A pagina 41 de «LA MASSONERIA TRADIZIONALE DEL NOSTRO TEMPO», edita nella Collana del Grande Oriente d'Italia, Jean Baylot afferma che l'ignoto autore il quale tradusse il testo del «Poema Regius» nel manoscritto a noi tramandato sarebbe stato a ciò indotto perché dubitava della sua memoria. Lo stesso Baylot ricorda che all'epoca della trascrizione del «Poema» vigeva ancora la regola della tradizione orale, così che lo sconosciuto redattore del manoscritto avrebbe in realtà violato il divieto di «scrivere, incidere o bulinare» imposto all'interno della Istituzione; e tale violazione avrebbe commessa per un atto di debolezza, temendo appunto di non poter ricordare a memoria il testo integrale. L'origine della versione scritta del «Poema» resta così attribuita dal Baylot a una circostanza del tutto occasionale, disancorata da una qualunque più pregnante ragione storica. In verità la casualità della nascita del manoscritto sembra generalmente condivisa anche da altri autori sia pure tacitamente o per implicito. Eppure vale porsi il quesito se la traduzione in forma scritta del «Regius», al di là dall'essere originata da un problema personale di memoria del suo ignoto redattore, non corrispondesse invece anche o innanzi tutto ad esigenze di carattere non esclusivamente soggettivo; e cioè se non costituisse un evento in sé storicamente rilevante in quanto scaturito da un impulso di evoluzione della stessa Istituzione Corporativa e diretto quindi, più o meno consapevolmente, a produrre effetti determinati. Né tale quesito può apparire un vezzo speculativo; esso anzi è più che mai legittimato dalla considerazione che la trascrizione del «Poema», essendo compiuta alla fine del XIV secolo (1390), si colloca palesemente in un ambito storico (seconda metà del XIV sec. - prima metà del XV sec.) di indubbio dinamismo evolutivo della corporazione muratoria. Non è certo senza significato che proprio in Inghilterra e nella stessa epoca compare per la prima volta e ufficialmente la espressione «FREE MASON», la quale, nonostante le polemiche interpretative, acquisterà contenuti di ampia esplicazione; così come si verifica l'evento del riconoscimento giuridico della MASON'S COMPANY OF LONDON (1411), che riflette tra l'altro l'avanzata laicizzazione della Corporazione. È indubbio, infatti, che in quel periodo la Istituzione andava assumendo un diverso e comunque nuovo rapporto con il mondo esterno, e subendo, per necessaria correlazione di effetti, una dinamica interna quanto meno sul piano organizzativo. Ora ciò che induce a ipotizzare che la trascrizione di un testo riservato qual era il testo orale del «Poema Regius» costituisse un episodio intimamente connesso a questa fase evolutiva, è la circostanza che la scritturazione del «Regius» si presenta come un avvenimento tutt'altro che unico. Secondo P. Maruzzi (Il Vangelo di Cagliostro - Atanor - pag. 25) il nome «Free Mason» s'incontra la prima volta nello Statuto di Edoardo III del 1352; secondo il Lennhoff (II Libero Muratore - Bastogi - pag. 40), invece sarebbe comparso nel 1375, e secondo il Mellor (I nostri fratelli separati - I Liberi Muratori, Ed. Bolla, Milano, 1963, pag. 13) nel 1376. Infatti è proprio a partire dalla epoca del «Regius» che si inizia una fioritura - per così dire - di manoscritti. Basta considerare che soltanto di qualche decennio dopo (1430-1440) è il «COOKE MANUSCRIPT»; ed è senza dubbio assai significativo che nelle epoche immediatamente successive, e specialmente durante il XVII secolo, vedremo crescere in Inghilterra l'uso del manoscritto e quindi attenuarsi il divieto di «scrivere, incidere o bulinare» (tanto che il MS. SLOANE del 1700 circa, e cioè ormai alla vigilia della fondazione della Gran Loggia di Londra, descrive addirittura certi toccamenti e segni, fornisce dei testi di giuramento e fa allusione alla Parola!), e tutto ciò di pari passo con il lungo quanto profondo processo di trasformazione della Craft Masonry che sboccherà nel 1717 nell'avvento ufficiale della Massoneria Speculativa. Che la comparsa di manoscritti in Inghilterra non fosse un fatto occasionale, ma piuttosto un fenomeno di rilevanza storica, si appalesa considerando ancora che l'adozione della forma scritta si andava praticando parallelamente (il parallelismo è proprio di certi fenomeni storici) in altri Paesi europei e particolarmente in Germania, manifestandosi non già come un novità meramente formale, bensì come strumento sostanziale di evoluzione e come veicolo di contenuti e di esigenze peculiari del momento storico. Illuminante sotto questo profilo è lo Statuto dei Tagliatori di Pietre di Strasburgo approvato a Ratisbona il giorno di S. Marco Evangelista (25 aprile 1459). Una indicazione immediata è offerta dalla stessa dimensione del congresso di Ratisbona, in quanto ad esso parteciparono 19 maestri della Svezia, Franconia, Baviera, Alto Reno, Svizzera e Austria, così che la struttura della Istituzione corporativa appare proiettata oltre i confini locali e circoscrizionali e lo Statuto adottato si presenta chiaramente come un Regolamento Generale della categoria. L'estensione territoriale viene peraltro espressamente formulata nel testo quando se ne dichiara l'utilità a favore «di tutti i Maestri e Compagni del mestiere, di tutti i muratori e scalpellini nei paesi germanici». Ma le norme dello Statuto