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Capitolo Secondo Ventidue lettere. Non era necessario che egli ricordasse qui le dieci Sephiroth, poiché ne aveva già fatto menzione: per questo motivo egli cita solo le ventidue lettere. Semplici. Ognuna si diffonde in modo autonomo, senza mutare. Benché noi troviamo invece dell'odorato l'assenza dell'olfatto, invece della favella il mutismo, e così per tutte le lettere semplici, ciò nonostante queste ultime differiscono dalle lettere doppie: il mutismo, la mancanza di olfatto e simili non sono infatti che assenza e privazione, come l'oscurità, che è mancanza di luce. Nelle lettere doppie, la pronuncia tenue o forte ha invece una causa propria. E la lingua è la norma. La Sephirâ della bellezza è chiamata «norma », come è detto: Ché norma per Israele è questa (Sal. 81. 5). Alef è tuttavia legge: innalzamento della norma ed elevazione della sua corona, sebbene egli non ricordi tale superiorità sino al capitolo terzo, nel quale cita l'interiorità dell'indulgenza e dell'intransigenza. Dal momento che menziona qui le ventidue lettere, fa cenno anche alle tre madri, sebbene non fosse necessario.
Le incise. Nella Sephirâ del ritorno, fece la materia informe; non vuole tuttavia parlare della traccia, sebbene si trovi ciò che è stato tracciato nella forma scritta di emet, «verità»: la traccia non è infatti forma, sinché non sia dapprima per iscritto. Le intagliò. Dalle lettere che costituivano il fondamento: incise dapprima nella Sephirâ del ritorno, dopo che erano stati stabiliti i confini, nell'incisione eseguita dopo le tracce. Le soppesò. L'una rispetto all'altra, per accoppiarle, affinché dessero frutti, giacché non è possibile che una cosa emani da un'altra senza contrappeso. Le permutò. La permutazione è compresa nel cambiamento. È scritto infatti: La pioggia è mutata, se n'è andata (Cant. 2. 11), giacché la pioggia viene inviata dalla causa, e poi fa ritorno, come è detto: Che anzi opererà quanto mi aggrada (Is. 55. 11). È scritto è mutata, poiché è tornata alla sua materia informe. E possibile che venga inviata nuovamente con cambiamenti, qualora da una pioggia fitta ne derivi una tenue. In quanto mutazione di qualcosa rispetto alla propria radice, il cambiamento non è invece compreso nella permutazione, come è scritto: Come un vestito li muterai, e passeranno (Sal.102. 27). Come nel caso del mutamento delle vesti, chi è soggetto a cambiamento si trasforma radicalmente, sebbene esista anche una trasformazione limitata al passaggio da un attributo all' altro, da un colore all'altro, o da un luogo all'altro. La permutazione è invece simile a quanto avviene per un re, che giunga alla fine del proprio regno e ne venga allontanato, di modo che un altro, migliore di lui, governi al suo posto, o altri casi simili. La permutazione passa infatti di causa in causa, e di generazione in generazione, come nel caso di Davide, al quale fu conferito il fasto del regno, e tale causa agente ebbe effetto fino a quando giunse il compimento della sua sorte. In seguito, ebbe inizio il regno di Salomone: a lui fu infatti dato il fasto del regno, che era stato del padre suo. L'uno fu permutato nell'altro. La medesima cosa avviene per le lettere, che vengono agitate e diffuse: per questo è detto che le sostituì, e non che le cambiò.
