LA PASSIONE

La giovane Sposa, dopo di aver appresa la rivelazione del Mistero dalla bocca di Sileno, si accinge a compire il rito per raggiungere l’unione mistica con lo Sposo, il Dio del Mistero.

Ella si sente già in grado di essere ammessa al talamo, e si prepara a porgere l’offerta simbolica del matrimonio.

Recando un luogo tirso sulla spalla ella depone a terra un canestro che contiene un phallus, velato e nascosto da un leggero drappo. Una sacerdotessa, che le sta dietro e che si scorge solo parzialmente, reca un piatto con sopra alcune foglie di pino (il pino è simbolo di fecondità).

La Sposa, sicura ormai di poter compiere la cerimonia che le schiuderà la via per il supremo raggiungimento del suo sogno interiore, implora, col ginocchio piegato, di essere ammessa alla mistica unione e fa il gesto di scoprire il phallus. Ma la figura alata che le sta davanti la ferma col gesto della mano e con un movimento del capo. Indi alza la lunga verga di cui é munita e compie il rito della flagellazione.

Nella successiva figura la Sposa, seminuda, con i capelli disciolti, affranta per le torture subite, si abbandona sulle ginocchia della sacerdotessa, la quale le poggia carezzevolmente la mano sul capo, sollevando gli occhi pietosi verso la flagellante.

Qual significato ha tutto ciò?

Il phallus era il simbolo dell’unione della inizianda col Dio. Il culto del fallo ebbe nell’antichità larga diffusione (1). Esso aveva per significato la venerazione del principio creativo dell’Universo, la forza germinativa creatrice dei mondi, il principio maschile della creazione.

La sua origine risale all’antichissimo Lingam indiano, che rappresentava i due principi, attivo e passivo, della creazione del cosmo, come la spada e la coppa del Graal, rappresentano gli stessi principi nella leggenda del Santo Graal.

Questo culto, che era praticato nei Misteri di Osiride, venne anche introdotto in quelli eleusini e nei Misteri Orfici.

Nel simbolo fallico veniva espresso il principio divino operante nell’Universo e nell’anima.

La Sposa, che in questa figurazione è il simbolo dell’anima, anela ardentemente di raggiungere il suo sposo, Dioniso-Zagreo. Per ritornare a questa sua sorgente di vita, ella ha compiuto i riti della vestizione, della catechesi, della divinazione, e anela ormai il matrimonio sacro, la jerogamia.

Ma poiché non é ancora degna di questo supremo stato di coscienza, deve prima subire la passione del Dio.

Ed ecco che la figura alata la ferma col gesto e compie su di lei la flagellazione, che simboleggerà la passione.

La jerogamia, o sacro connubio con le divinità, era anche in uso nelle Antesterie, ove si compiva la comunione tra la Basilissa e il Dio, e rappresentava, in simbolo, l’unione dell’anima con il Verbo creatore, il Demiurgo.

Anche nei Misteri Eleusini si celebrava il matrimonio sacro, e anche lì esso non era semplice elemento di funzione liturgica, ma costituiva il punto culminante di una cerimonia che simboleggiava e sintetizzava tutto il Mistero della manifestazione. In Eleusi si rappresentava l’unione di Zeus con Demeter (2).

Il matrimonio sacro, era, come abbiamo già detto, il soggetto più importante del dramma sacro che veniva rappresentato nella iniziazione superiore o Epopteia.

O chi è mai quella figura slanciata, dalle grandi ali scure, dal corpo nudo coperto solo ai lombi, dai calzari a risvolti di pelle?

Il Macchioro, nel suo studio pubblicato per l’esame di queste figure (Op. cit. pag. 130), ritiene che essa sia Teteté , figlia di Dionisio e di Nicea, personificazione delle cerimonie mistiche, che esegue la flagellazione, compie cioè la teleté, tenendo in una mano un rotolo come depositaria e custode delle dottrine e, dei riti relativi ai teletai, di cui ella è la personificazione.

