostici, che "con maggior facilità l'anima del mondo regge l'universo, che l'anima nostra il corpo nostro"; poscia è gran differenza dal modo con cui quella e questa governa. Quella, non come alligata, regge il mondo di tal sorte che la medesma non leghi ciò che prende; quella non patisce da l'altre cose né con l'altre cose; quella senza impedimento s'inalza alle cose superne; quella, donando la vita e perfezione al corpo, non riporta da esso imperfezione alcuna; e però eternamente è congionta al medesmo soggetto. Questa poi è manifesto che è di contraria condizione. Or se, secondo il vostro principio, le perfezioni che sono nelle nature inferiori, più altamente denno essere attribuite e conosciute nelle nature superiori, doviamo senza dubio alcuno affirmare la distinzione che avete apportata. Questo non solo viene affirmato ne l'anima del mondo, ma anco de ciascuna stella, essendo, come il detto filosofo vole, che tutte hanno potenza di contemplare Idio, gli principii di tutte le cose e la distribuzione degli ordini de l'universo; e vole che questo non accade per modo di memoria, di discorso e considerazione, perché ogni lor opra è opra eterna, e non è atto che gli possa esser nuovo, e però niente fanno che non sia al tutto condecente, perfetto, con certo e prefisso ordine, senza atto di cogitazione; come, per essempio di un perfetto scrittore e citarista, mostra ancora Aristotele, quando, per questo che la natura non discorre e ripensa, non vuole che si possa conchiudere che ella opra senza intelletto e intenzion finale, perché li musici e scrittori esquisiti meno sono attenti a quel che fanno, e non errano come gli più rozzi ed inerti, gli quali, con più pensarvi e attendervi, fanno l'opra men perfetta e anco non senza errore.
 

•Teofilo•La intendete. Or venemo al più particolare. Mi par che detraano alla divina bontà e all'eccellenza di questo grande animale e simulacro del primo principio, quelli che non vogliono intendere né affirmare il mondo con gli suoi membri essere animato, come Dio avesse invidia alla sua imagine, come l'architetto non amasse l'opra sua singulare; di cui dice Platone, che si compiacque nell'opificio suo, per la sua similitudine che remirò in quello. E certo che cosa può più bella di questo universo presentarsi agli occhi della divinità? ed essendo che quello costa di sue parti, a quali di esse si deve più attribuire che al principio formale? Lascio a meglio e più particolar discorso mille raggioni naturali oltre questa topicale o logica.
 

•Dicasana•Non mi curo che vi sforziate in ciò, atteso non è filosofo di qualche riputazione, anco tra' peripatetici, che non voglia il mondo e le sue sfere essere in qualche modo animate. Vorei ora intendere, con che modo volete da questa forma venga ad insinuarsi alla materia de l'universo.
 

•Teofilo•Se gli gionge di maniera che la natura del corpo, la quale secondo sé non è bella, per quanto è capace viene a farsi partecipe di bellezza, atteso che non è bellezza se non consiste in qualche specie o forma, non è forma alcuna che non sia prodotta da l'anima.
 

•Dicasana•Mi par udir cosa molto nova: volete forse che non solo la forma de l'universo, ma tutte quante le forme di cose naturali siano anima?
 

•Teofilo•Sì.
 

•Dicasana•Sono dunque tutte le cose animate?
 

•Teofilo•Sì.
 

•Dicasana•Or chi vi accordarà questo?
 

•Teofilo•Or chi potrà riprovarlo con raggione?
 

•Dicasana•È comune senso che non tutte le cose vivono.
 

•Teofilo•Il senso più comune non è il più vero.
 

•Dicasana•Credo facilmente che questo si può difendere. Ma non bastarà a far una cosa vera perché la si possa difendere, atteso che bisogna che si possa anco provare.
 

•Teofilo•Questo non è difficile. Non son de' filosofi che dicono il mondo essere animato?
 

•Dicasana•Son certo molti, e quelli principalissimi.
 

•Teofilo•Or perché gli medesmi non diranno le parti tutte.del mondo essere animate?
 

•Dicasana•Lo dicono certo, ma de le parti principali, e quelle che son vere parti del mondo; atteso che non in minor raggione vogliono l'anima essere tutta in tutto il mondo, e tutta in qualsivoglia parte di quello, che l'anima degli animali, a noi sensibili, è tutta per tutto.
 

