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Il Conducente di Asini (Terza Parte) |
Nelle parole precitate: “Uccise i due leoni di Moab”, invece di leggere “di Moab”, compitare “Mêab”, vale a dire “del Padre Celeste”. Da questo momento, tutte le luci che illuminavano Israele si spensero (4). La Scrittura, in seguito, riporta: “Discese in una cisterna e uccise un leone, in un giorno in cui vi era la neve”. All’epoca in cui il fiume, di cui si è parlato, diffondeva le proprie acque in basso, e gli stessi Israeliti esistevano grazie ai sacrifici che immolavano in espiazione dei loro peccati, discendeva sull'altare, proprio nel momento dei loro olocausti, un essere celeste dall’aspetto di leone. Lo si vedeva consumare la carne dei sacrifici con l’avidità di un uomo affamato, e tutti i cani (5) si nascondevano temendo di mostrarsi dinanzi a lui. Come conseguenza dei peccati, però, l’essenza divina abbandonò il tempio, e Dio stesso, se c'è permesso esprimerci in tale maniera, uccise il leone.
La Scrittura riferisce che uccise il leone (6) in una cisterna, vale a dire alla presenza dei demoni abitatori dei mondi inferiori, e questo per autorizzarli, essendo morto il leone, ad impadronirsi, da quel momento in poi, di tutti i sacrifici offerti dagli uomini. Dio, non gradendone più (7), permise ai cani di impadronirsene (Zohar III,211a). Il nome del leone ricordato sopra, è “Ouriel”, invero, esso ha proprio le sembianze di un leone, mentre il nome del cane è “Baladan”, che significa non “uomo”, (come il termine farebbe supporre) ma cane, perché esso ha proprio le fattezze di un cane.
La Scrittura aggiunge ancora: “In un giorno in cui vi era la neve”, cioè nel tempo in cui Israele peccò e fu condannato dalla giustizia celeste (Isaia I,6). Questo è anche il senso delle parole scritturali (Proverbi XXXI,21): “Non temerà, per la sua casa, la neve”, vale a dire non avrà timore della giustizia celeste, “perché tutti i famigliari sono abbigliati con vesti di porpora”, in modo da poter affrontare il fuoco potente. È questo il significato analogico del versetto citato.
La Scrittura continua (II Re XXIII,21 e I Paralipomeni XI,23): “Uccise anche un egiziano, uomo di aspetto chiaro”. In questo versetto noi apprendiamo che ogni qual volta Israele si rende colpevole, Dio lo priva di ogni bene e di tutte le luci le quali, in altri momenti al contrario, lo illuminano. Se la scrittura riporta: “Uccise un egiziano”, vuol intendere “Tolse ad Israele questa luce celeste, ovverosia Mosè", infatti, esso è chiamato “Egiziano”, com'è testimoniato (Esodo II,19): “Un egiziano ci ha liberato”. In Egitto, infatti, è nato ed è qui che è cresciuto, e che salì verso la luce celeste (8).
É detto: “Un uomo di aspetto chiaro”, perché è scritto (Numeri XII,8): “Vide (Mosè) il Signore chiaramente e non sotto enigmi”. La Scrittura si serve, inoltre, per indicare Mosè della parola “Ish” (ùéà), la quale va tradotta con “uomo”, quantunque significhi “marito”, del resto è scritto (Deuteronomio XXXIII, 1): “L’uomo (ùéà) di Dio”. Mosè era, certamente, lo sposo della divinità, e la soprintendeva, beneficio di cui nessun mortale ha mai goduto, secondo la propria volontà.
La Scrittura riporta in seguito (vedere anche Zohar I,21a): “L’egiziano aveva in mano una lancia”, questa asta è lo scettro di Dio consegnato a Mosè, com'è confermato (Esodo XVII,9): “E lo scettro di Dio è tra le mie mani”. Questo scettro fu creato al tramonto del sesto giorno della creazione; era decorato con la scritta del Santo Nome, inciso in lettere celesti. Nel momento in cui, però, Mosè si rese colpevole con questo stesso scettro, come è detto (Numeri XX,11): “E colpi due volte la pietra con il suo scettro”, il Santo, benedetto il suo nome, gli disse: "Mosè! Non è per agire in questo modo che ti ho concesso il mio scettro (Zohar I,28a); io giuro sulla tua vita che da questo momento non lo avrai più".
Infatti, la Scrittura riferisce che (II Re XXIII,21): “Scese con una verga”. La parola “verga” (shebet) fa riferimento al rigore della giustizia; per questa ragione partire da quel momento, lo scettro gli fu tolto. “Strappò di mano la lancia dell’egiziano”, vale a dire Mosè perse lo scettro a causa dell’uso improprio che ne fece. In seguito è riportato: “E lo uccise con la sua lancia” vale a dire, a causa del peccato commesso con quest'asta, gli fu impedito di entrare nella Terra Santa, e questa luce fu tolta ad Israele.
