102 Sanjaya torna ancora dal campo Raccontati i primi dieci giorni di battaglia, Sanjaya tornò a Kurukshetra. E altri cinque tremendi giorni trascorsero prima che il re cieco potesse avere altre notizie; l'ansietà lo corrodeva ogni istante di più, mentre pensava ai figli morti e agli altri che correvano pericoli letali per la potenza di Bhima; a Bhishma che giaceva su un letto di frecce; agli altri amici e parenti che potevano essere già morti. Poi Sanjaya tornò. "O re," disse con tono severo, "purtroppo non sono latore di buone notizie. Dopo cinque giorni di comando, dopo aver provocato il panico tra le file del nemico, ed aver mietuto tante vite quanto la stesso Kala, il tuo caro amico e maestro d'armi dei tuoi figli e nipoti, il brahmana Drona, ha abbandonato il suo corpo, con la testa tagliata dalla lama della spada del figlio di Drupada, il prode Drishtadyumna. E insieme a lui, durante questi terribili giorni, a causa dell'invidia di Duryodhana, molti altri valorosi eroi e anime pie sono morti, raggiungendo le destinazioni che meritano tali grandi personalità." A quella notizia Dritarashtra ebbe un violento malore e svenne. Riavutosi, con animo triste, parlò. "Come è potuta mai accadere una simile cosa? É assolutamente incredibile. Al pari di Bhishma, anche Drona era praticamente invincibile. Allora, come sono riusciti i Pandava e i loro alleati a fare ciò? Sanjaya, la mia ansietà sta aumentando a dismisura. Io voglio sapere cosa è accaduto a Drona, ai miei figli e a tutti gli altri. Solo con la conoscenza dei fatti la mia angoscia potrà mitigarsi un tantino e io avrò qualche possibilità di provare un pò di sollievo. Per favore, narrami tutto nei dettagli." E Sanjaya iniziò il racconto. Quella dell'undicesimo giorno era stata un'alba triste per tutti; nessuno si sentiva vinto o vincitore nè riusciva a distogliere la mente dal pensiero del mahatma Bhishma disteso in mezzo al campo di battaglia, con mille ferite che gli laceravano le carni. Quella era anche la prima volta che i generali Kurava si incontravano per concertare le strategie di guerra della giornata senza di lui. Quando Duryodhana e i suoi fratelli entrarono nella tenda di Karna, lo trovarono indaffarato a prepararsi per scendere sul campo. Insieme compiansero l'anziano guerriero caduto per la loro causa. "Ora che egli giace senza potere più proteggere le nostre truppe," disse Duryodhana, "solo tu puoi darci il conforto della certezza della vittoria. Vieni con noi, dunque, e combatti come solo tu sai fare." "Non dovete rattristarvi troppo per lui," rispose Karna, "poichè l'anima non muore mai, e a seconda degli atti commessi durante la sua esistenza, dopo aver abbandonato il corpo ottiene la destinazione che merita. Bhishma è un'anima completamente pura e priva di qualsiasi contaminazione materiale, e quindi senza dubbio raggiungerà quei pianeti di cui sono degne le persone virtuose. D'altra parte non ci si poteva aspettare che sarebbe vissuto eternamente, giacchè ogni essere che nasce è destinato a perire. Da grande guerriero quale egli era ha preferito abbandonare il suo corpo onorando lo kshatriyadharma." Dopo essere andato ancora a rendere omaggi a Bhishma, Karna entrò nella tenda dove i generali ogni mattina tenevano consiglio. Quella mattina si discusse della nomina del nuovo comandante in capo ed egli stesso indicò Drona come il più qualificato a guidare le armate Kurava. Accettato all'unanimità e acclamato dalle truppe, il maestro salì sul carro, splendente come un secondo Indra. Ma fu la vista di Karna in assetto da guerra che allietò maggiormente i soldati, perché nessuno ignorava che l'acarya amava i Pandava quanto Bhishma. I soldati delle due fazioni si riversarono sulla piana di Kurukshetra e si posero ognuno nella propria posizione, secondo le direzioni dei loro comandanti. Quella mattina Drona organizzò l'esercito ai suoi ordini a forma di una shakata, che significa "ruota", e i Pandava di krauncha, un particolare tipo di uccello. Prima di ordinare l'attacco, Drona volle infondere coraggio e ottimismo in Duryodhana, che aveva visto piuttosto depresso. Gli disse: "Chiedimi un obiettivo particolare che deve essere ottenuto in questa guerra, e io lo farò per te." Il Kurava ci pensò un pò sopra, poi parlò: "Visto che anche tu come gli altri ti rifiuti di uccidere i fratelli Pandava, allora, se vuoi farmi piacere, prendi prigioniero Yudhisthira." Drona esitò un attimo a fare una simile promessa, poichè sapeva quanto potesse essere vile Duryodhana. "Lo farò solo se mi prometti solennemente che non lo ucciderai con metodi sleali." "No, non voglio uccidere Yudhisthira," ribattè lui, "non mi conviene. Se lo facessi, quale luogo sarebbe più sicuro per me, e chi mi proteggerebbe dalla furia di Arjuna e di Bhima? E poniamo che essi non riuscissero a vendicarlo, chi mai potrebbe fermare Krishna, il quale per una cosa del genere fatta a un suo puro devoto è capace di distruggere l'intero pianeta? No, io lo voglio vivo e prigioniero, voglio costringerlo a giocare un'altra partita a dadi con me e rimandarlo nella foresta. Solo così questa guerra potrà essere fermata." In cuor suo Drona maledisse la mentalità demoniaca di Duryodhana, che col tempo peggiorava sempre più. "Allora io prenderò prigioniero Yudhisthira, a patto che Arjuna venga allontanato dal fratello; altrimenti non mi sarà possibile. Sta a te, quindi, trovare il modo di farmi assolvere alla mia promessa." Duryodhana annuì e cominciò a riflettere su come tenere lontano Arjuna. Poco dopo le abili spie dei Pandava portarono la notizia di quel diabolico piano. Arjuna divenne furibondo per la grettezza che ancora una volta il cugino aveva dimostrato di avere, e affermò che non avrebbe lasciato il fratello solo neanche per un minuto. 103 L'undicesimo giorno Quando Drona diede il segnale, le milizie, ancora numerose nonostante la tremenda carneficina dei dieci giorni precedenti, si scagliarono le une contro le altre. La prima parte della giornata fu caratterizzata dalla solita serie di fantastici duelli fra i maharatha. Sahadeva e Shakuni, Drona e Drishtadyumna, Vivimsati e Bhima, Bhurishrava e Shikhandi, Ghatotkacha e Alambusha: tutti questi grandi e celebri eroi ingaggiarono lotte feroci che deliziarono gli amanti delle arti marziali. Virata fu il primo ad incontrare Karna, e dovette subito riconoscerne le straordinarie capacità. Abhimanyu non fu da meno, mentre Bhima costrinse Shalya a salvarsi saltando sul carro di Kritavarma. Quella mattina un altro grande guerriero si mise in luce: Vrishasena, figlio di Karna, provocò serie preoccupazioni all'armata dei Pandava, finchè non venne contrastato efficacemente da Satanika, il figlio di Nakula. Ma nonostante l'apporto dei nuovi arrivati, fu l'esercito dei Kurava a soffrire maggiormente quella mattina. Drona, che era sempre attento ai movimenti dei Pandava, s'accorse che in quel momento Arjuna non era nelle vicinanze di Yudhisthira, e desiderando ardentemente porre fine a quella guerra sanguinosa, lo attaccò con veemenza. Il maggiore dei Pandava si difendeva valorosamente, ma l'acarya si rivelò chiaramente troppo forte per lui e solo l'arrivo provvidenziale di Drishtadyumna lo salvò dalla cattura. In quella zona del campo la mischia si fece furibonda tanto che enormi nuvole di polvere impedivano a tutti una chiara visione. Drona sconfisse prima Satyaki, poi i figli di Draupadi e infine Virata: dava l'impressione di essere inarrestabile. Ma quando sembrava che ormai nulla potesse più fermarlo dal catturare Yudhisthira, comparve Arjuna. "Tu sei stato il mio guru," gli gridò, "molto di ciò che so lo debbo a te e per questo ti porto il massimo del rispetto; ma non avresti mai dovuto promettere a Duryodhana la cattura di mio fratello. Difenditi contro di me, ora." Grazie alla guida eccezionale di Krishna, Arjuna combattè al pari di suo padre Indra quando questi ingaggiava lotte contro gli asura. Non riusciva a capacitarsene: Bhishma era caduto poche ore prima e Duryodhana insisteva con i suoi piani malvagi; neanche la morte di una persona così cara era riuscita ad indurlo a pensieri più vicini alle regole della moralità. Spinto da una furia incontrollabile e battendosi come mai aveva fatto in precedenza, riuscì a respingere l'attacco di Drona. Al tramonto il viso di Arjuna tradiva ancora i segni di una rabbia profonda, ma rivelava anche una malcelata soddisfazione; il maestro gli aveva reso la giornata difficile, pure era riuscito a contenere la sua azione. 104 Il voto dei Trigarta Mentre i medici si prendevano cura dei numerosissimi feriti e gli stanchi soldati andavano a cercare in qualche ora di sonno un pò di sollievo dalle fatiche della battaglia, come ogni sera Duryodhana si lamentava amaramente. Stavolta toccò a Drona risollevare l'umore del Kurava. "Tu mi avevi promesso di prendere prigioniero Yudhisthira e nel pomeriggio ne hai anche avuto la possibilità, ma quando tutto sembrava già fatto ti sei fermato e l'hai lasciato fuggire: perché? Se vogliamo vincere questa guerra devi catturarlo al più presto. Non possiamo più sostenere i massacri di Bhima, di Arjuna e di tutti gli altri." "Io ti avevo parlato molto chiaro," ribattè seccamente Drona. "Ti avevo avvertito che avrei potuto farlo solo se Arjuna non fosse stato presente. Ma oggi, proprio nel momento in cui mi sono trovato ad avere a portata di mano Yudhisthira, è arrivato Arjuna. Anche Yudhisthira è fortissimo e non posso catturarlo se contemporaneamente devo badare al potente figlio di Indra. Devi essere tu a fare in modo da tenerlo sempre lontano." A quella discussione era presente anche Susharma, che decise di intervenire. "Io e i miei fratelli abbiamo un vecchio conto da regolare con i Pandava e in special modo con Arjuna, e non cerchiamo altro che l'opportunità di combattere contro di lui. Stasera io e i miei quattro fratelli pronunzieremo il voto chiamato samsaptaka. Domani stesso, perciò, noi lanceremo una sfida ad Arjuna, a cui non potrà sottrarsi: si vedrà costretto a seguirci nella zona meridionale di Kurukshetra e ad affrontarci. Nel frattempo l'acarya potrà catturare Yudhisthira." Risollevato da quelle coraggiose parole, Duryodhana abbracciò con trasporto l'amico, il quale come aveva promesso, la sera stessa, insieme agli altri fratelli fece il solenne voto di uccidere Arjuna. Se così non fosse stato avrebbero perso la vita. Quel voto infatti precludeva qualsiasi possibilità di ritirarsi dal combattimento. 105 Il dodicesimo giorno E ancor prima che le ostilità ricominciassero, i samsaptaka andarono verso il campo nemico, e chiamarono Arjuna a voce alta, lanciandogli la solenne sfida. Poi andarono a prendere posizione a sud. Quella novità impensierì molto Arjuna. Non era difficile intuire che quella mossa faceva parte di un piano per arrivare alla cattura di Yudhisthira, ma d'altra parte non poteva che accettare. Così andò dal fratello maggiore. "I Trigarta mi hanno chiamato. Io non posso lasciar correre una sfida come questa," gli disse. "Quindi per il momento non potrò difenderti dagli attacchi di Drona, ma il forte fratello di Drupada, il nostro caro amico Satyajit, che è forte e coraggioso come un leone, sarà sempre al tuo fianco e ti sosterrà nei momenti cruciali. Ma se l'acarya dovesse riuscire ad ucciderlo, devi giurarmi che fuggirai, che non lascerai che ti prenda prigioniero." Rassicurato dal fratello, Arjuna andò in direzione del fronte dove i Trigarta lo aspettavano. Quando videro che accettava quella sfida suicida, tutti si sentirono certi che la guerra sarebbe finita quel giorno stesso; chi avrebbe potuto fermare Drona nel suo attacco a Yudhisthira? E tutti sperarono in una sua azione veloce in modo da potersi salvare la vita. Nonostante i samsaptaka avessero un'armata numerosa e soprattutto composta da prodi combattenti, Arjuna non volle essere accompagnato dalle sue truppe; preferì andare da solo. Il feroce combattimento ebbe inizio. Per i Trigarta si mise subito male; Arjuna aveva fretta di tornare dal fratello e per quella ragione era particolarmente aggressivo. Due dei fratelli di Susharma, Subahu e Sudhanva caddero nel primo mattino, insieme a molti dei loro soldati. Arjuna combatteva con crudele sapienza: cosa questa che mandò in completa agitazione i guerrieri i quali, ritenendo oramai inutile il loro sacrificio, cominciarono a fuggire disordinatamente. Ma il coraggioso Susharma li rinfrancò e li guidò in ulteriori attacchi. Quando li aveva visti fuggire, Arjuna aveva sperato che la lotta fosse già terminata. Ma vedendoli tornare, al pensiero che in quel momento il fratello poteva correre grossi pericoli e che lui era impedito dal correre ad aiutarlo, sentì una vampata di furore salirgli fino al viso. Li attaccò con violenza, scagliando un'arma divina che fece perdere ai Trigarta il senso dell'orientamento al punto che avevano l'impressione che Krishna e Arjuna fossero ovunque. Scambiando così i loro commilitoni per i loro avversari, presero a combattersi fra di loro, e il massacro che ne scaturì fu immane. Non ancora soddisfatto, lanciò anche la vayavyaastra, che creò un terribile tornado, e non solo spaventò ma decimò ulteriormente i malcapitati Trigarta, che di nuovo si ritirarono disordinatamente. Allora Arjuna potè correre dal fratello. Ma cos'era successo nel frattempo? Drona, che sapeva che Arjuna avrebbe messo fine velocemente al suo impegno con i samsaptaka, si sforzò al massimo per arrivare a tiro di Yudhisthira al più presto, attaccando l'armata nemica con decisione. Vedendolo avvicinarsi, Drishtadyumna gli si parò innanzi, ma uno dei fratelli di Duryodhana, Durmukha, lo sfidò e lo condusse via dalla scena. Fu un bel duello: il Kurava era un valido guerriero, e il suo scopo fu raggiunto. Drona si era intanto avvicinato al Pandava e Satyajit lottò valorosamente fino alla fine, quando insieme a Vrika, un altro dei fratelli di Drupada, cadde ucciso sul terreno. Quando combatteva con decisione, l'acarya era veramente terribile. Nel vedere i due prodi guerrieri morti, attorno a Yudhisthira accorsero numerosissimi eroi che mai avevano conosciuto la sconfitta, eppure fu tutto vano: Drona quel giorno sembrava il distruttore in persona e seminava devastazione ovunque passasse. A quel punto, Yudhisthira si salvò fuggendo su uno dei cavalli del suo carro. Così, anche se non era riuscito a catturare Yudhisthira, il suo attacco veemente era servito a scoraggiare i soldati dei Pandava, che fuggivano appena si trovavano nelle vicinanze dell'anziano maestro. Dal canto suo Duryodhana, avendo visto Drona combattere in quel modo, si sentiva risollevato: un gran sorriso gli illuminava il volto mentre diceva a Karna. "Guarda come si batte il nostro maestro. Sono sicuro che oggi stesso i Pandava abbandoneranno ogni speranza di vittoria e si arrenderanno." "Non credo che basti questo per smorzare il loro coraggio," ribattè l'amico. "I Pandava hanno ben altre risorse." Duryodhana fu sorpreso e sconcertato per le parole dell'amico, il quale non aveva mai dato peso al valore dei cugini; tuttavia, in cuor suo, dovette convenire che quelle parole erano vere. Insieme ad alcuni dei suoi fratelli e a Karna si unì a Drona e l'effetto del loro arrivo fu devastante. Ma su un altro fronte Nakula e Sahadeva stavano letteralmente bruciando l'esercito Kurava, mentre Bhima compiva la sua solita opera di sterminio dell'armata degli elefanti. Ciò inquietò il grande Bhagadatta, che decise di intervenire. 