•Teofilo•Or quali pensate voi, che non siano parti del mondo vere?
 

•Dicasana•Quelle che non son primi corpi, come dicono i peripatetici: la terra con le acqui e altre parti, le quali, secondo il vostro dire, constituiscono l'animale intiero: la luna, il sole, e altri corpi. Oltre questi principali animali, son quei che non sono primere parti de l'universo, de quali altre dicono aver l'anima vegetativa, altre la sensitiva, altre la intellettiva.
 

•Teofilo•Or, se l'anima per questo che è nel tutto, è anco ne le parti, perché non volete che sia ne le parti de le parti?
 

•Dicasana•Voglio, ma ne le parti de le parti de le cose animate.
 

•Teofilo•Or quali son queste cose, che non sono animate, o non son parte di cose animate?
 

•Dicasana•Vi par che ne abbiamo poche avanti gli occhi? Tutte le cose che non hanno vita.
 

•Teofilo•E quali son le cose che non hanno vita, almeno principio vitale?
 

•Dicasana•Per conchiuderla, volete voi che non sia cosa che non abbia anima, e che non abbia principio vitale?
 

•Teofilo•Questo è quel ch'io voglio al fine.
 

•Poliinnio•Dunque, un corpo morto ha anima? dunque, i miei calopodii, le mie pianella, le mie botte, gli miei proni e il mio annulo e chiroteche serano animate? la mia toga e il mio pallio sono animati?
 

•Gervasio•Sì, messer sì, mastro Poliinnio, perché non? Credo bene che la tua toga e il tuo mantello è bene animato, quando contiene un animal, come tu sei, dentro; le botte e gli sproni sono animati, quando contengono gli piedi; il cappello è animato, quando contiene il capo, il quale non è senza anima; e la stalla è anco animata quando contiene il cavallo, la mula over la Signoria Vostra. Non la intendete cossì, Teofilo? non vi par ch'io l'ho compresa meglio che il dominus magister?
 

•Poliinnio•Cuium pecus? come che non si trovano degli asini etiam atque etiam sottili? hai ardir tu, apirocalo, abecedario, di volerti equiparare ad un archididascalo e moderator di ludo minervale par mio?
 

•Gervasio•Pax vobis, domine magister, servus servorum et scabellum pedum tuorum.
 

•Poliinnio•Maledicat te Deus in secula seculorum.
 

•Dicasana•Senza còlera: lasciatene determinar queste cose a noi.
 

•Poliinnio•Prosequatur ergo sua dogmata Theophilus.
 

•Teofilo•Cossì farò. Dico dunque, che la tavola come tavola non è animata, né la veste, né il cuoio come cuoio, né il vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé la materia e la forma. Sia pur cosa quanto piccola e minima si voglia, ha in sé parte di sustanza spirituale; la quale, se trova il soggetto disposto, si stende ad esser pianta, ad esser animale, e riceve membri di qualsivoglia corpo che comunmente se dice animato: perché spirto si trova in tutte le cose, e non è minimo corpusculo che non contegna cotal porzione in sé che non inanimi.
 

•Poliinnio•Ergo, quidquid est, animal est.
 

•Teofilo•Non tutte le cose che hanno anima si chiamano animate.
 

•Dicasana•Dunque, almeno, tutte le cose han vita?
 

•Teofilo•Concedo che tutte le cose hanno in sé anima, hanno vita, secondo la sustanza e non secondo l'atto ed operazione conoscibile da' peripatetici tutti, e quelli che la vita e anima definiscono secondo certe raggioni troppo grosse.
 

•Dicasana•Voi mi scuoprite qualche modo verisimile con il quale si potrebe mantener l'opinion d'Anaxagora; che voleva ogni cosa essere in ogni cosa, perché, essendo il spirto o anima o forma universale in tutte le cose, da tutto si può produr tutto.
 