La Scrittura riferisce, subito dopo (II Re XXIII,23): “Fu il più illustre dei trenta, ma non raggiunse i Tre”. “Fu il più illustre dei trenta”; sono i trenta anni superiori, durante i quali fu separato da loro e rimase in basso, è da loro che fu rapito, in seguito si avvicinò ad essi. “Ma non giunse alla pari dei tre”, furono, in altre parole, i tre ad avvicinarlo offrendogli tutto ciò che il suo cuore desiderava, ma lui non si avvicinò ai tre (Zohar I,105a).
Sebbene non entrò in questo conto dei tre, “David lo prese al suo servizio”. Non lo separò mai dal suo cuore e non si divise mai da lui.[7a] David proietta il proprio cuore verso di lui, e non lui verso David, come la luna indirizza lodi e inni al Sole, affinché la attiri a se e ne costituisca il centro d'attrazione. Questo è il significato delle parole della Scrittura: “E David lo prese al suo servizio”.
Éléazar e Rabbi Abba si prosternarono dinanzi al loro interlocutore il quale sparì improvvisamente. Invano lo cercarono da ogni parte, ma non lo videro più. Sederono in silenzio, piansero, ma fu loro impossibile intrattenersi ancora. Rabbi Abba, dopo un certo tempo, rompendo il silenzio, disse: noi testimoniamo la tradizione la quale afferma, ogni qualvolta i Tsaddîqîm (Giusti) viaggiano insieme e dissertano sulla dottrina, sono favoriti dalla visita dei santi che abitano nell’altro mondo. É certo, infatti, che il nostro interlocutore altri non era che Rabbi Hammenuna il Saggio, il quale, venuto dall’altro mondo per rivelarci quest'insegnamento, è sparito prima che avessimo il tempo di riconoscerlo. Si alzarono e cercarono di caricare i loro asini; ma non ci riuscirono. Provarono di nuovo, ma con uguale insuccesso. Ebbero paura e abbandonarono i loro asini. Ancora oggi, questa località si chiama: “ Il luogo degli asini”.
I passi che seguono non sono, in verità ricollegabili al racconto che precede, ma poiché gli studiosi li annoverano nel racconto del "conducente di asini" li inseriamo in questa sezione.
Éléazar iniziò: È Scritto (Salmi XXXI,20): ”Quanto è grande l’abbondanza della tua bontà, che tu hai nascosto per coloro che ti temono”! É veramente immensa, quando si giunge all’altro mondo, questa bontà celeste che il Santo, Benedetto Egli Sia, ha riservato agli uomini degni del cielo, i quali temono il peccato e si consacrano allo studio della dottrina! La Scrittura non dice “Quanto è grande la tua bontà”, ma “Quanto è grande l’abbondanza della tua bontà”. E quale è questa abbondanza della bontà? È quella di cui la Scrittura riferisce (Isaia CXLV,7): “Proclameranno l’abbondanza della tua bontà”. E lei che costituisce le delizie del Santo, il quale, nell’altro mondo, compaiono dinanzi all’Eterno chiamato “attestazione dell’abbondanza di bontà”. È di lui che parla la Scrittura (Isaia XLIII,7) quando dice: “E l’abbondanza di Bontà è per la casa di Israele”.
Inoltre, le parole della Scrittura: “Quanto (Mâ) è grande l’abbondanza della vostra bontà”, racchiudono il mistero della “Saggezza”, da cui dipendono tutti gli altri segreti. Questo mistero è indicato da “Mâ”. Com'è detto, “Mâ” forma il più grande e il più potente albero celeste; poiché vi è un altro albero più piccolo, che egli ha collocato alla sommità dei cieli. parola “bontà” indica la luce creata nel primo giorno della creazione (Talmud Haguiga, 12a). [Segue nella pagina successiva]
((4) É quindi da questo passato, non più esistente, che deriva il nome del fiume celeste C’ebar (øáë), il quale in ebraico significa “altre volte”. [Torna al Testo] (5) I demoni. Secondo lo Zohar (III,32b e 211a), l’apparizione del leone e del cane si alternerebbero secondo la condizione morale degli Israeliti. [Torna al Testo] (6) Il tempio. [Torna al Testo] (7) L’edizione di Sulzbach riporta æåì àòá àì äë÷. [Torna al Testo] (8) Le edizioni di Mantova, Cremona e Sulzbach riportano: àéðñ éäéàã äéìéã àøåäðì ÷ìúñà ïîúå éáøúà ïîúå ãìéúà ïîú. [Torna al Testo]
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