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Capitolo Primo Con trentadue (Bi-šelošim u-šetayim). La lettera bet allude alla sapienza e alla comprensione; con essa si indica tutto ciò che il pensiero concepisce, fino all'infinito e, a maggior ragione, quanto è compreso in esso. I sentieri meravigliosi e stupefacenti sono come le lingue di fiamma, che conducono al tizzone; seguendo le fiamme, si scorge infatti il tizzone, allo stesso modo in cui, seguendo il filo, si giunge alla matassa. La medesima cosa avviene per 1'albero, nel quale attraverso l'intrico di foglie, fronde, rami, frasche e germogli si trovano le cavità situate entro il midollo e la sottigliezza della natura della radice, la quale non appare, a causa della sua sottigliezza e profondità. Tutte le espressioni che cominciano con bet indicano dunque la sapienza, e quanto è in essa, e così avviene per la bet di bi-šelošim u-šetayim («con trentadue»). Tracciò: ciò che il pensiero non afferra. Tracciò: due lettere, lamed e bet, le quali si dividono in tre parti. Con tre registri. Si tratta di tre nomi, composti da tre lettere, le quali ricevono e vengono ricevute da essi. L'inizio delle essenze che è possibile pensare è costituito dai prodigi racchiusi entro la sapienza: i sentieri sono infatti miracoli contenuti in essa. A questo proposito è detto: Dio ne conosce la via (Giobb. 28. 23). Conosce i cammini e i sentieri che sono in essa. Per mezzo delle essenze che sono fissate e incise in Lui, Egli ha la forza di comprendere le essenze fissate che non hanno limite. I sentieri rappresentano le «madri» delle vie, giacché il sentiero è madre della via, totalità e base da cui le vie si dipartono e si separano. I sentieri meravigliosi sono come le cavità situate entro il midollo dell'albero, mentre la sapienza ne è la radice: si tratta di essenze interne e sottili, che nessuna creatura può comprendere, tranne chi assorbe da essa: la via della contemplazione è infatti un assorbire, e non un conoscere discorsivamente.
La scrittura. La scrittura comprende il computo e il computo comprende il discorso. Tre madri furono sigillate nella yod, furono sigillate nella parte superiore della yod. Quando furono sigillate, vennero date nel grande Nome, e fu realizzato un edificio: esse nel Nome e il Nome in esse, faccia a faccia, essenze entro essenze. Le Sephiroth sono il fondamento, la parte interna: alla fine del quinto capitolo esse ritagliano per sé le lettere, giacché questa è la norma: l'inizio è la fine, non vi è principio e non vi è termine; di esse è fatto il fondamento dell'edificio, ed esse sono le lettere, a somiglianza delle pietre tratte dalla montagna. Nella montagna vi sono tante nervature, simili alle fenditure in un terreno che ne sia pieno. Per questo è detto che «una fossa non si riempie con la terra scavata», giacché, nel riempire gli spazi vuoti, quelli pieni rimangono privi di terra, né le lacune vengono colmate nella loro essenza. Allo stesso modo, le essenze sono sottili, sinché l'uomo le scopre e traccia e intaglia in esse incisioni e apre cavità, e così il cunicolo comincia ad apparire in alcuni punti.
Senza determinazione. Tutte dipendono. La lamed dalla sapienza, la lettera yod da tutto; la mem e la he vengono trasformate nello spirito che esce da esse, ed è governo di quanto esse generano. Fondamento. Non afferma che esse sono fondamento, ma che questo deriverà da esse: la causa è l'inizio del fondamento. Allo stesso modo, la montagna è l'inizio degli edifici che ne verranno tratti, giacché rappresenta l'inizio delle tracce: dopo le tracce, le incisioni e poi gli intagli e poi l'edificio. Lettere e segni. Tra di essi vi è una differenza, giacché i segni non esprimono talvolta una somiglianza ma un'apparenza, come l'apparenza del biancore, del rossore e simili; il segno è l'apparenza del mutare di colore e di essenza, a somiglianza della nozione espressa dal versetto: Tu, quindi, mettiti a giacere sul fianco sinistro (Ez. 4. 4), e anche da: E un segno per la casa di Israele (Ez. 4. 3), segno senza cambiamento della forma e della creazione, giacché non vi è una forma distinta e diversa dalle altre. Si tratta piuttosto della medesima cosa, che muta in diversi aspetti; in tal senso, voce e aspetto sono segni. Le lettere sono invece cose che, in virtù di causa propria, giungono dalla lingua al segno: il segno è una cosa che pertiene al governo divino, disegnata e ricevuta dal luogo dove è stata intagliata.