106 La caduta di Bhagadatta Buona parte della forza di Bhagadatta era rappresentata da Supratika, il suo elefante, enorme e fortissimo, dal temperamento feroce di un leone e che in combattimento non era mai stato costretto alla ritirata; da solo spargeva lo stesso scompiglio dell'amato padrone. Usando le zanne, la proboscide e le zampe e barrendo forte, proprio come Airavata, l'elefante di Indra, seminava il terrore ovunque passasse. Supratika sembrava provare un'antipatia particolare per Bhima. Infatti ovunque lo incontrava, lo caricava immediatamente. E allorquando gli furono vicini, lo attaccò, schiacciandone sotto le zampe il carro e i cavalli; Bhima riuscì a salvarsi solo per una frazione di secondo, tanto che nessuno lo vide saltare via. Così molti dissero: "Bhima è morto; Supratika lo ha ucciso!" Sentendo i soldati dare quella notizia, il re di Dasharna accorse con il suo elefante e riprese il duello che si ripeteva periodicamente quasi ogni giorno. Ma il risultato non fu diverso dalle altre volte: purtroppo fu costretto a ritirarsi. Poi Bhagadatta, vedendo che Satyaki non era lontano, spinse l'animale contro di lui, che si salvò per un miracolo di agilità. Quando ormai le voci che lo davano per morto erano diventate parecchio insistenti, dal polverone spuntò Bhima, con la mazza sollevata, deciso a distruggere il feroce animale. Questo colpo di scena fece tirare un sospiro di sollievo agli amici presenti. E i due si ritrovarono ancora di fronte; avvolto Bhima nella sua proboscide e sollevatolo da terra con l'intenzione di scaraventarlo in basso, l'elefante barrì con furia. Ma all'ultimo momento il Pandava riuscì a districarsi e a saltare giù evitando il mortale impatto con il terreno; dopodichè, con mosse agilissime, riuscì a schivarne le zampe e a colpirlo ripetutamente sotto la pancia, facendolo esasperare dal dolore. Bhagadatta intervenne e riuscì a cacciarlo via da quella posizione, ma poi vide Abhimanyu che correva contro di lui e dovette trascurare la sua battaglia contro Bhima. E Supratika riuscì a mettere in difficoltà persino il giovane figlio di Arjuna, che riuscì a salvarsi saltando giù dal carro. Così, mentre il suo elefante martoriava quei grandi generali, dall'alto il glorioso Bhagadatta, che per la sua grandezza d'animo e il suo valore era soprannominato "l'amico di Indra", massacrava i suoi nemici con lance e frecce. Quei due sembravano invulnerabili, nessuna arma sembrava incutere loro reali preoccupazioni. Durante quei momenti Arjuna tornava dal fronte dopo aver messo in fuga i samsaptaka. A distanza sentì i clamori del terribile combattimento. "Krishna, amico mio, ascolta questi rumori e queste grida di paura. Questi possenti barriti appartengono a Supratika, l'elefante del re di Prajyotisha, Bhagadatta. Io conosco bene entrambi. Quando sono entrati nel vivo della battaglia con animo eccitato, diventano praticamente invulnerabili e capaci di provocare scompigli inconcepibili. Le nostre truppe che sono in quella zona stanno correndo un gravissimo pericolo. Dobbiamo affrettarci chè potrebbero sterminarle. Credo proprio che oggi purtroppo saremo costretti ad uccidere l'anziano e nobile guerriero." Krishna spronò i cavalli alla loro massima velocità. Giunti nelle vicinanze, Arjuna era sul punto di invitare Bhagadatta a iniziare un duello contro di lui, quando furono raggiunti dai samsaptaka, riordinati da Susharma. Preoccupato per la sorte del fratello, del quale non aveva più avuto notizie e per i danni che Bhagadatta avrebbe potuto procurare, Arjuna si trovò davanti a un dilemma: accettare o no la sfida? Consigliato da Krishna, il Pandava usò la vajra, la micidiale arma preferita da Indra, con la quale ottenne un effetto spaventoso sulle truppe nemiche. Ferito Susharma, ucciso un altro dei suoi fratelli e decimati i suoi soldati, Arjuna proseguì la corsa verso il nemico. Quando gli alleati lo videro arrivare, lo salutarono con robuste grida di gioia, sicuri che ormai il pericolo rappresentato da Bhagadatta sarebbe stato scongiurato da quest'ultimo. Ovviamente l'umore dei Kurava subiva invece un forte calo. Dopo essersi velocemente fatto il vuoto attorno, il Pandava si scagliò contro Bhagadatta. Il duello fra i due fu eraviglioso, avvincente, davvero spettacolare. A un certo punto, viste fallire ogni arma, il re di Prajyotisha, inferocito, prese il bastone che solitamente usava per guidare l'elefante e, pronunziato il mantra di Vishnu, lo scagliò contro l'avversario; quando tutti videro l'arma guizzare nell'aria con la velocità e la potenza di un fulmine, dissero: "Arjuna è morto." Ma all'ultimo istante Krishna si pose nella traiettoria dell'arma che gli si conficcò nel petto, proprio dove aveva il meraviglioso gioiello kaustubha: appena ebbe toccato il corpo del Signore, il bastone si trasformò in una ghirlanda di fiori, che parve addirittura aumentare la sua grazia e la sua gloria. Arjuna era salvo, ma leggermente contrariato. "Krishna, perché l'hai fatto? Tu non dovevi prendere parte attiva al combattimento, così hai promesso," sembrò rimproverarlo. "Forse non avrei dovuto farlo," rispose Krishna sorridendo, "ma quest'arma una volta apparteneva a me. Inoltre prima di lanciarla, Bhagadatta me l'aveva offerta; quindi è più che giusto che io ne abbia ripreso possesso. Solo per sbaglio il re di Prajyotisha era entrato in possesso di quest'arma micidiale, che avrebbe potuto uccidere chiunque, te compreso. Ma ora che se n'è impulsivamente privato, lui e Supratika sono diventati vulnerabili. Ora puoi ucciderli." E il duello infuriò ancora, terribile anche solo a guardarsi. Cogliendo un momento adatto, Arjuna impresse tutta la sua forza su una freccia e la scagliò contro la testa di Supratika, penetrandola. Quel colpo provocò un rumore simile a un tuono e abbattè il maestoso animale, che cadde senza vita sul terreno. Rapidissimo Arjuna, presa una freccia con la punta a mezzaluna, la mirò al petto di Bhagadatta e lo colse in pieno. Il prode guerriero cadde morto, accanto al suo elefante. Vedendolo oramai esanime, Arjuna scese dal carro e rese i suoi omaggi al nobile monarca. La morte di Bhagadatta sortì un colpo durissimo sul morale dei Kurava, che sbandarono vistosamente. Sull'onda dell'entusiasmo tratto dalla vittoria, Arjuna tornò al centro del campo di battaglia, dove fu intercettato da due dei figli di Shakuni. In pochi minuti ambedue giacevano in una pozza di sangue. Con le lacrime agli occhi per quella subitanea e imprevista tragedia Shakuni, desideroso di vendetta, accorse. Ma potè resistere ben poco tempo di fronte al Pandava, prima di essere costretto a una fuga precipitosa. In quella vasta area si sentiva solo il suono acuto della corda di Gandiva e il sibilo delle sue frecce che fendevano l'aria. Vedendolo in quello che sembrava uno stato di grazia guerriera, Bhima, Satyaki, Drishtadyumna, Abhimanyu, Nakula, Sahadeva, Shikhandi e i figli di Draupadi lo raggiunsero e la distruzione causata da quei rinforzi diviene inenarrabile. Vedendo quel gruppo di eroi riunito nello stesso punto del campo, Drona pensò che la situazione si stava facendo troppo pericolosa per loro, e cercò di dividerlo. Ma Drishtadyumna riuscì a ricacciarlo indietro. Nel corso di quei combattimenti, un altro grande amico dei Pandava, il virtuoso Nila, principe di Mahishmati, perse la vita per opera di Ashvatthama. La morte di Nila rattristò e rese furiosi i Pandava, che lanciarono un attacco in massa, insostenibile per i Kurava. Nel caos totale che ne conseguì i soldati non riuscivano a distinguere i nemici dagli alleati; era persino impossibile capire cosa stesse facendo l'avversario del momento. Al tramonto Arjuna e Karna, ritrovatisi di fronte, ingaggiarono un delizioso duello, che dovette essere interrotto a causa dalle tenebre della sera. Fu Drona a dare il segnale della ritirata. Era stato un giorno terribile, molti bravi guerrieri erano caduti; ma colui che aveva impressionato maggiormente era stato Arjuna. Aveva decimato i samsaptaka; era riuscito a eliminare Bhagadatta e il suo elefante; da solo aveva distrutto interi battaglioni di impavidi soldati: nell'accampamento dei Kurava si parlava solo di lui. Duryodhana era sconvolto per quello che aveva visto. Così Drona cercò di pacificarlo. "Non temere," gli disse. "Domani sarà il nostro giorno. Credo che organizzerò i nostri eserciti nella più impenetrabile delle formazioni: forse la chakravyuha, oppure addirittura la padmavyuha. Così nessuno riuscirà a penetrare nelle nostra file e se Arjuna sarà allontanato di nuovo, ti prometto che catturerò Yudhisthira. Ma è fondamentale trascinare via sia lui che Krishna, perché entrambi conoscono l'arte di penetrarle, e se saranno presenti tutto per noi si risolverà in un disastro." Susharma, nonostante fosse ancora sofferente per le ferite che Arjuna gli aveva inferto, volendo mantenere fede al giuramento fatto il giorno prima, coraggiosamente si dichiarò pronto a sfidare il Pandava fino a che fosse stato vivo uno solo dei Trigarta. Quella notte Duryodhana dormì tranquillamente, sperando che l'indomani sarebbe stato l'ultimo giorno di guerra.
107 Il tredicesimo giorno Abhimanyu Il tredicesimo giorno della più catastrofica guerra che si sia mai combattuta corrispondeva al terzo da quando Bhishma era caduto e da che Drona aveva assunto il comando. Il luogo sacro di Kurukshetra, ove in passato avevano vissuto tanti asceti santi e pacifici, era diventato un immenso cimitero; il cielo sovrastante era pieno di avvoltoi, e durante la notte lupi e iene lo invadevano per cibarsi dei cadaveri. I Trigarta furono i primi a muoversi: chiamando Arjuna a voce alta, si diressero verso il versante meridionale e questi, a malincuore, dovette muoversi rapidamente sulla loro scia. Come lo vide allontanarsi, Drona impartì le istruzioni per l'organizzazione dell'impenetrabile e complicatissima padmavyuha, secondo la quale gli eserciti si sarebbero disposti nella forma di un gigantesco fiore di loto. I Kurava attaccarono per primi. Privi dell'appoggio di Arjuna, i Pandava soffrirono terribilmente per gli attacchi di Drona e sebbene tentassero strenuamente di fare breccia nella complicata formazione avversaria, a nulla valsero tutti i loro sforzi. Visto fallire ogni attacco e visti i suoi battaglioni decimati dalle ondate degli assalti nemici, Yudhisthira si allarmò: se fosse andata avanti in quel modo, il suo esercito sarebbe stato distrutto prima di sera. Rimpianse di non poter disporre del fratello, che sarebbe stato impegnato a lungo contro l'ostinato e arrabbiato Susharma e riflettè su cosa si poteva fare. Al mondo c'erano solo quattro uomini in grado di penetrare il contorto fronte della vyuha: Krishna, suo figlio Pradyumna, Arjuna e Abhimanyu, e in quel momento era disponibile solo quest'ultimo. Ma, per quanto fosse valorosissimo, il nipote era giovane, e ancora inesperto, per cui Yudhisthira non sapeva decidersi se mettere la sua vita a repentaglio. Infine, non tollerando ulteriormente lo sfacelo che Drona stava causando, fece chiamare Abhimanyu. "Vedi la padmavyuha del nostro acarya? " gli disse. "All'infuori di te, in questo momento nessuno di noi è in grado di creare un varco che possa permetterci di combattere alla pari. E guarda cosa sta succedendo: tutti i nostri attacchi svaniscono come bolle di sapone contro le loro difese, mentre essi provocano scompigli fra le nostre truppe. Se si continua così, questa giornata diverrà l'ultima per noi. Io so che tu conosci l'arte di penetrarla. Fallo, dunque, e salvaci da questa terribile situazione." Abhimanyu esaminò lo schieramento nemico e riflettè con gravità. "Sì, posso riuscirci, ma c'è una cosa che devi sapere. Io sono stato istruito fin da bambino da mio padre e da Krishna sull'arte di spezzare la padmavyuha, e ciò non mi comporta particolari difficoltà; tuttavia non ho ancora imparato ad uscirne. Come farò, quindi, a sopravvivere quando mi ritroverò solo all'interno della formazione nemica?" "Non preoccuparti per questo," rispose Yudhisthira, "perché non sarai isolato; l'idea è di penetrare in forza dentro le file nemiche e creare lo scompiglio. Appena tu avrai creato una breccia, i più forti tra di noi ti seguiranno e ti aiuteranno. Bhima, Nakula, Sahadeva, Drishtadyumna, Drupada e centinaia di altri eroi ti saranno accanto ogni istante." Nonostante il rischio evidente che comportava la missione, gli occhi del ragazzo appena sedicenne brillarono dalla contentezza: penetrare nella padmavyuha era sempre stato il gioco più eccitante della sua infanzia, e da sempre aveva sognato di farlo con un vero esercito. Spronato l'auriga che al contrario del padrone si sentiva piuttosto agitato, rapidamente il carro sfrecciò in direzione dell'esercito avversario, seguendo un tragitto studiato migliaia di volte. 108 Jayadratha chiude la breccia Brillante come una folgore e provocando tuoni per l'impatto col terreno, il carro di Abhimanyu saettò verso le milizie Kurava; un'impressionante processione di eroi lo seguiva da presso. E come facilmente un coltello penetra nel burro, sotto gli occhi dell'ammirato acarya, il giovane figlio di Arjuna miracolosamente entrava nella vyuha, causando un effetto simile a un'esplosione. In pochi secondi il prodigioso ragazzo si lasciò dietro una scia di morte e distruzione. Rapidissimo, Duryodhana tentò di impedirgli l'ingresso, ma fu salvato a stento da Drona. In pochi istanti Abhimanyu era già arrivato nel cuore della padmavyuha. Karna, Shalya, Bhurishrava e Dusshasana lo affrontarono, ma furono malamente sconfitti e costretti alla ritirata. I soldati, mentre si davano alla fuga, gridavano: "Non si può combattere contro Abhimanyu. Egli è una terribile combinazione tra Krishna e Arjuna. Cosa possiamo fare noi contro di lui?" E la confusione causata da combattenti e fuggitivi si fece totale. Mentre lottava un sorriso leggiadro illuminava il volto di Abhimanyu: intanto davanti a lui i Kurava cadevano a migliaia. Drona e Kripa ebbero frasi di ammirazione per la sua classe straordinaria; ma Duryodhana, allorchè si accorse che gli acarya si erano soffermati a lodare il figlio di Arjuna invece di attaccarlo, divenne furibondo. "Écolpa vostra se Abhimanyu è riuscito a entrare," gridò. "Se fosse stato qualcun altro, voi non glielo avreste permesso, ma siccome amate troppo Arjuna e suo figlio avete fatto sì che la nostra formazione fosse penetrata. Dobbiamo ricacciarlo indietro, o per noi sarà un disastro." Ed egli stesso si lanciò contro il ragazzo. Tuttavia, dopo pochi secondi, ferito gravemente dovette fuggire per salvarsi la vita. Ad un certo punto, mentre spargeva il terrore e la morte nelle file nemiche, Abhimanyu si accorse con costernazione di essere solo, che i suoi zii non erano riusciti a seguirlo. Cos'era successo? Avendo visto Abhimanyu avvicinarsi a velocità vertiginosa, Jayadratha ne aveva intuito le intenzioni così, appena aveva visto che il ragazzo era scomparso tra le file dell'esercito Kurava, aveva guidato le sue truppe nella breccia che si era creata, e aveva impedito il passaggio agli eroi Pandava. La cosa aveva dell'incredibile: da solo, Jayadratha era riuscito a bloccare i Pandava e i loro alleati: impresa questa che solitamente sarebbe stata ritenuta da tutti impossibile da attuarsi. Come era potuto accadere? É doveroso ricordare l'episodio durante il quale Jayadratha, dopo aver tentato di rapire Draupadi, era stato battuto e umiliato da Bhima. Ma dopo innumerevoli austerità, Shiva gli aveva concesso la benedizione di riuscire, per una volta, a sconfiggere tutti i Pandava insieme, all'infuori di Arjuna. Quel giorno Jayadratha aveva sfruttato la capacità che gli era stata accordata. Per quanto valorosamente i Pandava si fossero battuti, Jayadratha era parso invincibile; nel frattempo la breccia creata da Abhimanyu si era richiusa e la padmavyuha riformata. Con orrore Yudhisthira si era accorto che il ragazzo era rimasto solo fra centinaia di migliaia di nemici. 