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La notte della "Sposa" (Terza Parte) |
É il senso della parole contenute nella Scrittura (Salmi XIX,6): “Egli sorge da un estremità del cielo, e la sua orbita raggiunge l’altra estremità”, ovverosia parte dal mondo superiore e giunge in quello inferiore. La parola “Othqouphatho” esprime l’idea di rotondità, ossia della terra. É per lo stesso motivo che la durata di un anno è chiamata “thqouphath ha-sanâ”, giacché in questo lasso di tempo, la terra incontra tutti i raggi della circonferenza solare, che essa (la terra) abbraccia da ogni lato.
“Nulla si sottrae al suo calore”, dice la Scrittura (Salmi XIX,7). Come il sole, visibile o meno sulla terra, non cessa mai di riscaldarla con i propri raggi, così non c’è nulla che possa nascondersi a lui. Con le parole “il suo calore”, si sottintende la dottrina esoterica; per questo la Scrittura aggiunge: “La Legge del Signore e perfetta”.
Ad iniziare da questo versetto, la Scrittura ripete consecutivamente per sei volte il nome (tetragramma) di “Yéhova”; vi sono inoltre sei versetti dall’inizio del capitolo fino al versetto precitato, e ciò per indicarci il mistero racchiuso nella parola “Bereschith”, la quale è costituita da sei lettere, “Bara sith”, vale a dire creò i sei. Infatti è con le sei lettere della parola “Bereshith” che Dio creò i cieli e la terra. Per lo stesso motivo, dopo la parola Bereschith, tutta l’opera della creazione è condensata in sei parole: “Creo Dio, i cieli e la terra”.
Mentre Rabbi Shimon parlava, entrarono Rabbi Elèazar, suo figlio, e Rabbi Abba ai quali esclamò: “Il volto della “Šekinahh” giunge, giacché voi avete visto la “Šekinahh” in volto, ed è questa la ragione per cui vi ho chiamato (Zohar I,7a) “Peniel”. Ora che vi ho svelato il mistero racchiuso nei versetti su Banaïas, figlio di Joïada, che sottintende distintamente l’Antico e dopo avervi svelato il vero senso del brano che segue e gli altri passi misteriosi, vi darò anche la spiegazione di un altro sublime passaggio biblico.
Iniziò: è scritto (I Paralipomeni XI,23): “Uccise anche un egiziano alto cinque cubiti”. Queste parole racchiudono lo stesso mistero svelato precedentemente a proposito di Banaïas, figlio di Joïada. Con la parola “egiziano”, in realtà, la Scrittura indica quello di cui abbiamo parlato, vale a dire Mosè. Riportando che era alto cinque cubiti, Essa fa allusione al brano (Esodo XI,23): “Mosè era divenuto molto potente in Egitto, agli occhi dei ministri del faraone e del popolo”.
La parola “alto” non è riferita alla statura, ma all’anima; è così, infatti, che è opportuno intendere la tradizione quando afferma che Adamo misurava in altezza un numero di cubiti equivalenti a quelli che separano le due estremità della terra. La tradizione vuol intendere che Adamo dominava tutta la terra. Analogamente, affermando che Mosè misurava cinque cubiti, la Scrittura sottintende che esso praticava le cinque virtù che conducono alla perfezione.
La scrittura aggiunge: “E l’Egiziano aveva una lancia nella mano, come un subbio di tessitore”. Essa allude allo scettro di Mosè, sul quale erano incise le lettere che formavano il nome sacro, quegli stessi caratteri, quarantadue di numero, incisi sul subbio di Beseléel, com'è scritto (Esodo XXXV,35): “Li colmò entrambi di saggezza, per eseguire ogni genere di lavoro che poteva realizzarsi in legno, in stoffa di differenti colori e in ricami”. Le lettere, che scrivevano il nome sacro, erano visibili su tutti i lati dello scettro e ognuno dei quarantadue caratteri (Zohar II, 260a) diffondeva un diverso colore di luce. Il resto del versetto è già stato spiegato in precedenza. Beato il destino di Mosè.
Venite, cari amici, venite e sviluppiamo nuove idee sulla dottrina esoterica, astrazioni che formeranno i gioielli della sposa celeste. Chiunque la seguirà, durante questa notte dell’unione, sarà per sempre preservato da ogni male sia nel cielo sia sulla terra. Egli avrà pace celeste fino alla fine dei tempi, com'è scritto (Salmi XXXIV,8-9): “L’Angelo del Signore circonda quelli che lo temono, e li libererà. Gustate, e percepite quanto e buono il Signore, felice l’uomo che spera in lui”.
Rabbi Shimon aprì una delle sue lezioni nel modo successiva: è scritto (Genesi I,1): “In Principio creò Dio”. Questo versetto richiede profonda meditazione. Chiunque affermi che esiste un altro Dio si esclude da tutti i mondi, proprio come è scritto (Geremia X,11): “Direte loro: gli dei che non hanno fatto il cielo e la terra saranno sterminati dalla terra e da sotto i cieli; Éléh”. Non esistono altri dei al di fuori del Santo, benedetto egli sia, che è Dio unico e solo [9b].
Questo versetto è scritto in lingua aramaica, tranne l’ultima parola “Éléh”, scritta in ebraico. Quale n'è motivo? Si potrebbe rispondere che il versetto è stato così scritto per sottrarlo all’intelligenza degli angeli, i quali non comprendono questa lingua (Zohar I,74b, 75a e 89b). Ma perché non scriverlo in lingua ebraica, in modo tale che gli angeli comprendendolo testimoniassero l’unità di Dio? La vera ragione è questa: “Acciocché gli angeli invidiando gli uomini non facessero loro del male”. Invero, con le parole “gli dei che non hanno creato i cieli e la terra “, la Scrittura intende quegli angeli i quali, ribellatesi al cielo, si spacciano per dei.
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