Il numero dieci. Come nei due versetti precedenti ha ricordato che dai sentieri e dalle lettere si comprende l'essenza, così continua qui, menzionando il numero dieci, che significa le essenze che vengono comprese e ricevute quando si innalzano, sollevando le mani in alto. Cinque: sono eternità, fasto, bellezza, clemenza, sapienza, cinque in tutto. Il diadema con il giusto, che rappresentano la forza dell'attributo del timore, assieme al timore, e all'intelligenza, e la sapienza decide in tutto: cinque contro cinque. Questo è il senso dell'affermazione e il patto d'unicità: la yod diritta, che fu incurvata. Fondato nel centro. In alto nella lingua, mentre in basso lo è nel membro; entrambi sono nel mezzo, uno in corrispondenza dell'altra. A somiglianza della yod, che è nel cervello della testa, giacché la sapienza sta nel mezzo e circonda tutto. Allo stesso modo, il cervello è in mezzo alla testa: da lì viene ricevuto tutto, da una parte e dall'altra; da esso assorbe ogni cosa, da ogni lato e da ogni estremità. Per questo motivo, a questa frase doveva seguire necessariamente l'affermazione: Dieci e non undici. Non sono infatti che dieci, poiché la sapienza viene contata con tutte, come, in un nome che cominci per alef, questa viene contata con tutte. Fondato. Prendi due yod, l'una di fronte all' altra: circondano tutto quanto è tra di esse, e tutto assorbe da esse.
Dieci e non nove. Sebbene la sapienza sia con tutte, non chiederti: Come posso dire che è una Sephirâ? Dieci e non undici. Non chiederti: Dal momento che la sapienza rappresenta l'inizio del pensiero del discorso, come potrò non contarne undici? Non devi infatti separare la sapienza dalla corona, che è il pensiero dell'inizio del discorso, sebbene tu non possa afferrare il pensiero di Colui che conta e che unisce, né tu sia in grado di meditare e diffonderti sulla causa del pensiero dell'inizio del discorso, in modo da capire che non sono che dieci. Non dire nove. Poiché non vi è fine alla causa del pensiero dell'inizio del discorso, come farò di esso una Sephirâ? Non dire dunque che esse sono undici né nove. Sebbene il discorso sia nell'infinito, vi è nondimeno una causa sottile, o un essere sottile che il pensiero afferra nella contemplazione di ciò che vi allude. Questa causa rappresenta pertanto una Sephirâ nel pensiero, che è un essere sottile in cui ve ne sono dieci. Le cose hanno dimensioni e misura, ma il pensiero non ha misura; per questo vanno di dieci in dieci: dalle sottili derivano quelle che sono state tracciate, giacché dieci derivano da dieci, le sottili da quelle poste nell'intima sottigliezza. Dalla forza di allusione del pensiero riconosciamo ciò che possiamo comprendere e quanto siamo costretti a tralasciare, giacché da quel punto in poi non è possibile capire il pensiero allusivo. La cosa creata non ha infatti la forza di afferrare l'intima allusione del pensiero alla comprensione dell'En soph, giacché ogni contemplazione nella sapienza, a partire dalla comprensione intellettuale, è sottigliezza, allusione del suo pensiero nell'En soph. Per questo afferma: dieci e non nove, giacché il pensiero non concepisce di dare misura a ciò che è al di sopra della sapienza, e nemmeno nella sapienza, se non attraverso la contemplazione, come è detto: devi intuire con sapienza. Intuire è un infinito: in quanto imperativo, devi intuire è rivolto alle sole persone in grado di comprendere. Non dice «intuisci la sapienza», o «conosci la sapienza», ma devi intuire con sapienza, poiché la sapienza giunge attraverso l'intelligenza, e l'intelligenza è la contemplazione nella sapienza: non la contemplazione della sapienza, ma il contemplare la contemplazione che è contenuta nella sapienza. Ma com'è questa contemplazione? Devi intuire con sapienza, essere sapiente con intuito, giacché sono essenze nascoste, nelle quali non vi è traccia, non vi è cosa che abbia forza di contemplarle, se non quanto è stato da esse emanato. Com'è la contemplazione che ne ha questa cosa, o l'illuminato che la contempla? Dalle essenze che sono state tracciate si ottiene la contemplazione di quelle che non lo sono e, dal profondo della comprensione del loro pensiero, la contemplazione della loro causa nell'En soph. Esamina. Esamina con esse l'intelligenza. Si dice infatti «esaminare qualcosa»: non «esaminare da qualcuno» ma «esaminare qualcuno», «esaminare una causa». L'esame avviene attraverso un'altra cosa, cosicché con la sapienza si esamina l'intelligenza. E indaga. Dal lato del merito e da quello dell'intransigenza, come è scritto riguardo a esse: Insondabile (Is 40. 28); per questo non afferma: Indagale. La spiegazione è la seguente: da esse costruì l'edificio che si conosce attraverso i sensi, e lo calcolò con le misure delle cause emanate da esse, e costruite con esse. Stabilire la cosa sul suo sostegno (we-ha'amed davar 'al buryo). Sul suo trono; la traduzione aramaica de il suo sostegno (miš'anto) è, appunto buryeh, e la parola si ritrova nell'espressione: Il tuo sostegno e la tua verga (Sal. 23. 4). È la linea fondata nel centro, che costituisce il fondamento del mondo. Porre. La bellezza. Il Creatore sul suo fondamento. Il suo fondamento, la sua eternità e il suo fasto, che sono uniti in basso, nell'intelligenza, che li sorveglia.