109 La morte di Abhimanyu Nonostante si fosse reso conto della situazione, Abhimanyu non era certo tipo che si scoraggiava. "Io non so come uscire da questo intreccio di armate," disse al suo auriga, "e perciò siamo prigionieri. Ma una soluzione esiste ancora: distruggere totalmente l'esercito Kurava." Muovendosi come un vortice, il giovane distruggeva qualsiasi cosa gli venisse a tiro; la cosa faceva impazziva dalla rabbia Duryodhana che si domandava come potesse un ragazzo di quell'età essere tanto abile. Sembrava impossibile. Per di più egli non si accontentava di massacrare i soldati semplici, ma uccise molti celebri guerrieri; Rukmaratha e altri figli di Shalya furono tra coloro che caddero nel coraggioso tentativo di opporsi a Abhimanyu. Davanti a lui tutti erano costretti a fuggire o a morire. Il fiero Lakshmana, uno dei figli più cari a Duryodhana, non potè sopportare quella visione di gloria guerriera e si lanciò all'attacco, ma perse il duello e la vita. Quell'improvvisa tragedia, avvenuta in pochi secondi, traumatizzò l'invidioso re Kurava. "Quel maledetto deve essere ucciso in qualsiasi modo," urlò con rabbia inaudita. E i protagonisti di una delle più crudeli tragedie successe a Kurukshetra cominciarono a prendere i loro posti sulla scena: sei maharatha, e cioè Drona, Kripa, Asvatthama, Karna, Brihadbala e Kritavarma circondarono Abhimanyu e lo attaccarono contemporaneamente; ma anche in quella maniera questi non cedette, e contrattaccò, sconfiggendoli tutti. Addirittura il potente Brihadbala perse la vita in quell'occasione. Il corpo di Karna era una maschera di sangue, e Asvatthama riuscì solo per miracolo a salvare la vita di uno dei suoi figli da quella furia. In quel vortice di distruzione i Kurava decisero che Abhimanyu doveva essere eliminato con ogni mezzo, leale o sleale che fosse. E l'atto più vile che uno kshatriya abbia mai potuto immaginare fu perpetrato da Karna: mentre Abhimanyu fronteggiava contemporaneamente un attacco fatto da Drona e da altri, dalle spalle gli scagliò una freccia contro la corda dell'arco, troncandola di netto e spezzando con una seconda lo stesso arco. Stupito da quel vile atto, Abhimanyu si girò per scoprire chi ne fosse stato l'autore. "Solo tu, figlio di un suta, potevi attaccare un nemico in questo modo. Dove il valore manca, vive l'imbroglio e il gioco dei dadi. Ma presto anche tu avrai ciò che meriti." Ma sfruttando quel momento di distrazione, Drona gli uccideva i cavalli, mentre Kripa eliminava i due auriga. E intanto che Abhimanyu era ancora sul carro, privo di armi, sei maharatha lo attaccarono senza dargli il tempo di organizzare una difesa. Gli occhi del giovane, nato dall'energia del deva della luna, divamparono di un rosso fuoco, e la furia li rese molto simili a quelli di Krishna. Gridò a Drona: "Tu sei stato il maestro di mio padre, e quindi dovresti essere un uomo virtuoso; come avete potuto, tu e Kripa, attaccarmi mentre ero girato verso Karna?" Agguantata la spada, saltò giù dal carro oramai immobile, e si precipitò verso di loro con tutta l'intenzione di fare giustizia sommaria. Ma gli atti ignobili degli spaventati Kurava non erano ancora terminati. Aggiratolo, dal di dietro Drona gli ruppe la spada e Karna gli frantumò lo scudo. Ora l'eroico Abhimanyu era fieramente ritto sul campo di Kurukshetra, privo di qualsiasi arma. Afferrata la ruota di un carro, il corpo pieno di frecce e interamente bagnato di sangue e il viso infuriato che brillava sinistramente, Abhimanyu prese a farla girare vorticosamente sopra la testa, chiamando uno ad uno per nome i suoi avversari e sfidandoli ad avvicinarsi e a combattere lealmente. In quella posa sembrava un secondo Vishnu. Resosi conto che nessuno aveva il coraggio sufficiente per accettare la sfida, si lanciò con quella ruota contro le file nemiche, gettando ancora lo scompiglio e il terrore, finchè non riuscirono a frantumargliela fra le mani. Ma Abhimanyu, che non aveva affatto abbandonato l'idea di sterminare da solo l'esercito avversario, prese una mazza dal terreno e ancora una volta li sfidò a venire avanti uno alla volta. Vedendolo alto e fiero, ben piantato sulle gambe e fumante rabbia, di nuovo nessuno accettò la sfida ed egli di nuovo li attaccò. Asvatthama, spaventato, fece appena in tempo a fuggire, prima che insieme al carro, ai cavalli e all'auriga, ne potesse uscire distrutto egli stesso. Messo in fuga il brahmana, Abhimanyu si lanciò contro il figlio di Dusshasana e lo privò del mezzo. I due fieri giovani continuarono a piedi il combattimento, ma appena Abhimanyu, stanco e ferito, tardò un momento a rialzarsi, il figlio di Dusshasana, trasgredendo a ogni regola di lealtà kshatriya, lo colpì alla testa. Abhimanyu cadde a terra senza più vita. Era stato uno dei crimini più vili mai accaduti in tutta la storia di una nazione che aveva portato la civiltà nel mondo. Quando i Pandava sentirono le grida di gioia e il suono dei corni dei Kurava, capirono che l'amato nipote era caduto. Torturato dal dolore e dal rimorso, Yudhisthira pianse lacrime amare fino a perdere i sensi. E quando il sole tramontò e tutti tornarono mestamente all'accampamento, nessuno riusciva a pensare ad altri che ad Abhimanyu e a cosa avrebbero potuto dire al padre quando questi fosse tornato. 110 Il voto di Arjuna Nella penombra della sera Arjuna tornava all'accampamento. Improvvisamente si sentì agitato e con voce rotta dall'emozione disse al suo amico Govinda: "Perché, o Keshava, il mio cuore è pieno di paura, e perché la mia voce trema? Osserva i segni che provengono dalla terra, dal cielo, da ogni parte: lasciano presagire solo le disgrazie più nere. Sento le braccia e le gambe senza forza e nella mia mente ci sono solo pensieri di morte. Qualche calamità sta per accadere o forse è già accaduta. Che qualcosa sia capitato al mio venerabile fratello maggiore o a qualcuno dei miei più cari amici?" "Sicuramente nulla è successo a Yudhisthira," rispose Krishna. "Ma sicuramente qualcosa deve essere accaduto. Non temere, fra pochi minuti sapremo tutto." Arjuna, sempre più preoccupato, inoltrandosi nei dedali delle tende amiche, notava che tutti evitavano di incrociare il suo sguardo, mentre i presagi diventavano sempre più terribili. Quando entrò nella tenda di Yudhisthira e vide le espressioni dei fratelli capì che doveva essere successo qualcosa di molto grave. "Fratelli, non mi lasciate in questa intollerabile ansietà. Perché quelle facce? e perché i soldati e i miei amici non mi hanno neanche salutato nè sono venuti a farmi festa come ogni sera? Di solito mio figlio Abhimanyu viene a ricevermi e mi racconta le sue ultime gesta; come mai oggi non è qui con voi?" Tanto era il dolore che lo attanagliava, che Yudhisthira faticava a rispondergli; ma visto che nessuno prendeva l'iniziativa si fece forza. "Come sai, questa mattina il nostro acarya ha schierato contro di noi il padmavyuha, e subito c'è stato un grande massacro. Noi non riuscivamo neanche ad attaccare, mentre loro penetravano nelle nostre file con irrisoria facilità. L'unica cosa da fare era riuscire a spezzare quello schieramento. Ma tu eri lontano, e Krishna era con te. Solo Abhimanyu sapeva come fare. Così il tuo coraggioso figlio ha accettato questo incarico. Subito è riuscito a incunearsi nelle file nemiche. Purtroppo noi non ce l'abbiamo fatta a seguirlo, e lui si è trovato solo. Il resto l'abbiamo saputo da Yuyutsu." Forse non tutti sanno che Yuyutsu era uno dei pochi figli virtuosi di Dritarashtra. La madre proveniva dalla casta dei vaishya; inoltre faceva parte di quella folta schiera di kshatriya che combattevano a malincuore dalla parte di Duryodhana. Ma quando si era trovato ad essere testimone del delitto nefando perpetrato contro il giovane Abhimanyu, la sua indignazione era esplosa e gli aveva impedito di continuare a combattere al fianco di persone ossessionate dallo spettro della malvagità. Quello stesso pomeriggio era passato dalla parte dei Pandava, ai quali aveva raccontato come erano andate le cose. Mentre ascoltava il racconto di quel crudele assassinio, Arjuna stentava a crederci. Poi il dolore lo colse in pieno e non riuscì a trattenere le lacrime. "Ma come avete potuto lasciarlo solo?" disse. "Chi può essere stato tanto abile da impedirvi di seguirlo?" "É stato Jayadratha," rispose il fratello maggiore. "Nell'attimo in cui tuo figlio è penetrato nelle file nemiche provocando così una grossa breccia, costui è corso contro di noi; e tuttora noi non riusciamo a capacitarci di come egli abbia potuto da solo respingere l'attacco di tutti noi messi insieme. Credimi, oggi Jayadratha era completamente invincibile. E così Abhimanyu si è trovato solo e non abbiamo potuto fare niente per salvarlo." Chiuso nel suo dolore, Arjuna riflettè a lungo e poi disse: "Tutti quei peccatori che hanno partecipato alla vile uccisione di mio figlio hanno già il destino segnato; ma questo Jayadratha che si è tanto accanito perché mio figlio morisse non conosce ancora la sorte che gli toccherà. Dunque giuro che domani stesso, prima che il sole tramonti, io lo priverò della vita. E se non ci riuscirò, dò la mia solenne parola che lascerò questo mondo entrando in una grande pira di fuoco." Appena gli alleati dei Pandava vennero a sapere del solenne voto fecero vibrare centinaia di tamburi, corni e conchiglie, provocando un frastuono tumultuoso. Tutti erano eccitati: il Pandava non si era assunto un compito facile, per cui erano certi che l'indomani lo avrebbero visto combattere come mai aveva fatto in precedenza. I Kurava avrebbero pagato caro l'assassinio di Abhimanyu. 111 Gli avvenimenti della notte Quando i Kurava sentirono quel tumulto assordante provenire dagli accampamenti dei nemici, si preoccuparono molto. Cosa stava succedendo? qual'era la ragione di tanto frastuono? cosa stavano celebrando? Abhimanyu era morto da poco e i Pandava non avevano ragione di festeggiare, bensì di disperarsi. Duryodhana cadde nella più nera ansietà, finchè non arrivarono le spie. "Presto, ditemi," chiese, "perché i Pandava e i loro alleati hanno suonato i loro strumenti? Cosa stanno festeggiando?" "Arjuna è appena venuto a conoscenza della morte dell'amato figlio e ha giurato di vendicarlo uccidendo il re Jayadratha prima del tramonto; se non dovesse riuscirvi, entrerà nel fuoco e si lascerà morire." A queste parole Jayadratha impallidì di colpo e non riuscì a spiccicare parola. Il terrore lo aveva catturato, confondendolo completamente. "Se Arjuna ha giurato di uccidermi domani, lo farà certamente," farfugliò. "Non ho speranze contro di lui e Krishna. Ma io non rimarrò: sarebbe un suicidio. Domani tornerò al mio regno." Duryodhana lo calmò. "No, non devi fuggire. La situazione che si è creata può tornare a nostro vantaggio. Se domani Arjuna non riuscirà a mantenere la sua promessa, noi ci saremo sbarazzati dell'ostacolo più ostico che si frappone fra noi e la vittoria. Non dobbiamo lasciarci sfuggire una simile opportunità." "Tutti lo abbiamo visto combattere; cosa pensi che potrebbe fermarlo? Questa non è una sfida, ma un inutile suicidio. Io domani me ne andrò." "Sì, l'ho visto combattere, e non c'è dubbio che è uno dei guerrieri più forti che esistano. Ma se tutti noi ci batteremo con il solo scopo di salvare te, egli non avrà scampo, e sarà perduto. O pensi forse che potrebbe sconfiggere uomini come Drona, Karna, Shalya e migliaia di altri uniti per uno stesso fine? E tu, non dimenticarlo, sei un maharatha, capace da solo di fronteggiare Arjuna. Resta, e dacci l'opportunità di eliminarlo dal combattimento." Jayadratha, malgrado non si sentisse per nulla rassicurato, si lasciò convincere dalle parole del Kurava. I generali concertarono il piano per il giorno seguente: la prima consegna per tutti era di non permettere che il figlio di Indra si avvicinasse al monarca di Sindhu. Quella notte Jayadratha non riuscì a dormire. Si era lasciato persuadere a rimanere, ma la cosa non lo faceva stare affatto tranquillo. Sperando di ricevere rassicurazioni da Drona che conosceva bene sia lui che Arjuna per essere stato il maestro di entrambi, uscì dalla tenda e si incamminò verso quella dell'acarya. "Arjuna ha giurato che domani mi ucciderà," gli disse, "e io temo per la mia vita. Duryodhana ha cercato di infondermi coraggio, sostenendo che l'esercito verrà schierato in modo da tenermi molto distante dal fronte e che sarò difeso da tutti gli eroi che combattono dalla nostra parte. Ma io ho visto il Pandava in azione e credo che neanche tutti i deva insieme potrebbero respingerlo. Quello è una furia scatenata e io non sono affatto certo che domani riusciranno a tenerlo lontano da me. Perciò io ora ti chiedo di chiarirmi questo dubbio: se riuscirà ad arrivare dove sono stazionato e mi costringerà a combattere, ho qualche speranza di vittoria? In un duello, chi fra noi ha maggiori possibilità di emergere vittorioso?" "Giacchè ti vedo molto preoccupato," gli disse Drona, "ti risponderò con franchezza, senza celarti la verità. Voi due avete preso lezioni dallo stesso maestro, me, e io vi ho istruiti senza parzialità; quindi dovreste avere la stessa forza. Tuttavia non ci sono dubbi che Arjuna ti è superiore sotto ogni aspetto. É più abile, più forte e più intelligente. Oltre a ciò possiede armi divine che ha ottenuto nei pianeti celesti e soprattutto ha Krishna dalla sua parte; dunque è invincibile. Ma tu sei uno kshatriya, e la morte non deve spaventarti. Domani saremo tutti davanti a te e creeremo una barriera invalicabile; inoltre costruirò un vyuha a tre strati assolutamente impenetrabile persino agli stessi deva. Fatti coraggio, nulla è perduto. Tenteremo in ogni modo di impedirgli l'avanzata e di salvarti la vita. Non temere." Un pò rinfrancato Jayadratha tornò alla sua tenda, ma stentò comunque a prendere sonno. Arjuna invece dormiva; ma i suoi sogni non erano tranquilli. Erano tutti rivolti al ricordo del figlio. A quel ragazzo appena sedicenne, pieno di energia ed entusiasmo che per un atto di generosità e di coraggio si era ritrovato barbaramente trucidato da sei maharatha. Per l'intera notte i suoi pensieri furono continuamente turbati da questa scena raccapricciante e da quella altrettanto agghiacciante di Jayadratha che impediva l'avanzata ai suoi fratelli. A frenare quell'altalena di immagini era poi giunto Krishna, il quale gli aveva rivelato che per uccidere Jayadratha avrebbe dovuto usare la pashupata, l'arma accordatagli tempo addietro da Shiva. Così nel sogno si era visto adorare il grande deva e, insieme a Krishna, volare poi verso la montagna Mandara, dove avevano incontrato Shiva. "Qui vicino c'è un grande lago," aveva detto loro; "lì troverete qualcuno che vi darà ciò che cercate." I due amici avevano seguito le sue indicazioni ed erano arrivati nei pressi di un immenso lago. Dalle acque era spuntato un serpente dalle cento teste, le cui bocche emanavano gigantesche fiammate. Appena si era accorta di Krishna e Arjuna, la bestia si era immediatamente trasformata in un grande arco che i due si erano affrettati a portare a Shiva. Quest'ultimo aveva così insegnato loro tutti i segreti per poter utilizzare la pashupata correttamente. Terminato l'addestramento, erano tornati sulla terra. Questo sogno gli aveva occupato l'intera nottata. 