•Teofilo•Non dico verisimile, ma vero; perché quel spirto si trova in tutte le cose, le quali, se non sono animali, sono animate; se non sono secondo l'atto sensibili d'animalità e vita, son però secondo il principio e certo atto primo d'animalità e vita. E non dico di vantaggio, perché voglio supersedere circa la proprietà di molti lapilli e gemme; le quali, rotte e recise e poste in pezzi disordinati, hanno certe virtù di alterar il spirto ed ingenerar novi affetti e passioni ne l'anima, non solo nel corpo. E sappiamo noi che tali effetti non procedeno, né possono provenire da qualità puramente materiale, ma necessariamente si riferiscono a principio simbolico vitale e animale; oltre che il medesmo veggiamo sensibilmente ne' sterpi e radici smorte, che, purgando e congregando gli umori, alterando gli spirti, mostrano necessariamente effetti di vita. Lascio che non senza caggione li necromantici sperano effettuar molte cose per le ossa de' morti; e credeno che quelle ritegnano, se non quel medesmo, un tale però e quale atto di vita, che gli viene a proposito a effetti estraordinarii. Altre occasioni mi faranno più a lungo discorrere circa la mente, il spirto, l'anima, la vita che penetra tutto, è in tutto e move tutta la materia; empie il gremio di quella, e la sopravanza più tosto che da quella è sopravanzata, atteso che la sustanza spirituale dalla materiale non può essere superata, ma più tosto la viene a contenere.
 

•Dicasana•Questo mi par conforme non solo al senso di Pitagora, la cui sentenza recita il Poeta, quando dice:

 
Principio caelum ac terras camposque liquentes,
Lucentemque globum lunae Titaniaque astra
Spiritus intus alit, totamque infusa per artus
Mens agitat molem, totoque se corpore miscet;


ma ancora al senso del teologo, che dice: "il spirito colma ed empie la terra, e quello che contiene il tutto". E un altro, parlando forse del commercio della forma con la materia e la potenza, dice che è sopravanzata da l'atto e da.la forma.

 

•Teofilo•Se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia; viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma de tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo è il principio formale constitutivo de l'universo e di ciò che in quello si contiene. Dico che, se la vita si trova in tutte le cose, l'anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e consistenzia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a cotal forma, che a la materia. Questa intendo essere una di tutte le cose; la qual però, secondo la diversità delle disposizioni della materia e secondo la facultà de' principii materiali attivi e passivi, viene a produr diverse figurazioni, ed effettuar diverse facultadi, alle volte mostrando effetto di vita senza senso, talvolta effetto di vita e senso senza intelletto, talvolta par ch'abbia tutte le facultadi suppresse e reprimute o dalla imbecillità o da altra raggione de la materia. Cossì, mutando questa forma sedie e vicissitudine, è impossibile che se annulle, perché non è meno subsistente la sustanza spirituale che la materiale. Dunque le formi esteriori sole si cangiano e si annullano ancora, perché non sono cose ma de le cose, non sono sustanze, ma de le sustanze sono accidenti e circostanze.
 

•Poliinnio•Non entia sed entium.


•Dicasana•Certo, se de le sustanze s'annullasse qualche cosa, verrebe ad evacuarse il mondo.
 

•Teofilo•Dunque abbiamo un principio intrinseco formale, eterno e subsistente, incomparabilmente megliore di quello ch'han finto gli sofisti che versano circa gli accidenti, ignoranti della sustanza de le cose, e che vengono a ponere le sustanze corrottibili, perché quello chiamano massimamente, primamente e principalmente sustanza, che resulta da la composizione; il che non è altro ch'uno accidente, che non contiene in sé nulla stabilità e verità, e se risolve in nulla. Dicono quello esser veramente omo che resulta dalla composizione; quello essere veramente anima che è o perfezione ed atto di corpo vivente, o pur cosa che resulta da certa simmetria di complessione e membri. Onde non è maraviglia se fanno tanto e prendeno tanto spavento per la morte e dissoluzione, come quelli a' quali è imminente la iattura de l'essere. Contra la qual pazzia crida ad alte voci la natura, assicurandoci che non gli corpi né l'anima deve temer la morte, perché tanto la materia quanto la forma sono principii constantissimi:

 
O genus attonitum gelidae formidine mortis,
Quid Styga, quid tenebras et nomina vana timetis
Materiam vatum falsique pericula mundi?
Corpora sive rogus flamma seu tabe vetustas
Abstulerit, mala posse pati non ulla putetis:
Morte carent animae domibus habitantque receptae.
Omnia mutantur, nihil interit.

 
•Dicasana•Conforme a questo mi par che dica il sapientissimo.stimato tra gli Ebrei Salomone: Quid est quod est? Ipsum quod fuit. Quid est quod fuit? Ipsum quod est. Nihil sub sole novum. - Sì che questa forma, che voi ponete, non è inesistente e aderente a la materia secondo l'essere, non depende dal corpo e da la materia a fine che subsista?
 