mostrano anche una estensione intersoggettiva, di non minore rilevanza, laddove i compilatori dichiarano di approvare lo Statuto «in nome nostro» («noi tutti, Maestri e Compagni dello stesso mestiere, riuniti in Capitolo a Spira, Strasburgo e Ratisbona» ) «e di quello degli altri Maestri e Compagni del comune mestiere», e promettono di osservare fedelmente gli Statuti «per noi e per i nostri successori». Cosicché i destinatari delle norme restano individuati al di là di un vincolo istituzionale e piuttosto in forza del mestiere esercitato. Lo Statuto si configura pertanto di estensione più ampia di un semplice regolamento interno, assumendo la dimensione di una Legge, la Legge del «comune mestiere». Le ragioni che indussero alla stipulazione dello Statuto sono rilevate nello stesso testo laddove si afferma lo scopo di «evitare tutte le discordie, dissapori, torti, spese e danni che si sono verificati per causa di alcuni Maestri che hanno contravvenuto alle buone e vecchie abitudini praticate in passato dagli amici del mestiere dei tempi antichi e da essi stimate e a noi tramandate». Ora è chiaro che le corporazioni muratorie non mancassero di consuetudini, di norme non scritte, anche disciplinari, dirette ad evitare le «discordie» e i «dissapori» e a punire i «torti, spese e danni». Ma evidentemente le «vecchie abitudini» tramandate dai tempi antichi si andavano dimostrando insufficienti a garantire «una retta amicizia, concordia e ubbidienza» di fronte a un duplice processo di evoluzione cui le corporazioni muratorie erano sottoposte. Da un lato, infatti, va tenuto presente il processo di laicizzazione, che, nella misura in cui sottraeva progressivamente le confraternite alle regole dell'ordine monastico cui erano sottoposti all'origine i muratori religiosi, determinava una tendenza naturale ad una ristrutturazione interna e a una rielaborazione normativa, avviava cioè un processo di riordinamento e di riassetto. Se si considera, poi, dall'altro lato, che si andava accentuando il carattere itinerante dei muratori (dovendo questi spostarsi continuamente là dove erano chiamati a costruire), appare chiaro che il processo di riordinamento si svolgesse anche nel senso di una nuova espansione organizzativa. Come osserva il Lennhoff (Il Libero Muratore », Ed. Bastogi, pag. 35), i muratori, in qualità di immigrati, non appartenevano, alla usuale corporazione locale, e avevano necessità quindi di una propria organizzazione di ampia estensione in maniera che l'arte muratoria di tutta l'Europa fosse organizzata come un'unica confraternita. Queste esigenze ponevano senza dubbio il bisogno di regole e norme che avessero due requisiti fondamentali e imprescindibili: l'uniformità e la certezza. Ora evidentemente la tradizione orale dei regolamenti o comunque la consuetudine non scritta non erano più idonei a garantire né la uniformità né la certezza (e da qui ovviamente le «discordie, dissapori e torti», denunciati nello Statuto dei Tagliatori di Pietre di Strasburgo); così che appare naturale che si incominciasse a fissare norme scritte che, «rinnovando e rettificando» secondo le sopravvenute esigenze, «le antiche abitudini», risultassero anche più certe nella loro formulazione e meno soggette a varianti o inquinamenti da luogo a luogo. Che anche la versione scritta del «Poema Regius» fosse dettata all'ignoto autore da analoghe esigenze sembra dimostrato dallo stesso testo e particolarmente all'ottantaseiesimo verso posto sotto il titolo «Ars quatuor coronatorum», dove si legge: «Ma dovreste conoscere molto più di quello che trovate scritto qui»; ed ancora alla chiusura: «Allora Cristo nella sua grazia - ti darà spirito e spazio - per conoscere e leggere questo buon libro...». Infatti queste frasi sembrano provare che il manoscritto fosse destinato, non ad uso di promemoria dell'autore, ma alla lettura e alla conoscenza dei confratelli. Alla luce di queste sommarie considerazioni è possibile ritenere che la comparsa dei manoscritti non fu un fenomeno casuale; anzi è configurabile addirittura una «epoca dei manoscritti», la quale segna una importante fase di evoluzione delle compagnie muratorie, contraddistinta appunto dalla esigenza di stabilire regolamenti generali per tutta la categoria a guisa di legge universale. Non per nulla è proprio attraverso i manoscritti che si delinea la tendenza comune a travalicare la mera disciplina corporativa e del rapporto di lavoro, richiamandosi ad antiche e nobili tradizioni, ispiratrici di principi universali come tutte le tradizioni e per ciò stesso capaci di esercitare un'azione unificante e di conferire la necessaria autorità alle norme imposte in forza di esse. Il discorso sul valore ultracorporativo di queste tradizioni ci porterebbe molto lontano: qui giova soltanto annotare come la tendenza alla codificazione di principi generali acquista proprio nei manoscritti inglesi, ivi compreso il «Poema Regius», un carattere spiccatamente universalistico, idoneo cioè a sviluppare significati altamente educativi che vanno certamente oltre i confini di una semplice etica di mestiere. E forse proprio in questa peculiare capacità di esprimere valori universali risiede la chiave del fenomeno della metamorfosi delle Corporazioni operative che sfoceranno, dopo l'ulteriore fase di integrazione degli «accettati», nella Massoneria Universale. |