112 Il quattordicesimo giorno Di prima mattina, dopo che ebbero svolto le loro devozioni, i guerrieri si apprestarono a organizzarsi per un altro duro giorno di combattimento, il quattordicesimo. I preparativi, come ogni mattina, fervevano. Nel frattempo, i generali dei Pandava si erano riuniti nella tenda di Yudhisthira per discutere dei piani della giornata. Arjuna raccontò lo strano sogno fatto nella notte appena trascorsa. Ascoltato con emozione, tutti vollero congratularsi per la fantastica opportunità che gli era stata concessa. Soprattutto si considerava fortunato perché riusciva a ricordare nitidamente il modo di usare la pashupata. Mentre narrava di queste cose, erano arrivati anche Krishna e Satyaki. A quest'ultimo disse: "Amico mio, vedo che tutti sono eccitati per il mio giuramento, e i soldati si aspettano grandi cose da me, oggi. Sicuramente questo è l'ultimo giorno di vita del vile Jayadratha, per colpa del quale mio figlio ci ha lasciati; ma non dobbiamo dimenticare che Drona è ancora dall'altra parte, e che anche lui ha una promessa in sospeso: la cattura di Yudhisthira. Faremmo bene a non sottovalutare il pericolo. Oggi io sarò totalmente impegnato e non potrò rimanere nelle sue vicinanze. Dunque a te spetta il dovere di proteggerlo; solo tu puoi farlo. Tu sei mio discepolo e anche cugino di Krishna; in battaglia non mi sei da meno e se il tuo impegno sarà al massimo, l'acarya non passerà queste linee." Satyaki sorrise. "Assolvi tranquillamente il tuo compito; finchè io vivrò, Drona non riuscirà neanche a toccare tuo fratello." Mentre i Pandava pianificavano le strategie per resistere agli attacchi nemici e contemporaneamente aiutare Arjuna ad avvicinarsi a Jayadratha, i Kurava cominciavano le complesse manovre per sistemare i loro eserciti secondo una formazione a tre strati. Nel primo strato, accompagnato da 1500 elefanti infuriati e decine di migliaia di soldati, valorosissimi e sprezzanti della paura, stazionavano i tre figli di Dritarashtra: Durmarshana, Dusshasana e Vikarna. Li seguivano Drona, Duryodhana e Karna accompagnati dai loro battaglioni. Nel terzo strato migliaia di grandi eroi, tra cui Asvatthama, Vrishasena, Shalya e Kripa, vigilavano i sentieri interni. Jayadratha era dietro di tutti, a quasi ottanta chilometri dal punto in cui si sarebbe svolto lo scontro diretto. Vedendo davanti a sé quell'immenso oceano di uomini e animali, il re di Sindhu si sentì talmente al sicuro da maturare la consapevolezza che Arjuna poteva essere considerato già morto. Nessuno credeva che Arjuna nè altri sarebbero mai riusciti, nell'arco di un solo giorno, ad arrivare alla meta. Ma nonostante quella certezza, quando il carro del Pandava, che era guidato dal Signore in persona e protetto dagli impavidi Yudhamanyu e Uttamaujas, si mosse, nessuno dalla parte dei Kurava riuscì ad evitare un brivido di terrore. Persino Jayadratha quando gli riferirono che Arjuna si era mosso, nonostante fosse a una distanza di sicurezza di decine di chilometri e fosse protetto da milioni di forti guerrieri, ebbe la medesima sensazione; pensare ad Arjuna era come pensare al dio della morte in persona. E il grande giorno cominciò. Il terzo dei figli di Kunti, diretta progenie del re dei pianeti celesti, esaminò l'esperta opera del maestro. Poi disse: "Oggi Drona ha superato sé stesso, e anche noi dovremo farlo. O Krishna, o Govinda, vedi? a proteggere il primo dei tre strati a forma di ruota c'è Durmarshana, uno dei fratelli di Duryodhana. Penetreremo nell'esercito nemico cominciando da lì." Shri Krishna, quindi, in accordo al desiderio del suo amico e devoto, spronò i cavalli in direzione dell'esercito di elefanti del Kurava; quando li videro arrivare di gran carriera, i soldati si fecero coraggio tra loro e si batterono con grande impegno. Ma l'impeto di Arjuna era pari a quello di un uragano: ne seguì un tale massacro che nessuno ebbe la forza di continuare a combattere; i sopravvissuti, Durmarshana compreso, dovettero darsi a una fuga precipitosa. Il fratello era fuggito senza ritegno e il punto di collisione oramai divenuto un immenso cimitero, così Dusshasana intervenne, coadiuvato dal suo esercito di elefanti. Ma in pochi secondi l'aria si riempiva delle frecce di Gandiva, e il suono dell'arco celestiale diveniva simile a un concerto di strumenti a corda; e il risultato fu la distruzione quasi totale: lo stesso Dusshasana, che aveva cominciato quel duello con un sorriso di scherno sul viso, dovette poi fuggire precipitosamente. Tutti stentavano a crederci, era una cosa assolutamente incredibile: in pochi minuti Arjuna era riuscito a passare oltre la prima formazione. "Ora che abbiamo messo in fuga i fratelli del nostro detestabile cugino," disse il Pandava con un sorriso sulle labbra, "dovremo affrontare Drona e il suo battaglione che ha disposto a padmavyuha, il fiore di loto. Lo stesso schieramento per colpa del quale è morto Abhimanyu. Amico, non perdiamo altro tempo, guidami laddove si trova il nostro acarya." Appena vide la venerabile figura abbastanza vicina, Arjuna fece fermare il carro e giunse le mani in segno di rispetto. "O maestro, concedimi le tue benedizioni. Solo così riuscirò a vincere questa guerra. Dopo aver penetrato facilmente nel primo strato, mi trovo ora davanti a te, e se tu non lo desideri non riuscirò mai a vincerti. Permettimi di addentrarmi nel vyuha che tu hai costruito con tanta sapienza. Fa sì che io possa procedere per la mia strada." Drona si sentiva colmo di ammirazione e nel contempo sorpreso al pensiero di quanta umiltà e modestia potessero essere presenti nell'animo di un uomo tanto valoroso. "Non puoi penetrare nel vyuha senza prima avermi sconfitto," rispose l'acarya con un gran sorriso. "Desidero combattere contro di te." E i due diedero luogo a un altro fantastico duello. Ma ancora, come quando era presente Bhishma sul campo di battaglia, il virtuoso Pandava combattè senza entusiasmo, quasi distrattamente. In effetti un senso di disgusto gli stringeva lo stomaco al pensiero degli atti atroci che era continuamente costretto a commettere. Solo qualche giorno prima aveva dovuto scagliare le sue armi contro il corpo dell'amato nonno, e ora si vedeva in lotta con il suo guru che rispettava e venerava. Eppure egli comprendeva di doversi scuotere da quel senso di prostrazione; se dianzi infatti sarebbe stato difficile tirarsi indietro, ora era diventato impossibile. Per quel duello trascorse molto tempo. "Si sta facendo tardi," gli disse Krishna allarmato. "Drona è troppo forte e potrebbe tenerti impegnato per delle ore. Se continua così, non riuscirai ad arrivare da Jayadratha prima del tramonto. Abbandona il duello e penetra nel padmavyuha." Raccolto il suggerimento, Arjuna offrì al maestro rispettosi omaggi, e disse a Krishna di spronare i cavalli alla loro massima velocità; come un lampo essi si introdussero nel secondo strato, spargendo morte e distruzione. Doveva recuperare il tempo perduto nel duello con Drona, e per questo il Pandava combattè con furia raddoppiata. Vedendolo nel mezzo del suo esercito, Drona si accingeva a inseguirlo proprio nello stesso momento in cui tre forti generali, Kritavarma, Sudakshina e Shrutayus, ognuno appoggiato dai rispettivi battaglioni, lo raggiungevano e lo sfidavano. Attaccato in contemporanea, Arjuna preferì non perdere altro tempo prezioso in un normale combattimento e si ritrovò costretto ad invocare il brahmastra per scrollarsi di dosso quegli scomodi nemici. L'effetto di quell'arma fu tremendo: il cugino di Krishna, Kritavarma, fu gravemente ferito, tanto che cadde privo di sensi nel suo carro. Sudakshina, invece, vista la situazione, preferì fuggire. Fu allora che il coraggioso Shrutayudha, in possesso di una mazza di origine divina, attaccò il valoroso Partha con tutta la rabbia che aveva in corpo, e con la mente annebbiata dal desiderio di uccidere entrambi gli avversari. Questo valoroso monarca aveva ricevuto l'arma in cambio di numerose e difficili austerità, e con quella nessun nemico avrebbe mai potuto resistergli, chiunque egli fosse stato; per di più chi la possedeva diventava praticamente invulnerabile. L'unico suo punto debole consisteva nel fatto che mai avrebbe dovuto essere lanciata contro un uomo privo di armi e che non fosse partecipe ai combattimenti: ciò sarebbe risultato fatale al suo possessore. Shrutayudha combattè con grande ardore, ma non riuscendo ad avere la meglio, si sentì pervadere dall'ira e perse il lume della ragione. Pensando che fosse Krishna la sorgente della forza del Pandava, afferrò la mazza e gliela scagliò addosso. Ma all'improvviso l'arma cambiò direzione e guizzò verso di lui, colpendolo a morte. Alla vista di Shrutayudha che cadeva al suolo ricoperto di sangue, Sudakshina tornò sui propri passi e combattè con valore; ma in seguito a un aspro duello anche lui perse la vita. Dopo che anche i due maharatha Shrutayus e Acyutayus ebbero trovato la morte per mano del terribile Pandava, i soldati che componevano la padmavyuha di Drona si dispersero per il terrore. A quel punto l'avanzata di Arjuna diventò agevole. Vedendo il cugino procedere così speditamente, Duryodhana, allarmato, corse dal maestro. "Guarda, Arjuna si sta dirigendo verso Jayadratha praticamente senza più ostacoli. Perché gli hai permesso di penetrare all'interno delle nostre formazioni? perché non l'hai fermato? o vuoi forse che Jayadratha muoia?" "Io ho cercato di farlo," ribattè questi cercando di mantenere la calma, "ma i suoi cavalli sono troppi veloci e io non ho Krishna alla guida del mio carro. Cosa pretendevi che facessi? Io sono vecchio oramai e non ho più la forza e l'agilità di una volta. Tu però sei giovane e puoi andarci al mio posto. O non vuoi più che io catturi Yudhisthira? Ciò potrebbe essere la soluzione a questa guerra." "Ti stai prendendo gioco di me? Come puoi pensare che io riesca a fermare Arjuna se tu, che sei molto più forte di me, non ci sei riuscito?" "Non temere," rispose Drona. "Farò in modo che le frecce del Pandava non penetrino nel tuo corpo. Prendi quest'armatura: è protetta da Brahma, e qualsiasi parte del corpo che essa ricopre non corre il rischio di essere raggiunta da alcun'arma. Quando Indra si trovò di fronte il grande asura Vritra, la indossò, e potè combattere al pari del formidabile nemico. Indossala tu, ora, e corri a fermare Arjuna." Non particolarmente entusiasta della cosa, Duryodhana fece comunque come il maestro gli aveva detto. Quando avvistò Arjuna, questi aveva già percorso metà strada rispetto al punto in cui Jayadratha stazionava. Nel frattempo l'armata dei Pandava guidata da Drishtadyumna, grazie alla breccia aperta da Arjuna, aveva sorpassato la prima vyuha ed era arrivata nei pressi di Drona. In quel punto lo scontro infuriò con immane crudeltà. In pochi minuti le vittime furono migliaia. Numerosi furono i duelli singoli che i grandi eroi ingaggiarono fra di loro. Travolto dalla furia e dalla scienza militare di Drona, Drishtadyumna ebbe la peggio. Potè salvarsi solo grazie al soccorso di Satyaki, che rispose in modo mirabile agli attacchi del maestro, tanto che Drona stesso non riusciva a credere ai suoi occhi quando lo vide muoversi in quel modo sul campo di battaglia. "Guardate Satyaki," diceva. "Guardate come combatte. C'è qualcun altro nel mondo che sa fare ciò che fa lui? Mi sembra di vedere Bhishma stesso, oppure il suo maestro Arjuna, o Parashurama o addirittura il generale dei deva, il figlio di Shiva, Kartikeya." Così Drona si lanciò contro quel formidabile guerriero e ne risultò una lotta talmente affascinante che persino gli esseri che abitano sui pianeti celesti vennero ad ammirarli. Finchè quello straordinario duello non fu interrotto dall'arrivo dei rinforzi da ambo le parti che scatenò una mischia caotica.
113 L'avvicinamento di Arjuna Inesorabilmente il sole stava dirigendosi verso occidente. Metà della giornata era già trascorsa. Ora Arjuna, che si rendeva conto di aver perso troppo tempo nei duelli con Drona e con gli altri maharatha, realizzò che doveva cominciare a combattere anche contro il tempo e raddoppiare perciò i suoi sforzi. Gandiva quasi era scomparso dalla sua mano. Tenendo sempre l'arco al massimo della capacità di piegamento, quasi in forma circolare, nessuno riusciva più a distinguerne i movimenti; prendere la freccia, recitare i mantra, scagliarla e prenderne un'altra erano diventati un tutt'uno. Da quell'arma micidiale fluiva una corrente ininterrotta di dardi mortali, che colpivano con una precisione disumana. I Kurava erano terrorizzati. Ma dopo un pò, accorgendosi che i cavalli di Arjuna cominciavano a mostrare segni di stanchezza per il gran correre, ripresero coraggio e aumentarono nuovamente i loro sforzi. I nobili destrieri, che sanguinavano abbondantemente in più parti del corpo, ora si muovevano più lentamente, con una agilità sempre minore. E Jayadratha era ancora lontano. I soldati sentirono che il loro sacrificio avrebbe potuto essere determinante per la vittoria finale. Essendo la corsa di Arjuna frenata a causa dell'affaticamento dei cavalli, i possenti fratelli Vinda e Anuvinda gli si presentarono di fronte e gli lanciarono una sfida. Il duello con i famosi soldati, conosciuti in tutto il mondo per il loro eroismo, fu durissimo e spettacolare; ma l'impaziente figlio di Indra, che sentiva di avere poco tempo, accantonò la gioia di duellare con quei bravi arcieri, e si ritrovò costretto ad ucciderli subito entrambi. Ancora, respinse un attacco in massa dei Kurava, ansiosi di vendicare i due fratelli creando attorno a sé quasi un deserto. A quel punto Krishna disse: "Arjuna, i nostri cavalli sono stanchi, non possiamo continuare a farli correre in questo modo per tutto il giorno. Dobbiamo farli riposare." Arjuna riflettè per qualche momento, poi disse: "Hai ragione, fermiamoci. Mentre tu li farai riposare, io continuerò a tenere a bada i nostri avversari." Vedendolo privo della protezione del carro, i Kurava organizzarono un nuovo attacco in massa e, come avevano già fatto con Abhimanyu il giorno precedente, tentarono di circondarlo e di metterlo in difficoltà, attaccandolo da più parti. Ma fu con grande costernazione che dovettero riconoscere che a piedi il Pandava era ancora più incontenibile di quando era sul carro. Il panico di diffuse ovunque e i due rimasero soli per qualche minuto. "Arjuna, "disse Krishna, "qui non c'è acqua: come possiamo abbeverare i nostri cavalli?" Dopo aver recitato una preghiera a Varuna, Arjuna generò con le sue armi divine un laghetto d'acqua dolce, che poi circondò con un fitto muro di frecce. Lì, dentro quell'impenetrabile cortina, i cavalli si ristorarono. Intanto i Kurava, davanti a quelle meraviglie, sembravano aver perso del tutto interesse per il combattimento: nessuno riusciva a distogliere gli occhi da quei due personaggi estasianti e si udiva bisbigliare ovunque la stessa domanda: cosa non era in grado di fare Arjuna? Appena i cavalli ebbero recuperato le forze, i due rimontarono sul carro e, sfondato con impeto il muro di frecce, ripresero la corsa. Duryodhana arrivava esattamente in quel momento. Come si rese conto della situazione si sentì disperato: il cugino era già arrivato al limite della terza vyuha, e ne aveva già superate due che pure erano impenetrabili agli stessi dei. Si stava avvicinando troppo a Jayadratha. Lo vide mettere in fuga o uccidere con furia inaudita chiunque gli si ponesse di fronte. Allora il figlio di Dritarashtra, in ansia per la vita del cognato, gridò al Pandava di fermarsi e di accettare la sua sfida. Allorchè il duello ebbe inizio, Arjuna e Krishna con sorpresa si accorsero che nessuna freccia riusciva a penetrare in quell'armatura, mentre le armi di Duryodhana provocavano dolorose ferite. E il sole si avvicinava sempre di più all'orizzonte. Infine Arjuna capì. "Amico mio, adesso comprendo la