L'APOTEOSI MISTICA Ed eccoci all’ultimo quadro della figurazione. La Sposa ha raggiunto la perfetta purezza. Spoglia di ogni vestimento, nuda - ha solo un velo che si gonfia nelle movenze del ballo - danza battendo i crotali, assistita da una indecisa figura femminile che reca un tirso. La Sposa ha realizzato il suo sogno. La sua rinascita in Zagreo è avvenuta: la palingenesi è compiuta l’unione con lo Spirito è tata realizzata. Attraverso l’amore e lo spasimo, il tormento, la passione, l’aspirazione ardente ha trasfigurato il suo corpo, ha sublimato i suoi sensi, ha compiuta la rigenerazione di sé ed è giunta alla suprema unione, si è identificata col divino, è diventata baccante. Ed esprime questo suo stato di gioia danzando con tutto il tripudio del suo spirito. Il Mistero è compiuto. La Sposa ha realizzato dentro di sé la più alta coscienza di unione. Che cosa sia questo stato di coscienza, dal punto di vista mistico non è facile esprimerlo né descriverlo. Nei Misteri di Eleusi, questo supremo grado di iniziazione era chiamato Epopteia. Lo spirito raggiungeva qui la più alta virtù di contemplazione: l’eposto era il contemplatore, colui al quale era concesso il supremo dono della visione immediata ed estatica della Divinità; ciò che lo faceva dichiarare; mac¡ij, felice. Divenuto veggente, egli realizzava in sé lo Spirito supremo ed era messo in diretta conoscenza con i misteri della vita e con quelli della creazione. Gli Dei, ovvero le potenze cosmogoniche erano a lui visibili e in lui stesso assorbiti. Egli diventava un centro di potenza creativa e integrativa di tutto ciò che è visibile e invisibile. Porfirio, nel raccontare l’iniziazione suprema di Eleusi, sempre con forma velata e simbolica, dice, fra l’altro, parlando delle visioni, che esse non erano soltanto in virtù di un apparenza esteriore o di una interpretazione filosofica, ma di fatto e in realtà. E Pindaro, nel frammento 137, dice: “Beato è chi vedutili - sotterra scende: ei della vita il termine - Egli il principio che è da Zeus conosce”. Il senso della gioia è espresso simbolicamente con la danza. Non è la danza orgiastica eseguita in preda al furore di cui è cenno nel mito di Penteo, magistralmente trattato da Europide; e non è nemmeno la danza che le baccanti eseguivano nei riti bacchici, descritta da Aristofane nelle Rane. Al prato, che fiorito si vela di rose, si corra, s’intreccino le nostre scherzose caròle, guidate dall’Ore beate. Per noi lieti brillano gli eterei lumi per noi che partecipi dei riti, costumi serbiamo ai nostrani benigni e agli estrani. È invece la danza della gioia ineffabile, per l’apoteosi mistica raggiunta, per la Luce viva che ora illumina la sposa già libera e spoglia di ogni legame, già unita alla sua prima radice, allo Spirito Supremo a Zagreo. La Sposa è entrata così nell’ordine eterno dell’Universo spirituale, riconoscendo la realtà Una in ogni cosa. Questa suprema conoscenza è la mèta di ogni essere umano, per cui la vita con tutte le sue angosce e sofferenze diventa un mezzo per realizzare questa conoscenza, che è non solo la gioia più grande, ma anche la più alta perfezione che fa dell’uomo un centro di coscienza creatore. Questo stato di coscienza, umano e divino insieme, è espresso abbastanza chiaro in una preghiera magica ad Ermete, contenuta nel papiro 122 di Londra: “Io sono t u e tu sei io – dice l’orante - il tuo nome è il mio, perché io sono la immagine tua”. E una laminetta orfica esprime ancora più chiaramente questo concetto d’identificazione, che è la più alta esperienza mistica. con le parole: “Da uomo sei diventato dio”.
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