Le combinò. Sino a questo punto, egli ha trattato di nozioni che sono di pertinenza al mondo superno, ora fa invece cenno al luogo ove, dalla semplicità delle lettere, sono state tratte le realtà separate. Le combinò. Le accoppiò molte volte. Il ricorso a espressioni diverse le soppesò e le combinò che riguardano l'accoppiamento, dipende dal diverso grado di interiorità, come la differenza che corre tra la traccia, che è più interna dell'incisione, e l'incisione, che, a sua volta, è più interna dell'intaglio. Allo stesso modo, il soppesare esprime una nozione più intima del permutare, e il permutare del combinare, in guisa di quanto avviene per le fiamme, le quali, sebbene siano separate, non hanno possibilità di compiere alcunché finché non siano tutte unite nel tizzone. Così anche nell'albero, i rami non hanno vigore separatamente, ma solo combinati l'un l'altro, questo davanti a quello. La combinazione, che egli ricorda qui, significa che nulla di quanto ha menzionato si unisce senza combinarsi. Egli ha infatti voluto esprimere il discorso per gradi, e porre l'ordine iniziale. All'inizio, Egli fece gli uomini e poi le donne, fece dapprima Giacobbe ed Esaù, una donna da una parte e una dall'altra, e soppesò chi fosse adatto ad accoppiarsi con questo e con quello (questa è la pesatura), di modo che all'uno seguisse l'altro e a questo, quello. Tutte le anime superiori future furono così create fin dall'inizio, assieme a tutte le forme destinate a ricevere lo spirito.
E con esse formò. La parola formò (sar), deriva da «descrizione» (siyyur), «forma» (surah). Con esse. Con le lettere stesse fece una forma, affinché in basso ne venisse tratta un'altra forma. E così per ogni cosa, e per ogni causa, finché non giunsero alle realtà separate, che sono al di sotto delle dieci Sephiroth, e da queste assorbono, come i frutti dell'albero, sinché non sono maturi. Quando hanno portato a termine la propria maturazione, essi cadono dal luogo donde hanno assorbito, e altri si rinnovano al loro posto. Talvolta, da quelli che sono caduti, sorgono grandi alberi, che a loro volta producono i propri frutti. Così per i frutti, e i frutti dei frutti, in eterno; ciascuno secondo l'elevatezza del luogo donde ha assorbito, e la causa dipende dall'importanza di questo e dall'importanza dei suoi frutti. Che è destinato a essere formato. Si tratta degli spiriti, che sono essenze sottili, conservate in un unico luogo. Tutti sono stati fatti dal principio, sebbene le hayyot, forme delle anime superiori, siano state modellate dalla forza interna della cosa, a cui il cuore non può pensare. Allo stesso modo, le forme sensibili provengono dalla forza delle cause terribili che si percepiscono attraverso la sensazione, poiché sono lo strumento delle anime superiori interne unificate.
Scolpite nella voce. Nel diffondersi della piacevolezza della voce, furono emanate le lettere e vennero incise, come è scritto: La voce del Signore intaglia lingue di fuoco (Sal. 29. 7). La voce, diffondendosi, divide infatti una lettera in numerose altre; si tratta della voce interna, che ha la caratteristica di essere assai sottile e che non può essere raggiunta. Scavate nello spirito. Sono state intagliate con la forza del ritorno, e nel ritorno hanno dimora. Le lettere hanno un corpo e un'anima superiore, fissati nei canali della testa e nello spirito di tutte le lettere. Lo spirito è fissato nella bocca, giacché vi è differenza tra il movimento della lingua e quello della bocca. Lo strumento dello spirito agita infatti quelli che parlano, i quali ne vengono mossi. Hanno un posto fissato, che non è possibile spostare. Una ruota. È una cosa che viene fatta volgere, come una ruota (ke-galgal), come il cranio (kegulgolet) della testa. Fa parte delle realtà separate: quando si volge, tutto si volge assieme a essa. Metà della combinazione delle lettere è posta nella ruota, ed è costituita da duecentotrentuno porte. La metà che rimane consta di altre duecentotrentuno ed è posta al di sopra della ruota: sono quattrocentosessantadue alfabeti, e