La loro misura è dieci. Ogni parola è una misura, e ciò che ne è al di sopra, è la sua pienezza. L'attributo è infatti una forza che emana dalla misura che valuta le essenze, è misura ed emanazione dell'essenza nell'En soph. Profondità. È la comprensione sino all'infinito. Principio. Emanazione di forza di profondità: è la sapienza; la profondità proviene dall'En soph, e tutto è uno. Poiché il pensiero non comprende, è detto dieci e non undici. La profondità è la fine della comprensione del pensiero verso l'infinito. Termine. È l'intelligenza, che è l'inizio, chiamato he come la fine. Tutte le essenze non hanno una traccia comprensibile nella sapienza: ciò di cui facciamo menzione, rappresenta la prima parte degli attributi, il primissimo inizio delle cause delle cose separate; gli attributi che vengono ricordati sono tutti nell'En soph nella nostra lingua vi è solo la parte iniziale degli attributi. La loro semplicità è priva di divisione, giacché sono la causa iniziale delle cose separate. Altezza. È ciò che sostiene tutto, e per questo è posto nel mezzo, giacché doveva cominciare a parlare da ciò che fa piegare quanto si è innalzato dall'alto in basso e dal basso in alto: è sigillato e innalzato con tutto nelle altezze, all'infinito. Sotto. Giusto. Oriente. Bellezza. Occidente. Eternità. Nord. Vigore della potenza. Sud. Fasto. Questo indica il versetto che afferma: A te, o Signore, si addice la grandezza, la potenza, la bellezza, l'eternità e il fasto, poiché tutto quello che sta in cielo e in terra è tuo. Ti è proprio, o Signore, il regnare e l'elevarti al di sopra di tutto (I Cron. 29. 11). Non esprime l'ordine delle direzioni, ma delle forze, e le indirizza a pregare verso occidente. L'ordine dei filatteri è da oriente a occidente, giacché la šin con quattro aste indica la sapienza, l'intelligenza, la clemenza e il timore: questo di giorno. La šin con tre aste è posta a destra, a indicare che questo è oriente, quando colui che l'indossa è volto a sud, e la šin con quattro aste è a occidente. Ma di sera, la šin con quattro aste è a sud, e rappresenta eternità, fasto, bellezza e clemenza; quella con tre è allora a nord, e indica il giusto, il diadema e il timore. Colui che prega rivolto a occidente, ha il sud alla propria sinistra e il nord alla destra: in questo lato è la šin con tre aste. A questo allude la duplice menzione de la tua destra. La prima indica il ritorno al di sopra della bellezza, giacché proviene da destra, come: «il candelabro a sud». La seconda indica la Sephirâ di bellezza sul diadema, giacché rimane alla destra di chi sia volto a occidente: La parola «oriente» (mizrah) indica ciò che riceve luce per risplendere. Egli non dice infatti mazriah, «che fa risplendere», ma mizrah, «oriente», causa della luce che riceve il sorgere della luce. Giacché è sempre volto a occidente, e colà si dirige, è chiamato occidente il volgere del sole. Occidente. È ciò che viene ricevuto nelle nuvole ('aravot) dalle cose mescolate, nelle quali non vi è traccia. Sud (darom): «sufficiente altezza» (de rum). È la Sephirâ della bellezza, che riceve attraverso la preghiera e compie quanto le è stato assegnato. Nord (safon): è quanto risulta nascosto (safun) a chi si volge a esso: è una misura nella quale vi è, dalle cose nascoste, la volontà di quanto si volge a essa. «La tavola era a nord», allude al fatto che davanti al Signore, sia Egli benedetto, «viene dato a ciascuno secondo le sue necessità». Il Signore, unico Dio, domina. Sino alla sommità, su tutto. Unico. Giacché è unito in tutto, e tutto è unito in lui. Domina su tutto. È il dominio racchiuso in tutti gli attributi, di cui si è fatta menzione, nell'En soph. Dalla sua santa residenza. È la limpidezza. Per l'eternità ('ade 'ad). Rafforzamento, stabilità, solidità, durata di qualcosa che continua a essere: da «ancora» ('od), a significare che dura ancora.