ragione per cui il vile cugino appare così forte. Quella che indossa è l'armatura di Brahma che in questo momento Drona ha con sé. Ricordo che molto tempo fa me la mostrò e mi insegnò anche come contrattaccare chiunque l'avesse portata. Ora, in questo preciso istante, io distruggerò quel malvagio." Così invocata un'astra mortale, la scagliò con violenza; ma proprio in quel momento sopraggiungeva Asvatthama, il quale vedendo il re in pericolo ruppe la freccia mentre essa gli si avvicinava alla velocità del lampo; quella potente arma non poteva essere usata una seconda volta. Ma Partha non si scoraggiò. "Non importa se il figlio del guru ha neutralizzato la mia arma," disse col sorriso sulle labbra, "perché posso fare qualcos'altro. Duryodhana non sa come portare quell'armatura divina. Infatti la indossa al pari di un bambino che abbia infilato i vestiti del padre; osserva allora come lo sistemo." E in quel momento, sotto la pressione di quel possente braccio, da Gandiva scaturì un terrificante torrente di frecce dalle punte sottili come aghi che trafissero Duryodhana in tutte le parti che aveva lasciato scoperte, persino sotto le unghie e sotto le palme dei piedi. Torturato da un dolore lancinante, Duryodhana non potè fare a meno di fuggire. Ridendo divertiti a quella buffa scena, i due spronarono i cavalli in direzione della sucimukhavyuha, il terzo strato, quello oltre il quale c'era Jayadratha. Erano distanti solo tre chilometri, ma di fronte avevano una potente formazione affollata da eroi praticamente invincibili. Arjuna aveva tutte le ragioni per sentirsi preoccupato. "Krishna, ora stiamo per arrivare in contatto con un'ennesima vyuha, dove sono disposti i soldati più forti. Suona la panchajanya, spaventiamo i nostri nemici e infondiamo rinnovato entusiasmo nei nostri lontani alleati, che non sanno nemmeno se sono vivo oppure morto." Quando il vigoroso suono trascendentale si diffuse nell'etere, Arjuna fece vibrare la corda di Gandiva; i Kurava, che non erano ancora in vista, capirono che i tanto temuti avversari stavano per arrivare, e si prepararono a riceverli. Quello era il punto in cui c'era la maggiore concentrazione di maharatha: davanti a sé Arjuna cominciava a vedere Bhurishrava, Shala, Karna, Vrishasena, Kripa, Shalya e Asvatthama, tutti seguiti dai rispettivi battaglioni. In pochi istanti si scontrarono e l'urto fu tremendo. Ma benchè Arjuna e i suoi due aiutanti combattessero con furore, si accorsero che il pomeriggio era già inoltrato e che il sole stava calando inesorabilmente. Raddoppiarono i loro sforzi. 114 I timori di Yudhisthira L'avvicinamento di Arjuna a Jayadratha non era comunque l'unico motivo di interesse della giornata, nè il Pandava era il solo a combattere tanto mirabilmente. A diversi chilometri di distanza Drona, dopo aver provocato sfaceli nella prima linea avversaria, si era avvicinato pericolosamente a Yudhisthira, il quale coraggiosamente ne aveva accettato la sfida. Ma quel giorno l'acarya, ancora eccitato dalla vista del combattimento di Arjuna, era veramente insuperabile, e in pochi istanti gli fu così vicino che potè saltare su di lui, proprio come fa un leone quando è sicuro di aver acciuffato una gazzella; ma proprio all'ultimo secondo provvidenzialmente arrivò Satyaki, che strappò via il figlio di Pandu dalle mani del nemico, mentre contemporaneamente rispondeva ai suoi attacchi. Drona aveva fallito ancora. Per di più molti bravi soldati avevano perso la vita per quel tentativo mancato. Tra le file dei Kurava c'era anche il potente Alambusha, che era venuto a Kurukshetra per un motivo particolare: quando era ancora in vita, Baka era stato un suo caro amico, così ora lui voleva vendicarne la morte uccidendo il responsabile. Lo scontro con Bhima fu titanico; poi intervenne Ghatotkacha. Dopo una furiosa lotta, il figlio di Bhima uccise Alambusha e lo scagliò a molte miglia di distanza, lasciando i Kurava sbigottiti e terrorizzati. Nessuno aveva mai pensato neppure lontanamente che l'invincibile rakshasa potesse perire in un duello. E proprio in coincidenza con la morte di Alambusha, i Pandava sentirono il suono di panchajanya e si preoccuparono. "Perché Krishna sta suonando la sua conchiglia con tanto vigore? cosa è successo?" "Forse Arjuna è morto," disse qualcuno, "e ora Keshava intende prendere le sue armi e distruggere l'universo intero. Il suono di panchajanya sembra particolarmente terrificante, oggi." Anche Yudhisthira si preoccupò e chiamò a sé Satyaki. "Senti questi suoni; è panchajanya. Mi sembra di percepire un messaggio, una richiesta di aiuto. Forse mio fratello è in difficoltà e Krishna vuole farci capire che hanno bisogno di noi. Corri, amico mio, va ad aiutare il tuo maestro, o saremo perduti. Se Jayadratha non morirà prima del tramonto ogni speranza di vittoria diverrà vana." Satyaki non era molto convinto. "Arjuna da solo può distruggere l'intera armata dei Kurava," ribattè, "e inoltre con Krishna che lo guida non corre alcun pericolo. Al contrario noi ci stiamo esponendo a un grave rischio proprio in questo punto del campo, dove c'è Drona che vuole catturarti a tutti i costi. Finchè io sono qui tu sei al sicuro, ma se vado via, chi lo fermerà?" "Non hai tutti i torti," rispose il Pandava, "ma io sono certo che mio fratello ha bisogno di te, e che il suono di panchajanya voleva essere un messaggio per noi. Per quanto concerne Drona non devi temere, perché Bhima è sempre nei miei paraggi e mi proteggerà. Vai, dunque, non tardare ancora." A malincuore il prode Yuyudhana ordinò al suo auriga, fratello di Daruka, di spronare i cavalli e di dirigersi verso l'interno delle file nemiche. 115 Satyaki, il grande eroe Nonostante fosse esausto per il duro duello che aveva combattuto con Drona, Satyaki passò con relativa facilità il primo strato, che comunque era stato già quasi distrutto in precedenza da Arjuna. Fu il secondo vyuha a procurargli le maggiori difficoltà. Lì infatti incontrò ancora Drona, il quale preoccupato per la spaventosa scia di morte che Satyaki si stava lasciando dietro, gli si parò innanzi e lo sfidò di nuovo. Ma fu subito chiaro a tutti che quella era una sfida che avrebbe potuto anche durare in eterno: uno spettacolo cioè che senz'altro avrebbe deliziato gli esteti delle arti marziali ma che non avrebbe mai sortito alcun risultato pratico. I due si eguagliavano in tutto. Ma quando il Vrishni capì che l'intenzione dell'avversario era proprio quella, e cioè di bloccarlo in un duello senza fine e ritardargli così l'avanzata, lo salutò rispettosamente e fuggì via. Mentre Drona lo inseguiva, Satyaki evitò anche l'armata di Bahlika e penetrò in quella di Karna, che si vide colto di sorpresa da quella furia scatenata. In pochi minuti egli usciva dall'altra parte dello schieramento e si scontrava con l'amico Kritavarma, sconfiggendolo e umiliandolo. Durante la precipitosa avanzata di Yuyudhana, i Kurava furono privati di un altro celebre eroe, il re Jalasandha, che dopo aver perduto tutto il suo esercito di elefanti e dopo essere stato sconfitto in duello, venne colpito al collo da una freccia che lo decapitò. Così un altro nobile guerriero, amato e rispettato da tutti, non solo dai Kurava ma anche dai Pandava stessi, aveva perduto la vita. Approfittando del rallentamento che era stato necessario a Satyaki per sconfiggere il suo avversario, Drona, Duryodhana e Kritavarma si erano riuniti ed erano riusciti a raggiungerlo. Satyaki li guardò con aria di scherno. "Se voi credete di incutermi paura e di impedirmi di avanzare," disse, "vi sbagliate di grosso: non sapete che sono il discepolo di Arjuna e il cugino di Krishna? Grazie a loro nessuno può sconfiggermi." A quel punto un fiume di frecce infuocate scaturì dal suo arco, e seminò ovunque il panico; a stento riuscirono a salvare la vita di Drona, mentre Duryodhana fuggiva precipitosamente. Satyaki era veramente incontenibile: qualsiasi cosa gli si avvicinasse più di tanto, egli sembrava bruciarla come un enorme fuoco, forte proprio come il sole nell'ora del suo massimo splendore. Dopo aver ucciso anche il valoroso Sudarshana, riprese la sua corsa per avvicinarsi ad Arjuna. I Kurava si sentivano nel contempo spaventati, infuriati e in ammirazione: quel giorno il grande Satyaki stava offuscando persino la fama di Arjuna, causando maggiori scompigli dello stesso Pandava. Un battaglione di lanciatori di pietre provenienti dalle regioni montane del nord fu mandato contro di lui; ma Satyaki ruppe tutti i macigni mentre essi a mezz'aria gli saettavano contro e massacrò interamente quei bravi combattenti. Fu poi il turno di Dusshasana che volle tentare di fermarlo, ma quest'ultimo si salvò solo perché Satyaki volle lasciarlo a Bhima. Messo in fuga anche quest'altro Kurava, Yuyudhana riprese la sua inarrestabile corsa. 116 Bhima nella scia di Satyaki Ma quel giorno non furono solo i Pandava a sentirsi incoraggiati dalle gesta dei loro eroi; dall'altra parte Drona seminava morte e terrore al pari di Arjuna e Satyaki. Tra gli altri il grande maestro uccise alcuni dei fratelli di Drishtadyumna. Avendo assistito a quella terribile scena di morte, il generale Pandava si precipitò contro la sua vittima predestinata, assalendo Drona con tale furia ed efficacia da farlo cadere sul carro senza sensi. Era quella l'occasione che aveva atteso per tanto tempo: vedendolo svenuto, il figlio di Drupada decise di porre fine alla vita del venerabile guru, proprio come aveva profetizzato una voce al momento della sua nascita. Sguainata con furore la spada, gli si avventò contro con l'intenzione di mozzargli la testa; ma all'ultimo istante Drona si riprese, appena in tempo per difendersi ed evitare la morte. Con molta difficoltà riuscì a liberarsi di Drishtadyumna e a spronare l'auriga al fine di attaccare il battaglione del famoso re Brihadakshatra, uno dei fratelli Kekaya e uno degli alleati più fedeli dei Pandava. Quel monarca si guadagnò il plauso generali combattendo con grande ardore e bravura, ma alla fine, trafitto da una lancia, cadde morto sul terreno. Ma quel giorno non fu Brihadakshatra l'unico dei cari amici dei Pandava a soccombere per mano di Drona: il fortissimo Drishtaketu, figlio di Sishupala che al contrario del padre non era invidioso ma amava e rispettava profondamente Krishna e i suoi devoti, perì in un duello contro Drona e giacque senza vita al terreno. Sapendolo privo della protezione di Arjuna e Satyaki, l'acarya proseguì la sua corsa verso Yudhisthira, confortato dal pensiero di porre fine in tal modo a quell'immane massacro. E un altro maharatha, Kshatradharma, figlio di Drishtadyumna, cadde. Lo spettacolo di quegli uomini tutti forti come cento leoni che perdevano la vita per opera di un singolo combattente, fece perdere d'animo i soldati semplici. "Se Drishtaketu e altri come lui sono caduti, cosa possiamo fare noi?" dicevano molti. "Il sacrificio delle nostre vite è inutile. Ritiriamoci." Per fortuna dei Pandava, Bhima si trovava nei paraggi e seppe rincuorare i suoi uomini con parole colme di saggezza; poi personalmente si lanciò all'inseguimento del nemico, che nel frattempo era penetrato nelle zone più interne dello schieramento. Ma Yudhisthira non si preoccupava molto del pericolo rappresentato dal generale Kurava: il suo cuore era lontano, molto al di là delle linee nemiche, insieme ad Arjuna. Ma il tempo passava, e nessuno gli portava notizie di cosa stesse accadendo. "É molto che non sento più la conchiglia di nostro fratello," disse a Bhima che intanto lo aveva raggiunto, "e non odo neanche panchajanya. Mi chiedo perché... cosa starà succedendo? Egli sa che noi siamo in pensiero per l'esito della sua missione ed è strano che non trovi il modo di farci pervenire le ultime novità. Bhima, io non riesco a tollerare questa ansietà. Dobbiamo aiutarlo." "Fratello, Satyaki è partito da molto e probabilmente sarà già quasi arrivato. Non devi temere: Arjuna è invincibile perché Krishna è con lui." "Ma perché non ci fanno sapere qualcosa? Neanche di Satyaki si sa più nulla, e io temo per la sua vita. Ti prego, corri sulla loro scia e aiutali." Bhima non era affatto d'accordo. "Ma sai benissimo che Drona è in questi paraggi, e non desidera altro che tu rimanga privo di validi appoggi. Non mandarmi via. Tu hai più bisogno della mia presenza." "Non devi temere per me," rispose Yudhisthira. " Drishtadyumna è qui e mi soccorrerà nel caso di un attacco di Drona. Corri da Arjuna al massimo della tua velocità e aiutalo ad uccidere Jayadratha." A nulla valsero le sue insistenze: Yudhisthira aveva ormai deciso che Bhima doveva andare ad aiutare il fratello minore. Quando Drona lo vide partire di gran carriera, intuì le sue intenzioni e se ne allarmò: non era affatto conveniente avere tre guerrieri come quelli all'interno delle loro file. Cercò di sbarrargli la strada, ma Bhima, senza neanche degnarlo di uno sguardo, lo superò di slancio. Era spettacolare vederlo mentre sul suo carro da guerra sfrecciava nel mezzo dello schieramento nemico, brandendo la gigantesca mazza, che gli era stata donata da Mayadanava, e ruggendo come un leone infuriato. E quando il figlio di Vayu si vide venire contro un battaglione capeggiato da Dusshasana e da un certo numero dei suoi cugini, ghignò con aria quasi delirante e si scagliò contro questi ultimi con l'arma sollevata al cielo. In pochi minuti ne uccise sette. Spaventato da tanta furia e costernato per la perdita dei fratelli, Dusshasana si sentì disperato e si abbandonò a un pianto rabbioso: dall'inizio della guerra ne aveva già persi trentuno e ora questi altri sette li aveva visti morire lì, a pochi metri, senza che potesse essere in grado di fare nulla. Bhima invece era felice, radioso. Fin dalla prima mattinata, a causa delle esigenze tattiche, si era visto relegare nelle zone più lontane del fronte: il suo compito era stato quello di proteggere il fratello maggiore; ma non era il lavoro di copertura quello più adatto alle sue caratteristiche di combattimento, nè ovviamente quello che lo faceva sentire totalmente soddisfatto. Bhima amava le mischie, i furibondi corpo a corpo, i duelli con le mazze, le lotte contro gli elefanti. Ora dunque aveva cominciato a divertirsi, specialmente da quando si era scontrato col gruppo dei figli di Dritarashtra. Negli attimi che seguirono ne uccise altri tre. Vedendolo combattere in quel modo, per paura che quel pomeriggio stesso volesse assolvere al suo voto di sterminarli tutti, i Kurava fuggirono precipitosamente, senza alcun ritegno. Ma mentre combatteva ancora contro i figli di Dritarashtra, Bhima si era accorto che Drona stava sopraggiungendo. Così aveva messo in fuga i suoi nemici proprio al fine di affrontarlo meglio. Lo scontro tra i due fu titanico, ma fu stavolta fu l'anziano ad avere la peggio: quando ebbe il carro distrutto e i cavalli uccisi, dovette fuggire a piedi. E Bhima fu libero di penetrare con decisione nel cuore del vyuha nemico. Se il cammino di Satyaki era stato reso più agevole da Arjuna, quello di Bhima lo fu ancor più grazie a Satyaki stesso. Mentre i soldati Kurava fuggivano dal suo cospetto, ancora una volta Drona lo raggiunse, accompagnato da un battaglione di soldati ed elefanti. Sentendo il richiamo del guru, Bhima disse: "Vishoka, non ci siamo ancora liberati del nostro testardo maestro. Sembra che non ci voglia proprio permettere di raggiungere i nostri amici. Torna indietro e affrontiamolo. Poi proseguiremo la nostra corsa." Obbedendo agli ordini del suo signore, l'auriga si lanciò contro le truppe di Drona e ne tagliò in due lo schieramento. Quando il Pandava riemerse dall'altra parte, i Kurava si