Ma osservando attentamente i riti delle religioni misteriche, noi troviamo che una delle prove, forse la più terribile, alla quale dovevano sottostare gli iniziati, era la discesa agli Inferi.

Questa prova d’iniziazione, adottata nei Misteri Eleusini ed ampiamente descritta da Plutarco, come vedremo in seguito, era anche praticata nei Misteri Orfici. Pertanto, solo dopo questa tormentosa prova della discesa agli Inferi e della conoscenza degli Dei infernali, o ctoni, l’iniziato veniva ammesso a raggiungere gli Elisi.

A tale prova si riferisce il seguente frammento di Plutarco (3): “L’anima al momento della morte subisce la stessa impressione di coloro che partecipano alle grandi iniziazioni. E le parole si rassomigliano come le cose: telnt¡n = morire, telntszai = essere iniziato.... Sono da principio delle marce senza méta, laboriosi giri, corse angosciose e senza “scopo in mezzo alle tenebre... Quando ci si avvicina alla fine si raggiunge il colmo del fragore e del brivido, il tremore, il sudore freddo, lo spavento... Ma al di là si presenta una luce incantevole, ci si trova in luoghi puri, in praterie rallegrate da cori e da danze, con l’impressione religiosa di parole sacre e di apparizione divine”.

E che il rito facesse parte della iniziazione ai Misteri Orfici è provato dal contenuto della laminetta orfica di Petelia (4), che tradotta dal greco, dice testualmente: “E tu troverai a sinistra della Casa di Ade una fonte e ritto ivi accanto, un cipresso bianco. A questa fonte tu neppur ti accosterai (5). Un altra ne troverai di fresa acqua scorrente dal lago di Mnesmosyne; guardiani terribili vi stan dinanzi, e tu dirai: - Figlia di Gea son io e di Uranos stellato, e celeste è la mia stirpe e ciò pur voi sapete, e la sete mi arde e mi consuma: or voi datemi tosto della fresca acqua scorrente dal lago a di Mnesmosyne - Ed essi ti lasceranno bere alla fonte divina, e allora tu regnerai, in seguito, con altri eroi”.

Ciò posto, poiché la discesa agli Inferi rappresentava per l’anima la prova maggiore, quella cioè di affrontare e vincere le forze del male raffigurare in simbolo dalle regioni infernali e dagli Dei Inferiori (potenze catoctonie, forze negative del Cosmo e dell’anima), noi riteniamo che la figura dalle ali nere non sia che una demone alata che ostacola alla Sposa il cammino verso l’unione, per compiere prima il rito della flagellazione. Tale rito rappresenta la catarsi dell’anima, la quale, prima di raggiungere lo Sposo, deve affrontare e superare le prove che la renderanno pura e spoglia da ogni sentimento egoico.

L’anima deve, in sostanza, morire a se stessa, abbandonare cioè tutto il bagaglio di passioni e di desideri, trasportato con se nelle età trascorse, e rinascere libera e pura come Dioniso bambino, É la morte mistica o morte apparente, che è invece rinascita nuova, rinascita di purezza, spoglia da ogni senso di personalità.

E spoglia, infatti, è la sposa, che in tutta questa figurazione è simbolo dell’anima umana, quasi denudata materialmente, come si vede sulle ginocchia della sacerdotessa, dopo di aver subito la flagellazione.

Le laminette orfiche del timpone piccolo di Thurii esprimono questo stato dell’anima, con le seguenti parole: “Io pura infra i puri vengo a voi, o Regina degli Inferi, o Eucles o Eubuleo, e voi altri Dei immortali. Poiché io mi pregio di appartenere alla vostra stirpe beata; ma la Moira e il balenar del fulmine mi abbattè e mi inaridì e scontai la pena per non giuste opere. Ma io me ne volai via dal giro luttuoso e duro (6) e con rapido piede raggiunsi la bramata corona e discesi in grembo alla signora infernale. Ed ora supplichevole vengo dinanzi alla santa Persefone perché benigna mi mandi nelle sedi dei più” (7).