Il loro aspetto. L'aspetto è la contemplazione di una cosa entro un'altra, come è detto: Osservavo per vedere (Abac. 2. 1), affinché gli fosse fatto vedere il discorso. L'aspetto è ciò che ogni causa riceve dalla causa a essa superiore, giacché la misura attinge dalla misura intagliata, quella intagliata dalla misura incisa, quella incisa dalla misura tracciata, e la misura tracciata da quella nascosta: ciascuna entro l'altra, e questa entro la successiva, questa legata a quella e quella legata a questa. In che modo ricevono? Mediante la ricezione di una cosa sottile e dell'essenza. Apparenza. Contemplazione entro la quale non vi è alcunché; l'apparenza è splendore, sottigliezza, limpidezza, comprensione di quanto viene ricevuto; a questo proposito è detto: E l'uno gridava all'altro e diceva (Is. 6. 3), espressione che il Targum Yonatan traduce con: «E ricevevano questo da quello». Apparenza di folgore. È sottigliezza, limpidezza, comprensione di quanto ricevuto. Il loro confine. Non equivale alla loro misura, giacché la misura è una cosa che viene ricevuta secondo le realtà separate. I profeti videro misure in base alla loro comprensione, e, grazie alla ricezione della forza di queste, ampliarono il loro pensiero più degli altri uomini. Ebbero infatti, in tal modo, ampiezza d'anima, per diffondersi nei particolari, nell'infinito. Il loro confine significa invece il confine della loro ricerca, giacché ogni misura ha un confine, e ogni perfezione ha un limite, come è scritto: Di ogni perfezione ho visto un limite (Sal. 119. 96), ma il tuo precetto, sebbene abbia un inizio, possiede una perfezione che cresce e avanza grandemente, all'infinito. Se ogni cosa che finisce ha un limite, il tuo precetto è confine della comprensione, che nessun uomo può comprendere: nessuno comprende se non la parte iniziale degli attributi. Alla sua parola. Bellezza, è l'innalzarsi della parola in tutte, giacché quasi si innalza la volontà della parola, come è scritto: Dio è grandemente terribile nell'assemblea dei santi (Sal. 89.8), e anche: «il tuo nome terribile». Con furia, non è detto «una furia», giacché si tratta di qualcosa più interno delle sante hayyot. E al suo detto come una bufera. Il prostrarsi equivale al gesto di chi dà riposo ai propri attributi e non si occupa che del pensiero, e compone nel pensiero, e lo innalza; sottomette il corpo per far prevalere la propria anima superiore. È fissata. Cose che vengono isolate, appoggiate sui lati e innalzate al di sopra di se stesse, come una casa che venga innalzata da un'altra, come fra due calamite, una in alto e una in basso. È fissata (na'us) rende in aramaico l'espressione era poggiata (mussav) della Scrittura (Gen. 28. 12): significa cioè qualcosa appoggiato e accostato a qualcos'altro. La loro fine nel loro inizio. Come viene diffuso ciò che è diffuso; tutto procede dalla sorgente: se la sorgente s'interrompe, tutto s'interrompe. Poiché si diffondono perennemente, l'inizio non ha fine; per questo è detto: La loro fine nel loro inizio. Molte lingue di fuoco si diffondono infatti dal tizzone, che è unico: Le fiamme non possono durare da sole, ma hanno bisogno di qualcos'altro, e così, tutte le cose e tutti gli attributi, che paiono separati, non hanno in realtà separazione alcuna, giacché tutto è uno, come all'inizio, ove tutto è unito nella circoncisione dell'Unico. Il Signore è unico. Ora allude alla misura nell'En soph, che non ha limite da alcuna parte. Sì che non pensi alle cose nascoste al pensiero, e non si turbi. Da quanto si comprende, è infatti possibile conoscere quanto non si comprende. Per questo motivo gli attributi sono stati fatti in modo che ogni espressione comprenda solo ciò da cui essa deriva; nessun uomo comprende l'attributo del discorso e delle lettere se non nell'attributo medesimo, né tale attributo è al di fuori delle lettere. Tutti gli attributi terribili sono stati trasmessi per essere contemplati: ciascuno di essi proviene da uno ancora superiore, ed è stato affidato a Israele perché questi contemplasse entro l'attributo terribile, nel cuore, sino all'infinito. Non v'è modo di pregare se non attraverso le cose limitate, attraverso le quali l'uomo viene accolto e innalzato nel pensiero, sino all'infinito. Per questo è detto: Andavano e tornavano (Ez. 1. 14). Che ritorni là. Le cose s'innalzano veloci, nei loro segreti, per poi ritornare al loro luogo, dopo che sono state ricevute. Fu sancito. Fu tagliato, ne fu fatta una dimensione e fu chiamata «patto»: ogni cosa fu creata e purificata.