accorsero che questi si era lasciato dietro un enorme cimitero di uomini e animali. Bhima, allora abbandonò il carro, e correndo alla velocità di un fulmine si scagliò contro Drona. Ruggendo in modo terribile, afferrò il suo veicolo e prese a trascinarlo in giro proprio come un bambino si diverte con un giocattolo. Drona riuscì a saltare via prima che il suo carro venisse schiantato al suolo. A quel punto resosi conto del raptus di follia distruttiva che aveva invaso Bhima, scappò via portandosi dietro i soldati terrorizzati. La corsa di Bhima fu alquanto agevole: chiunque lo incontrava fuggiva per tenere salva la vita, nessuno osò fermarlo. Ed egli procedeva, attaccando i nemici che scappavano. Ovunque incontrasse lunghe file di cadaveri umani, cavalli, elefanti e detriti di carri e mucchi di armi sparse, comprendeva che Arjuna e Satyaki erano passati di là. Non trascorse molto tempo prima che raggiungesse Satyaki. I due si abbracciarono con trasporto. "Sono felice di vederti vivo e ancora pieno di entusiasmo e di forze," gli disse, "ma ora devo cercare mio fratello minore e Krishna; voglio vedere se stanno bene e se si stanno avvicinando a Jayadratha. Ci rivedremo presto." E continuò la sua marcia; ma aveva fatto solo poche centinaia di metri quando si ritrovò di fronte Arjuna impegnato in combattimento; i suoi nemici cadevano a migliaia e una luce di gloria brillava attorno al suo viso. Vedendolo sano e salvo, Bhima si sentì risollevato e immediatamente pensò bene di esternare la propria gioia con un possente grido di guerra che rimbombò a chilometri di distanza. Appena Yudhisthira sentì quelle grida leonine, capì che Arjuna stava bene e riprese la battaglia con l'animo rinfrancato. Per i Kurava la situazione si era fatta preoccupante: Arjuna, Krishna, Satyaki e Bhima erano da tempo penetrati all'interno delle loro file, provocando veri e propri disastri. Dovevano fare assolutamente in modo che nessun altro riuscisse ad arrivare da loro a portare ulteriori aiuti. Quando seppe da un messaggero ciò che stava accadendo sui fronti più avanzati, Karna mosse il suo esercito in direzione di Bhima e, raggiuntolo, lo attaccò violentemente. Un continuo flusso di frecce scaturì dal suo arco, e colpì il Pandava in più punti del corpo. Quando si accorse dell'odiato nemico, Bhima ruggì come un leone inferocito e trascurando il dolore delle ferite gli si scagliò contro. Era una scena singolare e veramente interessante: Karna combatteva con una grazia che contrastava vistosamente con la potenza e la furia dell'irruente avversario. Molto presto, però, dovette abbandonare il sorriso di scherno con il quale aveva aperto il duello ed impegnarsi al massimo; e allorchè Bhima lo assalì con la mazza, riuscì a malapena ad abbandonare il carro, appena pochi secondi prima che Bhima lo distruggesse completamente. Nel clamore della battaglia, Karna saltò sul veicolo del figlio Vrishasena e riprese la difficile lotta. "Guarda come il grande Karna si ritrae davanti a me," diceva intanto il Pandava al suo auriga, "guarda come riesce solo a fatica a parare le mie frecce. Non mi sembra quel gran campione di cui abbiamo avuto paura per così tanto tempo. Ora, a vederlo combattere, lo si potrebbe paragonare a una sedicesima parte di Arjuna." In effetti Karna stava combattendo senza il suo consueto ardore, ma Bhima non poteva conoscerne la ragione; egli aveva fatto una promessa a Kunti, le aveva giurato che avrebbe cercato di uccidere solo uno dei suoi figli. Di certo il fatto che Bhima fosse suo fratello minore non lo aiutava ad accrescere il desiderio di ammazzarlo, desiderio che invece nel passato lo aveva sostenuto nei momenti cruciali della sua vita. E mentre Karna era perso nei suoi pensieri, Bhima lo attaccò ancora e gli distrusse un altro carro, mettendolo in una situazione veramente difficile. Duryodhana, non lontano dallo scenario del furibondo duello, ordinò al fratello Dussala di correre in aiuto di Karna, ma questi dopo una furente battaglia fu ucciso, colpito a morte dalla mazza di Bhima. Duryodhana, che aveva assistito alla scena, era disperato: aveva perso un altro dei suoi fratelli. A che potevano servire le amare proteste che rivolse a Drona? Bhima era inarrestabile. "Se vuoi salvare le vite dei tuoi fratelli ed amici," gli rispose l'acarya, "e anche la tua, devi fermare questa guerra e fare pace con i Pandava. Non esiste altro modo." Duryodhana non rispose e tornò a combattere. 117 Il duello fra Bhima e Karna Ma l'attacco che il Kurava lanciò a Bhima ebbe effetti disastrosi per lui; gravemente ferito, dovette ricorrere alle cure di esperti medici, i quali lo risollevarono dal dolore grazie all'applicazione di erbe miracolose. Tornato nel vivo della battaglia si trovò nelle vicinanze di Arjuna, il quale era momentaneamente solo, privo dell'apporto dei due fratelli Yudhamanyu e Uttamaujas. Volle tentare di isolare in modo definitivo il Pandava; ma sebbene Duryodhana fosse un possente guerriero, quei due erano veramente troppo forti per lui, così dovette rifugiarsi sul carro di Shalya. Nel frattempo lo scontro fra Bhima e Karna non era cessato, anzi era aumentato di intensità. Bhima non voleva perdere tempo, aveva troppa fretta di affiancarsi ad Arjuna per aiutarlo ad avanzare, e le provò tutte per liberarsi di quell'assillo. Ma Karna era sempre lì, non si ritirava di fronte a nessun attacco, per quanto veemente potesse essere. E non ritenendolo alla sua altezza, mentre il figlio del suta combatteva sorrideva e lo scherniva in continuazione. Questa cosa fece infuriare ancora di più il focoso Bhima, il quale raddoppiò gli sforzi e pressò Karna con violenza selvaggia, costringendolo a ritirarsi dal duello per qualche minuto. Quando tornò prepotentemente sulla scena, il sorriso di scherno non c'era più; ancora una volta era divenuto preda dell'ansia a causa della forza sovrumana del nemico. Lo scontro riprese, furente. All'improvviso un'immagine comparve davanti agli occhi di Bhima: ricordò distintamente quando Karna aveva detto a Draupadi: "scegli un altro marito fra noi, poichè i tuoi ora sono degli schiavi"; rammentò quanta sofferenza avevano dovuto patire tutti per colpa sua e decuplicò i suoi sforzi. L'attaccò che sferrò fu tale che Duryodhana temette per la vita dell'amico e fu costretto a mandare suo fratello Durjaya ad aiutarlo. Ma era evidente che mandare i suoi parenti stretti contro Bhima era l'ultima cosa da fare; prima Durjaya, poi Durmukha; in breve tempo ambedue giacevano al terreno senza più vita. Karna fu costretto a ritirarsi. Fu allora che cinque dei fratelli di Duryodhana, con il cuore pieno d'odio per l'assassino dei loro cari, si precipitarono in direzione del figlio di Vayu, e lo attaccarono ferocemente. Tra questi c'era il valoroso Durmarshana. Bhima, quando vedeva i figli di Dritarashtra, si trasformava radicalmente e il suo aspetto diventava una maschera di furia: sembrava il dio della morte incarnato: massacrati dalle frecce e dai colpi della mazza, tutti e cinque morirono. Nell'attimo in cui Bhima lanciava uno dei suoi ruggiti di vittoria, Karna venne a conoscenza dell'atroce fine toccata ai suoi amici. Radunò allora un nutrito gruppo dei fratelli delle vittime, tutti arrabbiati e assetati di vendetta, e si precipitò contro di lui. La battaglia fu piena di ardore, ma furono ancora i Kurava ad avere la peggio: investiti da un'incontenibile ondata di frecce, altri fratelli di Duryodhana furono scaraventati al terreno, sanguinanti, senza vita. E il conto salì a quarantanove. Ebbro di passione per quel voto che stava per essere assolto, Bhima lanciò nuovamente il suo grido di guerra. Karna era disperato, aveva le lacrime agli occhi: tutti quei cari amici erano morti per aiutare lui, quando stava per essere sopraffatto. Non poteva stare a guardare, doveva fermare quella furia scatenata. E raddoppiò gli sforzi, ma ancora Bhima si difese bene. Vedendolo combattere in quel modo, Arjuna, Krishna e Satyaki sorrisero a viso aperto: Bhima stava facendo miracoli, impegnando allo stremo il loro nemico più temuto e contemporaneamente sterminando i figli di Dritarashtra. Solo dopo una lunga battaglia Karna riuscì a vincere il duello, ma nel corso dei combattimenti Bhima era riuscito ad uccidere altri sette dei cento figli di Dritarashtra. Per uno solo ebbe parole pietose, Vikarna, suo amico e uomo equo. "Io ho giurato solennemente di uccidervi tutti," gli disse, "e per questo dovrò privarti della vita, ma mi dispiace perché so che sei un uomo giusto; tu sei ben differente da quel diavolo di Duryodhana." E quando, dopo un aspro combattimento, Vikarna cadde ferito a morte, Bhima pianse sul suo corpo. Pure, infine, Bhima fu vinto e ridotto all'impotenza da Karna. Ma questi gli risparmiò la vita, memore della promessa fatta a Kunti; ma lo insultò pesantemente. Krishna osservava la scena, preoccupato. "Arjuna, guarda," disse, "Karna ha sconfitto e offeso il tuo valoroso fratello. Devi correre da lui, devi aiutarlo." Attaccato duramente da Arjuna, Karna preferì ritirarsi e Bhima potè saltare sul carro di Satyaki per riprendere le forze; e i tre maharatha, insieme, attaccarono i battaglioni guidati e difesi da Asvatthama e Karna. Frecce, lance, asce, coltelli, spade, pietre, dischi e centinaia di altre armi umane e celestiali furono visti guizzare in ogni direzione. Il risultato fu tremendo: il sangue e le membra mozzate divennero una visione solita. Kurukshetra era diventata un immenso cimitero. 118 Bhurishrava Dopo un pò che l'affaticatissimo Satyaki combatteva a fianco di Arjuna, fu affrontato da Bhurishrava. Tra i due non correva buon sangue a causa di una rivalità di famiglia che risaliva a molti anni addietro, quando il nonno di Satyaki, Shini, era andato allo svayamvara in onore di Devaki e l'aveva rapita per darla in sposa al cugino Vasudeva. Somadatta, che desiderava sposare colei che sarebbe poi diventata la madre di Krishna, si era sentito offeso e danneggiato e aveva inseguito Shini per ucciderlo. I due avevano ingaggiato una furiosa battaglia durante la quale Somadatta aveva avuto la peggio. Nella concitazione Shini non aveva tenuto in considerazione il rango dell'avversario e lo aveva umiliato afferrandolo per i capelli e piantandogli il piede sul petto. Da quel giorno erano trascorsi molti anni, ma Somadatta non aveva mai dimenticato l'insulto subito e si era impegnato in severe ascesi grazie alle quali aveva ottenuto un figlio che in futuro avrebbe vendicato l'offesa dicendo la stessa cosa a un discendente di Shini. Il figlio era Bhurishrava. Ambedue erano perfettamente a conoscenza di quella vecchia storia e per molti anni non avevano desiderato altro che incontrarsi sul campo di battaglia. Quando Bhurishrava gli si lanciò contro, Satyaki capì che quel momento era arrivato. Dopo un combattimento tanto cruento da incutere paura persino ai più coraggiosi, il fortissimo Bhurishrava sfruttò a suo vantaggio il fatto che l'avversario fosse esausto e lo gettò in terra, facendogli perdere i sensi. Poi lo afferrò per i capelli e gli pose con forza il piede sul petto. "Mio padre è vendicato," disse a voce alta, "oggi ho messo il piede sul petto di un discendente di Shini. Ma io non mi fermerò qui. Io farò più di quanto fece Shini: oggi stesso, in questo preciso momento, io ti ucciderò." E sollevò la spada per decapitarlo. Nel frattempo Krishna, che ben sapeva della vecchia rivalità e di quanto in quel momento Satyaki fosse stanco e Bhurishrava forte, per tutto lo svolgersi del duello non aveva perso di vista i due. Perciò quando il duello stava per giungere a quella drammatica conclusione, Krishna si rivolse ad Arjuna. "Arjuna, guarda lì, il tuo amato discepolo Satyaki sta per essere sopraffatto da Bhurishrava. Sta per essere decapitato. Se non intervieni, perderemo il nostro più valoroso soldato e il più caro degli amici." Arjuna era perplesso, non sapeva cosa fare: intervenire in quel frangente sarebbe stato un atto chiaramente sleale, contrario ai più elementari valori delle leggi che regolano il comportamento degli kshatriya; e in più il virtuoso Bhurishrava non meritava un tale insulto. Ma quando vide quella mano destra che impugnava una pesante spada sollevarsi contro l'amico oramai privo di sensi, gli venne in mente il figlio Abhimanyu massacrato nelle più sleali delle circostanze; pensò a Duryodhana, a Karna, a Shakuni, a Dusshasana e a Draupadi, a quante sofferenze avevano dovuto sopportare a causa di persone che avevano perso ogni senso della rettitudine. Perché proprio lui doveva porsi tanti scrupoli, ora che uno dei suoi amici più cari era in pericolo di vita? E mentre Krishna gli gridava di fare presto, una freccia scaturì da Gandiva che andò a staccare di netto quel braccio minaccioso. La spada e l'arto sanguinante caddero sul terreno. Un coro di disapprovazione salì dalle truppe Kurava. "Come è possibile che un atto del genere sia stato perpetrato proprio da lui, il paladino del dharma? Vergogna, Arjuna: dopo aver visto ciò, chi seguirà più le leggi di Dio?" Bhurishrava, mutilato, si girò per vedere chi fosse stato l'artefice di un atto così malvagio. "Arjuna, sei stato tu?" disse poi, "è mai possibile? Non capisco cosa ti abbia spinto a fare ciò. Io ho lealmente sconfitto Satyaki in duello e ho il diritto di ucciderlo, e tu non puoi intervenire alle spalle di un avversario in procinto di colpire. Hai causato una grave breccia nel dharma. La gente comune segue l'esempio dei grandi uomini. Però se tu ti comporti in questo modo, quanti osserveranno ancora le leggi sacre che finora hanno governato la nostra vita? Non hai paura che l'empietà invada i nostri regni? Credimi, questa ferita non mi dà alcun dolore, ma è l'averti visto agire in modo peccaminoso che mi sta causando le più grandi sofferenze. Non dovevi farlo." Gli astanti applaudirono quelle parole rette. Ma Arjuna lo guardò con occhi di fuoco. "Tu che sai dire parole così giuste, dov'eri quando Abhimanyu fu ucciso a tradimento? e quando Duryodhana ha cercato di bruciarci vivi a Varanavata, perché non sei intervenuto in nostra difesa e non hai dichiarato guerra ai Kurava in nome dei santi precetti del dharma? E poi ricordo che tu eri presente quando, dopo averci derubato di tutte le nostre proprietà con un vile trucco e facendo leva sulla rettitudine di Yudhisthira, i Kurava hanno oltraggiato nostra moglie; ma non ho sentito neanche una parola uscire dalla tua bocca, quel giorno. Hai dimenticato il momento in cui il vile Dusshasana ha cercato di spogliare Draupadi di fronte a tutti? Non hai parlato in tono indignato, allora, perché non ti conveniva inimicarti il tuo più potente alleato. E giacchè non sei intervenuto in quei frangenti e in tanti altri, perché ora chiacchieri tanto? No, tu oggi non hai diritto di dire nè di accusarmi di nulla." A quel durissimo discorso, Bhurishrava chinò la testa e riflettè su ciò che aveva ascoltato. Poi, senza aggiungere altro, decise di abbandonare il proprio corpo. Così raccolse dell'erba kusha e la sistemò con attenzione sul terreno; poi, su quel cuscino sacro, si sedette assumendo la posizione del loto e iniziò a regolare il respiro e i pensieri. Così, attraverso la pratica dello yoga, Bhurishrava si preparava a lasciare questo mondo e i suoi drammi. Ma un altro atto empio stava per concretizzarsi: Satyaki, stordito, sentendosi libero dalla stretta del nemico, si rialzò di scatto, afferrò da terra una spada e senza riflettere gli si avventò contro per ucciderlo. A nulla valsero le grida di Arjuna che gli diceva di non farlo: con un colpo di spada tagliò la testa all'anziano eroe. Non fu un atto applaudito da nessuno, il suo.