•Teofilo•Cossì è. E oltre ancora non determino se tutta la forma è accompagnata da la materia, cossì come già sicuramente dico de la materia non esser parte che a fatto sia destituita da quella, eccetto compresa logicamente, come da Aristotele, il quale mai si stanca di dividere con la raggione quello che è indiviso secondo la natura e verità.
 

•Dicasana•Non volete che sia altra forma che questa eterna compagna de la materia?


•Teofilo•E più naturale ancora, che è la forma materiale, della quale raggionaremo appresso. Per ora notate questa distinzione de la forma, che è una sorte di forma prima, la quale informa, si estende e depende; e questa, perché informa il tutto, è in tutto; e perché la si stende, comunica la perfezione del tutto alle parti; e perché la dipende e non ha operazione da per sé, viene a communicar la operazion del tutto alle parti; similmente il nome e l'essere. Tale è la forma materiale, come quella del fuoco; perché ogni parte del fuoco scalda, si chiama fuoco, ed è fuoco. Secondo, è un'altra sorte di forma, la quale informa e depende, ma non si stende; e tale, perché fa perfetto e attua il tutto, è nel tutto e in ogni parte di quello; perché non si stende, avviene che l'atto del tutto non attribuisca a le parti; perché depende, l'operazione del tutto comunica a le parti. E tale è l'anima vegetativa e sensitiva, perché nulla parte de l'animale è animale, e nulladimeno ciascuna parte vive e sente. Terzo, è un'altra sorte di forma, la quale attua e fa perfetto il tutto, ma non si stende, né depende quanto a l'operazione. Questa perché attua e fa perfetto, è nel tutto, e in tutto e in ogni parte; perché la non si stende, la perfezione del tutto non attribuisce a le parti; perché non depende, non comunica l'operazione. Tale è l'anima per quanto può esercitar la potenza intellettiva, e si chiama intellettiva; la quale non fa parte alcuna de l'uomo che si possa nomar uomo, né sia uomo, né si possa dir che intenda. Di queste tre specie la prima è materiale, che non si può intendere, né può essere senza materia; l'altre due specie (le quali in fine concorreno a uno, secondo la sustanza ed essere, e si distingueno secondo il modo che sopra abbiamo detto) denominiamo quel principio formale, il quale è distinto dal principio materiale.
 

•Dicasana•Intendo.


•Teofilo•Oltre di questo voglio che si avertisca che, benché, parlando secondo il modo comune, diciamo che sono cinque gradi de le forme: cioè di elemento, misto, vegetale, sensitivo e intellettivo; non lo intendiamo però secondo l'intenzion volgare; perché questa distinzione vale secondo l'operazioni che appaiono e procedono dagli suggetti, non secondo quella raggione de l'essere primario e fondamentale di quella forma e vita spirituale, la quale medesma empie tutto, e non secondo il medesmo modo.
•Dicasana•
Intendo. Tanto che questa forma, che voi ponete per principio, è forma subsistente, constituisce specie perfetta, è in proprio geno, e non è parte di specie, come quella peripatetica.
 

•Teofilo•Cossì è.

 

•Dicasana•La distinzione de le forme nella materia non è secondo le accidentali disposizioni che dependeno da la forma materiale.


•Teofilo•Vero.


•Dicasana•Onde anco questa forma separata non viene essere moltiplicata secondo il numero, perché ogni multiplicazione numerale depende da la materia.

 
•Teofilo•Sì.


•Dicasana•Oltre, in sé invariabile, variabile poi per li soggetti e diversità di materie. E cotal forma, benché nel soggetto faccia differir la parte dal tutto, ella però non differisce nella parte e nel tutto; benché altra raggione li convegna come subsistente da per sé, altra in quanto che è atto e perfezione di qualche soggetto, ed altra poi a riguardo d'un soggetto con disposizioni d'un modo, altra con quelle d'un altro.
 

•Teofilo•Cossì a punto.


•Dicasana•Questa forma non la intendete accidentale, né simile alla accidentale, né come mista alla materia, né come inerente a quella, ma inesistente, associata, assistente.


•Teofilo•Cossì dico.