1- Vedi “ Biblioteca dei Curiosi” n. 13.

 2- Il Logos, Zeus, in unione con Demeter, la Materia vergine manifestata, la montagna di luce di Manù da cui origina la mente creatrice, la divina Attività, pronta a manifestarsi come Creatrice di Universi.

 3- In Stobée, che attribuisce la citazione a Themistius. Ap. Farnell 356, n. 218, h. Cfr. Foucart, Recherches, 56 (Ripreso da A. Laisy, Les Mystères Païens et le Mystère Chrétien  - Paris, Nourry, 1919, 63).

4- Le laminette orfiche, in numero di undici (sec. IV a. C. - II d. C.), sono piccole foglie di oro, che, chiuse in un cilindro, venivano appese al collo del defunto mediante una piccola catenina egualmente d’oro, oppure venivano collocate presso la sua mano. Esse contengono frammenti di poemi o di inni orfici, oppure iniziali e finali di formule sacre.

Queste vere preziosità archeologiche sono state rinvenute: cinque nella Magna Grecia, a Thurii (Terranova di Sibari), ora al Museo di Napoli; una a Petelia (strangoli), conservata nel Museo Britannico; quattro a Creta (Eleutherna), custodite nel Museo di Atene; una a Roma, attualmente nel Museo Britannico.

5-  Lethe la fonte dell’oblio. I tristi che colà giungevano, dopo essersi abbeverati alla fonte dell’oblio, venivano scagliati in un pelago profondo. che era per essi l’oscurità e la morte eterna. (Cfr. Pascal, Le credenze d’oltretomba - col. I, pag. 38 - Paravia Torino).

Secondo la dottrina orfica, tutte le anime umane, divine d’origine ed immortali, ma impure, sono soggette alla legge fatale dell’oblio dopo la morte corporea. Tutte debbono abbeverarsi al fonte di Lethe, talché, trasmigrando, come pur devono, ad altra vita corporea e terrena, delle vite già passate non serbano alcun ricordo. Solamente le anime purificate degli iniziati debbono rivivere completamente riprendendo la continuità della vita annuale e quindi ricordando, il che viene simboleggiato nel loro privilegio di abbeverarsi alla fonte di Mnemosyne. In questo senso l’acqua di quel fonte é per essi fresca acqua di vita, mentre quella del Lethe, per i non iniziati, é torbida e impura acqua di morte.

Si intende però che il ricordare delle anime degli iniziati si riferisce alla originaria loro vita di esseri divini, ripresa e continuata nell’oltretomba, ove, spogli di ogni traccia di umanità, ridivengono iddii"

6- Allude al “ciclo delle rinascite”.

7- Comparetti Op. Cit. pag. 25 e segg. Citiamo qui, per maggiore intelligenza, ciò che il Turchi dice a proposito dell’Hade Orfico (N. Turchi, Storia delle religioni, Torino, Bocca). “Sull’Hade Orfico regnano Eubuleo il “benconsulto”, altro epiteto come Zagreo, di Dioniso infero; Eukles il “ben chiamato”, epiteto eufemistico di Plutone e soprattutto di Persefone, che predomina nella concezione orfica popolare. Vi sono due vie principali che si diramano a destra e a sinistra della via d’ingresso, a foggia di una Y, e menano ai prati fio riti dei buoni e al Tartaro punitore dei malvagi; vi sgorga la fonte di Mnemosyne, sorgente della vita, concetto proprio degli Orfici che hanno abbandonato la oscura prigione del corpo per attingere in Zagreo la scaturigine della vita divina. Le anime degli Orfici debbono muovere verso la fonte, dar la parola di passo, subire il giudizio di Persefone, che le destina al soggiorno nei prati in fiore, in attesa del finale ritorno di Zagreo”.

 


 

Indice

Introduzione La Vestizione La Catechesi L'Agape Sacra La Rivelazione

La Passione L'Apoteosi Mistica Immagine Intera