Uno. Inizio delle essenze. Uno, spirito del Dio vivente, giacché tutto deriva dallo spirito. Benedetto e ancora benedetto. Si tratta dello spirito, che comprende la voce, la quale rappresenta la piacevolezza del diffondersi dello spirito stesso. Lo scavo avviene mediante la voce, giacché essa procede nella parte interiore. Nello spirito incise. L'incisione nella voce, l'intaglio nello spirito, per mezzo della voce. La voce ha consistenza, e non è che un recipiente. E intagliò in esso. Nello spirito vi sono un'incisione e un intaglio. La sottigliezza dell'intaglio è proporzionata alla sua sottigliezza, alla sua grossezza è proporzionata la grossezza dell'intaglio. E un unico spirito da esse. È la Sephirâ del ritorno, nella quale sono state incise le ventidue lettere: non che fossero comunque altro che spirito, giacché dallo spirito furono intagliate, e anzi la lettera è la cosa medesima. Lettere dalle quali derivarono le incisioni.
Acqua. Clemenza. Melma. È più sottile del fango, che è travasato da recipiente a recipiente. Il fango è infatti spesso. Un solco. L'acqua viene paragonata a un solco, fatto di archi posti l'uno entro l'altro: vi è terra da sola, e poi pietre e vene d'acqua, che sono formate con le pietre limacciose, giacché la terra ha una parte maschile e una femminile. Vi sono vene che vengono alimentate da una parte e dall'altra, per mezzo dei cunicoli. Le lettere sono incise, stanno diritte e sono coperte. Vi è la lettera che è incisa, come un solco; vi è la lettera che sta ritta, come un muro; vi è la lettera che è coperta, come una travatura. Per questo, nell'ora in cui Davide scavò i pozzi, e l'abisso cercò di inondare il mondo, Ahitofel gli insegnò il Nome di quarantadue lettere: Davide lo scrisse su di un coccio e lo gettò nell'abisso, affinché non inondasse il mondo. In seguito a ciò, tutto il mondo si inaridì, e bisognò pronunciare i quindici gradi che sono contenuti nei salmi, in corrispondenza dei quindici gradi interiori. Su ogni grado salì il grado successivo, e il mondo tornò al suo stato normale. Fuoco dall'acqua. Il timore dalla clemenza. het, e due volte otto, samek dalet, che sono tutto l'edificio: insieme formano Hsd, la clemenza (Hesed). La sua residenza. Tutto l'edificio. Altezza come santità, e altezza maggiore dell'altezza. Sigillò l'altezza con la yod, che è nella sapienza: con essa furono sigillate le tre madri, che sono intelligenza, clemenza e timore. Le fissò nel suo grande Nome e con esse fissò le sei estremità. Si volse verso l'alto. Fece volti in alto. Lì si trova infatti ovunque, giacché in alto non vi sono che volti, che la sapienza circonda da ogni lato. La sorgente ha però più forze interiori delle altre, che ricevono, mentre la parte posteriore ne ha in proporzione all'esiguità di quanto le viene trasmesso. Questa medesima cosa rappresenta un volto per colui che le è vicino, e riceve quanto da essa si effonde. Settentrione e meridione. Il settentrione andò verso il meridione.
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