119 La morte di Jayadratha Vedere morto Bhurishrava finì di scoraggiare tanti soldati e ancora una volta il panico si diffuse tra le truppe Kurava; altri, al contrario, indignati e assetati di vendetta, sentirono gli animi infuocarsi. Karna, accompagnato dalle sue truppe, arrivò come una furia e gridando minacce all'indirizzo di Satyaki si lanciò all'attacco. La battaglia si riaccese. Da parte sua, Krishna non era affatto contento di quella recrudescenza del combattimento. "Arjuna, il sole è vicino all'orizzonte," disse, "e questo pomeriggio non hai tempo di affrontare il figlio del suta. Inoltre non dimenticare che egli ha ancora con sé la shakti di Indra. Quell'arma è incontrastabile e non ti conviene affrontarlo finchè ne sarà in possesso. Andiamo via di qua, e concentriamo i nostri sforzi su Jayadratha." Lasciando a Satyaki, oramai rinfrancato, il compito di affrontare Karna, i due uscirono dal teatro degli scontri. Rendendosi conto che Arjuna si stava avvicinando troppo al suo obiettivo e vedendo anche che i raggi del sole stavano perdendo la loro intensità, per cui la giornata sarebbe finita presto, i soldati Kurava si misero a mò di scudo davanti a Jayadratha e combatterono con grande impegno, anche a costo della loro stessa vita. Era la loro unica speranza di vincere la guerra. Oramai il sole era a pochi centimetri dall'orizzonte, in pochi minuti sarebbe tramontato. E mentre il carro sfrecciava in direzione di Jayadratha, Krishna riflettè: in quel modo non ce l'avrebbero mai fatta, dovevano tentare di distrarre i soldati e attaccare il nemico a distanza, in modo da evitare anche un duello contro di lui. Così risolse di chiamare la sua arma personale, il sudarshana, e gli ordinò di oscurare il cielo. Quando il disco divino si pose fra i soldati che popolavano la piana di Kurukshetra e l'astro solare, tutti credettero che il giorno fosse finito. I Kurava esultanti di gioia, gridarono e batterono sui tamburi, provocando un frastuono assordante, mentre gli alleati Pandava gettavano in terra le armi per la disperazione: ora, in obbedienza al suo voto, Arjuna avrebbe dovuto togliersi la vita. Krishna in quel momento sorrise e richiamò il sudarshana: come per miracolo la luce tornò a rischiarare la vasta pianura. Tutti rimasero interdetti, sorpresi, non sapevano cosa fare. E in quell'istante Arjuna invocò la pashupata e scagliò una freccia in direzione di Jayadratha: staccata di netto, la testa del monarca saltò in aria. Ora, per poter proseguire nel racconto, è necessario che ci riportiamo un attimo indietro nel tempo, al giorno della nascita di Jayadratha. In quella ricorrenza una voce eterea era rimbombata nella sala: "Chiunque farà cadere la testa di questo bambino a terra, morirà con la testa spezzata in cento punti." Così Jayadratha era cresciuto con la consapevolezza di quella maledizione che gravava sopra i suoi nemici. Ben presto era diventato un guerriero valoroso. Ed era ancora nel pieno della sua giovinezza quando il padre aveva deciso di lasciargli il trono per ritirarsi a vita meditativa in un eremo proprio vicino Kurukshetra. Si sentiva sicuro dal fatto che il figlio era praticamente invincibile e che comunque chi l'avesse ucciso sarebbe morto immediatamente. Era naturale che Krishna non ignorava affatto quel risvolto della vita di Jayadratha e si era premurato di raccontarlo ad Arjuna, raccomandandogli di fare in modo che quella testa non toccasse il terreno a causa sua. Il Pandava, dunque, con un continuo rivolo di frecce, la mantenne in aria e la spinse fino all'eremo del padre di Jayadratha, facendola arrivare sul suo grembo. Quando l'asceta si svegliò dalla meditazione, alla vista della testa del figlio sulla sue ginocchia, gridando dal dolore e dal raccapriccio, la fece rotolare in terra. Colpito dalla maledizione celeste, fu egli stesso a morire, con la testa fratturata in cento pezzi. Ancora una volta, grazie all'intervento di Krishna, Arjuna si era salvato dalla morte. Davanti agli attoniti Kurava, il sole brillò per pochi istanti ancora, poi tramontò; e a Kurukshetra, quel tremendo teatro di morte, scesero le tenebre. Tutti tornarono nei rispettivi accampamenti. 120 La guerra notturna I Pandava erano al colmo della gioia. Non solo Arjuna era riuscito nella sua impresa, ma molti grandi combattenti Kurava quel giorno erano caduti e per di più Drona non era riuscito a catturare Yudhisthira. La loro vittoria era stata fulgida su tutti i fronti. Duryodhana al contrario non riusciva a darsi pace: il suo esercito aveva subito perdite incalcolabili: era stato un massacro senza precedenti, la giornata più sanguinosa da che era cominciata quella guerra. Drona cercò di consolarlo, di calmarlo con parole colme di saggezza, ma non vi riuscì. Quanti fratelli e quanti amici carissimi erano periti quel giorno... quanti lutti. Gridava la sua rabbia. "Quei maledetti stanno massacrando le persone a cui tengo di più. Non posso più tollerare oltre uno spettacolo del genere. Questa notte stessa io ucciderò i Pandava o sarò ucciso da loro," urlò perdendo ogni controllo. E ordinò che la battaglia venisse ripresa immediatamente, alla luce delle torce. Quando vennero a sapere che i Kurava si stavano preparando per tornare sul campo, i Pandava ripresero le loro armi e organizzarono le truppe. Ne venne fuori uno scenario maestoso e suggestivo: metà dei soldati reggeva le fiaccole in mano, l'altra metà si preparava allo scontro. Ingoiati dalla penombra, gli kshatriya di Bharatavarsha, dimentichi dei vincoli familiari e del desiderio stesso di vivere, si lanciarono gli uni contro gli altri, e fu una devastazione indicibile. Nel buio era difficile persino distinguere gli alleati dagli avversari, e non di rado accadeva che i soldati dello stesso esercito si combattessero e si uccidessero tra di loro. Fu una carneficina impietosa. Quella notte Drona sfogò tutta la sua ira repressa e uccise senza pietà chiunque gli capitasse a tiro; ma anche Bhima non se ne stava di sicuro inerte, e quella notte uccise molti dei figli di Dritarashtra, mentre Satyaki se la vedeva con Somadatta, a cui quel giorno aveva ucciso due figli. In special modo quest'ultimo voleva vendicare la morte di Bhurishrava; ma non riuscì nel suo intento e, sconfitto, dovette ritirarsi. Duryodhana dovette subito pentirsi della sua impulsività: infatti quando aveva ordinato la ripresa delle ostilità, non aveva considerato Ghatotkacha e la sua armata di rakshasa, la cui forza con le tenebre decuplicava, cosicché di notte combattevano molto meglio che durante il giorno. E infatti il figlio di Bhima, con i suoi possenti rakshasa, fin dall'inizio seminò il terrore e la morte. Il Kurava cercava qualcuno che potesse contrastarlo, ma l'unico che avrebbe potuto competere con lui nelle arti magiche era Alambusha, il quale era purtroppo caduto. Solo Asvatthama riuscì per qualche minuto a contenerne l'irruenza, ma poi anche il brahmana fu sconfitto e Ghatotkacha dilagò: per i Kurava fu l'incubo più atroce. Mentre su un fronte il figlio schiacciava sotto la sua potenza fisica i Kurava, in un'altra parte del campo Bhima non gli era da meno; anche i più coraggiosi tremavano solo a vederlo. E furono dieci i figli di Dritarashtra a perire miseramente. L'anziano e nobile Bahlika aveva tentato di proteggerli, ma quella notte Bhima non rispettava nessuno: in un lago di sangue anche questo nobile condottiero perse la vita. Alla vista del corpo esanime, il Pandava stesso pianse e gli rese omaggio. Non c'era persona che non amasse e rispettasse il bravo monarca. Tra i generali Kurava aleggiava una forte tensione. Nessuno sapeva più cosa fare contro il rakshasa e suo padre. Duryodhana chiamò il suo caro amico Karna e gli disse: "Credo proprio che abbiamo commesso un grave errore a tornare sul campo di battaglia durante la notte. Questi rakshasa sono dei maestri in questo tipo di guerra, e noi non sappiamo come difenderci. Guarda, lì c'è Arjuna: se tu lo sconfiggessi i nostri soldati riacquisterebbero entusiasmo e noi potremmo rilanciare l'offensiva. Tu solo puoi guidarci alla vittoria." Salutato il Kurava con un cenno della testa, il figlio di Surya entrò nella mischia e si diresse nel punto in cui stava combattendo il suo odiato nemico. E con il suo arrivo, quel furore notturno si infiammò ancora di più. Per un breve istante Karna riuscì ad arrivare alla distanza necessaria per iniziare un duello, ma appena Krishna si accorse del suo arrivo, con mosse sapienti guidò il carro lontano dalla scena di quelle aspre lotte: non dimenticava che egli aveva con sé la shakti di Indra, che costituiva l'unico vero pericolo per il suo amico. Non cessava un momento di pensare a come privarlo di quell'arma. Il migliore tra i Kurava nel combattimento notturno si rivelò l'esperto Asvatthama, il quale riuscì persino a sconfiggere e a ricacciare indietro Drishtadyumna. Drona, intanto, non aveva ancora dimenticato il suo voto di catturare Yudhisthira, e mise in atto le sue mosse più strategiche per raggiungere il fine prefissato; Yudhisthira, d'altro canto, diede parecchio filo da torcere all'avversario. Così, alle luci delle torce, si accesero numerosi duelli fra i più grandi eroi, mentre la polvere che si sollevava dal terreno rendeva il buio ancora più impenetrabile. I carri non sfrecciavano più alla velocità dei primi giorni, ma avanzavano faticosamente, ostacolati dalle lugubri montagne di cadaveri umani e animali e dai detriti dei carri che oramai si ammassavano l'uno sopra l'altro. A un certo punto Karna si trovò di fronte il prode Sahadeva; un aspro duello si accese tra i due e nonostante il valore del Pandava, riuscì vittorioso il figlio del suta. Ma, sebbene questi lo avesse totalmente alla sua mercè, non lo uccise. Attaccò invece le truppe violentemente: vedendolo arrivare con cipiglio minaccioso, i soldati dei Pandava si dettero scompostamente alla fuga, e neanche l'arrivo di Satyaki riuscì a rincuorarli. Il panico era totale. Arjuna non si trovava lontano da quella zona. "Krishna, amico mio," disse, "senti queste grida. Sono i nostri soldati che chiedono aiuto, e tu sai che solo Karna può provocare tanto clamore. Conducimi da lui, voglio affrontarlo." Ma Krishna non era affatto d'accordo. "No, è meglio che tu non vada," rispose. "Non è ancora arrivato il momento giusto per un confronto. Ma presto giungerà, non essere impaziente. Io credo che Ghatotkacha sia per ora la persona più indicata ad avversarlo. Mandiamo lui." Ghatotkacha e Satyaki non persero tempo e si diressero con decisione verso il luogo in cui si udivano le grida. 121 Ghatotkacha A vederlo un vivo terrore prendeva chiunque si trovasse a doverlo affrontare. Era altissimo, l'enorme corpo massiccio e possente, il viso deformato in una perenne maschera mostruosa, e i capelli rossi come le fiamme. Ghatotkacha era impressionante, e come per tutti i rakshasa, di notte la sua forza e il suo valore erano aumentati. Era arrivato insieme a Satyaki, e Karna aveva dimostrato grande coraggio e bravura nell'affrontarlo senza alcun timore; ma si trovò presto in grande difficoltà di fronte alle arti magiche del nemico. Vedendolo in pericolo, Duryodhana chiamò il fratello. "Dusshasana, corri ad aiutare Karna. Non vedi? Il rakshasa usa magie nere, sortilegi malefici e tranelli che non consentono via di scampo. Non lasciamolo solo." Proprio mentre stavano discutendo su come controbattere Ghatotkacha, arrivò il figlio di Jatasura, Alambusha, omonimo del rakshasa ucciso dai Pandava nei giorni precedenti. Si presentò al cospetto di Duryodhana e lo salutò. "O re, mio padre Jatasura è stato ucciso da Bhima, e ora voglio vendetta. Lasciami combattere insieme a te, e ti aiuterò a conquistare la vittoria." Duryodhana, che non cercava altro che un rakshasa da mandare contro Ghatotkacha, gli diede il benvenuto. Poi, spiegata la situazione, disse ad Alambusha: "Tu che sei esperto nelle arti magiche, vai a sfidare il figlio di Bhima e comincia a prenderti la tua vendetta uccidendolo. Se riuscirai a sconfiggerlo, ci avrai risollevato da una grandissima ansietà e ti sarai guadagnato tutta la nostra gratitudine." E il giovane rakshasa corse a contrastare Ghatotkacha; era questi un esperto in ogni tipo di arte marziale, ma quella notte il figlio di Bhima sembrava inferocito. In men che non si dica gli mozzò la testa e ruggendo con la forza di cento leoni infuriati, la afferrò e la scagliò sul carro di Duryodhana. Il panico si diffuse tra tutti coloro che si erano trovati ad assistere alla scena. E dopo quel duello Ghatotkacha tornò a concentrarsi sul massacro delle truppe. Egli trasformò il suo corpo e lo dilatò fino a portarlo a proporzioni gigantesche; gli occhi nel buio brillavano come due comete. Quello spirito maligno assetato di sangue in pochi minuti distrusse interi battaglioni, decine di migliaia di soldati Kurava, compreso un altro re della stirpe dei rakshasa di nome Alayudha, da tutti considerato sino ad allora praticamente invincibile. Così la scena del lancio della testa tagliata sul carro di Duryodhana si ripeteva, terrorizzando, se è possibile, il monarca ancora di più. E intanto che si udivano urla ossessive, frecce, mazze, asce, e molte altre armi piovevano incessantemente sui Kurava senza che fosse possibile capire da dove provenissero. La paura aveva ormai paralizzato tutti: nessuno riusciva neanche più a parlare, e i soldati cercavano solo un posto in cui nascondersi. La battaglia sembrava essere giunta alla fine. Ma forse per i Kurava c'era ancora un altro tentativo da fare prima di deporre definitivamente le armi. Le loro ultime speranze, infatti, erano riposte in Karna. Così, senza perdere tempo, tutti si recarono da lui a implorare protezione. "Uccidi Ghatotkacha," gridavano anche i più grandi eroi Kurava, "per l'amor del cielo, uccidilo, anche a costo di usare la shakti. Fallo subito, o sarà questione di pochi minuti e il nostro esercito non esisterà più." Karna esitava. Il destino gli si accaniva di nuovo contro. Tutta la sua vita era stata contrassegnata da un'unica assurda sfortuna. Sebbene davanti al suo amico Duryodhana si vantasse di poter uccidere Arjuna anche senza l'ausilio di armi speciali, in realtà si rendeva ben conto che avrebbe avuto possibilità di vittoria solo se si fosse servito della shakti, che poteva essere utilizzata una volta sola. In tutti quei giorni non aveva fatto altro che aspettare l'opportunità per usarla contro Arjuna, ma all'ultimo momento l'occasione sfumava perché Krishna conduceva il suo devoto da qualche altra parte. E ora c'era questo tremendo rakshasa... come sempre era stato Krishna a scatenarlo contro di loro durante la notte... e in quel momento, come un lampo di luce, capì quale intelligente disegno egli avesse escogitato per dare la vittoria ai suoi amici. Ma le sue riflessioni erano continuamente disturbate dal mostro che aleggiava sopra le loro teste sputando fiumi di fuoco, gettando lo scompiglio fra le truppe. Duryodhana gli si affiancò, ferito e sanguinante in più punti. Il suo sguardo era allucinato dalla paura. Mai prima di allora Karna aveva visto un'espressione simile. "Karna, non esitare ancora, lancia la shakti e uccidi questo rakshasa, o lui eliminerà tutti noi nel volgere di pochi minuti." Persino Duryodhana lo esortava a gettare via la shakti destinata ad Arjuna. Ed egli non potè resistere a quelle pressioni e all'atmosfera infernale che li aveva avvolti e li stava inesorabilmente ingoiando; estrasse il pugnale dalla custodia. "Io userò quest'arma infallibile e ucciderò il rakshasa," disse a Duryodhana, "ma sappi che le nostre possibilità di vittoria finiscono qui." Detto questo, recitò con rapita devozione alcuni mantra; poi la mano destra scagliò l'arma, che saettò verso il cielo come una folgore. Il pugnale colpì l'immenso petto di Ghatotkacha mentre questi era in volo sopra di loro e penetrò nel suo corpo; si udì un boato assordante. Colpito a morte, con il cuore trafitto, Ghatotkacha si espanse ancora e quando precipitò al suolo provocò l'ultima immane carneficina della sua esistenza, schiacciando sotto il suo peso migliaia di guerrieri. Il colosso finalmente era morto, i Kurava potevano tirare un sospiro di sollievo. Era costato molto, forse troppo, ma nessuno se ne rammaricò. Quel tremendo incubo notturno era finito, e tanto bastava. A quella scena i Pandava piansero lacrime amare. Solo Krishna, che aveva ordito tutto il piano, era felice: senza la shakti oramai Arjuna non correva più alcun pericolo. Il combattimento continuò per un pò, poi Arjuna concordò una tregua e gli eserciti si ritirarono. Molti non avevano più neanche la forza di tornare nel loro accampamento e si addormentarono lì, dove si trovavano.
122 Il quindicesimo giorno Quel sonno ristoratore non durò a lungo. Dopo meno di due ore i primi bagliori di sole cominciarono a fare capolino timidamente, e poi sempre più decisamente inondarono il campo di battaglia di Kurukshetra. Tutti si levarono dai loro giacigli improvvisati e si guardarono attorno; solo in quel momento, guardando alla luce del giorno la piana, i Kurava e i Pandava rabbrividendo si resero conto di ciò che era accaduto durante la notte; le proporzioni del massacro avvenuto alla fioca luce delle torce ora risultavano immense, i cadaveri umani e animali misti ai detriti dei carri e delle armi formavano lugubri montagne rosse di sangue. Era una vista terrificante. Ma tutti irrigidirono i loro cuori e si prepararono al quindicesimo giorno di guerra. Tuttavia quelle armate, così grandi e piene di dinamismo appena pochi giorni prima, oramai si erano assottigliate di ben oltre la metà, e i soldati feriti e con le corazze frantumate in più punti sembravano vecchi fantasmi di gloria. Naturalmente anche Duryodhana, dal suo carro da guerra, aveva constatato l'incredibile carneficina notturna. "É stata tutta colpa vostra" sbottò contro Drona. "Se tu, Bhishma, Shalya e tutti gli altri non aveste nutrito tutto questo amore per i Pandava, che vi ha sempre impedito di ucciderli, i miei fratelli e tutti questi cari amici e valorosi soldati non sarebbero morti. Voi non vi siete impegnati al massimo, altrimenti non saremmo ancora qui, ora. La battaglia sarebbe finita da un pezzo, e con la nostra vittoria." Drona non ribattè; guardò il Kurava con una smorfia di disgusto e preparò le milizie. Quando furono pronti, i due eserciti si mossero lentamente l'uno contro l'altro; la collisione segnò l'inizio delle ostilità. Quella mattina Drona si diede a sterminare un'innumerevole quantità di soldati: a quel punto, onde evitare ulteriori stragi, Virata e Drupada si unirono e si lanciarono contro di lui. Ma era trascorso poco tempo dall'inizio dei combattimenti, quando entrambi i generali dell'esercito dei Pandava venivano colpiti a morte. E attorno al luogo in cui era avvenuta tale tragedia si scatenò una furiosa battaglia. Tuttavia allorchè Drishtadyumna vide perire nel fuoco della rabbia dell'acarya oltre suo padre anche due dei suoi figli, fuori di sé per l'odio, prese un voto. "Che tutti i miei atti virtuosi, le mie austerità e i miei sacrifici non mi corrispondano alcun frutto, e che io mai possa vedere i pianeti celesti se oggi stesso non ucciderò Drona." E senza attendere oltre gli si lanciò contro, ma nello scompiglio causato dai numerosi duelli lo perse di vista e non riuscì a ritrovarlo. Fu Arjuna che lo intercettò: all'alba del quindicesimo giorno Drona incuteva più paura della morte stessa, nessuno riusciva a stargli di fronte per più di qualche secondo. Il figlio di Indra gli fu davanti e impugnò con fermezza il celebre arco Gandiva; e mentre questi lo usava molto abilmente con entrambi le mani, Drona invocò l'arma suprema, il brahmastra, con lo scopo di distruggere tutti i suoi nemici in un colpo solo. Una luce abbagliante scaturì dal suo arco e si diresse verso Arjuna. "Guarda," disse Krishna, "oggi l'acarya è talmente intossicato dalla propria potenza militare che ha perso il lume della ragione: l'arma che ha lanciato non avrebbe mai dovuto essere usata su questo pianeta, ma solo su Svarga. Fai presto, Arjuna, rispondi con un altro brahmastra, e salva il mondo intero." Così, consigliato dall'amico, Arjuna toccò dell'acqua per purificare il suo corpo e con rapita attenzione recitò le preghiere grazie alle quali invocò l'arma di Brahma. E una seconda cometa di luce si librò nell'aria e saettò in direzione dell'altra. Quando quei due soli si incontrarono a mezz'altezza, ci fu un boato assordante: la terra tremò e i mari si agitarono, e in tutto il mondo si avvertirono anomalie atmosferiche. Arjuna era riuscito a bloccare l'arma del maestro.