due di essi sono chiamati «porta». Avanti e indietro. Come segno della cosa: in avanti piacere ('oneg), indietro dolore (nega'). E ogni discorso. Se la formazione non parlasse, esso non sarebbe nulla, giacché il completamento del discorso non avviene se non per mezzo dello spirito. L'uomo che Rava aveva creato fu fatto tornare alla polvere, giacché egli non sapeva far entrare in lui lo spirito, affinché parlasse, e potesse sussistere. In un unico nome. La loro radice è in un unico nome, poiché le lettere rappresentano le branche visibili, come le fiamme che guizzano, nelle quali vi è il movimento e che sono unite al tizzone. Allo stesso modo, anche i rami, i bracci e le frasche hanno la loro radice nell'albero; così anche la pesatura proviene dall'intaglio, e la permutazione dalla pesatura: da quest'ultima deriva la forma. Tutte le cose sono state fatte forma, e tutte le forme non escono se non in un unico nome, come il ramo esce dalla radice. Ne deriva che, quando tutto è nella radice, è un nome unico: per questo è detto, infine, un unico nome. Caos (tohu). Essenza nella quale non vi è forma, emanata da entro la preparazione al ritorno. Da esso deriva l'oscurità, e per questo è detto: E la chioma del tuo capo è come porpora (Cant. 7. 6). Caos (tohu) deriva dell'espressione «si rammarica (tohe) per le sue azioni passate», cerca di cancellare quanto è avvenuto. Il caos è la traccia delle essenze, nella quale non vi è forma: è stata fatta con la parte sottile dell'essenza, che è la sostanza dell'aria spessa; da essa deriva l'oscurità della sostanza, che è la materia concreta, per questo è detto: Oscurità, nubi (Deut. 4. 11). Simile a questa è l'oscurità dell'Egitto: per questo sapevano che tutta l'oscurità proveniva da una causa superna. La tenebra è più dell'oscurità, giacché colà non vi è nemmeno lo spirito. La caligine è compresa tra le due. Grandi colonne. Dalle lettere doppie, che sono entro le grandi colonne, le quali rappresentano le radici. Le radici sono le essenze interne, comprese nelle dieci Sephiroth: sono le sei estremità e la preparazione del ritorno, che è il nascondiglio della sua possanza (Abac. 3. 4). A proposito delle sette doppie, che sono le grandi colonne, è detto: Che pasce il gregge tra i gigli (Cant. 2. 16). La bet allude a ciò che si eleva sui serafini "'; tutto questo costituisce infatti il fondamento del mondo, il quale deriva dalle sei estremità, ed è fissato nel rigore. Per questo è detto: Che pasce il gregge tra i gigli, colui che pasce con queste sei cose il proprio mondo, giacché sono i padri dei padri di tutte le generazioni. Inafferrabile. L'oscurità, che è sottile; è aria talmente sottile che passa al di là delle sfere e dei firmamenti, e all'interno di essi: per la sua gran sottigliezza, non viene trattenuta. L'aria che viene trattenuta entro l'otre è invece spessa, giacché lo spirito sottile superno, grazie alla sua tenuità, non viene fermato da alcun impedimento: il suo vigore è proporzionato alla sua sottigliezza: in questa risiede infatti la capacità di non farsi arrestare da un muro o da un divisorio e non venire così trattenuta. Esso deriva dalle essenze spirituali interne, che non si afferrano e di cui al cuore si mostra l'intaglio: da esse emanano le sostanze corporee, le quali vengono invece afferrate.
Dodici semplici. La loro nozione comprende dodici colonne, giacché tutte le cose constano di essenze entro essenze, volti entro volti, ed entro questi, altri volti. Scruta. Come è stato affermato: «Così il Santo, sia Egli benedetto, guardò nella Torah». E questo è il segno della cosa. Si usa la parola« segno» per nascondere la cosa. Ventidue elementi. Ciascuna delle ventidue lettere è un grande elemento. Che cosa significa «elemento»? Una materia che costituisce uno strumento, come avviene per le pietre della torre. In questa vi sono infatti numerose pietre, ciascuna delle quali ha un proprio nome. Nel loro insieme, vengono però chiamate con un nome unico, che è, appunto, «torre».
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