•Dicasana•Oltre, questa forma è definita e determinata per la materia; perché, avendo in sé facilità di constituir particolari di specie innumerabili, viene a contraersi, a constituir uno individuo; e da l'altro canto, la potenza della materia indeterminata, la quale può ricevere qualsivoglia forma, viene a terminarsi ad una specie: tanto che l'una è causa della definizione e determinazion de l'altra.


•Teofilo•Molto bene.


•Dicasana•Dunque, in certo modo approvate il senso di Anaxagora, che chiama le forme particolari di natura latitanti; alquanto quel di Platone, che le deduce da le idee; alquanto quel di Empedocle, che le fa provenire da la intelligenza; in certo modo quel di Aristotele, che le fa come uscire da la potenza de la materia? .
 

•Teofilo•Sì, perché, come abbiamo detto che dove è la forma, è in certo modo tutto, dove è l'anima, il spirto, la vita, è tutto, il formatore è l'intelletto per le specie ideali; le forme, se non le suscita da la materia, non le va però mendicando da fuor di quella; perché questo spirto empie il tutto.
 

•Poliinnio•Velim scire quomodo forma est anima mundi ubique tota, se la è individua. Bisogna dunque che la sia molto grande, anzi de infinita dimensione, se dici il mondo essere infinito.

 
•Gervasio•È ben raggione che sia grande. Come anco del Nostro Signore disse un predicatore a Grandazzo in Sicilia; dove, in segno che quello è presente in tutto il mondo, ordinò un crucifisso tanto grande, quanta era la chiesa, a similitudine de Dio padre, il quale ha il cielo empireo per baldacchino, il ciel stellato per seditoio, ed ha le gambe tanto lunghe, che giungono sino a terra, che gli serve per scabello. A cui venne a dimandar un certo paesano, dicendogli: - Padre mio reverendo, or quante olne di drappo bisognaranno per fargli le calze? - E un altro disse che non bastarebono tutti i ceci, faggiuoli e fave di Melazzo e Nicosia per empirgli la pancia. - Vedete dunque che questa anima del mondo non sia fatta a questa foggia anch'ella.


•Teofilo•Io non saprei rispondere al tuo dubio, Gervasio, ma bene a quello di mastro Poliinnio. Pure dirò con una similitudine, per satisfar alla dimanda di ambidoi, perché voglio che voi ancora riportiate qualche frutto di nostri raggionamenti e discorsi. Dovete dunque saper brevemente che l'anima del mondo e la divinità non sono tutti presenti per tutto e per ogni parte, in modo con cui qualche cosa materiale possa esservi, perché questo è impossibile a qualsivoglia corpo e qualsivoglia spirto; ma con un modo, il quale non è facile a displicarvelo altrimente se non con questo. Dovete avvertire che, se l'anima del mondo e forma universale se dicono essere per tutto, non s'intende corporalmente e dimensionalmente, perché tali non sono, e cossì non possono essere in parte alcuna; ma sono tutti per tutto spiritualmente. Come, per esempio, anco rozzo, potreste imaginarvi una voce, la quale è tutta in tutta una stanza e in ogni parte di quella, perché da per tutto se intende tutta; come queste paroli ch'io dico, sono intese tutte da tutti, anco se fussero mille presenti; e la mia voce, si potesse giongere a tutto il mondo, sarebe tutta per tutto. Dico dunque a voi, mastro Poliinnio, che l'anima non è individua, come il punto; ma, in certo modo, come la voce. E rispondo a te, Gervasio, che la divinità non è per tutto, come il Dio di Grandazzo è in tutta la sua cappella; perché quello, benché sia in tutta la chiesa, non è però tutto in tutta, ma ha il capo in una parte, li piedi in un'altra, le braccia e il busto in altre ed altre parti. Ma quella è tutta in qualsivoglia parte, come la mia voce è udita tutta da tutte le parti di questa sala.


•Poliinnio•Percepi optime.


•Gervasio•Io l'ho pur capita la vostra voce.


•Dicasana•Credo ben de la voce; ma del proposito penso che vi è entrato per un'orecchia e uscito per l'altra.
•Gervasio•Io penso che non v'è né anco entrato, perché è tardi, e l'orloggio che tegno dentro il stomaco, ha toccata l'ora di cena.


•Poliinnio•Hoc est, idest, ave il cervello in patinis.


•Dicasana•Basta dunque. Domani conveneremo per raggionar forse circa il principio materiale.
 

•Teofilo•O vi aspettarò o mi aspettarete qua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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