123 Drona cade Il suo brahmastra era stato neutralizzato, ma Drona non desistette e cercando di evitare di scontrarsi con Arjuna, continuò l'attacco su un altro fronte. I soldati, stanchi, non riuscivano più a contenerlo e, credendo inutile il loro sacrificio, fuggirono lasciandolo solo. Krishna e Arjuna videro i loro soldati scappare in preda al panico ma non poterono intervenire. "Dobbiamo assolutamente fermarlo," disse Arjuna rivolgendosi a Krishna. "Sì. Oramai siamo a un passo dalla vittoria, ma finchè Drona vive non potremo mai averne la certezza. Egli è in grado di fare qualsiasi cosa su un campo di battaglia. Hai visto come ha ucciso Virata e Drupada? Quando diventa furioso, perde ogni controllo e diventa pericoloso. Dobbiamo eliminarlo senza attendere oltre." Su invito di Krishna, i Pandava si ritirarono dal combattimento per pochi minuti, allo scopo di concertare un piano. "Drona è come Bhishma, è assolutamente invincibile" disse Krishna. "Conosce tutte le tecniche di combattimento ed è in possesso di formidabili armi celestiali. Ma proprio al pari di Bhishma, ha un punto debole, e cioè non mette il cuore in questa guerra. Non ha mai accettato il comportamento di Duryodhana e quindi non è contento di essere qui a combattere contro di noi. Noi potremo ucciderlo soltanto come siamo riusciti con Bhishma, e cioè facendo in modo che egli stesso perda il desiderio di vivere." "Ma in molte cose è diverso da Bhishma," ribattè Yudhisthira, "soprattutto perché ha ancora dei validi motivi per continuare a vivere. In questo non è come Bhishma." "In realtà vuole vivere ancora perché è affezionato al figlio," intervenne Krishna, "ma se gli dicessimo che Asvatthama è morto sono sicuro che perderebbe ogni desiderio e Drishtadyumna potrebbe affrontarlo con la certezza di sopprimerlo." "Ma Asvatthama non è morto," obiettò Yudhisthira, "nè sembra semplice ucciderlo. É un provetto combattente, e persino Arjuna in questi giorni ha trovato difficoltà nel duellare contro di lui." "Lo so. Asvatthama non può essere ucciso da nessuno. Ha ricevuto un tipo di benedizione che gli permetterà di godere di una vita lunga quanto quella di Brahma. Ma dire a Drona che il figlio è morto rimane l'unico modo per sconfiggerlo; pertanto, dovremo farglielo credere anche se non è vero." Yudhisthira indugiò: la cosa non gli piaceva affatto. Uno dei suoi principi più sacri era di non raccontare menzogne, e in tutta la sua vita non gli era mai capitato di doverne dire; per di più questa sarebbe stata piuttosto grave in quanto avrebbe implicato la morte del suo maestro. Nonostante fosse un consiglio proveniente da Krishna stesso, non riusciva a trovare il coraggio di fare una cosa simile. Yudhisthira era così puro che il suo carro non toccava neanche il terreno, proprio come i deva che mai poggiano a terra i loro piedi; eppure appena ebbe quell'indecisione nell'obbedire al Signore Supremo incarnato, le ruote del carro toccarono il terreno. Il Pandava era senza parole. Ma c'era qualcuno che aveva senz'altro meno scrupoli di lui. "Fratello, perché esiti?" disse Bhima. "Non cadrai affatto nel peccato perché avrai solo fatto giustizia. Non dimenticare che ha partecipato all'uccisione di Abhimanyu e ha ampiamente concorso alle nostre disgrazie. É vero che è pur sempre stato il nostro guru, ma ora siamo su un campo di battaglia e non possiamo fermarci davanti a niente. Se tu non hai il coraggio di farlo, lascia che me ne occupi io." E senza attendere risposta, il possente figlio del deva del vento tornò sul campo di battaglia e abbatté con un colpo di mazza un elefante che si chiamava Asvatthama. Poi facendosi largo fra la calca dei combattenti, andò da Drona. "Ascolta," gli gridò, "Asvatthama è morto. Io l'ho ucciso con le mie mani." Drona rimase per un momento interdetto: conosceva la natura di Bhima e non credette alle sue parole. Raddoppiò invece i suoi sforzi nel combattimento e scatenò un vero inferno fra le file nemiche, seminando la morte ovunque si volgesse. Avendo notato che Drona usava armi celestiali, i deva, accompagnati da suo padre Bharadvaja, scesero su questo mondo e gli parlarono. "Drona, cosa stai facendo? perché stai sprofondando nel peccato combattendo in questo modo? Sai che non è retto usare queste armi fra la specie umana. E allora tu che sei superiore a tutti questi uomini, perché ti stai affannando tanto? Noi vogliamo che tu abbandoni questa guerra e torni con noi a Svarga." Nel sentire quelle parole dalla bocca del padre, il desiderio di vivere in questo mondo gli si affievolì. Ripensò alle parole di Bhima e il pensiero che suo figlio potesse essere morto spense quasi totalmente in lui la fiamma della vita. In lontananza vide accorrere Drishtadyumna, l'uomo che era nato per distruggerlo e sopra di sé scorse dei presagi che indicavano la sua morte. Allora si girò in direzione di Yudhisthira. "Dharmaputra, tuo fratello mi ha detto che Asvatthama è morto, ma io non gli credo. Bhima può mentire. Tu no. Sei sempre stato un uomo veritiero, e a te crederò ciecamente. Dimmi, dunque, è vero?" Yudhisthira esitò ancora, tenendo tutti col fiato sospeso; poi disse: "Sì, Asvatthama è morto." Sottovoce aggiunse: "Asvatthama, l'elefante..." Ma nel clamore della battaglia quelle ultime parole non furono udite da Drona. E in quel momento il grande e glorioso acarya, che aveva insegnato le arti marziali ai principi dei migliori casati, perso ogni interesse per la vita, osservò con disgusto tutto ciò che stava accadendo attorno a sé. Per anni aveva convissuto a fianco dell'empietà, del peccato; ora non voleva più partecipare a quel gioco. E mentre tutt'intorno scoppiavano aspri duelli, Drona si vide accanto Drishtadyumna. Rispose ai suoi attacchi, ma il suo cuore non era più lì. Rattristato e distratto, Drona continuava a combattere quasi automaticamente, anche contro Satyaki che lo aveva attaccato con violenza. Poi sopraggiunse anche Bhima che lo redarguì con parole aspre. "Tu sei stato il mio maestro e a te debbo tutto ciò che so," gli gridò. "Ma proprio per questo provo un disgusto maggiore nei tuoi confronti, poichè tu, un brahmana, invece di predicare la verità e la rettitudine, hai spartito il tuo tempo con i demoni, insozzando qualsiasi cosa buona fatta in precedenza. Vergognati." Fu a quelle aspre parole di Bhima che Drona cessò di lottare e depose nel suo carro le armi. "Soldati Kurava," disse, "da questo momento io non voglio più spargere sangue. Ditelo a Duryodhana, che io come molti altri gli ho sempre dato consigli volti al suo bene. Ma purtroppo non ha mai voluto accettarli. Io sono stanco e smetto di combattere. Ora comincerò a meditare e fra breve lascerò la mia manifestazione terrena. Quanto a voi, visto che il cieco Kurava non intende sentire ragioni, continuate a lottare valorosamente e meritatevi così i pianeti celesti." Detto ciò, si sedette sul carro e chiuse gli occhi, cominciando a fissare i suoi pensieri sul Signore primordiale Vishnu, purificando così la mente e il corpo. Erano trascorsi appena pochi minuti quando Drishtadyumna vide il suo nemico giurato seduto sul carro privo di armi. Incurante del fatto che era seduto nella posizione yoga e che fosse sprofondato nei pensieri del Supremo, gli saltò sopra come un grande rapace, e mentre tutti lo scongiuravano di non farlo, con un possente colpo di spada lo decapitò. Nell'istante in cui la testa fu separata dal tronco, tutti videro una scintilla di luce, l'anima spirituale, uscire da quel corpo e salire in cielo. Mentre amici e nemici lo rimproveravano, Drishtadyumna se ne stava ancora sul carro di Drona, con la spada in una mano e la testa nell'altra, inzuppato di sangue, simile a Yama stesso nell'atto di massacrare le entità viventi. La profezia si era avverata, il suo giuramento anche. Bhima fu uno dei pochi a esultare; con trasporto lo abbracciò e insieme danzarono in grande estasi. "E quando Karna e Duryodhana e tutti i suoi fratelli saranno morti, amico mio, danzeremo ancora, felici di aver liberato il mondo dall'assillo di questi asura." Bhima disse queste parole a Drishtadyumna con così tanta allegria che sembrava quasi che cantasse.
124 La rabbia di Asvatthama La notizia che Drona era morto si diffuse velocemente in ogni parte remota di Kurukshetra. Ci volle del tempo prima che tutti ci credessero. E i Kurava si ritirarono disordinatamente dal campo di battaglia, lasciando i nemici padroni di quel tragico palcoscenico di morte. Duryodhana era stato tra quelli che aveva assistito impotenti alla scena. Non poteva crederci: l'invincibile Drona, il maestro di tutti i più grandi guerrieri del mondo, sul quale si fondavano le sue speranze di vittoria, era caduto a Kurukshetra per mano del figlio di Drupada. Fu un brutto colpo per lui. Su un fronte lontano, Asvatthama combatteva con ardore, ignaro della morte del padre. Quando vide l'esercito che si ritirava senza apparenti motivi, tornò agli accampamenti. Vide i generali riuniti e sul loro viso riconobbe una profonda tristezza. Ma nessuno ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. "O re, amico mio," disse allora rivolgendosi a Duryodhana, "cos'è accaduto di tanto grave? perché le truppe si sono ritirate anzitempo? e perché voi sembrate in preda alla disperazione?" Tuttavia sembrava che nessuno avesse intenzione di rispondergli. Infine, giacchè Asvatthama insisteva, fu Kripa a raccontargli tutto nei particolari. Appena apprese come i Pandava avessero tratto in inganno il padre con la falsa notizia della sua morte e come Drishtadyumna avesse approfittato della sua meditazione per colpirlo, la rabbia dell'impetuoso brahmana divampò come un fuoco. E giurò vendetta. "Cosa aspettiamo?" disse agli altri. "Torniamo subito sul campo e distruggiamo i nostri nemici, che si sono macchiati di un crimine senza precedenti." Galvanizzati dalla furia di Asvatthama, tutti ripresero coraggio e si riversarono ancora nella piana insanguinata, gridando come ossessi. Quando vide i nemici tornare, Yudhisthira si chiese come avessero fatto a riprendersi così presto da un colpo tanto duro come la morte di Drona. "Non è difficile capirlo," ribattè Arjuna. "Prova ad immaginare quale può essere stata la reazione di Asvatthama. Credo proprio che ora dovremo impegnarci a fondo; io lo conosco bene: quando è arrabbiato diventa molto pericoloso. E credo di sapere chi sarà oggetto principale della sua rabbia." E i Pandava si prepararono a ricevere Asvatthama e a proteggere Drishtadyumna. Nel frattempo i Kurava, guidati dal brahmana, procedevano minacciosamente: sembrava di assistere all'ira del mare in tempesta, allorchè i suoi flutti avanzano aggressivi, dando l'impressione di voler avvolgere nelle loro spirali di morte ogni cosa. In quel momento il cielo si oscurò, e tuoni ostili incupirono l'atmosfera, che vibrò quasi che un esercito di folletti maligni stesse per materializzarsi e scatenare una guerra demoniaca. Come per magia i Pandava scorsero all'orizzonte una massiccia muraglia prendere forma e apprestarsi rapidamente; pochi secondi dopo capivano che si trattava di armi micidiali che stavano per abbattersi su di loro, come se all'improvviso milioni di guerrieri stessero per scagliare contemporaneamente le loro armi. In pochi secondi fu il massacro; i soldati Pandava cominciarono a cadere a centinaia, martoriati in più punti del corpo. Davanti a quel misterioso portento, persino Yudhisthira fu colto dal panico. "Questa è sicuramente opera di Asvatthama," disse. "Egli vuole vendetta. Prima aveva stima di noi, e per questo combatteva tiepidamente. Ma dopo ciò che abbiamo fatto al padre, ci odia e ci distruggerà tutti. La guerra è persa, non abbiamo più speranze. Salvatevi, che tutti tornino alle loro case!" Ma il sorriso di Krishna tranquillizzò tutti. "No, non dovete temere. Io conosco bene quest'arma. É la mia narayanaastra. Non può essere contrattaccata in alcun modo, e nessuno può resisterle; tuttavia non colpisce chi non ci si opponga. Al contrario aumenta la sua forza e la sua intensità quanto più si cerchi di resisterle. Prostratevi tutti, toccate il terreno con la fronte, rendetele omaggio e sarete salvi." Tutti fecero come Krishna aveva detto; tutti meno Bhima. E mentre gli altri si chinavano in quel tornado di fuoco, egli gridò, diventando paonazzo dalla rabbia: "Io non mi piegherò mai a nessuna arma, umana o divina che sia." Era una scena incredibile: in tutta Kurukshetra Bhima era l'unico rimasto in piedi, e ruggiva come un leone inferocito, mentre tutt'intorno a sé si scatenava la potenza della narayanaastra, che concentrò un vero vortice di fuoco intorno a lui. Coperto di frecce come un porcospino, Bhima era il ritratto stesso della gloria guerriera. Era uno spettacolo a vederlo. Per effetto delle armi che lo colpivano, tutt'intorno a lui si era sviluppato un tremendo calore che sembrava dover divampare a ogni momento. Rinfrescato dalla varunaastra che Arjuna gli mandò per refrigerarlo, nonostante l'intenso dolore e il pericolo di morte, Bhima non mostrava alcuna intenzione di chinarsi a terra. Arjuna, Drishtadyumna, e altri suoi amici riuscirono a salvarlo spingendolo a forza in giù, appena in tempo perché non fosse divorato dall'occhio del ciclone. La narayanaastra passò sopra di loro senza recare danni rilevanti. Avendo visto fallire quell'ennesimo tentativo, Duryodhana si sentì prendere dal panico e gridò: "Asvatthama, manda ancora quell'arma e distruggi gli assassini di tuo padre." "Non posso," rispose lui. "Come tutte le armi celestiali che sono proibite nel mondo degli uomni, la narayanaastra può essere usata una volta sola, o si scatenerebbe contro di noi e ci distruggerebbe tutti." La battaglia infuriò ancora, tremenda come mai in precedenza. Asvatthama le provò tutte per avere ragione sui suoi avversari, ma vide fallire ogni tentativo. Frustrato e disperato, uscì dal campo di battaglia e andò a cercare consiglio da Vyasa. "Questa guerra ha dell'incredibile: Bhishma e mio padre sono caduti, migliaia di guerrieri considerati invincibili sono morti e tutte le mie armi hanno fallito: perché è potuto accadere tutto ciò? com'è stato possibile? come possono i Pandava vincere sempre?" Vyasa gli rivolse uno sguardo misericordioso, poi disse: "Questa verità mi è sempre stata chiara fin dal primo giorno, e non l'ho neanche taciuta. A tutti voi ho sempre detto che i Pandava non possono essere distrutti da nessuno perché Krishna è con loro, ed Egli non è un uomo comune: è la Persona Suprema, il Dio che crea e distrugge tutto ciò che esiste. Il Suo volere è incontrastabile, ed Egli vuole che i virtuosi Pandava vincano. Perciò, senza ombra di dubbio, essi trionferanno. Ma tu sei uno kshatriya e il tuo dovere è di combattere. Torna sul campo, dunque, e agisci sempre secondo ciò che è giusto." La sera scese, e calò un velo pietoso su quell'ennesimo massacro. I sopravvissuti degli ultimi quindici tremendi giorni si ritirarono nelle proprie tende, esausti. Ma mentre i Pandava dormivano tranquilli, Duryodhana non riusciva a darsi pace.
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